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| << | < | > | >> |Indice7 Premessa 15 Capitolo I Introduzione. Il quartiere come area complessa di analisi 29 Capitolo II Le traiettorie dei quartieri periferici milanesi 51 Capitolo III Senso d'insicurezza e vulnerabilità sociale nei quartieri periferici 71 Capitolo IV Abitare le periferie tra incertezza e senso di abbandono 87 Capitolo V Conclusioni |
| << | < | > | >> |Pagina 17Il quartiere e l'abitazione, intesi come pratiche e modelli residenziali, rappresentano due rilevanti ambiti di analisi del fenomeno urbano. La loro individuazione delimita una porzione specifica di città, un panorama territoriale e sociale nel quale agisce e si sviluppa una molteplicità di fattori, risorse e criticità, che deve essere indagata proprio all'interno della dimensione stessa in cui prende forma.Si tratta di due categorie analitico-interpretative "socialmente connotate", in grado cioè di mostrare la natura prettamente sociale della realtà urbana. Ad esse è stata attribuita una capacità d'immediata identificazione con il locale, d'interpretazione delle dinamiche della microsocialità e, soprattutto, di espressione concreta del legame che gli individui intrattengono con lo spazio. Un legame – questo – complesso, caratterizzato da molteplici aspetti non sempre facilmente ricostruibili; carico di accezioni simboliche, affettive e valoriali che lo connotano semanticamente e gli assegnano un significato che va oltre la semplice dimensione fisico-geografica. Porre l'accento sul concetto di quartiere significa quindi ragionare intorno all'identità sociale dei luoghi, ovvero intorno all'esperienza urbana nei singoli contesti locali d'interazione. | << | < | > | >> |Pagina 53Mentre a livello milanese i problemi maggiormente sentiti dai residenti sembrano riguardare soprattutto questioni di environment, ovvero tematiche connesse alla qualità della vita sotto il profilo ambientale (inquinamento e traffico), nelle aree più problematiche della città è il tema della sicurezza a occupare il primo posto tra le preoccupazioni degli abitanti.Anche a livello europeo emerge, tra gli abitanti dei quartieri periferici, un diffuso senso d'insicurezza, che va ad acuire il disagio di aree già di per sé afflitte da problemi di ordine fisico e sociale. Nel caso milanese – che non mostra comunque una situazione di estremo malessere, quale quella segnalata ad esempio in alcune città inglesi – la sensazione di insicurezza riguarda circa il 40% degli intervistati. Il quadro delle periferie e delle aree a rischio oggi a Milano si arricchisce di ulteriori riflessioni se si considera l'andamento di alcuni indicatori relativi all'auto-percezione della propria condizione di povertà e disagio. In generale, vi è una quota maggiore di milanesi che si sentono poveri (23%) rispetto a quanti "oggettivamente" lo sono in base agli indicatori condivisi (14%). Questa forbice tende però ad ampliarsi nelle aree periferiche. Infatti, mentre le zone comprese tra il centro storico e la seconda cerchia presentano un tasso di povertà soggettiva assai simile (intorno al 20%), e non di molto superiore all'indice di diffusione della povertà oggettiva (intorno al 14%), l'area dei grandi quartieri periferici presenta un tasso di povertà soggettiva assai più elevato (pari al 30%), e quasi doppio rispetto al tasso di povertà oggettiva. Come a dire che nelle periferie i soggetti vivono una condizione particolarmente negativa – d'insicurezza, di precarietà, in qualche modo di pessimismo sul proprio status – in misura almeno in parte indipendente dall'effettiva condizione di deprivazione materiale individuale, e forse connessa ai processi di limitazione delle opportunità su base territoriale discussi nel capitolo introduttivo. | << | < | > | >> |Pagina 573.2 La distribuzione spaziale del disagioDa alcuni dati molto recenti risulta che una quota oscillante tra il 13% e il 14% della popolazione residente a Milano – corrispondente a circa 160.000-180.000 abitanti – si trova in una condizione di povertà oggettiva o, comunque, di medio/grave disagio sociale. Una quota allarmante e preoccupante per una città che continua a occupare le primissime posizioni in tutte le classifiche sul benessere economico delle città italiane. Non solo, una quota allarmante e preoccupante per una città che in molti periodi della sua storia è riuscita a fare dell'integrazione un obiettivo di convivenza sociale. È certamente la fascia più periferica quella in cui si concentrano le situazioni di maggiore disagio e precarietà sociale. È qui, infatti, che si registra il più alto tasso di povertà relativa rispetto alla media cittadina, ma anche la più alta presenza di abitazioni in affitto