|
|
| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 1 Ringraziamenti 5 Capitolo uno Parliamo di dolcezze 7 Facciamo il pieno 9 Grezzo sì, ma quanto? 11 Il mio zucchero è così fine... 13 Un tè come si deve 15 Zucchero in blocchi? No grazie! 15 Barbabietola o canna? 17 Tanti tipi di melassa 19 Una forte stretta 22 Due tipi di abbronzatura 23 Il cibo degli dei 24 Un trattamento all'olandese 27 Il cioccolato non cioccolato 30 Come sono dolci i dolci! 21 Capitolo due Il sale della Terra 35 Cominciamo dall'aperitivo 36 Un po' di tenerezza 38 Quando il sale non è sale 39 Un bel piatto di pasta, presto! 39 Sapore di mare 42 I minerali 43 Ma quanto è marino il sale marino? 44 Additivi 45 Sapore 45 Cottura 46 Non c'è bisogno di essere ebrei 47 Il fascino del vecchio macinino 48 Che guaio! 49 Epilogo 51 Meglio sanza sale 52 Capitolo tre Il grasso della Terra 55 Grassi e acidi 55 Quando i buoni diventano cattivi 59 Poco è meglio 60 Facciamo i conti con i grassi 61 È perfettamente chiaro? 63 Il burro migliore 66 La grande spremuta 66 Friggere senza fumo 67 Come sbarazzarsi di chi non piace più 70 Tagliare i grassi 71 Pasteur rivisitato 72 Capitolo quattro Chimica in cucina 75 Facciamo chiarezza sui filtri per l'acqua 75 Due magiche polverine 78 È vero che l'alluminio può causare l'Alzheimer? 80 Ammoniaca, ne avete sentito parlare? 81 La potenza degli acidi 81 Cibi da tartari 82 Jekill e Hyde nella stessa bottiglia 85 L'esaltasapori 86 Lasagne corrosive 88 Tutto sull'aceto 90 Attenti ai germogli 93 Prudenti sì, ma senza esagerare 94 Minacciosi occhi verdi 94 Capitolo cinque Dalla terra e dal mare 97 Dalla terra 98 Rosso, bianco e blu 98 Hamburger bicolori 99 Il segreto di un buon brodo 100 Quando nessuno vi guarda 103 Il termometro? Solo al posto giusto 104 Sfuggente come una chiazza di grasso 104 Viaggio intorno al prosciutto 105 La salatura 106 Affumicatura 107 Essiccamento, speziatura e stagionatura 108 Che cos'è la salamoia? 110 Buona notte, dolce risveglio 113 Schiuma indesiderata 113 Non buttatelo, per favore! 114 A proposito di sughi 114 Dal mare 119 La vera carne bianca 119 "Profumo" di pesce 122 Che imbroglione quel merluzzo! 123 Caviale e dintorni 124 Viviamo in un mondo crudele 125 Che fatica! 126 Meglio purgarli 127 Tra una roccia e un carapace 128 E una questione di punti di vista 132 Capitolo sei Fuoco e ghiaccio 137 Roba che scotta 138 C come caloria 138 Gli effetti delle approssimazioni sulla dieta 140 Una vera haute cuisine 140 Partire con un po' di vantaggio 141 Mettici un coperchio! 142 Ridurre non è facile 143 Vapor di Bacco 144 Frittate senza padella 145 Giocare col fuoco 149 Roba veramente fredda 153 Problemi di scongelamento 153 La pasta fatta in casa 156 L'acqua calda congela più velocemente! 160 Un idea un po' bizzarra 162 Bruciare di freddo 163 Soffiare caldo e freddo 164 Capitolo sette Ristorarsi con i liquidi 167 Pausa caffè 168 Non parlate male del caffè 168 Una bevanda eccitante 169 Il decaffeinato: vita, morte e miracoli 171 Si fa presto a dire tè 173 Una tazza di tè poco soddisfacente 174 Una lingua davvero conciata 175 Teenager al fosforo 176 Una goccia nel mare 177 Una lenta perdita 178 Come rivitalizzare una bibita moscia 179 Mano ferma e sangue freddo 180 Savoir faire 183 Il tappo che non sa di tappo 185 Andando un po' a naso... 187 Dimmi tu quando basta! 188 Capitolo otto Quelle misteriose microonde 193 Che cosa sono le microonde? 195 In che modo le microonde producono calore? 196 Perché i cibi cotti nel forno a microonde talvolta devono essere lasciati a riposo per un po' prima di essere consumati? 197 Perché il mio forno a microonde fa un rumore di accensione e spegnimento continui? 198 Perché i forni a microonde riescono a cuocere molto più velocemente dei forni convenzionali? 199 Perché il cibo deve essere fatto ruotare mentre viene cotto nel forno a microonde? 199 Per quale motivo non bisogna introdurre metalli nel forno a microonde? 200 Le microonde possono fuoriuscire e ustionare il cuoco? 201 Che cosa rende un contenitore sicuro per il microonde? 202 Perché alcuni contenitori "sicuri per il microonde" diventano comunque caldi?203 È pericoloso scaldare l'acqua nel forno a microonde? 204 Le microonde cambiano la struttura molecolare dei cibi? 206 Le microonde distruggono i nutrienti nel cibo? 206 Perché i cibi cotti nel forno a microonde si raffreddano più velocemente di quelli cotti nel forno convenzionale? 207 Capitolo nove Strumenti e tecnologia 211 Utensili e tecniche 212 Attaccare senza essere attaccati 212 Una scelta ponderata 214 Magie magnetiche 218 Un pennello sempre pronto all'uso 219 Un condimento spray 220 Una storia succosa 221 Esperimento n.1 222 Esperimento n.2 223 Conclusione 224 Non potete lavare la macchina con un fungo bagnato 225 La follia del nonno 228 Tenere pulito il rame 229 Un lungo istante 230 Ora mettiamoci ai fornelli 231 Cucinare con la pressione 231 Magnetismo in cucina 234 Che il calore sia! 235 High tech, low tech, no tech 237 Facciamo luce sull'irraggiamento 240 Inverno nel paese delle meraviglie 246 Glossario 251 Suggerimenti bibliografici 255 In italiano: 255 In inglese: 256 Indice delle ricette 257 Indice analitico 259 |
