Copertina
Autore Zheng Yangwen
Titolo Storia sociale dell'oppio
EdizioneUTET Libreria, Milano, 2007 , pag. 262, cop.ril.sov., dim. 15,5x23,5x2,5 cm , Isbn 978-88-02-07679-9
OriginaleThe Social Life of Opium in China [2005]
TraduttoreCristina Caneva
LettoreFlo Bertelli, 2007
Classe paesi: Cina , storia sociale
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Indice

 VII Introduzione
XVII Ringraziamenti

  3 I. L'ARTE DEGLI ALCHIMISTI, DEL SESSO E DELLE DAME DI CORTE

    L'imperatore ragazzo, p. 9
    Li Shizhen e Da Jindan, p. 13
    La mania dell'oppio, p. 17

 21 II. L'IMPERO HA CAMBIATO MANI

    La vita sociale del tabacco, p. 22
    Cambiamenti nella dieta, p. 26
    La vita sociale del tè e la decadenza dello Jiangnan, p. 31

 39 III. L'ETÀ DEI CALICI, DEL TÈ E DELL'OPPIO

    Il legame della Cina con il sud est asiatico, p. 40
    Un secolo cinese, p. 43
    Il Qinhuai, l'Huafang e l'oppio, p. 48

 57 IV. UN HOBBY TRA GLI UFFICIALI DI ALTO E BASSO GRADO

    Il principe Minning, p. 58
    Consumo consistente e cultura della vergogna, p. 60
    Wen Jiang e Tai Jiang, p. 65
    La lunga marcia dell'oppio, p. 69

 75 V. CREARE IL GUSTO E DETTARE LE MODE

    Gli yanghuo e la classe del tempo libero, p. 75
    Il 5 per cento circa della popolazione, p.81
    Meccanismi di trasmissione culturale, p. 86

 93 VI. LA RIDEFINIZIONE POLITICA DEL CONSUMO DI OPPIO

    Le toghe Cinesi, p. 94
    La guerra dell'oppio è già persa, p. 97
    Immagini e ammonizioni, p. 100
    Dibattito e politicizzazione, p. 105

109 VII. LIQUIDAZIONE ED «ESTENSIFICAZIONE» DELL'OPPIO

    La coltivazione locale, p. 110
    Contrabbando senza confronti, p. 114
    L'esplosione del consumo, p. 120

127 VIII. IL VOLUME DEL FUMO E DELLA POLVERE

    Afrodisiaco e antidoto alla noia, p. 127
    Sopravvivenza e avanzamento sociale, p. 131
    Uno strumento e un'arma, p. 136

143 IX. LA STORIA NON UFFICIALE DEL PAPAVERO

    Lode e condanna, p. 144
    Dal proibizionismo all'intrattenimento, p. 148
    La vita letteraria dell'oppio, p. 152

159 X. L'OPPIO DEL POPOLO

    Il potere del fumo e Yao Qian Shu, p. 160
    La «Macdonaldizzazione» del consumo di oppio, p. 167
    Misurare il volume del fumo, p. 170

179 XI. LA STRADA PER SAINT LOUIS

    La vita materiale dell'oppio, p. 180
    La cultura di consumo, p. 184
    Consumo e identità, p. 188
    Globalizzazione e fumo d'oppio, p. 193

199 XII. IL VIZIO DI SHANGHAI

    L'age d'or de la bourgeoisie chinoise, p. 199
    La modernizzazione dell'oppio, p. 204
    I crimini di guerra giapponesi e la decadenza di Chongqing, p. 208

219 Conclusione
225 Note
243 Bibliografia
253 Indice analitico

 

 

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Pagina VII

Introduzione



La storia dell'oppio è un tema importante nell'ambito della storia cinese moderna. Le sono stati dedicati libri e carriere accademiche. Tuttavia la questione che gli studiosi delle guerre dell'oppio e della Cina moderna non hanno affrontato è come è nata la richiesta di oppio. Chi lo fumava, quando e perché? Il fumo a scopo ricreativo era estraneo alla Cina, e altrettanto si può dire dell'oppio in generale. Come e quando, allora, il consumo di oppio si stabilì all'interno della sofisticata cultura di consumo cinese? L'oppio non solo prosperò, ma divampò come fiamma viva in poche centinaia di anni. Era il periodo in cui l'Occidente europeo, l'Inghilterra in particolare, stava naturalizzando il tè e lo zucchero.

