Copertina
Autore Ludwig Wittgenstein
Titolo Lezioni 1930-1932
SottotitoloDagli appunti di John King e Desmond Lee
EdizioneAdelphi, Milano, 1995, Biblioteca filosofica 12 , pag. 188, dim. 145x225x15 mm , Isbn 978-88-459-1129-3
OriginaleWittgenstein's Lectures. Cambridge 1930-1932 [1980]
CuratoreDesmond Lee
TraduttoreAldo Giorgio Gargani
LettoreRenato di Stefano, 1997
Classe filosofia
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Indice


Avvertenza                               9

            LEZIONI 1930-1932

SERIE A
    Lent Term 1930                      13
    Easter Term 1930                    32

SERIE B
    Michaelmas Term 1930                39
    Lent Term 1931                      62
    Easter Term 1931                    83

SERIE C
    Anno accademico 1931-1932           89

Annotazioni miscellanee                133

Nota di Desmond Lee                    147

Linguaggio, sistema e calcolo
    di Aldo Giorgio Gargani            159

Indice analitico                       183

 

 

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Pagina 21 [ linguaggio, grammatica-grado di libertà ]

4. La molteplicità del linguaggio è data dalla grammatica. Una proposizione deve avere la medesima molteplicità del fatto che esprime: essa deve avere il medesimo grado di libertà. Dobbiamo essere in grado di fare con il linguaggio tanto quanto può accadere nella realtà di fatto. La grammatica ci consente con il linguaggio di fare alcune cose e non altre; essa fissa il grado di libertà. L'ottaedro dei colori (fig. 4) è usato nella psicologia per rappresentare lo schema dei colori. Ma in realtà è una parte della grammatica, non della psicologia. Esso ci dice ciò che noi possiamo fare: possiamo parlare di un blu verdastro, ma non di un rosso verdastro, ecc.

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Pagina 25

3. Le proposizioni vere descrivono la realtà. La grammatica è uno specchio della realtà. La grammatica ci mette in grado di esprimere proposizioni vere e false; e che essa faccia questo ci dice qualcosa sul mondo. Quello che può essere espresso dalla grammatica circa il mondo è, infatti, che ciò che esso è non può essere espresso in una proposizione(1). Poiché questa proposizione presupporrebbe la propria verità, cioè presupporrebbe la grammatica.
Lezione A V
I. Il linguaggio rappresenta in due modi: (1) Le sue proposizioni rappresentano uno stato di cose e sono vere o false.

(2) Ma affinché le proposizioni possano essere semplicemente in grado di rappresentare vi è bisogno di qualcos'altro che sia al tempo stesso nel linguaggio e nella realtà. Per esempio, un'immagine può rappresentare una scena in modo giusto o sbagliato; ma sia nell'immagine, sia nella scena raffigurata vi saranno colore, luce e ombra. (1) Il linguaggio non può dire ciò che il mondo è perché in tal caso il linguaggio, ponendosi al di fuori di sé, rifletterebbe il mondo al di fuori della formulazione simbolica che esso come linguaggio inevitabilmente comporta. Rispetto alla realtà, il linguaggio può dirne, ma non dirla. Il linguaggio infatti non può legittimare se stesso nei confronti dei mondo, perché per effettuare tale legittimazione dovrebbe confrontarsi con un mondo rappresentato e articolato nelle proprie forme simboliche, producendo così un circolo vizioso. Si veda sotto, il paragrafo 6 della lezione B IX sull'impossibilità di giustificare le regole della grammatica.

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Pagina 28 [ linguaggio/realtà, grammatica, tipi logici ]