| << | < | > | >> |Pagina 1IntroduzioneLa recente esplosione d'interesse per il cibo e la cucina ha suscitato anche il desiderio di capire i principi chimici e fisici responsabili delle proprietà e del comportamento degli alimenti. Questo libro si propone di spiegare la scienza che sta dietro ai cibi e agli strumenti con cui li prepariamo. La sua organizzazione e l'esteso indice rendono semplice trovare un particolare soggetto o una spiegazione. Sia chi cucina per la propria famiglia, sia chi fa il cuoco di professione non deve solo preparare i cibi, ma deve anche acquistare gli ingredienti necessari. La tecnologia attuale mette a disposizione una gamma così vasta di prodotti che le prime difficoltà nascono già al momento della spesa. Nel mio libro parlerò quindi anche di alimenti naturali e già preparati, della loro provenienza, dei loro componenti e di quale ricaduta possa avere il loro impiego per il cuoco e il consumatore. Avendo insegnato in università per molti anni e avendo trascorso dieci di quegli anni come direttore di un'istituzione creata appositamente per aiutare i docenti a migliorare il loro modo d'insegnare, so bene che vi sono due possibili approcci per spiegare la scienza della cucina. Li chiamerò metodo scolastico e metodo dell'esperienza. Se usassi il primo metodo dovrei scrivere un libro di testo sulla scienza della cucina e poi mandare in giro per il mondo i miei "studenti" ad applicare le conoscenze che hanno acquisito per risolvere i problemi pratici che incontreranno. Questo approccio presume che il contenuto del corso sia stato appreso a fondo e possa essere richiamato alla memoria in caso di necessità. Ma la mia esperienza d'insegnante - così come la vostra di ex studenti - testimonia l'inefficacia di tale metodo. (Chi sa dire immediatamente quando avvenne la battaglia di Waterloo?) In breve, il metodo scolastico cerca di dare risposte ancor prima che si pongano le domande, mentre nella vita reale i problemi saltano fuori senza preavviso e vanno risolti quando si presentano. Ma anche se non disponete di una discreta base di conoscenze scientifiche, vi è mai capitato di interrogarvi su qualche problema specifico che avreste voluto porre a uno scienziato? Dal momento che è improbabile che abbiate al vostro fianco uno scienziato (tanto meno un Einstein), la cosa migliore che possiate fare è tenere a portata di mano una serie di risposte a domande che potreste verosimilmente porvi, unitamente a semplici, chiare spiegazioni di quello che può accadere. Questo è quello che chiamo metodo dell'esperienza. In questo libro ho selezionato più di un centinaio di domande che mi sono state rivolte da veri cuochi, lettori della rubrica che tengo regolarmente sul "Washington Post" e su altri giornali. In aggiunta alle spiegazioni scientifiche, troverete molte insolite e fantasiose ricette elaborate da mia moglie, Marlene Parrish, cuoca professionista. Si tratta di ricette ideate appositamente per illustrare i principi spiegati in precedenza e possono essere intese come un'esercitazione di laboratorio il cui risultato può essere mangiato. Ciascuna unità formata da domanda e risposta può vivere per conto proprio. Sia che siate stati ispirati dall'indice o da una domanda che vi è venuta in mente, potete aprire il libro e leggere quello che vi interessa senza la necessità di aver assimilato una serie di concetti preliminari. | << | < | > | >> |Pagina 7CAPITOLO UNO
Parliamo di dolcezze
Dei nostri cinque sensi classicamente riconosciuti – tatto, udito, vista, olfatto e gusto – solo gli ultimi due hanno natura prettamente chimica, ossia agiscono rilevando molecole. In altre parole, attraverso il contatto con le molecole di differenti composti chimici i nostri sensi dell'olfatto e del gusto sono in grado di trasmetterci sensazioni che interpretiamo come odori e sapori. (Noterete che il termine molecola ricorre spesso in questo libro. Non preoccupatevi: tutto quello che dovete sapere è che una molecola è, per usare le parole di un mio alunno del primo anno, "una di quelle minuscole cosine di cui è fatta la materia". Questa definizione, insieme al corollario che tipi di molecole diversi costituiscono materiali diversi, vi tornerà molto utile.) Il senso dell'olfatto può rivelare solo le molecole gassose che fluttuano nell'aria. Il senso del gusto può percepire solo le molecole disciolte nell'acqua o nella parte liquida di un alimento