L'oppio ha una storia a sé. Gli storici non l'hanno collocato nel suo contesto sociale e culturale; non hanno tenuto conto del suo consumo nell'ambito della storiografia dedicata all'oppio e alla Cina moderna. Alcuni si sono soffermati sul traffico, altri sulle guerre dell'oppio, alcuni sull'imperialismo e altri ancora sulla politica di controllo. La storia politica dell'oppio, come un teatro di guerra, costituisce solo un aspetto della trattazione. Il nocciolo della questione, secondo me, è invece in primo luogo, il momento in cui l'oppio fu trasformato da medicina a bene di lusso, e in secondo luogo perché divenne così popolare e diffuso da quando si scoprì la sua valenza ricreativa. Per capire a fondo le radici del problema delle guerre dell'oppio e il ruolo che esse ricoprirono nella nascita della Cina moderna bisogna prima spiegare chi fumava oppio, quando e perché. Questo libro studia l'introduzione e la naturalizzazione del fumo di oppio e fa congetture preliminari sul perché i Cinesi ne avessero abbracciato l'uso.

Ho scelto di affrontare lo studio dell'oppio in chiave biografica perché, come hanno sostenuto Arjun Appadurai e Igor Kopytoff, «I beni, come le persone, hanno vita sociale», cioè una «storia di vita». I beni, siano essi case o dipinti, hanno una vita autonoma, indipendentemente da chi li possiede. Impariamo qualcosa su di loro studiandone i proprietari e le rispettive storie di vita. La vita sociale dell'oppio è di fatto una biografia del «signor Oppio», dalla sua nascita come bene ricreativo alla sua vecchiaia come icona sociale. Tale prospettiva sulla circolazione dei beni è incentrata sulle «cose che vengono scambiate», perché come ha detto Arjun Appadurai «I loro significati sono inscritti nelle loro forme, negli usi e nelle traiettorie. È solo attraverso un'analisi di queste traiettorie che riusciamo a interpretare le convenzioni e le valutazioni umane che fanno vivere le cose». Nel caso dell'oppio, la portata sociale del fumo era «inscritta» nei suoi primi consumatori, che erano i letterati e gli ufficiali e sulle pipe incastonate di pietre preziose e disegni simbolici. I Cinesi di diverse classi sociali, regioni ed epoche hanno attribuito all'oppio molti significati, dal lusso alla necessità.

Il «metodo genealogico di indagine antropologica», come ha evidenziato Kopytoff, è rivoluzionario.

L'esempio che porta è quello della schiavitù. Questa ebbe inizio con la cattura: un individuo veniva privato della sua umanità, mercificato e poi reso di nuovo umano quando veniva reinserito nel gruppo che lo ospitava. La disumanizzazione costituisce l'inizio della biografia di uno schiavo, e segna anche la «deviazione di un bene dal suo corso prestabilito». Anche l'oppio ha subito una deviazione: da erba medicinale divenne un bene di lusso. La deviazione è «spesso una funzione di desideri irregolari e di nuove richieste». Evidentemente quello dell'oppio è un caso analogo: nel 1483 un'erba medicinale divenne «l'arte degli alchimisti, del sesso e delle dame di corte». Questa deviazione caratterizzò la storia dell'oppio e di fatto quella della Cina per i cinquecento anni successivi. «Un modello biografico con basi teoriche più salde», sottolineò Kopytoff, dovrebbe «fondarsi su un numero ragionevole di storie di vita». Questo libro è la storia di vita dell'oppio: come afrodisiaco dalla metà della dinastia Ming, come costoso yanghuo o «merce esotica» e hobby tra l'élite di ufficiali e accademici del diciottesimo secolo, e come cultura popolare alla fine del periodo Qing, Repubblicano e oltre. Queste storie ci dicono chi fumava l'oppio, quando e perché, e aiutano anche a cucire insieme un quadro più completo dell'economia Ming-Qing-Repubblicana, mettendo in luce le rispettive culture e società, e consentendoci di osservare sia la continuità che il cambiamento nella cultura di consumo dell'oppio.