pubblico e la minore disponibilità individuale di spazio abitativo, indicatori questi che denotano basso livello economico del singolo o della famiglia, nonché bassa o non soddisfacente qualità della vita. Tuttavia, come è stato evidenziato nei capitoli precedenti – ma questo è un punto di riflessione assai importante – se è vero che la distribuzione del disagio tende a crescere man mano che ci si allontana dalle aree centrali, è altrettanto vero che Milano si caratterizza sempre più per la presenza di micro-aree ad alta densità di povertà e disagio, localizzate un po' ovunque nella città. | << | < | > | >> |Pagina 653.6 La stigmatizzazioneUn ultimo aspetto su cui è utile richiamare l'attenzione riguarda la stigmatizzazione delle periferie e il ruolo dei media. In effetti, la periferia viene spesso rappresentata come «l'altra città, in cui valgono più le assenze che le presenze, non sa ostentare servizi culturali o attrazioni di qualche genere, [...] non sa vantare valori naturalistici o apprezzabili spazi pubblici; pur essendo un agglomerato urbano, non si conosce né riconosce come tale, pare ovunque identica, solitamente non si ricorda, si rimuove piuttosto, [...] vi manca sempre qualcosa o meglio non presenta quasi nulla oltre a un persistente stato di degrado, traffici particolari, rifiuti in eccesso e violenza gratuita». Sentimenti e percezioni, questi, che vengono vieppiù legittimati e "drammatizzati" dall'uso che stampa, media in generale, narrativa e una consolidata filmografia fanno degli stereotipi sociali. Nella "costruzione sociale della paura" i mezzi di comunicazione di massa svolgono un ruolo fondamentale. Sono i media, infatti, che selezionano le informazioni, scelgono le tecniche e gli strumenti narrativi più adeguati ad amplificare o minimizzare i fatti, «trasmettendo (o confermando) certi tipi di messaggi, immagini, stereotipi e pregiudizi, valutazioni ed opinioni». Sono ancora i media che contribuiscono a creare un certo clima sociale, dando spazio, o al contrario tacitando, le posizioni di volta in volta espresse da istituzioni, partiti, movimenti d'opinione. Con ciò non si vuole certo dire che il tema della sicurezza sia "costruito" esclusivamente e direttamente attraverso l'azione dei media. È indubbio che, soprattutto tra la fine degli anni sessanta e gli anni ottanta, i quartieri periferici divennero terreno ideale per l'insediamento delle attività illecite della malavita organizzata. Nel quartiere Stadera, ad esempio, la chiusura delle principali sedi associative permise la trasformazione di alcune vie del quartiere in un vero e proprio «grande supermercato della droga completo di magazzini, punti di vendita, casse, uscite di emergenza (in caso di visite delle forze dell'ordine), centri di primo intervento per le emergenze (magazzini di armi e munizioni)». Non si può tuttavia negare che la facile evocazione dell'appellativo di Bronx, di città Far West, che spesso accompagna le periferie — anche quelle milanesi — fa sì che si verifichi una sproporzione tra reazione sociale e forme di devianza e criminalità effettivamente presenti in questi luoghi. In molti casi, l'omologazione fisica dei quartieri periferici tende a far percepire le aree come uniformemente criminose. Ricostruendo le storie dei quartieri periferici milanesi attraverso i racconti degli stessi abitanti, emerge però una diversa percezione del pericolo e della paura. In contrasto all'immagine d'interi quartieri inaccessibili perché insicuri, i residenti circoscrivono spesso il fenomeno criminoso a una zona particolare, come singole scale, numeri civici, parti di isolati: «In via Teano 36 era meglio non andare. In Val di Bondo 9 potevi andarci perché abitavano quelli delle forze dell'ordine». «Al campo giochi di via Forni, quando c'era il torneo, venivano a giocare quelli di via Spadini, che era esattamente una delle vie peggiori. Allora dicevano che ci abitavano quasi tutti quelli delinquenti. Quando andavi a giocare al campo in via Spadini era come se andavi a giocare in Garibaldi, anche se la distanza era minima».
Le periferie sembrano dunque subire quei processi di «surplus di
penalizzazione» di cui parla Lemert e questo non fa altro che peggiorare,
oggettivamente e soggettivamente, la qualità della vita in un contesto già
caratterizzato da una molteplicità di criticità. La stigmatizzazione sociale dí
alcune zone, infatti, facendo risaltare esclusivamente status egemoni negativi
con il continuo riferimento a condizioni di vita difficili e l'enumerazione solo
degli aspetti problematici, finisce per condizionare negativamente la vita del
quartiere, e quindi la vita delle persone che lo abitano.
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