o nella saliva. (Non potete sentire l'odore o il sapore di un sasso.) Come avviene in molte altre specie animali è l'olfatto che ci attrae verso il cibo e il gusto che ci consente di stabilire se un alimento non solo è commestibile, ma anche buono. Quello che chiamiamo sapore è una combinazione degli odori percepiti dal nostro naso e delle sensazioni captate dalle nostre papille gustative, cui si aggiungono i contributi della temperatura, della granulosità e della consistenza (la struttura e la sensazione che il cibo dà quando è all'interno della bocca). I recettori olfattivi possono distinguere tra migliaia di odori diversi contribuendo al sapore per l'80 per cento. Se questa percentuale vi sembra troppo alta ricordate che la bocca e il naso sono collegati, il che consente alle molecole gassose liberate in bocca dalla masticazione di raggiungere le cavità nasali. Inoltre quando si deglutisce si produce un vuoto parziale nella cavità nasale che facilita la risalita dell'aria dalla bocca al naso. Confrontato con l'olfatto, il gusto è un senso relativamente ottuso. Le nostre papille gustative sono distribuite prevalentemente sopra la lingua, ma ve ne sono anche sul palato duro (la parte anteriore, dotata di ossatura della volta delle fauci) e sul palato molle, il lembo di tessuto che termina nel velopendulo, quel cosino che penzola proprio davanti alla gola. Tradizionalmente si pensava che i sapori primari fossero solo quattro: dolce, acido, salato e amaro; e questo perché possediamo papille specializzate per ciascuno di questi sapori. Oggi si concorda sul fatto che vi sia almeno un altro sapore primario, noto con il suo nome giapponese: umami. Questo sapore è associato al glutammato monosodico e ad altri composti dell'acido glutammico, uno degli amminoacidi che rappresentano "i mattoni" con cui si costruiscono le proteine. Umami è un tipo di sapore associato con i cibi ricchi di proteine come la carne e il formaggio. Inoltre non si ritiene più che ciascuna papilla gustativa risponda a un singolo tipo di stimolo, ma che possa rispondere anche ad altri in misura maggiore o minore. Quindi, la "mappa" standard della lingua, così come appare nei libri di testo, che mostra le papille sensibili al dolce sulla punta, al salato sui due lati della punta, all'acido lungo i lati, all'amaro sul fondo è una semplificazione eccessiva. Essa rappresenta solo le zone in cui la lingua è più sensibile ai sapori primari. Quello che effettivamente sentiamo è l'insieme di stimoli che ci provengono da tutti i recettori, le cellule che si trovano nelle papille gustative e che hanno la capacità di rilevare i diversi sapori. I recenti successi nel sequenziamento del genoma umano hanno consentito di identificare i geni che con tutta probabilità producono i recettori per l'amaro e il dolce, ma non gli altri, per ora. Quando gli stimoli combinati provenienti dal gusto, dall'olfatto e dalla consistenza del cibo arrivano al cervello devono ancora essere interpretati. Che la sensazione complessiva sia piacevole, rivoltante o una via di mezzo dipendere da differenze psicologiche individuali, dalle precedenti esperienze ("è proprio come lo faceva mia madre”) e dall'ambiente culturale. Una sensazione gustativa è innegabilmente la favorita per la nostra specie e per molte altre del regno animale, dai colibrì ai cavalli: il sapore dolce. Senza dubbio la natura ci ha fatti per apprezzare questo sapore, tanto è vero che i cibi buoni come i frutti maturi sono dolci mentre quelli velenosi, come quelli che contengono alcaloidi, sono amari. (La famiglia degli alcaloidi vegetali comprende cattivi soggetti come la morfina, la stricnina e la nicotina, per non parlare della caffeina.) Nei nostri menu, solo il sapore dolce ha una pietanza tutta in suo onore: il dessert. Gli antipasti possono essere saporiti, le portate principali possono essere una complessa combinazione di sapori, ma il dessert è invariabilmente e a volte eccessivamente dolce. Amiamo la dolcezza tanto che usiamo l'aggettivo dolce per indicare una persona, un sentimento o una sensazione che ci sembrano particolarmente piacevoli, così parliamo di una dolce creatura o definiamo dolci un profumo o una musica. Quando pensiamo al sapore dolce pensiamo immediatamente allo zucchero. Ma la parola zucchero non corrisponde a un'unica sostanza: è un termine generico per un'intera famiglia di composti chimici che, insieme agli amidi, fa parte dei carboidrati. Così, prima di dare spazio alle pietanze dolci – prima che si dia inizio al nostro pasto scientifico partendo dal dessert – vediamo come gli zuccheri si collocano tra i carboidrati. | << | < | > | >> |Pagina 24Il cibo degli dei
Oltre alla quantità di zucchero c'è qualche differenza tra il cioccolato
amaro, il cioccolato semidolce e quello dolce?