Questo libro prende in esame l'oppio da una prospettiva culturale perché, come ha sottolineato Daniel Roche, «Qualunque oggetto, anche il più quotidiano, comporta ingegno, scelte, cultura. Un insieme di conoscenze e un valore aggiunto di significati sono connessi a tutti gli oggetti». L'esempio di Roche è l'abbigliamento. «L'abbigliamento parla di tante cose contemporaneamente, o in generale o attraverso qualche dettaglio. Ha una funzione comunicativa perché è attraverso l'abbigliamento che passa il rapporto del singolo con la comunità». Lo stesso si può dire di altre forme di consumo, incluso il fumo di oppio. Roche enfatizza il fatto che si dovrebbe fare attenzione al tutto come a ogni singola parte; i segni che identificano le minoranze, i colori che possono individuare le funzioni sociali e l'appartenenza a gruppi differenti, il taglio, il materiale, il tipo di gioielli. Di qui il riferimento agli accessori per il fumatore che accompagnavano il consumo di oppio. Roche andava anche oltre: «La storia del consumo deve includere anche l'analisi della domanda e perciò la formazione dei bisogni, la classificazione dei consumatori, i circuiti di distribuzione e la gestione degli spazi per le riserve». Per capire i bisogni dobbiamo capire il «tessuto della nostra vita quotidiana» cioè il «peso reale della vita quotidiana» o la «storia di quello che sembra non avere una storia: la storia materiale e il comportamento biologico, la storia del cibo, la storia del consumo di cibo». Per i Cinesi fumare oppio, così come bere il tè, era vita materiale e comportamento biologico, storia di cibo e cultura di consumo.

L'apporto di Pierre Bourdieu è significativo a questo proposito. Il suo autorevole La Distinction: critique sociale du jugement studiò la «scienza del gusto e del consumo culturale».

Bourdieu applicò questa scienza al consumo di arti e musica; io la estenderò a quello di oppio. Bourdieu vide i gusti come «indicatori di classe» e il consumo come «predisposto, in modo più o meno consapevole e deliberato, per assolvere una funzione sociale di legittimazione delle differenze sociali». Questo valeva anche per l'oppio, poiché i suoi primi consumatori, i letterati e gli ufficiali, avevano cominciato ad apprezzare l'oppio molto prima che la gente «comune» ne sentisse parlare. Furono loro a caratterizzare il fumo di oppio come atto culturale e status symbol, per distinguersi da quelli che erano sotto di loro legittimando così le proprie differenze sociali.

Bourdieu analizzò la fruizione di opere pittoriche e musicali. «Un'opera d'arte ha un significato e un interesse solo per coloro che possiedono la competenza culturale, ovvero il codice con il quale essa è codificata». Una pipa da oppio intagliata con un poema epico e servita da una cortigiana di cultura raffinata aveva un significato solo per chi sapeva apprezzare la poesia e il linguaggio in codice. Bourdieu aveva «un piede nel marxismo strutturale e uno negli studi culturali». Il caso dell'oppio avalla questo approccio. L'oppio era un bene di lusso aristocratico durante la dinastia Ming. Divenne una necessità alla fine del diciannovesimo secolo. La storia dell'oppio è una storia di gusto e distinzione, ma anche di politica e formazione di classe.

Uno delle opere più influenti sul consumo di oppio è La Société de consommation: ses mythes, ses structures di Jean Baudrillard. Per Baudrillard il consumo è un «linguaggio».

Rompendo con un orientamento produttivista tradizionale, il teorico sociale post moderno era convinto che il consumo fosse «sia una morale sia un sistema di comunicazione, una struttura di scambio».

Questo è certamente vero per il fumo di oppio, poiché offrire il fumo ad amici, colleghi e ospiti, nella Cina tra il tardo Qing e l'inizio dell'era Repubblicana, implicava un valore socio-culturale fondamentale. Indipendentemente dal fatto che si approvasse o meno l'oppio, si doveva offrire il fumo per essere «ti mian» (educato e alla moda): si crearono così una «morale», un «sistema di comunicazione», «una struttura di scambio» cinesi. Molti avevano paura di sfigurare trovandosene sprovvisti, e così il consumo divenne consistente. Il consumo in se stesso è soggetto a manipolazioni individuali; è anche soggetto a controllo sociale e a ridefinizione politica. Si possono individuare paralleli con l'alcool in generale e con la vodka in particolare. L'oppio è un perfetto esempio di ridefinizione politica del consumo. Quando i ricchi lo fumavano era un fenomeno culturale e un segno di distinzione: quando cominciarono a inalarlo i poveri, fumare oppio divenne degradante e in ultima istanza fuori legge. Le classi più basseresero le conseguenze del fumo di oppio visibili e sociali: i letterati e gli ufficiali avevano il potere di reinterpretare il suo consumo. Il consumo non è mai stato semplicemente una questione economica.

