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| << | < | > | >> |IndicePrefazione di Michael Yamashita 6 Introduzione storica Viaggi e avventure di Messer Milione di Gianni Guadalupi 16 Parte I: da Venezia alla Cina Introduzione storica 40 Venezia 54 Iraq 72 Iran 116 Afghanistan 152 Parte II: Marco Polo in Cina Introduzione storica 206 Dal Pamir a Kashgar 216 Da Kashgar a Xanadu 254 Da Pechino al Jiangsu 286 Sichuan, Yunnan, Laos e Myanmar 312 Labrang e l'altopiano tibetano 356 Parte III: Il viaggio di ritorno Introduzione storica 400 Quanzhou, mar della Cina e Vietnam 410 Indonesia e Sri Lanka 436 India 454 Epilogo 496 |
| << | < | > | >> |Pagina 6Tutto ebbe inizio con la domanda: "Marco Polo andò i Cina?". La dottoressa Frances Wood, a capo del Dipartimento di Sinologia del British Museum, nel suo libro del 1996 - intitolato appunto Did Marco Polo go to China? - lo negò. Espresse dubbi circa la credibilità di Polo, basando in buona misura la propria argomentazione non tanto su ciò che aveva narrato nel suo epico resoconto di viaggio, composto nel XIII secolo, quanto piuttosto su ciò che aveva omesso. La Wood si chiedeva perché non avesse incluso nella narrazione conquiste, realizzazioni e usanze cinesi rilevanti come l'arte della stampa, il costume della fasciatura dei piedi, la calligrafia, la pesca con i cormorani, l'abitudine di bere il tè, l'uso delle bacchette per mangiare e la Grande Muraglia. In qualità di viaggiatore professionista specializzato nei territori legati a Marco Polo, avvertii l'urgenza di difendere questo instancabile viaggiatore italiano, il cui itinerario avevo incrociato spesso durante il mio lavoro nell'Estremo Oriente. Sono stato nel Marco Polo Hotel di Singapore, ho mangiato nel ristorante di Venezia che porta il suo nome, a Hong Kong sono partito in crociera a bordo di una nave a lui intitolata, ho aspirato il fumo delle sigarette Marco Polo in Indonesia, omonime del negozio di abbigliamento di Pechino in cui mi sono recato a fare acquisti. Era forse possibile che un libro così ampiamente letto e che un uomo il cui nome ha ispirato centinaia di imprese commerciali, entrando persino nel linguaggio di tutti i bambini che giocano a uno dei più diffusi passatempi da piscina in America, ebbene era possibile che fossero dei falsi? E se avessimo organizzato una spedizione per rintracciare la pista seguita dal grande esploratore servendoci del suo diario di viaggio come guida, chiudendo la questione una volta per tutte? Avremmo visitato nuovamente ogni singolo luogo descritto da Marco, fotografando le testimonianze di ciò che ne era rimasto almeno 700 anni dopo che lui stesso ne aveva parlato. Mentre cercavo di mettere in atto il mio proposito trovai che, a dispetto di Frances Wood, Marco ha una notevole cerchia di difensori alquanto rispettabili e famosi. Costoro sono pronti a far notare come egli abbia vissuto tra i Mongoli e al servizio dello stesso Kublai Khan, ragion per cui non avrebbe avuto granché a che fare con i Cinesi e con le loro usanze. Più probabilmente aveva mangiato con le mani e aveva bevuto latte di giumenta, piuttosto che essersi servito di bacchette o aver bevuto tè. Gli stessi sostenitori sottolineano il fatto che egli alluse alla stampa e alla fasciatura dei piedi nel descrivere la carta moneta e la caratteristica, lenta andatura delle donne cinesi. Inoltre, per quanto concerne l'assenza di menzioni della Grande Muraglia, il fatto è che ai tempi di Marco non era poi tanto "grande". le immense fortificazioni circostanti Pechino che conosciamo oggi furono edificate solo tre secoli dopo che Polo ebbe lasciato la Cina. | << | < | > | >> |Pagina 10La Cina, che di norma è il Paese più difficile nel concedere ai giornalisti permessi per viaggiare e fotografare, si rivelò essere il più accondiscendente, almeno per una certa parte del nostro viaggio. I Cinesi amano Marco Polo. È