Copertina
Autore Semir Zeki
Titolo La visione dall'interno
SottotitoloArte e cervello
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2003, Nuova Cultura 98 , pag. 272, dim. 150x220x20 mm , Isbn 978-88-339-1471-8
OriginaleInner Vision. An Exploration of Art and the Brain
EdizioneOxford University Press, Oxford - New York, 1999
TraduttorePaolo Pagli, Giovanna De Vivo
LettoreRenato di Stefano, 2003
Classe scienze cognitive , arte , teoria dell'arte , sensi
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Indice

  9 Prefazione all'edizione italiana
 11 Ringraziamenti

    La visione dall'interno

    Parte prima

    Una funzione del cervello e dell'arte

 17 1.  La ricerca dell'essenziale da parte del cervello
 24 2.  La ricerca dell'essenziale nell'arte
 29 3.  L'illusione di 'vedere con gli occhi'
 40 4.  Una valutazione neurobiologica di Vermeer e
        Michelangelo
 57 5.  Neurologia dell'idea platonica
 71 6.  La ricerca dell'essenziale nel cubismo
 79 7.  Modularità della visione
            Le varie aree visive del cervello e le loro
                specializzazioni funzionali, 80
            I sistemi percettivi separati della visione e la
                loro gerarchia temporale, 88
 92 8.  Vedere e capire
103 9.  Modularità dell'estetica visiva
            La patologia dell'esperienza estetica ne rivela
                la modularità, 103
            La specializzazione funzionale dell'estetica
                visiva, 11O
112 1O. Patologia dell'idea platonica e del concetto
        hegeliano

    Parte seconda

    L'arte del campo recettivo

121 11. Il campo recettivo
126 12. Mondrian, Malevic e la neurofisiologia delle linee
        orientate
141 13. Mondrian, Ben Nicholson, Malevic e la
        neurofisiologia dei quadrati e dei rettangoli
149 14. Problemi di percezione creati dai campi recettivi
156 15. Neurofisiologia del MetaMalevic e del MetaKandinskij
166 16. L'arte cinetica

    Parte terza

    Esame neurologico di alcune forme d'arte

193 17. Non riconoscere i volti: un ritratto della
        prosopagnosia
209 18. Fisiologia della visione dei colori
224 19. Il cervello dei fauves
232 20. Neurologia dell'arte astratta e dell'arte figurativa
236 21. Il cervello di Monet

243 Epilogo
247 Bibliografia
261 Indice analitico
265 Fonti delle illustrazioni

 

 

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Pagina 17

1.

La ricerca dell'essenziale da parte del cervello

Questo non è tanto un libro sull'arte quanto un libro sul cervello. Esso nasce dalla mia convinzione che, in gran parte, la funzione dell'arte e quella del nostro cervello visivo siano una sola, o almeno che gli obiettivi dell'arte costituiscano un'estensione delle funzioni del cervello. Perciò, disponendo di maggiori conoscenze sull'attività del cervello in generale e del cervello visivo in particolare, potremmo essere in grado di abbozzare una teoria estetica a base biologica. Parlo di «abbozzare» perché la nostra conoscenza del funzionamento del cervello è ancora molto approssimata e non siamo quindi in grado di inquadrare in maniera precisa le modalità della visione. Data la limitatezza delle nostre conoscenze è ancora più difficile descrivere nei particolari come e quando sorga l'esperienza estetica indotta da un'opera d'arte, ammesso pure che si possa dirne qualcosa, e ancora di più descrivere le basi neurologiche dell'esperienza emotiva che essa risveglia. Un critico d'arte può ben considerare perfetto un quadro; può pensare che esso non abbia bisogno della minima aggiunta e noi possiamo essere o non essere d'accordo con lui. Però ignoriamo totalmente attraverso quali processi cerebrali egli raggiunga le sue conclusioni. In realtà questo è un campo d'indagine la cui esplorazione è oggi in una fase appena embrionale, e in cui la neurologia non è ancora neppure entrata. Naturalmente questo fatto non costituisce un buon motivo per non provare a incamminarsi in quella direzione. Tutte le arti visive sono espressione del nostro cervello e quindi devono obbedire alle sue leggi, nell'ideazione, nell'esecuzione o nella valutazione, e nessuna teoria estetica che non si basi in modo sostanziale sull'attività del cervello potrà mai essere completa, né profonda. Nell'ultimo quarto del Novecento abbiamo raccolto abbastanza informazioni sul cervello visivo da poter abbozzare le prime linee di un discorso sull'arte visiva, perlomeno al livello dell'esperienza percettiva, che costituisce l'argomento principale del libro. Su questo punto, tuttavia, non si può essere esaustivi, e risultando più facile concentrare l'attenzione sui movimenti artistici recenti, ho seguito anch'io questa strategia. In pratica, data l'insufficienza delle nostre conoscenze sulle relazioni tra la fisiologia del cervello e la percezione delle opere d'arte descrittive e figurative, che sono le più complesse, ho preferito limitarmi qui a una trattazione sommaria. Il mio scopo principale è convincere il lettore che siamo all'inizio di una grande impresa: imparare qualcosa sulle basi neurobiologiche di uno dei più nobili e profondi tentativi dell'uomo. Inoltre spero che le pagine di questo libro costituiscano un modesto contributo e un primo passo per porre le fondamenta di una neurologia dell'estetica o neuroestetica, cioè per comprendere le basi biologiche dell'esperienza estetica.

