Copertina
Autore Virginia Woolf
Titolo Al faro
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1992, UEF 2012 I classici , pag. 217, dim. 125x193x16 mm , Isbn 978-88-07-82012-0
OriginaleTo the lighthouse [1927]
TraduttoreNadia Fusini
LettoreRenato di Stefano, 1992
Classe narrativa inglese
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Pagina 34 [ padre/figlio ]

Ci fosse stato lì accanto un'accetta, un attizzatoio, o un qualsiasi altro arnese per squarciare il petto del padre e ucciderlo lì, all'istante, James l'avrebbe afferrato. Così estrema era l'emozione ceh Ramsay suscitava nel petto dei figli con la sua sola presenza, semplicemente stando lì in piedi, come adesso, asciutto che pareva un coltello, affilato che sembrava una lama, come quella smorfia sarcastica di piacere all'idea di deludere il figlio, e contraddire la moglie, che era diecimila volte meglio di lui sotto ogni aspetto (così pensava James); ma anche con un certo gusto segreto per la propria accuratezza di giudizio. Quello che diceva era vero. Era sempre vero. Era incapace di falsità. Non corrompeva i fatti, non alterava una parola sgradevole per assecondare il piacere o l'interesse di un altro, meno che mai dei suoi figli, che generati dai suoi lombi dovevano rendersi conto fin dall'infanzia che la vita è difficile, i fatti incorruttibili, e il passaggio a quella terra favolosa - dove si estinguono le nostre speranze più luminose e naufragano nelle tenebre le nostre fragili scorze (qui Ramsay raddrizzava la schiena e aguzzava le fessure strette degli occhi azzurri verso l'orizzonte) - un passaggio che richiede soprattutto coraggio, amore di verità, e forza di resistenza.

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Pagina 55 [ bellezza ]

Ma era solo apparenze? si chiedeva la gente. Che c'era dietro - dietro la sua bellezza, il suo splendore? Non s'era fatto saltare le cervella, si chiedevano, non era morto una settimana prima che si sposassero - quell'altro, il suo primo amore, di cui qualcuno aveva sentito parlare? O non c'era niente? niente altro che una bellezza incomparabile, protetta dalla quale lei viveva, che niente pareva turbare? Perché anche se in quei momenti di intimità, quando le venivano confidate storie di grandi passioni, di amori traditi, di ambizioni frustate, lei avrebbe potuto parlare, no, non parlava. Taceva sempre. Però sapeva - sapeva senza aver imparato. Nella sua semplicità coglieva cose che altri più colti di lei non capivano. La sincerità della sua mente la faceva andare giù a piombo come un sasso, o posarsi precisa come un uccello; le dava, così, naturalmente, quel movimento a picco di uno spirito che piomba sulla verità - che incantava, confortava, sollevava, forse a torto.

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Pagina 68 [ solitudine ]

Era il suo destino, la sua prerogativa, che lo volesse o no, di arrivare a quella lingua di terra, che il mare a poco a poco rorrodeva, e rimanere lì, come un gabbiano solo, abbandonato. Era un talento, una capacità che aveva, tutta sua, di liberarsi d'improvviso di ogni cosa superflua, per contrarsi e ridursi fino a sembrare sempre più nudo, più spoglio anche fisicamente, senza però perdere nulla della propria acutezza intellettuale, e stare così su quella sporgenza di fronte alle tenebre dell'ignoranza umana - perché noi non sappiamo nulla, e il mare divora il terreno stesso su cui poggiamo i piedi. Questo era il suo destino, e talento. Ma gettati via, appena sceso da cavallo, i gesti eroici e gli orpelli, i trofei di rose e di nocciole, concentratosi fino al punto di non ricordarsi più nemmeno il proprio nome, in quella solitudine assoluta manteneva tuttavia un'attenzione vigile, incorruttibile da fantasmi o visioni.

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