Autore J. Rodolfo Wilcock
CoautoreMino Maccari [disegni]
Titolo Fatti inquietanti
EdizioneBompiani, Milano, 1961, Cose d'oggi 15 , pag. 268, cop.fle., dim. 13,2x21,6x1,8 cm
Classe narrativa italiana












 

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Indice


Il bambino meccanico                   7

Cinture di velocità                   10

I denti nell'Antartide                12

Le spose virtuose                     13

Macchina per leggere saggi            15

Duttilità della natura                16

Culti della Melanesia                 17

Gusti particolari                     21

Uso razionale della bomba H           22


[...]


 

 

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Pagina 7

IL BAMBINO MECCANICO


Qualche anno fa si è dovuto ricoverare in una clinica americana un ragazzo schizofrenico di nove anni, il quale soffriva di una malattia non comune: credeva di essere una macchina, e di funzionare grazie ad altre macchine create dalla sua fantasia. Come molti altri fanciulli, si era rifugiato in un mondo immaginario da lui inventato, dal quale però non lo si poteva far tornare.

Era convinto di essere completamente automatico e riusciva perfino a convincere gli altri. Prima di mangiare, si legava con fili immaginari al tavolo, si isolava avvolgendosi in salviette di carta, e stabiliva il contatto elettrico: soltanto cosí poteva incominciare a mangiare. Le persone a lui vicine dovevano aver cura di non calpestare i fili che alimentavano le sue «fonti di energia». Quando il suo meccanismo non funzionava, il bambino se ne stava immobile e silenzioso per lunghi periodi; altre volte si metteva in moto, sempre più velocemente, finché esplodeva emettendo i rumori adatti e gettando per aria le valvole e altri oggetti meccanici che portava sempre con sé; poi ridiventava muto.

Dormiva soltanto se attorniato da apparecchi elettrici, da lui stesso congegnati con fili elettrici, cartoni, nastro isolante, eccetera; respirava attraverso tubi di scappamento, e cosí pure per bere adoperava complicati tubi. Durante intere settimane, quando gli si domandava qualcosa, rispondeva soltanto «Bam!», poiché doveva neutralizzare quel che gli veniva detto; altrimenti ci sarebbe stata un'esplosione. Nella vasca da bagno si dondolava ritmicamente entro l'acqua, quasi spinto da un motore; certi colori rischiavano d'interrompergli la corrente, e perciò li evitava.

Chiedeva a volte che gli venisse cambiato il cervello, perché non funzionava bene, e puniva le parti (pezzi) del suo corpo, quando queste si rendevano colpevoli di movimenti sbagliati. I suoi atteggiamenti diventavano altresí insoliti quando doveva andare al cesso: si spogliava tutto, appoggiava una mano sul muro, temeva d'essere risucchiato dal recipiente.

A quanto pare, sua madre, pur avendo normale cura di lui, l'aveva trattato sempre con poco comune indifferenza; forse era stata appunto quest'indifferenza a dare origine alle fissazioni del fanciullo: non voleva essere umano per non soffrire, e anche perché lo avevano allevato come una macchina.

Grazie tuttavia alla cura psichica a cui fu sottoposto, sotto la direzione di Bruno Bettelheim, il ragazzo è finalmente riuscito, all'età di dodici anni, a liberarsi di questi complessi e a «funzionare» senza l'aiuto di macchine.

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