Lezione A VII
1. A tutto ciò si può obiettare: «Ma tu non fai che parlare di colori (e di termini simili)». La risposta a questa obiezione è che quello che facciamo è fornire le regole e le convenzioni grammaticali che si applicano al colore, ecc. Al che si può ulteriormente obiettare: «Allora stai parlando di "semplici convenzioni", di semplici convenzioni nel senso in cui le regole degli scacchi o di qualsiasi altro gioco sono "semplici convenzioni"?». La grammatica certamente non consiste soltanto nelle convenzioni di un gioco in questo senso, il gioco del linguaggio. Quello che distingue il linguaggio da un gioco in questo senso è la sua applicazione alla realtà. Questa applicazione non si mostra nella grammatica; l'applicazione dei segni è al di fuori dei segni, l'immagine non contiene la sua propria applicazione. Il linguaggio è connesso alla realtà per il fatto che esso la raffigura, ma questa connessione non è stabilita nel linguaggio, né la si può spiegare per mezzo del linguaggio. Provate a stabilire la connessione in una proposizione del tipo: «Questo è verde». Il «questo» nella proposizione può riferirsi al colore di un pannello, di un pezzo di legno o di qualsiasi altra cosa. Ma questo non ci dice alcunché sulla connessione tra il verde e la realtà: presuppone che noi comprendiamo già le parole dei colori. Qualcuno potrebbe congetturare il significato che intendiamo, ma noi non abbiamo stabilito alcuna connessione. Oppure potremmo dire: «Questo è verde» indicando una particolare macchia di colore. Ma qui la nostra indicazione è usata come un segno di equivalenza: Questo = verde, dando una definizione. Ma non vi è ancora alcuna connessione a meno che noi non conosciamo quale specie di parola sia «verde». Le convenzioni presuppongono le applicazioni del linguaggio: esse non parlano dell'applicazione del linguaggio.

Tutta la grammatica è una teoria di tipi logici; e i tipi logici non parlano dell'applicazione del linguaggio. E' questo ciò che Russell non è riuscito a vedere.

Johnson afferma che la caratteristica distintiva dei colori è il loro modo di differire gli uni dagli altri. Il rosso differisce dal verde in un modo in cui il rosso non differisce dal gesso. Ma come lo sapete? «E' verificato formalmente, non sperimentalmente» (W.E. Johnson, "Logic", vol. 1, p. 56). Ma questo è un nonsenso. E come se affermaste di poter dire se un ritratto somiglia all'originale esclusivamente guardando il ritratto.

Il linguaggio mostra la possibilità di costruire proposizioni vere o false, ma non la verità o la falsità di qualche proposizione particolare. Così non vi sono proposizioni vere "a priori" (le cosiddette proposizioni matematiche non sono affatto proposizioni).

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Pagina 56

Lezione B VI
1. Ciò che è «in comune» fra pensiero e realtà dev'essere già espresso nell'espressione del pensiero. Non lo si può esprimere in una proposizione supplementare, ed è ingannevole tentare di farlo. L'«armonia» fra pensiero e realtà, di cui i filosofi parlano come di qualcosa di «fondamentale», è qualcosa dì cui non possiamo parlare, e così non è affatto un'armonia nel senso ordinario del termine, dal momento che non possiamo descriverla. Ciò che fa sì che noi formuliamo giudizi corretti sul mondo fa anche sì che formuliamo giudizi erronei intorno a esso. 2. Come può il fatto di avere una parola in comune essere l'espressione di qualcosa? (Con «parola» non intendiamo il mero suono o scarabocchio, ma tutto ciò che fa di una parola un simbolo). Un simbolo non può essere per se stesso un simbolo; ciò che ne fa un simbolo è la sua appartenenza a un sistema di simboli. Una proposizione non è una proposizione a meno che essa non occorra entro un sistema grammaticale. Se uso un simbolo io devo impegnare me stesso; non si tratta di una mera correlazione arbitraria di suoni e di fatti. Se dico che questo è verde, devo dire che altre cose verdi sono anch'esse verdi. Io mi impegno rispetto a un uso futuro.

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Pagina 62

Lezione B VIII
Ricapitolazione. l. Le risposte che la filosofia dà alle nostre domande devono essere fondamentali per la vita di ogni giorno e per la scienza. Esse devono essere indipendenti dalle scoperte sperimentali della scienza. La scienza costruisce una casa con mattoni che, una volta posati, non vengono più toccati. La filosofia mette in ordine una stanza e perciò deve maneggiare più volte le cose. L'essenza della sua procedura è che essa comincia dal disordine; non ci importa di essere confusi, nella misura in cui la confusione gradualmente si dissolve. 2. Siamo partiti dalle proposizioni (enunciati). Le proposizioni sembrano essere le unità della nostra descrizione del mondo, e quando ci domandavamo che cos'è una proposizione esprimevamo un vago disagio mentale, simile al «perché?» del bambino. Che cos'è una proposizione? Un enunciato tra due punti fermi? Un'espressione del pensiero? Una descrizione di un fatto? Un enunciato su ciò che accade? Un enunciato che può essere vero o falso?

Non è un'espressione nel senso in cui, per esempio, piangere è un'espressione del dolore. Né è una serie di allucinazioni: per esempio, «Oggi fa bel tempo» non è un'allucinazione di «bello» seguita da un'allucinazione di «tempo». Né è qualcosa di momentaneo o di amorfo. E noi non siamo interessati al "pensiero" da un punto di vista psicologico, alle sue condizioni, cause ed effetti; siamo interessati al pensiero come a un processo simbolico. Il pensiero è un'attività che realizziamo mediante la sua espressione e dura finché dura l'espressione.