Sì, e per capirlo spieghiamo un po' come si fabbrica il cioccolato. I semi di cacao – che sono semi a tutti gli effetti – si trovano all'interno di frutti a forma di melone attaccati direttamente al tronco o ai rami più grossi dell'albero del cacao (Theobroma cacao), una pianta che cresce solo nei climi tropicali. I semi, una volta separati dalla massa polposa che li protegge all'interno del frutto, vengono ammassati, coperti di foglie e fatti fermentare. I microbi e gli enzimi distruggono la polpa rimasta sui semi, eliminano le parti del seme che avrebbero dato origine al germoglio, rimuovono i componenti responsabili del sapore amaro e rendono più scuri i semi, che da biancastri diventano marrone chiaro. I semi sono poi seccati al sole per sei-sette giorni e quindi inviati allo stabilimento dove si produce il cioccolato. Qui vengono tostati per migliorarne l'aroma, privati del guscio e macinati in appositi mulini. Il calore prodotto durante la macinazione fa fondere la frazione grassa, il ben noto burro di cacao che costituisce circa il 55 per cento del contenuto del seme. Il risultato è una massa fluida, leggermente amara, di color bruno, chiamata pasta di cacao, nella quale le particelle di cacao sono sospese nel burro di cacao fuso. È questo il materiale di partenza per fabbricare tutti i tipi di cioccolato in commercio. Una volta raffreddata, la pasta di cacao solidifica diventando il cioccolato amaro venduto sotto forma di quadrotti per gli usi di pasticceria. Il FDA (Food and Drug Administration) richiede che questa base di cioccolato amaro contenga tra il 50 e il 58 percento di grassi. I componenti della pasta di cacao possono però venire separati e mescolati in proporzioni diverse con zucchero, latte in polvere e altri ingredienti per ottenere innumerevoli tipi di cioccolato con sapori e aromi diversi. Uno degli aspetti più stupefacenti del cioccolato è che la sua componente grassa fonde tra i 30 e i 36 °C, appena al di sotto della temperatura del corpo umano. In questo modo a temperatura ambiente è abbastanza solido e si spezza con deliziosa facilità, mentre quando è in bocca si scioglie liberando tutto il suo sapore e producendo una sensazione morbida e vellutata. Il cioccolato semiamaro si ottiene miscelando pasta di cacao, burro di cacao, zucchero, un emulsionante e, a volte, un aroma come la vaniglia. Quando fonde diventa più fluido rispetto al cioccolato amaro e assume una lucentezza setosa, due qualità che lo rendono adatto a rivestire o meglio a glassare le torte. Viene anch'esso venduto in quadrotti, ma poiché può contenere solo il 35 per cento di grassi (la percentuale si riduce al crescere del contenuto di zucchero) ha caratteristiche diverse in cucina rispetto al cioccolato amaro. Quindi in una ricetta cioccolato amaro e zucchero non sostituiscono il cioccolato semiamaro. Per complicare ulteriormente le cose, vi sono notevoli variazioni nei prodotti di marche diverse, soprattutto per quanto riguarda la proporzione tra zucchero e pasta di cacao nel cioccolato semiamaro. Variando il contenuto dello zucchero si ottengono centinaia di varietà di cioccolato tra il semiamaro e il molto dolce in cui la pasta di cacao può essere contenuta in una percentuale tra il 35 e il 16 per cento. Il cioccolato al latte contiene sempre meno pasta di cacao del cioccolato scuro, fondente, che può arrivare a una percentuale dell'80 per cento. È questo il motivo per cui il suo sapore è sempre più delicato. In tutti i paesi produttori vi sono normative che stabiliscono le proporzioni dei componenti che devono entrare nei vari tipi di cioccolato. Una recente normativa europea (del 2000) ha consentito l'introduzione di una piccola percentuale di grassi vegetali (il 5 per cento) diversi dal burro di cacao, con l'obbligo però di indicarli nell'etichetta. Prima che qualunque cioccolato di buona qualità venga messo sul mercato deve essere sottoposto a due importanti processi: il concaggio e la tempera. Il concaggio consiste nell'emulsionare la pasta di cacao tenendola in speciali conche a una temperatura che può variare tra i 60 e i 70 °C per 2-5 giorni. Il procedimento arieggia il cioccolato ed elimina l'umidità e gli acidi volatili migliorando aspetto e sapore del prodotto. La successiva tempera avviene abbassando la temperatura a 28-31 °C; si favorisce così il passaggio a forme molto più piccole dei cristalli del burro di cacao (da uno a mezzo micrometro). Il prodotto così diventa non solo più omogeneo, ma anche più stabile. Oggi, per gli usi di cucina, disponiamo di molti eccellenti tipi di cioccolato. La loro qualità dipende da molti fattori inclusa la miscela dei semi (in commercio ve ne sono 20 varietà), il tipo e il grado di tostatura, il livello di concaggio, di tempera e di altri processi; inoltre, ovviamente, conta molto la percentuale di burro di cacao e di altri ingredienti. | << | < | > | >> |Pagina 26A causa del suo contenuto in burro di cacao, il cioccolato si mescola bene con altri grassi come il burro e la panna. Questa sua proprietà ha consentito d'inventare decine di ricchi, cremosi dessert. Ma quello che qui vi proponiamo è qualcosa di diverso dalla solita mousse a base di derivati del latte: è una mousse all'olio d'oliva.
Una nostra cara amica basca, la chef Teresa Barrenechea, propone questa
morbida mousse nel suo ristorante Marichu, a Manhattan. «Aumenta sempre di più
il numero di persone che non desiderano più i cibi ricchi di panna» ci spiega.
«Quando servo questo dessert non dico ai miei clienti che contiene olio d'oliva.
Aspetto di sentirli esclamare "che bontà!".» II sapore del cioccolato è intenso,
ma la generosa quantità di olio d'oliva che vi è mescolata si sente appena. Non
è necessario alcun accompagnamento, ma al Marichu lo servono con lamponi
freschi.