Mary Douglas propose «una prospettiva antropologica distintiva» in Constructive Drinking. Gli antropologi portarono il «loro punto di vista professionale e fornirono un contributo interessante sullo stesso materiale studiato dagli specialisti dell'abuso di alcol». Sostenevano che la ricerca medica e quella sociologica avessero ingigantito i problemi. Come evidenziò Dwight Heath «Persino i professionisti delle "scienze dure", riconoscono che i fattori sociali e culturali devono essere presi in considerazione, insieme a quelli fisiologici e psicologici, quando si tenta di capire l'interazione dell'alcool e del comportamento umano».

Allargo questa prospettiva antropologica specifica all'oppio, perché bere e fumare sono ovviamente comportamenti analoghi. «Bere è essenzialmente un atto sociale, eseguito in un contesto sociale riconoscibile»: lo stesso valeva per il fumo di oppio.

Molti autori hanno studiato il contesto sociale del consumo. Living Water di David Christian sosteneva che la vodka avesse giocato un ruolo fondamentale nella società russa alla vigilia della Rivoluzione. Thomas Brennan illustrò gli «usi positivi del bere» nella Parigi pre-rivoluzionaria. Anche David Hardiman illustrò i diversi programmi politici connessi con il bere nell'India coloniale. Il lavoro di Brennan è importante, perché ha sfidato gli accreditati resoconti degli intermediari, «le tre toghe» – il clero, la nobiltà, le libere professioni – la loro condanna delle fumerie e di conseguenza la loro influenza sullo studio della cultura popolare. Qui sfiderò gli accreditati resoconti delle «toghe cinesi».

Deborah Lupton è andata oltre nella comprensione della storia del cibo e della cultura del consumo. «Il cibo insieme alle abitudini e alle preferenze alimentari non risponde solo al nostro bisogno di nutrirci», scrive. Lo stesso vale per l'oppio, poiché fumare non riempie lo stomaco. «Il cibo è inestricabilmente correlato con l'appartenenza a un gruppo, come la parentela» continua Lupton e l'oppio ancora una volta costituisce un buon esempio perché gli amici o la famiglia si radunavano per condividere il tempo libero attraverso il fumo.

Il cibo è il «bene "consumabile" finale»; e lo era anche l'oppio. Gorge Ritzer aveva definito la «mcdonaldizzazione», un processo attraverso il quale le società provvedono al «minimo comun denominatore» della cultura di consumo di massa. Lo stesso accadde con l'oppio nella tarda dinastia Qing, quando il fumo provvedeva al minimo comun denominatore cinese (coolies e contadini). Peter Atkins e Ian Boiler hanno sintetizzato le recenti tendenze degli studi sul cibo. Se i funzionalisti enfatizzano «la natura utilitaria del cibo», gli strutturalisti si concentrano su «cause e significati più ampi e profondi delle abitudini alimentari» e su come «il gusto sia culturalmente costituito e socialmente controllato». Fumare oppio era un fatto di natura utilitaria, ma anche condizionato da un punto di vista socio-culturale. I funzionalisti strutturali come Mary Douglas, hanno attinto elementi da entrambi gli approcci. Douglas ha decifrato la grammatica del pasto, un evento sociale strutturato. Quello che farò io è decodificare la sintassi del fumo di oppio «allontanandomi dalle spiegazioni produttiviste della società, che così a lungo hanno dominato il materialismo, per rivolgermi a un modello che possa far posto a considerazioni di consumo e stile di vita». Ciò attiene allo studio dell'oppio come merce, e del fumo come storia del cibo e cultura del consumo.