sempre stato nel loro interesse provare che Marco sia stato un personaggio reale. Avendo descritto la Cina in un'epoca in cui il Paese era di gran lunga più avanzato di qualsiasi luogo dell'Occidente, ne era il più grande propagandista.Durante tutto il viaggio fummo costantemente sorpresi nel verificare che reporter preciso era stato. In Iran ci condusse nella stessa fonte termale verde di cui aveva narrato. A Hormuz, nel Golfo Persico, incontrammo i "musulmani dalla pelle nera", i discendenti degli schiavi africani che aveva citato. In Afghanistan trovammo la sua "montagna di sale" fuori Taloqan e l'ovino cornuto che ha preso nome da lui (Ovis poli, cioè "Pecora di Polo") nel corridoio di Wakhan. In Cina vedemmo le miniere di giada di Hotan, le dune di "sabbia che canta" di Dunhuang e l'enorme Buddha sdraiato di Zhangye, il tutto documentato da Marco. Incontrammo il "popolo dai denti d'oro" e i "mangiatori di carne cruda" del lago Erhai. A ogni scoperta positiva, mi convincevo sempre più che il Veneziano dovesse aver narrato in base a esperienze di prima mano. Non solo le cose erano esattamente come le aveva descritte, ma le trovammo tutte nel punto preciso in cui ci diceva di guardare. Ogni giorno un numero crescente di brani del suo libro prendeva vita. Anche le descrizioni delle genti che incontrò per via si rivelarono aderenti alla verità. Degli Afghani dice: "Sono una razza guerriera che venera Maometto, [...] parlano una lingua propria e sono soldati valorosi". Con queste parole Marco avrebbe potuto descrivere il comandante Massoud, che sconfisse i Russi e tenne a bada i Talebani fino a quando fu assassinato, pochi giorni prima dell'11 settembre 2001. I monaci tibetani, di cui narra che possedessero "monasteri talmente vasti da ricordare in certi casi piccole città, abitate da più di 2000 monaci" e che tenessero "il capo e il mento completamente rasati, conducendo una vita di grande austerità e mangiando per tutta la vita null'altro che crusca", ebbene quei monaci potevano essere gli stessi che avevo incontrato al Monastero di Labrang, nel Gansu, i quali ancor oggi si cibano di tsampa, una zuppa composta di crusca mista a tè e a burro di yak. Entro la fine del viaggio ero ormai convinto e mi sentivo legato a Marco da uno spirito di affinità. Su una spiaggia del Kerala, in India, sentii la sua presenza mentre assistevo a una scena che pareva venire dritta dal XIII secolo: centinaia di pescatori seminudi recuperavano ritmicamente le reti, senza nulla che appartenesse al secolo corrente fin dove l'occhio poteva giungere. Niente motori, soltanto remi, niente t-shirt stampate, soltanto piedi scalzi e perizomi. Immaginai Marco che osservava sgomento pescatori come questi, proprio come stavo facendo io, mentre finivo un rullino dopo l'altro nel tentativo di cogliere tutto in un fotogramma. Meditai anche sul fatto che, se fosse vivo oggi, sicuramente sarebbe stato uno di noi, un giornalista o un fotografo di National Geographic. | << | < | > | >> |Pagina 41"GUARDA, O SIGNORE, DALLE TEMPESTE I TUOI FEDELI MARINAI, GUARDALI DAL NAUFRAGIO IMPROVVISO E DALLE PERFIDE TRAME DI ASTUTI NEMICI". Con questa invocazione - passata poi nella cerimonia dello Sposalizio del Mare, durante la quale il doge della Serenissima gettava un anello nuziale alle onde il giorno dell'Ascensione - i veneziani cercavano di propiziarsi gli infidi elementi equorei prima di salpare per un viaggio; con questa preghiera recitata da un sacerdote partivano ogni anno, a primavera intorno a Pasqua e all'inizio dell'autunno, i grandi convogli mercantili chiamati mude, composti da trenta o quaranta imbarcazioni, galere a remi e navi a vela di diverso tonnellaggio scortate da alcune unità da guerra. Con la muda della primavera del 1271 partono i due fratelli Polo, Nicolò e Maffeo; e il primo si porta appresso anche il figlio, il diciassettenne Marco. Partono per