- 170 grammi di coccolato semi amaro di buona qualità spezzettato - 3 uova di grandi dimensioni - 2/3 di una tazza di zucchero in polvere passato al setaccio dopo averlo dosato - 1/4 di tazza di caffè espresso a temperatura ambiente o un cucchiaio di caffè in polvere - 2 cucchiai di Chambord o di Cointreau - 3/4 di tazza di olio extra vergine di oliva - Lamponi 1. Mettete il cioccolato in una ciotola e fatelo fondere nel forno a microonde o in alternativa utilizzate un pentolino e una fiamma molto bassa. Fate raffreddare. 2. In un recipiente di medie dimensioni amalgamate i tuorli d'uovo con lo zucchero utilizzando uno sbattitore elettrico a media velocità. Aggiungete il caffè e il liquore. Unite il cioccolato fuso e l'olio d'oliva e mescolate bene il tutto. 3. Lavate la frusta dello sbattitore in modo da allontanare ogni traccia di olio. In un altro recipiente montate a neve gli albumi. Mescolate delicatamente un terzo degli albumi montati alla miscela di cioccolato fino a far sparire ogni traccia di bianco. Unite il resto degli albumi versandone un terzo alla volta. Usate lo sbattitore elettrico sempre a velocità moderata e solo per il tempo indispensabile. 4. Trasferite la mousse in una ciotola o in coppette individuali e mettetela in frigorifero fino a quando non è ben raffreddata. Servitela insieme ai lamponi. State tranquilli: non si affloscerà e non saprà di olio. Le dosi indicate valgono per 6 porzioni | << | < | > | >> |Pagina 39Un bel piatto di pasta, presto!
Perché si deve mettere il sale nell'acqua prima di cuocere la pasta?
Accelera la cottura della pasta
Non vi è libro di cucina che non consigli di salare l'acqua prima di mettere a cuocere la pasta o le patate e noi seguiamo docilmente il suggerimento senza porci domande. C'è una semplice ragione per aggiungere il sale all'acqua: intensifica il sapore del cibo, esattamente come fa in qualunque altro tipo di cottura. E questo è tutto. A questo punto qualunque lettore che abbia prestato una minima attenzione durante le lezioni di chimica obietterà: "Ma aggiungere il sale all'acqua aumenta il punto di ebollizione, quindi l'acqua bollirà a una temperatura più alta e la pasta cuocerà più in fretta". A questo lettore darei un 10 in chimica, ma un 5 in gastronomia. È vero che sciogliere il sale nell'acqua – o qualunque altra cosa, come spiegherò – farà in effetti bollire l'acqua a una temperatura più alta dei 100 °C a cui bolle a livello del mare. Ma per quanto riguarda la cottura, l'innalzamento non comporta alcuna differenza. Lo farebbe solo se buttaste nell'acqua tanto sale da poter usare questa soluzione per sciogliere il ghiaccio sul vostro vialetto. Come ogni chimico sarebbe ben lieto di spiegarvi, aggiungere un cucchiaio (20 grammi) di sale da tavola a 5 litri d'acqua per cuocere mezzo chilo di pasta farà aumentare il punto di ebollizione di soli 0,4 centesimi di grado centigrado. Ciò accorcerebbe il tempo di cottura di circa mezzo secondo. Chi avesse tanta fretta di portare in tavola un piatto di spaghetti farebbe prima a prendere in considerazione l'idea di coprire la distanza tra la cucina e la sala da pranzo calzando dei pattini a rotelle. Naturalmente già prevedete che, da incorreggibile professore quale sono, io mi senta in obbligo di spiegarvi perché il sale aumenta il punto di ebollizione dell'acqua, piccolo che possa essere il suo effetto. Concedetemi quindi un paragrafo. Per passare allo stato di vapore le molecole d'acqua devono liberarsi dei legami che le tengono unite alle loro liquide compagne. Farlo con l'aiuto del calore già non è facile perché le molecole d'acqua sono legate tra loro abbastanza tenacemente, ma se qualche molecola estranea interviene a turbare la situazione diventa ancora più arduo, perché le particelle del sale (ossia gli ioni cloro e sodio) o altre sostanze disciolte si mettono semplicemente in mezzo. Le molecole d'acqua quindi richiedono una spinta maggiore, sotto forma di temperatura più alta, per conquistare la loro aerea libertà (per saperne di più chiedete al vostro amico chimico di parlarvi dei "coefficienti di attività".) Torniamo in cucina. Sfortunatamente, ci sono ben altre leggende intorno all'addizione di sale all'acqua di cottura oltre all'idea non corretta sul punto di ebollizione. Tra le più citate, anche nei più rispettabili libri di cucina, vi sono quelle relative a quando si deve aggiungere il sale all'acqua. Un libro tra i più recenti riporta l'osservazione: "di solito si aggiunge il sale all'acqua bollente prima di buttare la pasta." E prosegue avvertendo: "aggiungere il sale prima che l'acqua bolla può causare uno spiacevole retrogusto". Quindi la procedura consigliata è: 1. far bollire l'acqua, 2. aggiungere il sale, 3. buttare la pasta. Un altro manuale consiglia di "portare l'acqua al punto di ebollizione prima di aggiungere il sale o la pasta" lasciando aperta la fondamentale questione di prima il sale o prima la pasta. Il fatto è che, purché la pasta cuocia nell'acqua salata, non c'è alcuna differenza se il sale è stato aggiunto quando l'acqua stava o non stava bollendo. Il sale si scioglie piuttosto rapidamente nell'acqua sia che sia bollente, sia che sia tiepida e, anche se non si fosse sciolto, il movimento durante l'ebollizione lo scioglierebbe immediatamente. Una volta disciolto, il sale non conserva la memoria del tempo o della temperatura, ossia di quando esattamente è stato aggiunto all'acqua o ha raggiunto i 100 °C. Non può quindi influire in alcun modo sulla pasta. Una teoria che mi sono sentito esporre da uno chef è che quando il sale si scioglie nell'acqua libera calore e che se aggiungete il sale mentre l'acqua sta bollendo il calore addizionale la farà super-bollire. Mi dispiace, caro chef, ma il sale non libera calore quando si discioglie, anzi ne assorbe un pochino. Quello che avrai senza dubbio osservato è che, quando si aggiunge il sale, l'acqua immediatamente si mette a bollire vivacemente. Questo accade perché il sale – o qualunque altra particella solida che venisse aggiunta – fornisce alle bolle in formazione molti nuovi siti (in gergo tecnico siti di nucleazione) su cui raggiungere le massime dimensioni. Un'altra teoria (ciascuno ne ha una, pare; che la cottura della pasta sia una sfida come la previsione dei terremoti?) sostiene che il sale viene aggiunto più che per il sapore, per dare consistenza alla pasta e impedire che diventi collosa. Ho sentito varie spiegazioni plausibili, ma piuttosto tecniche per questo effetto, ma non desidero occuparmene. Aggiungiamo pure il sale quando e per il motivo che preferiamo. Quello che è certo è che senza sale la pasta non sa di nulla. | << | < | > | >> |Pagina 90Tutto sull'aceto
Ho letto un sacco di cose a proposito dell'utilità dell'aceto: dal pulire le
caffettiere ad alleviare i dolori dell'artrite e far calare di peso. Che cosa ha
di speciale, insomma, l'aceto?