Le su menzionate «tre toghe» hanno a che fare con le fonti e assumono grande rilevanza nello studio dell'oppio. Molti di coloro che scrissero sull'oppio usarono fonti fornite dalla corte o dal governo. Queste opere erano di natura proibizionista ed erano il prodotto di una ridefinizione politica. È pressoché lo stesso problema del quale si lamentava Brennan quando scriveva sul bere pubblico e sulla cultura popolare della Parigi del diciottesimo secolo: «Le informazioni sulle vite della gente comune sono sempre arrivate da un prospettiva esterna e socialmente superiore. In questo modo, per generazioni, le opinioni degli osservatori delle classi alte hanno forgiato i resoconti storici, fornendo le testimonianze più accessibili e coerenti». Vista da questa prospettiva, la cultura popolare del bere in pubblico era un «contributo essenziale e un segno evidente» della natura degradata delle classi basse, e la fumeria era «un simbolo di miseria e depravazione».

La concezione dell'oppio subì lo stesso destino nel diciannovesimo secolo. Gli storici che usavano fonti proibizioniste fornite volutamente o meno dal governo perpetuarono la linea ufficiale di pregiudizio nella loro condanna dell'oppio. Tuttavia, gli studiosi e gli ufficiali stessi ci hanno messo in guardia dal pregiudizio delle storiografie ufficiali: «Le fonti di uno storico sono tre, la storia ufficiale, quella familiare e quella non ufficiale».

Anche le generazioni precedenti di sinologi hanno messo in guardia sul problema: «La storia cinese è stata scritta dai burocrati per i burocrati». Questo contribuisce a spiegare perché la storia ufficiale abbia una «solenne funzione etica, il dovere di esprimere "lode e biasimo"».

Illuminata da tali prospettive, mi sono tuffata nell'oceano delle storie ufficiose e delle fonti non convenzionali, come i biji o zaji, cioè annotazioni, schizzi o miscellanee e libri pornografici. Più libri leggevo, più notizie scoprivo su chi fumava oppio e in quali circostanze. Il Libianxian Zhiyan, per esempio, rivelava che l'oppio, alla metà del periodo Jiaqing «stava diventando un passatempo tra gli ufficiali a tutti i livelli». Gli accademici e gli ufficiali erano i primi consumatori d'oppio; tuttavia condannarono il fumo nel 1830, quando il consumo di oppio necessitava di una definizione politica. I Yin shu, o i libri pornografici sono i più utili: il huafanglu, per esempio, è dedicato all'industria del sesso. Questi libri rivelano le circostanze in cui uomini e donne fumavano oppio, e in che misura oppio e sesso contribuirono ad alimentare l'industria, a partire dal medio Qing. I libri dimostrano il valore delle fonti non convenzionali e avvalorano la tesi secondo cui la storiografia ufficiosa completa quella ufficiale. Non solo ho avuto modo di apprezzare questi libri deliziosi, ma ho anche trovato più materiale di quello che serviva al mio lavoro, ho individuato progetti di ricerca futuri e imparato a nuotare nell'oceano delle fonti cinesi. Altre fonti utili sono i menù per le cene e i matrimoni del periodo tra il tardo Qing e l'età Repubblicana, quando il divertimento era accompagnato ed esaltato dal fumo d'oppio.

Questo libro segue il viaggio dell'oppio dalla sua nascita come elemento ricreativo, fino alla sua vecchiaia come icona sociale. I capitoli che seguono prendono in esame ciascuno degli strati sociali che hanno fatto uso di oppio e/o le circostanze del loro uso. Dal lusso alla necessità, il consumo di oppio è passato attraverso varie fasi: dalla sua prima introduzione alla trasformazione nel quindicesimo secolo, dalla popolarizzazione nel diciottesimo, all'urbanizzazione dal 1800 al 1860, dalla completa socializzazione (1861–1911) al declino finale nel ventesimo secolo.

