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| << | < | > | >> |IndicePrefazione all'edizione italiana (Telmo Pievani) IX Prologo 1 1. In cerca della genesi 5 2. Le grandi transizioni dell'evoluzione 19 3. Il dilemma delle grandi transizioni e la sua soluzione 31 4. Seguire le tappe dell'evoluzione sociale nel tempo 39 5. Le tappe finali verso l'eusocialità 53 6. Selezione di gruppo 71 7. La storia umana 95 Riferimenti bibliografici 115 Ringraziamenti 125 Indice analitico 127 |
| << | < | > | >> |Pagina 1Tutte le questioni filosofiche che si riferiscono alla condizione umana si possono ricondurre a tre domande: che cosa siamo, che cosa ci ha creati e, in ultima analisi, che cosa vogliamo diventare. Per trovare una risposta alla terza cruciale domanda, qual è il destino a cui aspiriamo, dobbiamo rispondere precisamente alle prime due. In linea generale, però, i filosofi non sono riusciti a trovare risposte verificabili a queste domande che si riferiscono al passato profondo umano e pre-umano, di conseguenza non hanno potuto rispondere neppure alla terza, che riguarda invece il nostro futuro. Avvicinandomi al termine di una lunga carriera dedicata allo studio della biologia del comportamento sociale degli animali e degli esseri umani, sono riuscito a comprendere meglio per quale motivo simili domande esistenziali sfuggono all'introspezione anche dei pensatori più saggi e, ancora più importante, perché sono state tanto facilmente assoggettate a dogmi religiosi e politici. Le cose stanno così principalmente perché mentre la scienza e la sua assistente, la tecnologia, sono cresciute esponenzialmente raddoppiando in termini di conoscenza e capacità in tempi che vanno da uno a decine di anni in base alla disciplina, soltanto di recente hanno incominciato a interessarsi al significato dell'esistenza umana in modo obiettivo e persuasivo. Per la maggior parte del tempo nel corso della storia le religioni organizzate hanno difeso la propria supremazia sul significato dell'esistenza umana. L'enigma era facile da risolvere per i fondatori e i leader religiosi: gli dei ci hanno messo sulla Terra e poi ci hanno detto come dovevamo comportarci. Perché le persone in tutto il mondo continuano a credere a una fantasia o all'altra tra le oltre quattromila esistenti sulla Terra? La risposta è da cercare nel tribalismo, che, come chiarirò, è una conseguenza del modo in cui ha avuto origine l'umanità. Ogni religione organizzata o comunque pubblica e tutte le numerose ideologie simili alla religione definiscono una tribù, cioè un gruppo molto unito di persone che condividono una qualche vicenda particolare. La storia e le lezioni morali che caratterizzano la tribù, spesso vivaci e perfino bizzarre nel contenuto, sono accettate come fondamentalmente immodificabili e, ancora più importante, sono considerate superiori a tutte le storie alternative rivali. I membri della tribù traggono ispirazione dallo status speciale che quella storia peculiare attribuisce loro, non soltanto su questo pianeta, ma nella moltitudine di pianeti in tutte le migliaia di miliardi di galassie che si calcola esistano nell'universo conosciuto. E, meglio di ogni altra cosa, la fede cosmica è il prezzo speciale richiesto per l'immortalità personale garantita. Con L'origine dell'uomo (1871) Charles Darwin spostò nell'ambito della scienza il tema nel suo complesso suggerendo che gli esseri umani discendono da scimmie antropomorfe africane. Nonostante a quel tempo fosse risultata scioccante, e sia tuttora difficile da accettare per molti, quell'ipotesi si è dimostrata corretta. Da quel momento le nostre informazioni sulle tappe della grande transizione dalla scimmia antropomorfa all'uomo sono costantemente aumentate soprattutto grazie al lavoro comune di ricercatori attivi in cinque moderne discipline: paleontologia, antropologia, psicologia, biologia evoluzionistica e neuroscienze. Come risultato del loro impegno congiunto in tutti quei campi di studio oggi abbiamo un quadro sempre più chiaro della vera storia della creazione. Sappiamo insomma moltissimo sulla nascita dell'umanità, su quando si è verificata e anche su come. Questa descrizione oggettiva della creazione si è dimostrata decisamente diversa da quella che inizialmente raccontavano non soltanto i teologi, ma anche la maggior parte degli scienziati e dei filosofi. La vicenda è coerente con quella delle storie evolutive di altre linee di discendenza non umane, diciassette delle quali