Copertina
Autore Tobias Wolff
Titolo Il colpevole
EdizioneEinaudi, Torino, 2002, Tascabili Stile libero 1021 , pag. 100, dim. 120x195x8 mm , Isbn 978-88-06-16351-8
OriginaleThe Barracks Thief [1984]
TraduttoreAngela Tranfo
LettoreAngela Razzini, 2002
Classe narrativa statunitense
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Pagina 3 [ inizio libro ]

Quando i suoi figli erano ancora piccoli, la sera, prima di andare a letto, Guy Bishop aveva preso l'abitudine di passare in camera loro. Si chinava a guardarli dormire poi, seduto sulla sedia a dondolo, restava ad ascoltarli respirare. Era un uomo che era sempre passato da una cosa all'altra, cambiando città, impiego e, anche dopo il matrimonio, donne. Ma quando si ritrovava seduto al buio tra i suoi due figli addormentati, non provava alcun desiderio di passare a qualcos'altro.

Talvolta, in quella pace che gli sembrava innaturale, si sentiva assalire da mille timori. Il suo timore principale era che amando i bambini cosi tanto, in qualche modo finisse per metterli in pericolo, per far loro del male. Alcune volte aveva la certezza che stesse per succedere qualcosa di brutto ma, via via che i ragazzi diventarono grandi, questo timore scomparve, anche se, di tanto in tanto, si presentava ancora. Allora provava a immaginare sotto quale forma il male si potesse manifestare e da che direzione potesse sopraggiungere. Ogni volta che questi pensieri gli attraversavano la mente, Guy Bishop chiudeva gli occhi, scrollava un po' la testa e cercava di pensare a qualcosa di piacevole.

C'era una donna con cui si vedeva ogni tanto. Insieme si divertivano e questo, almeno all'inizio, era quanto tutti e due cercavano. Col tempo tuttavia cominciarono a soffrire quando non stavano insieme, cosí decisero di rompere, però non ci riuscirono. Talvolta, la notte, Guy Bishop si svegliava piangendo e a un certo punto pensò perfino al suicidio, ma la donna lo persuase a non farlo. Alla fine, quando non riuscí piú a reggere, decise di abbandonare la famiglia e andò a vivere con lei.

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Pagina 22

Lewis, macilento, rosso in viso, cominciò a fischiare. Poi smise. Il grasso dei fucili puzzava tremendamente. Le uniformi erano scure di sudore. Avevamo la faccia lucida. Il silenzio tra noi si fece sempre piú intenso finché arrivò il maresciallo maggiore che si mise a urlare e io mi sentii sollevato.

Ci disse che eravamo femminucce, maiali, nullità. Eravamo disgustosi, chissà che ci facevamo nell'esercito. Ci fece mettere in riga e ci passò in rassegna. Avrebbero dovuto mandarci davanti alla corte marziale, per quanto eravamo brutti e stupidi, disse. Poi ci portò a un deposito di munizioni nel cuore di una foresta di pini e ci fece stare in piedi col fucile sopra la testa mentre ci comunicava gli ordini e ci armava il caricatore. Dovevamo pattugliare il perimetro del deposito finché non fosse tornato a prenderci, quando però non ce lo disse. Se qualcuno avesse osato anche solo toccare la recinzione, dovevamo sparare a vista. Sparare a vista, ripeté. Niente ciance, niente moine. Se facevamo cazzate ce l'avrebbe fatta pagare di persona. - Io vengo a sapere tutto, - disse, e ci ordinò di correre intorno al deposito tenendo il fucile sopra la testa. Quando tornammo indietro se n'era andato, e con lui i tre uomini a cui avevamo dato il cambio.

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Pagina 25

- Se fossi a casa, - dissi, ricordando quando eravamo ancora tutti insieme, - andrei alla fiera di Mount Vernon. Poi andremmo a cena dal nonno che ogni anno fa un grande barbecue, e dopo ci fermeremmo in un motel con la piscina. Io e mio fratello nuoteremmo tutta la notte, guardando i fuochi d'artíficio dall'acqua.

A Mount Vernon non ci andavamo píú dacché il nonno era morto, quando io avevo quattordici anni. Quindi era un ricordo lontano anche se non sembrava. Pareva ancora fresco, autentico: la notte stellata, le voci morbide che provenivano dalle porte aperte intorno alla piscina, l'acqua cosí tiepida che si dimenticava di essere a mollo, si dimenticava anche la propria pelle. Io e Keith che ci davamo la mano sott'acqua e dal fondo della piscina guardavamo su i razzi che sfolgoravano in cielo e la superficie dell'acqua increspata, luccicante di riflessi; mio padre, al balcone, chino sulla ringhiera, che ci chiamava. Ragazzi, basta. Venite su. È tardi.

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