Il capitolo 1 segue la vita sociale dell'oppio fin dalla dinastia Ming, quando l'oppio venne trasformato da medicina a bene di lusso. Gli stati vassalli presentavano l'oppio come tributo alla corte Ming e questo divenne un afrodisiaco per gli imperatori e le loro influenti consorti. Questa trasformazione da medicina ad afrodisiaco sarebbe sopravvissuta alla dinastia Ming. Il capitolo 2 è incentrato sul diciassettesimo secolo. L'impero cambiò mani e il fumo di tabacco fu naturalizzato. Qui colloco l'oppio nel contesto più ampio delle sue culture sorelle: il tabacco da fiuto e le quattro culture di consumo, tè, cucina, utensili ed erbe. Allo stesso modo in cui l'economia, la cultura e la società Ming promossero l'assimilazione del tabacco e del fumo, così le quattro culture di consumo fornirono il miglior terreno su cui l'oppio era destinato a crescere. Il capitolo 3 studia il diciottesimo secolo. L'oppio arrivò in Cina attraverso due strade: la prima era quella del tributo, l'altra era rappresentata dai soggiornanti del sud est asiatico e dagli aspiranti alla conquista di Taiwan. L'oppio era un'aggiunta naturale all'economia, alla cultura e alla società Qing. Inoltre i letterati e gli ufficiali d'alto rango favorirono il suo inserimento nelle abitudini sessuali comuni.

Il capitolo 4 esamina il breve regno di Jiaqing (1799-1819). L'oppio si fece strada all'interno con l'aiuto dei compradores e degli ufficiali corrotti. Intanto il fumo si diffuse dai principi agli eunuchi. Il regno di Jiaqing vide l'oppio permeare di sé il sistema dei letterati e degli ufficiali, crescendo in popolarità e disponibilità.

Il capitolo 5 è dedicato alla prima metà del regno di Daoguang (1820-1850). L'élite di letterati, artisti e ufficiali diede l'esempio nel fumo di oppio, plasmando i gusti e le tendenze dei centri urbani. Furono loro a diffondere il vangelo dell'oppio, mentre il fumo si faceva strada dalle classi alte a quelle medie fino alle più basse. Il capitolo 6 discute la ridefinizione politica del consumo, alla vigilia della prima Guerra dell'Oppio (1839-1842). Quando i letterati fumavano, l'oppio era cultura, quando cominciarono a inalarlo i poveri, l'oppio divenne un problema sociale. Portò al proibizionismo e alla guerra. Condusse con sé anche un discorso politico che dura fino ai giorni nostri. La Cina ha perso la guerra con la Gran Bretagna perché aveva già perso la guerra con l'oppio. Il capitolo 7 è incentrato sugli anni Quaranta e Cinquanta del diciannovesimo secolo. Questi anni cruciali tra le due guerre videro lo scoppio della seconda Guerra dell'Oppio (1856-1860), ma anche la proliferazione del contrabbando, delle coltivazioni locali e del consumo. Mentre si combattevano le guerre, l'oppio conduceva una vita sociale consistente. Locali destinati al fumo sorgevano accanto ai magazzini di riso e alle case da tè nel 1860.

Come il riso e il tè, l'oppio era diventato una necessità per i Cinesi. Il capitolo 8 è dedicato alle donne e alla loro vita con l'oppio. L'oppio continuò a sopravvivere come afrodisiaco e alimentò l'industria dello svago sessuale alla fine del Qing e oltre. Aiutò i ricchi a sfuggire alla noia, i poveri a sopravvivere, creò posti di lavoro per le donne ma al tempo stesso intensificò la loro sottomissione.

Il capitolo 9 si sofferma sulla letteratura nata dall'oppio, sia essa di lode, di condanna o genere narrativo. «La lingua è di importanza fondamentale nella trasmissione culturale», disse Evelyn Rawski; l'oppio ci consente di verificare questa importanza e i meccanismi di trasmissione culturale.

La letteratura dimostrò la popolarità dell'oppio e, cosa ancor più importante, lo instillò nella mente dei cinesi. Il capitolo 10 guarda alla seconda metà del secolo, dopo il 1860. Il consumo di oppio era completamente entrato nella società, poiché le classi subalterne dei coolies dipendevano da esso per svolgere le loro mansioni, e i politici lo usavano per finanziare la modernizzazione. L'oppio continuò così a fare ammalare la Cina, ma contribuì anche a rigenerarne l'economia, la cultura e la società, poiché milioni di persone, dall'imperatrice Dowager alla gente comune, lo apprezzavano. Il capitolo 11 studia il culto e la cultura dell'oppio alla fine dell'epoca Qing-Repubblicana, quando il consumo divenne una raffinata cultura popolare e materiale. L'oppio era così chic e à la mode che univa gli stranieri e intratteneva amici e famiglie. Divenne una norma di contatto e scambio sociale. Molti individui e famiglie si identificavano con l'oppio. Di fatto infine l'oppio venne ad identificarsi con la nazione cinese a livello internazionale. Il capitolo 12 si concentra sul ventesimo secolo, quando l'oppio diventò un'economia politica, e i signori della guerra, Nazionalisti, Comunisti e Giapponesi, se lo contesero per soggiogare la Cina. Chi controllava l'oppio poteva controllare la Cina. E per di più, negli anni Novanta, i moderni derivati dell'oppio tornarono a tormentare la nazione.