mantenere comunque la parola data al Gran Khan di ritornare alla sua corte, anche se non sono in grado di soddisfare il desiderio del più grande sovrano della Terra, il quale aveva chiesto loro di accompagnare nel suo impero del Cathay cento predicatori della fede cristiana. Ma la sede papale è vacante da oltre due anni perché i cardinali elettori non riescono a trovare l'accordo su nessun candidato, e senza pontefice non c'è modo di mettere assieme una così numerosa truppa di missionari. Pazienza, il benevolo Kublai capirà certamente, e non è il caso di perdere altro tempo, ché ai Polo stanno sì a cuore i contatti diplomatici tra le due estremità del mondo, ma più ancora premono i loro interessi commerciali. La flotta veneziana scende lentamente lungo la costa orientale dell'Adriatico, quel labirinto di isole e penisole che è la Dalmazia, su cui la Repubblica di San Marco domina incontrastata, e fa scalo in diversi punti per rifornirsi di acqua fresca e di viveri. A quei tempi la navigazione era soprattutto cabotaggio: le imbarcazioni scivolavano lungo il litorale come sulla corrente di un fiume, sempre in vista della terra per potervisi rifugiare in caso di tempeste o di cattivi incontri con navi nemiche o pirati. Forse uno di quei giorni il giovane Marco avrà scorto all'orizzonte l'isola di Curzola, ultimo possedimento veneziano prima del breve tratto di costa dalmata appartenente alla rivale Repubblica marinara di Ragusa; e magari avrà anche messo piede a terra per una sosta più o meno breve, senza sospettare che di lì a quasi trent'anni in quelle acque il suo destino avrebbe subìto una svolta. | << | < | > | >> |Pagina 254DURANTE IL VIAGGIO VERSO LA XANADU DI KUBLAI KHAN, IN UN VILLAGGIO NON LONTANO DA HOTAN, SUL LIMITE MERIDIONALE DEL DESERTO DI TAKLIMAKAN, MESSER POLO EBBE NOTIZIA DI UN'USANZA LOCALE PIUTTOSTO PARTICOLARE. Quando uno straniero arrivava nella cittadina, uno degli uomini lo invitava nella propria abitazione, quindi gli offriva tutte le donne di casa, mogli o figlie che fossero e che il viandante desiderasse. Poteva farne ciò che voleva e per tutto il tempo che gli aggradava. Nel frattempo il marito, semplicemente, spariva. Ci mettemmo attivamente alla ricerca di questo luogo inusitatamente ospitale, ma non ne trovammo traccia. In ogni caso gli studiosi cinesi confermano l'esistenza di una simile usanza, costume che certamente aveva il fine di arricchire il patrimonio genetico delle aree più remote, evitando la minaccia delle unioni fra consanguinei. Marco, che era un impressionabile diciassettenne quando passò di qui, racconta della bellezza fisica della gente locale, in particolare dell'avvenenza delle donne. Da quanto abbiamo visto e fotografato, i discendenti di quella gente condividono gli stessi attributi. Se quel liberale villaggio d'altri tempi sfuggì alla nostra ricerca, trovammo invece che la coltivazione del cotone, cui Polo si interessa con altrettanta attenzione, è ancora largamente praticata. Per il Veneziano il cotone era la miglior fibra del mondo. In uno dei campi che fotografai mi colpì una giovane con una stampella. Era penosamente china in avanti per sistemare un seme nel nylon che proteggeva il terreno dall'eccessiva evaporazione. La solitaria contadina, con un'unica gamba valida, svolgeva il suo lavoro in quel campo lungo un centinaio di metri con il solo aiuto della gruccia mentre si abbassava per mettere i semi a dimora. Per quanto il cotone sia un'importante risorsa locale, eravamo più interessati a documentare la produzione della fibra che ha dato il nome alla Via della Seta. Oggi la maggior parte della seta esportata dalla Cina proviene da grandi stabilimenti industriali, ma a noi interessavano le antiche tecniche di produzione. Alla fine trovammo quel che cercavamo nei pressi di Hotan, nel deserto del Xinjiang, dove ancor oggi tutta la lavorazione viene svolta a mano. Come