finora hanno dimostrato di avere società progredite basate sull'altruismo e la cooperazione. Proprio queste linee filogenetiche saranno le protagoniste delle varie sezioni del libro. Nelle prossime pagine mi occuperò di un soggetto strettamente correlato alle nostre origini e che gli scienziati hanno appena iniziato a studiare. Quale forza ci ha dato vita? Che cosa, precisamente, ha sostituito gli dei? Essendo temi che ancora sollevano dibattiti tra gli scienziati cercherò di affrontarli in modo approfondito e obiettivo. | << | < | > | >> |Pagina 5La chiave per comprendere come l'umanità possa esistere da così tanto tempo possiamo trovarla acquisendo una conoscenza completa ed esatta di noi stessi, non limitandoci dunque a considerare gli ultimi tremila anni della storia scritta, e neppure ampliando la ricerca fino a diecimila anni fa quando ebbe inizio la civiltà con la rivoluzione del Neolitico, ma spingendoci ancora più indietro, fino a duecentomila anni fa, proprio quando Homo sapiens si distinse tra le altre specie. E poi avventurandoci nel passato ancora più lontano, spostandoci indietro lungo la linea di discendenza pre-umana di milioni di anni. Arrivando in questo modo a conoscere noi stessi dovremmo riuscire a rispondere con una certa sicurezza al più grande interrogativo filosofico: quale forza ha prodotto l'umanità? Con che cosa possiamo sostituire le divinità dei nostri antenati? Alcuni fatti possono ormai essere affermati con una buona certezza. Ogni parte del corpo e della mente degli esseri umani ha una base materiale che obbedisce alle leggi della fisica e della chimica. E tutto questo, grazie a quanto le osservazioni scientifiche sempre nuove ci permettono finora di dire, è un prodotto dell'evoluzione per selezione naturale. Per proseguire con i concetti fondamentali: l'evoluzione consiste in un cambiamento nella frequenza dei geni delle popolazioni di una specie. Una specie viene definita (in modo comunque approssimativo) come una popolazione, o un insieme di popolazioni, i cui membri si incrociano liberamente o sono in grado di incrociarsi liberamente in condizioni naturali. L'unità su cui agisce l'evoluzione genetica è il gene o l'insieme di geni che interagiscono tra loro. Il contesto della selezione naturale è l'ambiente, nel quale la selezione favorisce una variante di un dato gene (chiamata allele) rispetto ad altre varianti (altri alleli). Nell'organizzazione biologica delle società, la selezione naturale è sempre attiva su più livelli. [...] La selezione naturale, la forza motrice dell'evoluzione biologica sia a livello degli individui sia del gruppo, si può riassumere in un'unica frase sintetica: la mutazione propone, l'ambiente dispone. Le mutazioni sono cambiamenti casuali al livello dei geni di una popolazione e possono verificarsi in più modi. Per cominciare, una mutazione può dipendere dall'alterazione in un dato gene della sequenza delle basi azotate del DNA (le lettere A, T, C, G); in altri casi può essere il frutto di un cambiamento nel numero di copie dei geni nei cromosomi; infine, può derivare da una modificazione nella posizione dei geni nei cromosomi. Se i caratteri determinati da una mutazione si rivelano relativamente favorevoli nell'ambiente circostante per la sopravvivenza e la riproduzione dell'individuo che li possiede, il gene mutante si moltiplicherà e diffonderà nella popolazione. Se, invece, i caratteri si dimostrano sfavorevoli nell'ambiente, il gene mutante si conserverà, ma con una frequenza molto bassa o scomparirà del tutto. | << | < | > | >> |Pagina 19La storia biologica della Terra inizia con la nascita, spontanea, della vita. Il processo richiese miliardi di anni partendo dalla formazione delle cellule, quindi degli organi e degli organismi e, infine, nel corso di un episodio di "appena" due o tre milioni di anni, produsse una specie in grado di comprendere che cosa fosse successo. Gli esseri umani, dotati di un linguaggio espandibile all'infinito e della forza del pensiero astratto, sono riusciti a cogliere le tappe che portarono alla loro stessa origine. Ecco dunque qual è stata la sequenza delle "grandi transizioni dell'evoluzione": 1. origine della vita; 2. invenzione della cellula complessa ("eucariote"); 3. invenzione della riproduzione sessuata e, con essa, di un sistema controllato per scambiare DNA e moltiplicare le specie; 4. origine degli organismi formati da più cellule; 5. origine delle società;
6. origine del linguaggio.