Da afrodisiaco a cultura materiale, da identità sociale a economia politica, l'oppio condusse un'intensa vita sociale e giocò un ruolo ancor più rilevante nel teatro della Cina moderna. Questo libro racconta la storia dell'oppio, e nel farlo, rivela anche alcuni «buchi neri» nello studio della Cina. Primo: l'oppio è la storia di un afrodisiaco e di un intrattenimento sessuale. Benché molti abbiano studiato la prostituzione, l'oppio allarga la nostra visuale sull'«arte del sesso» cinese. Secondo: l'oppio mette in evidenza i meccanismi di trasmissione culturale. Dal sud est asiatico alla Cina, all'Europa occidentale al nord America, l'oppio si diffuse con lo stesso sistema. Questo sistema di trasmissione culturale translinguistica, trans-classista e transcontinentale merita ulteriori studi. Terzo: gli storici hanno ignorato la marcia interna dell'oppio. Questo libro mette in evidenza il trasporto dell'oppio e la sua distribuzione all'interno della Cina. Quarto: nel loro sforzo di valutare la complessità dell'economia Ming-Qing, gli storici hanno mancato di studiare una tendenza importante dei consumatori, il yanghuo re, il desiderio per la merce straniera. Legno di sandalo, nidi di uccelli, carillon, venivano dal sud est dell'Asia, come avrebbe fatto l'oppio. Gli storici hanno ignorato anche i primi consumatori di yanghuo: la corte, i letterati e gli ufficiali. Questi diffusero il vangelo degli yanghuo e contribuirono a creare la domanda per l'oppio. Quinto: molti storici sono caduti vittima delle storie ufficiali e hanno continuato erroneamente a credere che l'oppio fosse un vizio che i «Cinesi illuminati volevano sopprimere». Fu questa la ridefinizione politica del consumo di oppio.

Sesto: le circostanze in cui le donne cedettero all'oppio variavano enormemente. Non dobbiamo generalizzare sulle donne cinesi; la storia dell'oppio dimostra questa tesi. Settimo: molti hanno messo l'accento sugli effetti devastanti dell'oppio nel tardo periodo Qing, ma pochi hanno osservato che si trattava anche di una cultura di consumo, materiale e popolare. L'oppio poteva distruggere le persone, ma anche divertirle e alleviarne fatiche e dolori.

Un ultimo «buco nero» riguarda i Comunisti. Chen Yongfa è convinto che coltivassero l'oppio in Yan'an al fine di risollevare la crisi economica. Io ribatto che erano di fatto uno dei «regimi dell'oppio». «La crescita economica durante il Ming-Qing non sarebbe stata consistente se non avesse prodotto un impatto percepibile sulla vita della gente comune». L'oppio ci permette di scorgere questo impatto percepibile sulla vita dei cinesi comuni. La vicinanza politica e genealogica della Cina con il sud est asiatico facilitò l'introduzione del fumo e dell'oppio. Esso tuttavia non avrebbe prosperato senza la fiorente economia delle città di mercato e le culture indigene di consumo. I Cinesi assimilarono e ridefinirono un modello straniero per il tempo libero, lo inglobarono nell'ambito generale del loro svago e degli intrattenimenti sessuali. Il fumo di oppio non avrebbe potuto arrivare in un luogo migliore in un momento migliore; fu una gradita aggiunta all'economia, alla cultura e alla società Ming-Qing-Repubblicana. La naturalizzazione dell'oppio in Cina sfruttò sia forze esogene che endogene; le dinamiche possono essere individuate all'incontro di queste due forze. Su questo paradigma sinocentrico nasceranno nuovi studi storici. La vita sociale dell'oppio in Cina è un inizio.