avveniva nel XIII secolo, le donne fanno bollire i bozzoli in grandi marmitte collocate in una sorta di forno di cemento ricavato nel pavimento, quindi filano il prodotto con l'ausilio di arcolai di legno, grandi come la ruota di una bicicletta, lo tingono e infine lo tessono su telai azionati con le mani e i piedi. | << | < | > | >> |Pagina 410FU LA NOSTRA ULTIMA TAPPA IN CINA, QUANZHOU, ZAYTON PER MARCO, A OFFRIRCI DEFINITIVAMENTE LA PROVA CHE CERCAVAMO. Ai tempi di Polo Quanzhou era un porto, il più grande del mondo, come dice il Veneziano. Oggi la città non è più uno scalo: in sette secoli il fiume ha insabbiato la baia, ma proprio questo fenomeno naturale ha conservato i resti di una giunca che conferma l'ammirata descrizione di un battello cinese resa da Marco, l'unica al mondo. Nessun documento riguardante una nave simile, né in lingua cinese né in qualsiasi altra lingua, si è conservato. Polo dice che lo scafo delle imbarcazioni cinesi era diviso in tredici "compartimenti stagni", lo stesso numero che si riscontra nel relitto, aggiungendo che le tavole del fasciame erano sovrapposte in strati, da due a sei, a seconda dell'epoca di costruzione: il battello di Quanzhou presentava tre/quattro strati. Era la prova che cercavamo: Marco era stato qui. Polo, inoltre, afferma che in una città della regione venivano prodotte le migliori porcellane cinesi, e noi scoprimmo che a Dehua, un centinaio di chilometri a nord-ovest dell'antico porto (o "cinque ponti" secondo la stima di Marco) si producono porcellane di altissima qualità, anzi le migliori. Qui visitammo una scuola artigianale per fotografare gli allievi all'opera; fu una sorpresa trovarli intenti a riprodurre il busto di un ragazzo della loro stessa età, ma occidentale. Lasciate le vastità dell'entroterra asiatico Marco si diresse a sud, verso l'ancor più smisurata distesa del Mar Cinese Meridionale. Avendo lavorato molto, in passato, nel Sud-est asiatico, avevo familiarità con le zone descritte nel Milione, compreso il Vietnam. Pare che il Veneziano, spinto dagli alisei, abbia fatto scalo a Qhi Nhon, sul 14° parallelo di latitudine nord. Marco scrive anche delle migliaia di isole che formano le Filippine, benché probabilmente non le abbia viste di persona. Anche se non si spinse più a est della Cina stessa, nel suo libro Polo accenna al Giappone: del favoloso Cipangu descrive i tetti rilucenti d'oro, forse riferendosi al Padiglione d'Oro, a Kyoto. Certo è che Kublai Khan, alquanto attratto dall'arcipelago, inviò una flotta a conquistarlo. Ma il kamikaze, il "vento divino" scatenato da un tifone, trasformò l'impresa in un disastro, annientando la forza d'invasione mongola ancor prima che raggiungesse la costa. Due secoli più tardi, la descrizione del Giappone lasciata da Marco affascinò Cristoforo Colombo, che portò con sé nei Caraibi una copia del suo libro. Fino alla morte, il Genovese fu sempre convinto di aver raggiunto il Cipangu descritto da Marco; la scoperta "ufficiale" dell'America, dopo tutto, non fu che un episodio casuale, accaduto a un uomo che, come noi, aveva prestato fiducia assoluta alle parole di Marco Polo. | << | < | > | >> |Pagina 496ERA NATURALE CHE LA FINE DELLA NOSTRA STORIA CI PORTASSE NEL LUOGO IN CUI IL FENOMENO DI MARCO POLO "VIAGGIATORE DEL MONDO" EBBE INIZIO: GENOVA, DOVE IL VENEZIANO FU TENUTO PRIGIONIERO DAI RIVALI GIURATI DELLA SERENISSIMA DOPO TRE ANNI DAL RITORNO IN PATRIA.
E per commentare la triste condizione toccata a quell'uomo, che aveva
assaporato l'immensità dell'Asia e aveva servito il principe del più grande
impero mai costruito, sembravano opportune anche le condizioni del tempo, benché
deludenti e frustranti per un fotografo: quando arrivai a Genova pioveva a
dirotto. In ogni caso è vero che, senza quella carcerazione, forse il Milione
non sarebbe mai stato scritto.
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