Nel corpo di ognuno di noi esistono tracce di tutte queste grandi transizioni; i corpi portano in sé i prodotti di ogni tappa della storia della vita. Per cominciare abbiamo i microrganismi, rappresentati oggi dai batteri che brulicano nel nostro sistema digerente e ovunque in tutto il nostro corpo, dieci volte più numerosi delle cellule contenenti il nostro personale DNA. Poi ci sono le cellule geneticamente umane, le cui antenate divennero più complesse molto presto nella storia della vita, grazie alla fusione con cellule più semplici di alcuni microrganismi a cui seguì la loro trasformazione in mitocondri, ribosomi, membrane nucleari e altri componenti che rendono la cellula attuale particolarmente ben organizzata ed efficiente. Queste cellule più complesse sono dette "eucariote" per distinguerle dalle semplici cellule "procariote" dei batteri. Il capitolo successivo nel nostro personale libro del corpo è rappresentato dai nostri organi, costituiti da gruppi di cellule eucariote e comparsi inizialmente nelle meduse, nelle spugne e in altri organismi che vivevano nei mari primordiali. Infine si distinsero gli esseri umani, programmati per formare società organizzate, grazie a un insieme complesso comprendente linguaggio, istinto ed esperienza sociale. Eccoci dunque qui a camminare e, qualche volta, a correre disordinatamente lungo una linea di discendenza lunga 3,8 miliardi di anni e priva di uno scopo certo al di là del continuare a portare avanti i capricci delle mutazioni e della selezione naturale, come se fossimo grosse borse piene di acqua di mare, erette, bipedi, sostenute da ossa, guidate da sistemi la cui base ingegneristica risale all'età dei rettili. Molte delle sostanze chimiche e delle molecole che circolano nella nostra porzione liquida (che corrisponde all'80 per cento in peso del corpo) sono indicativamente le stesse che esistevano nel mare primordiale. La nostra capacità di ragionare e di scrivere ciò che pensiamo però continua a trarre energia dalla convinzione diffusa per cui ogni tappa della Preistoria e della storia, inclusa ogni grande transizione, in qualche modo sia servita allo scopo di metterci sulla Terra. Tutto, è stato affermato, fin dall'origine della vita 3,8 miliardi di anni fa, venne pensato per noi. La diffusione di Homo sapiens fuori dall'Africa e in tutto il mondo abitabile fu in qualche modo preordinata. Ogni cosa venne intesa per stabilire il nostro dominio sul pianeta con l'inalienabile diritto di trattarlo come più ci piace. Quell'errore, a mio parere, è la sintesi perfetta della condizione umana. E allora consideriamo più attentamente quelle grandi transizioni. La prima, e la più difficile da immaginare, è l'origine della vita stessa. | << | < | > | >> |Pagina 25La quinta transizione fu la formazione di gruppi da parte dei singoli individui appartenenti a una data specie. Il culmine di questa nuova tappa fu l'evoluzione di gruppi eusociali, riconoscibili dall'alto livello di cooperazione e divisione del lavoro in cui alcuni individui particolari incominciarono a riprodursi meno di altri. In sostanza le specie eusociali sono quelle che praticano l'altruismo. Le tracce più antiche che testimoniano l'origine di colonie eusociali di termiti risalgono all'inizio del periodo Cretaceo, circa duecento milioni di anni fa. Alle termiti seguirono le formiche, circa cinquanta milioni di anni dopo; da quel momento i due gruppi insieme - le termiti che si nutrono di vegetali morti e le formiche che mangiano termiti e altre piccole prede - dominarono l'ecologia del mondo degli insetti. Tra gli ominini africani antenati della specie umana attuale, l'eusocialità emerse molto probabilmente - con l'antico Homo habilis - non prima di due milioni di anni fa.