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| << | < | > | >> |Indice13 Da Paracelso 15 Introduzione 19 Nota PARTE PRIMA Natura 23 Terra 28 L'ombra del muro - Gli istinti primitivi ancora vivi 32 Democrazia: Vangelo dell'individualità PARTE SECONDA Illusione 39 Malattia Sociale ed Economica 40 Un espediente 41 Reddito 47 L'Artefice 49 Un esperimento 55 Il ritardo culturale 57 Per l'individuo 63 La legge inesorabile del Mutamento 65 Illusione 67 La luce del giorno 73 Forze che demoliscono il vortice 76 Guardandosi indietro 79 Libertà o coscrizione PARTE TERZA Decentramento 85 Integrazione sulla nuova scala di spazio 90 Broadacre 93 Analisi 94 Democrazia per definizione 95 Terra e Danaro 97 Architettura organica 99 Azione 101 Feudalità 103 La nostra Architettura 106 La Nuova Città 109 Usonia 110 Valori 114 Riepilogo PARTE QUARTA L'Usoniano 117 Un legato che abbiamo ricevuto dal Passato 118 Individualità 119 Autorità speciosa 121 Architettura e spazio congiunti costituiscono il Paesaggio 124 La Visione usoniana 143 Educazione errata 145 Per cominciare 146 Il cambiamento avverrà 149 La parola « Organico » 150 L'Usoniano sul proprio suolo 158 L'Adolescente 160 La Vita, ben calcolato rischio 163 L'agricoltore usoniano - L'integrazione della Famiglia 166 La grande bocca 171 « Affari » ed Architettura Industrializzazione 172 La fabbrica 173 Uffici Commerciali 174 Il Professionista 175 Banca, banchiere e lavoro di Banca 176 Mercati 178 L'agente immobiliare 179 Appartamenti 18o Motels 182 Centri comunitari 183 Il nuovo Teatro 185 La Luce che si spense 186 La costruzione delle Chiese 189 L'Ospedale 190 Educazione e cultura 192 Università 194 Scuole 198 Fonte di progettazione - Il Centro di progettazione PARTE QUINTA Il presente 207 L'Usoniano 209 Il nuovo Pioniere 211 Natura 214 Avere e tenere 218 Civiltà del nostro tempo 219 Democrazia in tuta 222 Il Cittadino destato 225 Romanticismo 226 Architettura 227 Disciplina 228 « Dove non c'è Visione il popolo perisce » 228 Lo schiavo del Salario 231 La notte non è che un'ombra gettata dal sole 237 Appendice Dal « Saggio sull'agricoltura » di Ralph Waldo Emerson 245 Indice delle illustrazioni |
| << | < | > | >> |Pagina 15IntroduzioneQuando una grande quercia sta per morire, alcune foglie di un verde giallastro appaiono sui rami piú alti. La stagione seguente la maggior parte della corona superiore dell'albero è gialla; l'anno dopo i rami in alto rimangono senza foglie. Dopo diverse stagioni successive diciamo che l'albero è «secco». Ma per molti anni ancora lo scheletro dell'albero inaridito rimane eretto e segna il cielo col suo profilo scuro come se nulla fosse avvenuto. Infine, marcito alla radice, inutile, la struttura greve alla sommità, precipita. Ma anche cosí lo scheletro pesante giace a lungo spezzato sul suolo. Occorrono molti anni prima che si tramuti in humus e nasca l'erba e che forse da una o due ghiande abbiano origine altre querce. Quel che per la grande quercia furono la linfa e le foglie è per un popolo una sana estetica. Questo libro è stato scritto nella ferma convinzione che la genuina cultura umana ha un sano sentimento del bello quale vita dell'anima: un'estetica organica, che appartiene alla vita stessa e non è soltanto basata su di essa; e che stabilisce nobili rapporti tra l'uomo ed il suo ambiente. Il sentimento di questa estetica naturale farebbe dell'uomo un elemento benefico, integrale, potente del complesso della vita umana. L'Etica, l'Arte e la Religione sopravvivono nelle civiltà solo in quanto parti di questo senso estetico e sopravvivono solo quel tanto che rappresentano il sentiinento umano per la bellezza. Ignorare questa verità è non capire l'anima dell'uomo, consegnarlo alla scienza ignaro del suo vero significato e rimanere ciechi al suo destino. Siamo ora in questo grande crogiolo di tutte le culture in sfacelo o ripudiate di un mondo in cui abbiamo permesso all'attuale arroganza scientifica di anticipare una genuina cultura che ci appartenga. Ereditiamo e preserviamo al tempo stesso questo ritardo culturale. Il fatto