L'aceto è noto da migliaia di anni e nessuno ha dovuto fabbricarlo perché si fa da solo. Dovunque vi sia zucchero o alcol, l'aceto è in arrivo. Qualunque chimico vi dirà senza un momento di esitazione che l'aceto è una soluzione acquosa di acido acetico. Ma l'aceto è qualcosa di più. Gli aceti più comuni si fanno con l'uva (aceto di vino rosso o bianco), con le mele (aceto di sidro), con il malto, con l'avena e con il riso (aceto di malto e di riso). Tutti questi tipi di aceto conservano qualche sostanza proveniente dal prodotto di origine che dà loro sapore e aroma caratteristici. Inoltre alcuni aceti vengono appositamente aromatizzati con lamponi, aglio, dragoncello e qualsiasi altra cosa possa essere infilata nella bottiglia e lasciata in infuzione per alcune settimane. In vetta allo spettro della purezza vi è il famigliare aceto di vino bianco, che non è altro che una soluzione acquosa al 5 per cento di acido acetico puro e che va bene sia in lavanderia che in cucina. Essendo prodotto dall'alcol industriale e purificato con la distillazione, l'aceto bianco non contiene frutta, cereali o altri elementi dotati di aroma particolare. Vi è infine l'aceto balsamico prodotto da più di mille anni solo in una regione italiana, l'Emilia-Romagna, e in particolare nella provincia di Modena. Per produrlo si utilizzano i mosti di uve dei vitigni Trebbiano e Lambrusco che vengono cotti per 12 ore e poi fatti fermentare e invecchiare in una serie di fusti di legno di gelso, castagno e ginepro per almeno 12 anni e, in certi casi, addirittura per cento anni. Il risultato è un denso sciroppo scuro dal sapore contemporaneamente aspro e dolce e dal profumo legnoso. Viene usato in piccole quantità più come condimento che per i consueti impieghi domestici dell'aceto.
Sfortunatamente il termine "balsamico" che compare sull'etichetta non sempre
è una garanzia: può venire attribuito a un aceto colorato con il caramello,
imbottigliato in recipienti dalla forma fantasiosa e venduto a caro prezzo. Per
salvaguardarvi controllate che l'etichetta riporti la scritta "Consorzio
produzione certificata aceto balsamico di Modena", oppure "Consorzio produttori
aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia".
Vediamo ora come si forma l'aceto sia spontaneamente in natura, sia volutamente per mano dell'uomo. Si tratta di un processo chimico che avviene in due passaggi: 1. lo zucchero viene demolito in modo da sviluppare alcol etilico e biossido di carbonio; 2. l'alcol etilico viene ossidato e si trasforma in acido acetico. La prima trasformazione, chiamata fermentazione, è quella che fa ottenere il vino dagli zuccheri dell'uva e altre innumerevoli bevande alcoliche a partire da un gran numero di carboidrati in presenza degli enzimi del lievito o dei batteri. Nella seconda trasformazione, batteri della specie Acetobacter aceti fanno in modo che l'alcol reagisca con l'ossigeno atmosferico formando acido acetico. I vini possono ossidarsi e quindi diventare acidi anche senza l' Acetobacter, ma il processo è più lento. Potete fabbricare l'aceto a casa vostra a partire dal vino o da un altro liquido alcolico aggiungendo una piccola quantità di aceto contenente un piccolo ammasso di batteri dell'aceto, la cosiddetta madre dell'aceto, per dare il via alla trasformazione. Se volete saperne di più sulla produzione dell'aceto potete visitare il sito (in lingua inglese) realizzato da Vinegar Connoisseurs International (www.vinegarman.com). Gli aceti in commercio contengono dal 4,5 al 9 per cento di acido acetico, ma la maggior parte ne contiene il 5 per cento. Questa concentrazione indispensabile per conservare i cibi "sottaceto", uno delle più antiche e apprezzate applicazioni di questo prodotto: i batteri infatti non sopravvivono in acidi che hanno questa forza o anche più. Già che ci siamo, occupiamoci un po' degli acidi. La gente tende a pensare che il termine acido sia quasi sinonimo di corrosivo. Questo può valere per gli acidi forti come l'acido solforico e nitrico che, in effetti, possono sciogliere una Volkswagen. Ma per quanto riguarda l'acido acetico possiamo ingerirlo senza temere effetti dannosi per due ragioni. La prima è che è un acido debole, la seconda è che l'aceto è una sua soluzione alquanto diluita. Un acido acetico al cento per cento, in effetti, è piuttosto corrosivo e non vi piacerebbe averlo sulla pelle né tanto meno sull'insalata. Persino diluito al 5 per cento, l'aceto è, dopo il succo di limone, l'acido più forte che potete avere in cucina. Che cosa fa l'aceto? E che cosa non fa, almeno apparentemente? Secondo la medicina popolare con l'aceto si curano il mal di testa, il singhiozzo, la forfora, le scottature da sole e le punture di insetti. Ma non solo, secondo una pubblicità di un aceto di riso cinese che ho trovato in Internet "è il segreto della longevità, della tranquillità, dell'equilibrio e della forza". Se credete in questi e in altri rimedi popolari, ho il dovere di informarvi che la scienza non ha dimostrato che non funzionano. La ragione è ovvia: gli scienziati hanno semplicemente altro da fare che correre dietro a queste sciocchezze. | << | < | > | >> |Pagina 128Tra una roccia e un carapace
Le conchiglie dei molluschi bivalvi sono dure come la roccia,
mentre gamberi e granchi hanno un guscio sottile come se fosse
di plastica. Perché questa differenza?