| << | < | > | >> |Pagina 31Le principali transizioni evolutive sollevarono nel complesso una delle domande cruciali non soltanto in ambito biologico, ma anche per chi si occupa di studi umanistici: come poté emergere l'altruismo nel contesto della selezione naturale? Come fu possibile, passando da una transizione all'altra, aumentare la longevità degli individui e la loro capacità riproduttiva in competizione con quelle degli altri membri del gruppo senza ridurre la loro fitness personale? Quale processo evolutivo può aumentare allo stesso tempo il benessere del gruppo a spese - in alcuni casi a costo della vita - di quello dei singoli membri del gruppo? Le conseguenze del dilemma delle transizioni interessano tutta la biologia e la storia profonda del comportamento sociale umano. Come possiamo spiegare l'eroismo estremo di un soldato ucciso in battaglia o l'intera vita di un monaco votato alla povertà e all'astinenza? Qual è il senso della crudeltà del patriottismo o della fede religiosa quando sacrifica l'individuo stesso? La medesima apparente contraddizione si osserva nella crescita e nella riproduzione delle cellule che formano un organismo. Alcune, per esempio le cellule dell'epidermide, dei globuli rossi e dei linfociti, sono programmate per morire in un momento preciso mantenendo in vita le altre cellule. Se non riescono a farlo nel momento e nel posto giusto possono dare origine a una malattia che mette a rischio tutte le cellule. Supponiamo che soltanto una delle numerose varietà di cellule scelga di riprodursi in modo egoista. Comportandosi come un batterio immerso in un grande vaso pieno di sostanze nutritive, la cellula si moltiplicherebbe a dismisura generando un ammasso di cellule figlie, in altre parole si trasformerebbe in un cancro. Perché un'altra o tutti i milioni di miliardi di cellule presenti nel corpo umano non fanno lo stesso? In mancanza di una percezione del mondo a cui appartiene, che cosa impedisce alla cellula di comportarsi come un batterio? Questa è la domanda fondamentale a cui cerca di rispondere chi fa ricerca sul cancro. | << | < | > | >> |Pagina 47| << | < | > | >> |Pagina 95Per quasi quattrocento milioni di anni moltissime specie animali di grandi dimensioni (indicativamente dai dieci chilogrammi in su) si sono evolute sulla terraferma e hanno finito per estinguersi venendo rimpiazzate dai loro discendenti. Quante specie sono comparse e quante si sono estinte? Proviamo a fare una stima plausibile. Se, come si deduce dalla documentazione fossile, la durata media della vita di una specie sommata a quella delle sue specie sorelle è nell'ordine di un milione di anni e se, con un calcolo prudenziale, supponiamo che nello stesso periodo sia esistito un migliaio di specie di tali dimensioni, allora (forse!) possiamo dire che nel corso dell'intera storia della Terra è vissuto nel complesso circa mezzo miliardo di specie con queste caratteristiche. Ma soltanto la nostra specie, tra tutte, ha raggiunto il livello di intelligenza e organizzazione sociale che oggi ci contraddistingue. Questo evento singolare cambiò ogni cosa sul pianeta. Da quel momento non ci fu nessun altro candidato e nessuna ulteriore contesa. La specie vincitrice straordinariamente fortunata fu quella di un primate del Vecchio mondo; il luogo d'origine l'Africa, orientale e meridionale; l'habitat una vasta fascia di savana tropicale, prateria e semideserto; il tempo da trecentomila a duecentomila anni fa. Gli eventi chiave che