L'enunciato non è una mera serie di parole che suscitano prima nella mente una serie di immagini per associazione. Questa è un'idea derivata dai nomi propri, che si pensa «significhino» la persona alla quale si riferiscono. Se fosse così alla domanda: «Qual è il significato di una parola?» si potrebbe rispondere dicendo: «Questo è il significato». Ma quando diciamo che la parola «e» ha significato, ciò che intendiamo è che essa funziona in un enunciato e non è semplicemente un ornamento. Questo si potrebbe chiamare il senso intransitivo del significato, allorché non c'è una cosa esistente che le corrisponde. Ma le parole «rosso» e «verde» non richiedono l'esistenza di cose rosse o verdi per avere un significato. La mia idea o immagine del rosso non è rossa, e: «Io mi aspetto una macchia rossa» ha significato anche se io non ho mai visto una cosa rossa e ogni cosa rossa nell'universo è stata distrutta.

Se in alcuni casi il significato di una parola è dato per mezzo di una definizione ostensiva, per esempio se c'è qualcosa che io indico, allora ho un'azione in luogo di parole, ma ho ancora un enunciato, e non posso richiedere una spiegazione supplementare. Non posso spiegare la definizione ostensiva, e non ho sostituito la proposizione (per esempio, mangerò un'arancia tra cinque minuti) con il fatto; ho sostituito un simbolo con un altro ma non con ciò che è simbolizzato. In effetti, una definizione ostensiva funziona nello stesso modo di qualsiasi altro simbolo. Un simbolo è un segno insieme a tutte le condizioni necessarie per conferirgli significato. «Comprendere» significa afferrare il simbolo, non il fatto; e la comprensione è ciò che è trasmesso da una spiegazione (non da una droga o da un agente esterno). La spiegazione completa il simbolo, ci dà una maggiore presa su di esso. In un certo senso il simbolo è contenuto in se stesso; lo si afferra come un tutto. Esso non indica qualcosa al di fuori di se stesso, non anticipa qualcos'altro come se fosse un'ombra. Comprendere un simbolo non implica la conoscenza della sua verità o falsità; affinché questa conoscenza abbia luogo è richiesto anche il fatto. Ma in enerale si suppone che il pensiero (credenza, desiderio) sia l'"ombra anticipatrice" della sua verifica; e quest'ombra la chiamiamo il significato della proposizione, ed essa sembra mediare tra la proposizione o simbolo e il fatto. Ma la supposizione di un legame intermedio non ci aiuta, dal momento che avremmo bisogno di un altro legame tra l'ombra e la realtà, e così all'infinito.

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Pagina 65 [ proposizione ]

Lezione B IX
I. La proposizione è l'unità di ciò che può essere detto. Una proposizione è una descrizione di un fatto, di ciò che avviene, ed è vera o falsa. 2. Dire che una parola ha un significato non implica che essa "sta in luogo di" o "rappresenta" una cosa. Parole come «e», «non», «o», ecc., ovviamente non rappresentano alcunché. E la definizione ostensiva, che dà il significato di un nome proprio, è a sua volta un simbolo e non può essere sostituita da qualcos'altro. Ma, si potrebbe domandare, anche se le parole non stanno in luogo delle cose, o non le rappresentano, non può farlo il pensiero? Non è questa la proprietà peculiare dei fenomeni mentali? Non c'è rappresentazione «nella mente»? Questo suggerimento costituisce un errore pernicioso. Esso separa il pensiero in due parti, l'una organica (essenziale) e l'altra inorganica (non essenziale). Ma nessuna parte del pensiero è più organica dell'altra. Non c'è processo mentale che non possa essere simbolizzato; e se vi fosse un processo tale che non potesse aver luogo sulla lavagna, esso non ci sarebbe di alcun aiuto. Perché io potrei ancora una volta chiedere una descrizione di questo processo e la descrizione sarebbe in simboli i quali avrebbero una relazione con la realtà. Siamo interessati soltanto a ciò che può essere simbolizzato.