Innanzitutto va fatta una premessa: si tratta di animali che appartengono a due classi molto diverse, i bivalvi e i crostacei, a loro volta facenti parte di due phila distanti tra loro, i molluschi e gli artropodi. Tra i crostacei più apprezzati come alimento vi sono granchi, aragoste, astici, gamberi e gamberetti. Il loro guscio è corneo, un'armatura fatta di piastre flessibili che prende il nome di carapace. I crostacei formano il loro guscio sottile a partire da una sostanza organica, la chitina, che è un carboidrato complesso derivato dalla loro alimentazione. Forse non vi farà piacere saperlo, ma gamberi, granchi e aragoste sono stretti parenti di insetti e scorpioni che, infatti, hanno un rivestimento (più precisamente un esoscheletro) fatto di chitina. (Se vi può consolare, alcuni biologi ritengono che crostacei e insetti si siano evoluti indipendentemente. Probabilmente perché apprezzano le prelibatezze del mare.) I molluschi bivalvi, invece, come vongole, ostriche, mitili, pettini e tanti altri, fabbricano la loro conchiglia prevalentemente dal materiale inorganico che estraggono dall'oceano, soprattutto carbonato di calcio, lo stesso versatile composto che costituisce il calcare, il marmo e i gusci delle uova. La prossima volta che avete sul piatto una vongola o un mitilo, notate le linee di crescita incurvate o le pieghe parallele al margine esterno. Esse rappresentano le successive aggiunte di nuovo materiale, depositato dal mollusco ogni volta che ha bisogno di allargare la sua dimora, soprattutto durante la stagione calda. | << | < | > | >> |Pagina 129Per questa ricetta abbiamo voluto usare il nome più comune con cui in Italia sono conosciuti i mitili o muscoli (come si preferisce chiamarli in Liguria e Toscana). Qualunque sia il loro nome questi frutti di mare sono un dono della natura bello e buono. Sono belli nelle loro nere conchiglie decorate con linee di crescita concentriche, si cuociono quasi istantaneamente (sono pronti quando le due valve si aprono) e contengono molte proteine e pochi grassi. La loro consistenza è carnosa e hanno sapore di mare, leggermente salato con una punta di dolce. La specie che arriva abitualmente sulle nostre mense è Mytilus edulis, che vive in tutti i mari dell'emisfero settentrionale dall'Oceano Artico all'Oceano Atlantico, al Mediterraneo e al Pacifico. E anche la specie più ampiamente allevata e che viene venduta nei mercati del pesce e nei supermercati in confezioni che ne attestano la salubrità e la provenienza. Le cozze che acquistate sono già parzialmente pulite e non richiedono altro che un'energica spazzolata prima della cottura.
Si consiglia di pasteggiare con lo stesso tipo di vino usato per la cottura.