portarono all'origine dell'umanità ebbero luogo tra cinque e sei milioni di anni fa, quando da una singola specie di scimmia antropomorfa derivarono due specie, ciascuna all'origine di una linea filogenetica comprendente molte altre specie. Una linea portò all' Homo sapiens contemporaneo, l'altra alle due specie di scimpanzé viventi, lo scimpanzé comune (Pan troglodytes) e il bonobo (Pan paniscus). Nel corso della loro evoluzione i rappresentanti di entrambe le linee filogenetiche scesero dagli alberi e incominciarono a vivere principalmente, ma non in modo esclusivo, sul terreno, in particolare le specie pre-umane lo fecero più delle specie pre-scimpanzé. Queste ultime impararono a spostarsi goffamente sulle sole zampe posteriori o, più agilmente, su tutte e quattro, con le mani chiuse in modo da appoggiare il proprio peso sulle nocche. Viceversa, non più tardi di 4,4 milioni di anni fa, il più antico predecessore umano noto, chiamato Ardipithecus ramidus, sapeva già camminare con una postura bipede e aveva gambe posteriori allungate, anche se continuava a conservare le lunghe braccia e la capacità di arrampicarsi e spostarsi tra gli alberi. Con questa prima tappa verso un'esistenza, potremmo dire, terricola, Ardipithecus ramidus o una specie strettamente correlata diede origine alle australopitecine, più simili nell'anatomia complessiva ai moderni esseri umani rispetto ad Ardipithecus e con un'andatura bipede più sicura. In seguito a quella svolta, l'intero corpo venne rimodellato dalla selezione naturale in modo da adeguarsi alla pastura eretta. Le gambe si allungarono e si raddrizzarono mentre i piedi crebbero per consentire durante il passo il movimento di rullata, cioè lo spostamento dell'appoggio dal tallone alla punta, più efficiente in termini energetici. Il bacino si modellò a sua volta diventando una sorta di ciotola poco profonda contenente le viscere. Da Ardipithecus in avanti il baricentro si spostò al di sopra delle gambe, distinguendosi da quello degli scimpanzé e delle altre grandi scimmie antropomorfe, prevalentemente quadrupedi, posizionato nella colonna vertebrale a livello del ventre. Con il loro corpo eretto e di forma quasi simile a quello umano, le australopitecine si separarono in più specie. Nell'intervallo di tempo compreso tra 3,5 e 2 milioni di anni fa, è possibile che siano convissute nell'Africa orientale e centrale quattro specie di Australopithecus (A. afarensis, A. bahrelghazali, A. deyiremeda, A. platyops), insieme al genere Kenyanthropus strettamente correlato. Per quanto si possa dedurre dai resti ancora frammentari, le australopitecine sembrano essere state il prodotto di un processo che i biologi evoluzionisti chiamano radiazione adattativa. Denti e mascelle più o meno robusti riflettono la differenziazione delle specie basata sul tipo di cibo che mangiavano. In generale più i denti e le ossa sono grandi e pesanti rispetto alla dimensione del cranio più si pensa che fosse coriacea la vegetazione che potevano includere nella loro dieta. | << | < | > | >> |Pagina 104A mio parere, e come me la pensano per vari aspetti molti antropologi e biologi, lo stadio ecologico a questo punto della nostra evoluzione era ormai maturo per consentire una rapida crescita del cervello. In sostanza gli esseri umani progredirono al livello dell'eusocialità essenzialmente seguendo le stesse tappe di altre specie di mammiferi, per esempio il licaone. Incominciarono a costruire ripari protetti da qualcuno del gruppo, dai quali altri potevano allontanarsi per cacciare e cercare il cibo. Quando i cacciatori e i raccoglitori tornavano, il cibo