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Pagina 202

A Shanghai si incontravano Oriente e Occidente. Qualcuno la chiamava la «Costantinopoli d'Oriente», altri «la prostituta d'Asia» alcuni la «città dei Taipan» e altri la «Parigi dell'est». Molti stranieri trovavano casa, carriera e fortuna nei famosi Insediamenti. I Shili yangchang, «dieci miglia di terra straniera» erano pieni di uffici in stile europeo. Oltre alle vecchie compagnie come Jardine Matheson, c'erano i nuovi arrivati, i Sassoon ad esempio. Erano i «signori di Shanghai» o «i più grandi promotori di Shanghai» ma erano anche chiamati «i bambini viziati dell'impero».

Shanghai era un paradiso per chi era alla ricerca di piaceri e per chi andava a caccia di fortuna. Ma era anche un inferno dove la povertà e il vizio vivevano fianco a fianco con la ricchezza e con Dio. Percy Finch un giornalista americano che lavorò a Shanghai dagli anni Venti agli anni Quaranta scrisse un resoconto della vita sociale dell'oppio in quella città:

Shanghai era la città di Nepente. Avvolti in sogni d'oppio, i coolies si spogliavano della fatica quotidiana in qualche fumoso tugurio, e il banchiere dimenticava le preoccupazioni degli affari mentre si godeva quel momento di ineffabile soddisfazione nel suo recinto murato con un bravo servo che riempiva la sua pipa di filigrana. [...] Shanghai non era solo di gran lunga la più grande consumatrice di narcotici della nazione, era il serbatoio di quel fiume di veleno che scorreva nelle vene della Cina. Incalcolabili quantità di succo di papavero, dannoso per il corpo e la mente, e la sua progenie cristallina da laboratorio, morfina ed eroina, arrivarono in città. Se le necessità ospedaliere e scientifiche ne richiedevano alcuni grammi, Shanghai ne trattava tonnellate, abbastanza per rifornire qualsiasi nazione, una mezza dozzina di nazioni, un continente.

Tonnellate non era un'esagerazione. L'oppio era «la fortune de Shanghai» per il singolo ma anche per il Consiglio Municipale che traeva vantaggio dalle tasse sulle licenze e sulle vendite. Jardine Matheson aveva fatto storia. La Shanghai del ventesimo secolo avrebbe prodotto il più sofisticato e globalmente organizzato monopolio criminale. Frederic Wakeman ha studiato il crimine organizzato legato all'oppio e alla politica di polizia, mentre Brian Martin ha esaminato la nascita della Banda Verde, che operava nell'Insediamento Francese, prendendo ordini da Du Yuesheng, il «re dell'oppio».

L'oppio proveniente dall'India e dal Sichuan veniva scaricato e messo al sicuro nei magazzini dell'Insediamento dove non si applicavano né le leggi cinesi né quelle straniere. Questo richiedeva un accordo e un pagamento alle autorità consolari e di polizia francesi. Non solo i francesi collaborarono con la Banda Verde, ma le fornirono anche alcuni membri corrotti della squadra di detective francesi chiamati l'Uniforme Cinese. I membri della banda riempivano anche le fila della polizia cinese e costituivano l'abituale flusso di fumatori, quando «le pipe ardevano nell'ombra della stazione centrale di polizia». I boss della malavita cinese non amavano i francesi, avevano solo bisogno della loro extraterritorialità per sfuggire alla propria giurisdizione. Lo stesso scenario di conflitto e cooperazione si doveva ritrovare in altri partenariati commerciali tra Cina e paesi stranieri. L'autorità francese a Shanghai era davvero uno dei «regimi dell'oppio». Non solo, la Francia controllava anche parte della via di approvvigionamento, l'Indocina. L'oppio del Sichuan e dello Yunnan venivano contrabbandati attraverso l'Indocina, a Shanghai e in altre parti della Cina. Il governatore dell'Indocina autorizzò il trasporto dell'oppio cinese via Tochino.

Gli storici francesi hanno studiato «la regie de l'opium en Cochinchine» e «le monopole au Tonkin et an Annam». I Francesi approfittavano dell'Indocina e dell'insediamento di Shanghai: anche a loro piaceva fumare, come scriveva sorpreso Guy Brossollet: «quelques Francais participient au trafic. Quelques autres, en quete de bonheur artificiels, fument». La popolarità dell'oppio tra i Francesi si può osservare ne La belle époque de l'opium e nelle fotografie di Gyula Halasz Brassai.

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