- 1 chilo di cozze ben pulite - 1/4 di litro di vino bianco secco – 1/4 di tazza di scalogno tritato - 2 spicchi di aglio tritati - 1/2 tazza di prezzemolo tritato - 2 cucchiai di burro salato 1. Sciacquate le cozze sotto l'acqua togliendo la barba che può sporgere dal cardine tra le due valve. Scartate qualunque esemplare che abbia già le valve aperte e non le chiuda rapidamente quando viene urtato. O è morto o è moribondo e quindi andrà rapidamente a male. 2. Prendete un tegame basso e largo che potete incoperchiare perfettamente e mettete sul fondo il vino, lo scalogno, l'aglio e il prezzemolo. Il tegame deve essere abbastanza ampio da contenere tutte le cozze anche quando i gusci si saranno aperti e lasciare la possibilità di smuovere il contenuto; in pratica, deve prevedere che il volume raddoppi con la cottura. Portate a bollore il vino, poi abbassate la fiamma e fate bollire per circa tre minuti. Alzate la fiamma, aggiungete le cozze, incoperchiate bene e fate cuocere scuotendo il tegame varie volte fino a quando le cozze non si aprono. Ci vogliono dai 4 agli 8 minuti a seconda delle dimensioni della pentola e delle cozze. 3. Togliete le cozze dal recipiente con un cucchiaio bucherellato o una schiumarola e divideteli in due capaci ciotole. Sciogliete rapidamente il burro nel liquido rimasto in fondo al tegame in modo da ottenere un brodetto ben emulsionato. 4. Versate questo brodetto sulle cozze e servitele immediatamente con pane tostato e vino bianco fresco. Dosi per due persone | << | < | > | >> |Pagina 137CAPITOLO SEI
Fuoco e ghiaccio
Date un'occhiata a tutti i moderni accessori della vostra cucina: tostapane, mixer, spremiagrumi, macchinetta per il caffè espresso: tutti dispositivi per compiti speciali. Guardate ora le uniche due cose che utilizzate quotidianamente e di cui non potreste fare a meno: una produce calore e una produce freddo. In confronto con il robot da cucina, si potrebbe pensare che il fornello a gas e il frigorifero non siano esattamente l'ultimo grido in fatto di tecnologia, ma si tratta pur sempre di accessori che si sono uniti di recente all'armamentario umano per la cottura e la conservazione dei cibi. La prima stufa era una semplice cavità in cui bruciare il combustibile (inizialmente legna o carbone) che riscaldava una superficie piatta per cucinare. Brevettata meno di 375 anni fa, questa semplice attrezzatura ha chiuso un'epoca durata milioni di anni, in cui la cottura dei cibi avveniva su fuochi all'aria aperta. Analogamente, il frigorifero ha sostituito la ghiacciaia in un'epoca recente, che qualche lettore ancora ricorderà. Quando compriamo cibi freschi, tutti noi cerchiamo di conservarli a basse temperature per evitare che si deteriorino. Poi per convertire parte di questo cibo in una forma che sia più appetitosa e digeribile, utilizziamo le alte temperature fornite dal fornello a gas. Dopo aver cotto e servito il cibo, parte degli avanzi può essere rimessa in frigorifero o nel freezer per un'ulteriore conservazione. La gestione del cibo nelle nostre cucine sembra implicare un ciclo continuo di riscaldamento e raffreddamento, o simbolicamente, l'utilizzazione di fuoco e ghiaccio. Ma solo da pochi decenni questo avviene per mezzo di gas ed elettricità. Come agiscono calore e freddo sui nostri cibi? In che modo possiamo controllarli per produrre i migliori risultati? Se il calore è eccessivo rischiamo di bruciare il cibo; d'altra parte il freezer può produrre un effetto simile alla bruciatura... già, ma che cos'è la "bruciatura" da freezer? E che cosa si verifica esattamente nella più elementare delle attività di cucina, la bollitura dell'acqua? Non azzardate risposte affrettate: la faccenda è molto più complicata di quanto si pensi. | << | < | > | >> |Pagina 211CAPITOLO NOVE
Strumenti e tecnologia
I cuochi di oggi, come altri artisti, hanno a disposizione colori e pennelli in forma di un arsenale di equipaggiamenti che rendono più agevoli le vecchie operazioni e possibili nuove creazioni. Le cucine moderne possono vantare una varietà di dispositivi elettrici e meccanici che vanno dai semplici mortaio e pestello fino ai più tecnologicamente sofisticati forno e cucina a gas. La nostra specie, nel corso del tempo, si è talmente allontanata dai forni a legna, dalle pietre calde e dalle ciotole di terracotta che non sappiamo neanche in che modo funzionino alcuni dei nostri strumenti (i futuri archeologi scopriranno frammenti di macchine per il pane risalenti agli inizi del ventunesimo secolo?). Li usiamo, spesso in modo improprio, senza peraltro comprenderli completamente. Il forno a microonde era solo l'inizio. Sto per introdurvi in una cucina piena di accessori ad alta tecnologia come bobine a induzione magnetica, forni a luce, termistori e computer che spesso la sanno più lunga di noi. In questo itinerario, impareremo come usare nel miglior modo possibile la nostra vecchia e familiare padella, i coltelli e i pennelli da pasticcere. Alla fine del capitolo, come Alice nel paese delle meraviglie, avremo terminato il nostro viaggio attraverso l'unico posto al mondo in cui i miracoli avvengono realmente e ogni giorno: le nostre meravigliose cucine. | << | < | > | >> |Pagina 257Indice delle ricetteBaci di meringa 14 Torta allo zenzero 21 Mousse al cioccolato 26 I dolcetti del diavolo 29 Glassatura di caffè e cioccolato 30 Barrette di cioccolato bianco 31 Le mandorle salate 37 Frollini casalinghi 53 Patate in crosta alla moda di Anna 65 Frittelle di ricotta 69 Meringa alla portoghese 83 Stinchi di agnello alla greca 102 Gravlax: degna sepoltura per un salmone 108 Hamburger al sale 112 Una salsa per il pollo o il tacchino sempre perfetta 118 Salsa base per il tacchino o il pollo 118 Pesce al cartoccio 121 Cozze al vino bianco 129 Granchi scottati al burro 131 Astice 135 Verdure grigliate nel forno 152 Empanadas per tutti 158 Budino al caffè e soia 171 Una tisana alla menta 174 Gelatina allo champagne 184 La miglior ricetta di Bob (il sottoscritto) 191 Mollica di pane croccante 201 Zuppa estiva color giada 205 Una gelatina al limone 225 Torta boscaiola 227 | << | < | |