veniva condiviso tra tutti i membri del gruppo. Tale adattamento portò alla cooperazione e alla suddivisione del lavoro basata su un livello relativamente elevato di intelligenza sociale.Lo scenario che convince molti scienziati è il seguente. Circa un milione di anni fa venne acquisito il controllo del fuoco. Tizzoni incendiati dai fulmini e trasportati in altre località conferirono enormi vantaggi in ogni aspetto dell'esistenza dei nostri antenati. Il controllo del fuoco migliorò la capacità di procurarsi carne da mangiare, per esempio spaventando, inseguendo e intrappolando più animali. Spesso gli animali venivano uccisi e cotti dagli incendi della boscaglia. E perfino nei primi tempi in cui Homo divenne carnivoro, il vantaggio conferito dalla maggior facilità con cui poteva procurarsi e consumare la carne ebbe conseguenze significative. Nell'evoluzione successiva, la masticazione e la fisiologia della digestione cambiarono in favore della carne e dei vegetali cotti. La cottura divenne da quel momento in avanti un carattere umano universale. E con la cottura emerse anche la condivisione dei pasti e un rafforzamento del legame sociale. [...] Successivamente si verificò la più rapida evoluzione mai documentata nella comparsa di un organo biologico complesso. Dal volume compreso tra 400 e 500 centimetri cubi (cc) delle australopitecine, la capacità cranica aumentò passando dalla fase di Homo habilis fino ai 900 cc di Homo erectus, secondo molti studiosi antenato diretto di Homo sapiens in Europa e Asia, fino agli attuali 1400 cc o più della nostra specie. | << | < | > | >> |Pagina 111I paleontologi sono sempre più concordi nel riconoscere che l'origine della nostra specie - e delle gigantesche banche dati cerebrali che ci distinguono - è da cercare alla luce del focolare negli accampamenti africani. Uno degli stimoli, come ho già accennato, fu la carne cotta, inizialmente a causa degli incendi provocati dai fulmini e avidamente cercata dai cacciatori tribali e in seguito deliberatamente ottenuta trasportando i tizzoni da un luogo all'altro. La carne cotta è un alimento ricco di energia, molto digeribile e facilmente trasportabile dai gruppi in movimento. L'uso di cuocere la carne favorì il raggruppamento degli individui in bande, nonché la conversazione e la divisione del lavoro. Il comportamento cooperativo e altruistico al servizio del gruppo nel suo complesso venne acquisito nel corso dell'evoluzione della mente. L'intelligenza sociale divenne un premio aggiuntivo.[...]
Dalla comparsa del primo
Homo,
in seguito all'aumento della dimensione cerebrale, il tempo dedicato alle
interazioni sociali con buona probabilità aumentò. Questa
tendenza è stata ipotizzata da Robin I.M. Dunbar della
University of Oxford. Lo studioso ha considerato due correlazioni tra specie
esistenti di scimmie e grandi scimmie antropomorfe: per cominciare il tempo
dedicato al
grooming
in funzione della dimensione del gruppo e, in secondo luogo, la relazione che
nelle grandi scimmie esiste tra dimensione del gruppo e capacità cranica. Esteso
alle australopitecine e alla linea di discendenza di
Homo
da esse derivata, questo metodo - un po' debole bisogna ammetterlo - suggerisce
che il "tempo sociale richiesto" nel corso dell'evoluzione sia passato da circa
un'ora al giorno a due ore nelle prime specie di
Homo
per arrivare alle quattro-cinque ore negli esseri umani moderni. In poche
parole, l'interazione sociale più lunga è una componente chiave
nell'evoluzione di un cervello più voluminoso e di un'intelligenza di livello
superiore.
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