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Pagina 68

Lezione B X
l. La grammatica circoscrive il linguaggio. Una combinazione di parole che non ha senso non appartiene al linguaggio. Senso e nonsenso non hanno nulla in comune. Per nonsenso intendiamo scarabocchi o suoni o combinazioni privi di significato. 2. Che cosa significa usare il linguaggio in accordo alle regole grammaticali? Non significa che le regole della grammatica sfilano nelle nostre teste mentre usiamo il linguaggio. Non c'è bisogno di ripetere la regola. Ma vi devono essere regole, perché il linguaggio deve essere sistematico. Considerate i giochi: se non ci sono regole non c'è gioco, e il gioco degli scacchi, per esempio, in questo senso è simile a un linguaggio. Quando usiamo il linguaggio noi scegliamo parole che si adattano alle circostanze.

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Pagina 69

5. Non si può giustificare la grammatica. Il motivo è che una tale giustificazione dovrebbe avere la forma di una descrizione del mondo, che una tale descrizione potrebbe essere diversa e le proposizioni che esprimono questa diversa descrizione dovrebbero risultare false. Ma la grammatica esige che esse siano prive di senso. La grammatica ci autorizza a parlare di un grado più alto di dolcezza, ma non di un grado più alto di identità; autorizza l'una combinazione, ma non l'altra, né ci autorizza a usare «dolce» al posto di «grande» o di «piccolo». La grammatica è dunque arbitraria? Sì, nel senso appena menzionato, e cioè che non può essere giustificato. Ma non è arbitraria nella misura in cui non è arbitraria la determinazione delle regole della grammatica di cui posso fare uso. La grammatica, se la si descrive per se stessa, è arbitraria; ciò che la rende non arbitraria è il suo uso. Una parola può essere usata in un senso entro un sistema grammaticale, in un altro senso entro un altro sistema. 6. Una proposizione è quindi una forma logica caratterizzata da certe regole grammaticali. E ciò che caratterizza le proposizioni, così come sono comunemente intese, è che con esse le funzioni di verità hanno senso. Una proposizione è tutto ciò che può essere vero o falso; essa enuncia che «si dà il caso così e così» oppure che «non si dà il caso». Questo uso comune include le ipotesi e le proposizioni matematiche così come le proposizioni in senso stretto. «Sembra che qui ci sia un uomo» è una proposizione. «C'è un uomo qui» è un'ipotesi. Quando distinguiamo le proposizioni dalle ipotesi e dalle proposizioni matematiche intendiamo che alcune regole grammaticali si applicano alle une e non alle altre.

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Pagina 80

A una necessità nel mondo corrisponde una regola arbitraria nel linguaggio.

Non v'è, nel linguaggio, unità più piccola della proposizione; è la prima unità che ha senso e non potete costruirla da altre unità che abbiano già senso. Quando enunciate le regole della grammatica state ancora costruendo, e il linguaggio non è completo. Soltanto quando le regole sono complete sorge un linguaggio in cui vi sono proposizioni. Le regole della grammatica sono arbitrarie nel senso in cui sono arbitrarie le regole di un gioco. Possiamo stabilirle in modo differente. Ma si tratterà allora di un gioco differente.

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Pagina 82

3. Le regole grammaticali che si applicano al segno determinano il significato di una parola. Il suo significato non è qualcos'altro, qualche oggetto al quale esso corrisponde o non corrisponde. La parola trasporta il suo significato con sé; ha, per così dire, un corpo grammaticale dietro di sé. Il suo significato non può essere qualcos'altro che potrebbe non essere conosciuto. Non trasporta le sue regole grammaticali con sé. Queste descrivono il suo uso successivo.

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Pagina 86

Fare filosofia può forse significare una rinuncia del temperamento ma mai dell'intelletto.

Il fascino della filosofia risiede nel paradosso e nel mistero.

Argomento. Il suo scopo non è quello di convincere in modo positivo o di convertire, ma quello di eliminare nozioni erronee e pregiudizi.

Una proposizione ha senso se sappiamo quale stato di cose si accorderà con essa e quale stato di cose non si accorderà con essa.

«Una proposizione è un'immagine della realtà» - soltanto se non assumiamo che il termine «immagine di» significhi «simile a» nel senso comune dell'espressione.

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Pagina 90

CI Filosofia, proposizione e significato La filosofia descrive ciò che ha senso dire e ciò che non ha senso dire.

Una proposizione è un giudizio sui dati di senso, una lettura dei propri dati di senso; per esempio: «Questo è rosso». Non è richiesta alcuna verificazione supplementare, essa è "a priori". Un'ipotesi è un'espressione della forma «Quest'uomo è malato», «Il sole sorgerà domani» o «Questa è una sedia». E' confermata o respinta, quando il suo significato è chiaro, dalla scienza empirica.

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