di confessare che noi, «il grande popolo americano», non abbiamo finora dato sviluppo a una cultura che ci appartenga, a una fioritura del grande Albero della Vita, a una particolare fragranza, è sufficientemente onesto. E, in questo momento, utile. Allo stesso modo in cui muoiono i grandi alberi, muoiono le civiltà, spesso inaridite internamente dalla mancanza di cultura. O vengono abbattute, distrutte nelle radici e nei rami da quella peste sradicabile che è la guerra. O le sommerge l'alluvione rivoluzionaria. Siamo forse una nazione troppo giovane per queste degenerazioni? Troppo vigorosa per morire radicalmente di morte violenta? Pur non avendo mai raggiunto l'elevato livello da cui le nazioni degenerano, il virus di piú antiche civiltà portatoci nel sangue degli emigrati potrebbe marcarci del contagio di decadenza e di morte. La salvezza sta nel rendersi conto che, con il progresso e il maggior rigore scientifico, scopriremo nella grande arte l'autentico significato di tutto quello che la scienza potrà mai sapere della vita e vedremo che arte e religione sono valide profezie di quanto la scienza saprà mai rivelarci. Ci accorgeremo che la filosofia è la scienza dell'uomo che parte dal suo intimo stesso. I nostri tanto vantati scienziati devono lavorare sull'uomo solo dal di fuori, cosí per quel che concerne l'anima dell'uomo la scienza lavora invano; perché le scienze quali le pratichiamo sostituiscono la moralità all'etica, il danaro alle idee, i fatti alla verità. Noi, come nazione, abbiamo trascurato o solamente imitato l'arte, confuso o negletto la religione, corrotto la filosofia e ignorato l'etica. Nessuna scienza può essere umanamente fruttuosa finché l'arte, la religione, la filosofia, l'etica e la scienza non sono intese come una grande entità, una Unità universale considerata il Bello. In questo turbine immenso di cultura provinciale e conformista il nostro senso estetico è trascurato o tradito e probabilmente rischia di ridursi a un gesto lezioso come quello di sollevare una tazza troppo colma con il mignolo sollevato: per esempio discutendo di quella pittura di cavalletto che parla al sistema nervoso invece che all'anima. O a una qualche posa poetica o ricercatezza di gusto; gusto esteriore o la formula stereotipa che impera di nuovo in architettura. Mentre è necessario si sappia che la vita dura e virtuosa dei nostri antenati nella loro piú audace opera di pionieri era nulla in confronto alle ambigue prove ora imposte ai loro figli su questa nuova frontiera dello spirito: per la conquista di una cultura che ci appartenga! Non noi soltanto, i figli e le figlie, ma i nostri nipoti devono star ora qui esposti alla pericolosa insidia delle tradizioni in decadenza dall'interno e della cieca autorità di fuori.
I nostri avi fronteggiarono pericoli allo scoperto
perché potessimo vivere. Noi affrontiamo pericoli ben piú
insidiosi: il pericolo della degenerazione, della disonestà;
il pericolo che essi siano vissuti inutilmente per noi e che
noi, i figli e le figlie da loro generati, abbiamo
frivolmente generato figli e figlie nostri senza il retaggio
della saldezza spirituale e della forza che ne consegue.
«C'era una volta», e non molto tempo fa, la Frontiera come conquista di dominio materiale o territoriale. Ma ora battere il sordido, basso mercantilismo in questa era meccanica, questa «fibra legnosa dell'albero inaridito», questa conquista spirituale è la nostra nuova Frontiera. Solo coltivando una sana estetica, organica, nelle anime dei nostri giovani poliglotti nazionali ci può arridere questa vittoria, la maggiore di tutte le vittorie: la Democrazia. Questo libro è sulla linea del fuoco di questa nuova Frontiera, tra tutte le frontiere la piú importante, e pugna per la fede, fede nella Democrazia dell'uomo, nella bellezza di questo nuovo vangelo dell'individualismo; fede nella bellezza che è la fragrante fioritura di ogni umanità - la linfa e il fogliame dell'Albero vivente - la fede dell'uomo in se stesso in quanto Se stesso.
F. Ll. W.
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