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Pagina 28

In sintesi, il cervello ha un compito, pervenire alla conoscenza del mondo, ma nello svolgimento di questo compito incontra un ostacolo, il fatto cioè che, per conseguire tale conoscenza, deve estrarre informazioni sugli aspetti essenziali, costanti del nostro universo visivo a partire da una massa di dati in continuo cambiamento. Allo stesso modo, anche l'arte persegue uno scopo che, nelle parole degli stessi artisti, è quello di descrivere gli oggetti come sono. E anche l'arte si scontra con la difficoltà di distillare dalle sempre cangianti informazioni provenienti dal mondo visivo solo quelle che hanno importanza al fine di rappresentare le caratteristiche permanenti ed essenziali degli oggetti. In effetti, rappresentare la perfezione costituisce quasi il fondamento dell'estetica kantiana; ma poiché la perfezione implica l'immutabilità, si pone il problema di dipingere la perfezione in un mondo in perenne mutamento. La funzione dell'arte consiste dunque nella ricerca di costanti, e in questo senso va considerata come un'estensione della principale funzione svolta dal cervello, acquisire conoscenza in un mondo in continuo mutamento. Può anche stupire che questa connessione tra arte e cervello, in apparenza così ovvia, non sia stata suggerita prima di ora. In realtà, il mancato collegamento ha le sue buone ragioni in una serie di semplici fatti di natura anatomica e patologica.

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Pagina 121

11.

Il campo recettivo


Come ho precisato nel capitolo 1, questo libro ha per oggetto principale la percezione delle opere d'arte. Mi sarebbe piaciuto almeno accennare ad alcuni caratteri dell'esperienza artistica cui di solito si attribuisce grande interesse e attrattiva: il suo potere di fascinazione estetica, la sua forza emotiva, la sua capacità di turbare e sollecitare. Ma oggi siamo ancora lontani dalla possibilità di realizzare un simile progetto, anche se confido, ed è più di una speranza, che in un prossimo futuro l'impresa potrà essere affrontata con successo. Tuttavia, anche nei limiti che mi sono posto, si incontrano notevoli difficoltà nel presentare un quadro non troppo sommario di ciò che accade nel nostro cervello quando contempliamo un'opera d'arte. Tra l'altro, il compito è più agevole per l'arte moderna, dove domina una marcata tendenza alla semplificazione, che per quella tradizionale narrativa e figurativa, per la quale dobbiamo per ora accontentarci dell'indicazione molto generale data in precedenza, e cioè che è anch'essa una ricerca dell'essenziale e del permanente al servizio della costanza percettiva. In effetti, con molte opere d'arte moderna (anche se non con tutte) il problema dei collegamenti con l'attività cerebrale, o meglio con la fisiologia delle cellule del cervello visivo, risulta più semplice.

Se, come ho sostenuto, la funzione sia del cervello visivo che dell'arte è quella di acquisire una conoscenza del mondo, allora è naturale compiere un passo ulteriore e chiedersi se esistono aspetti universali della forma, enti tramite i quali definire e costruire «per assemblaggio» tutte le forme. Se infatti queste potessero essere ricondotte a un'unica o poche entità, allora saremmo in grado di acquisire una conoscenza più profonda degli oggetti. Mondrian fece di questa ricerca il perno della propria attività di pittore e di teorico, ma basta un'occhiata all'opera di molti altri artisti, compreso Cézanne, per capire che anch'essi perseguivano il medesimo obiettivo. Anche i fisiologi si sono posti - in termini appena diversi - la stessa domanda, anche se naturalmente hanno cercato di rispondervi con mezzi loro propri. Si può formulare la loro domanda così: esistono nel cervello cellule che registrano gli elementi costitutivi di tutte le forme, cellule che abbiano il ruolo di «mattoni» per la costruzione delle forme e le cui attività, ricomposte insieme, forniscano una rappresentazione cerebrale di ogni forma?

Se fisiologi e artisti si sono posti domande analoghe, non per questo, però, sorprenderà meno che io li metta insieme in un unico mazzo, visto che nessun artista si è mai pensato nei panni del ricercatore intento a interrogarsi sulle funzioni del cervello. Ma la decisione ultima sul fatto che un artista sia riuscito o meno a dipingere gli universali della forma spetta all'artista e all'osservatore, o, per essere più precisi, al loro cervello. E questa decisione deve fondarsi sulla struttura fisiologica del cervello, un organo capace, grazie a milioni di anni di evoluzione, di riconoscere una varietà pressoché infinita di forme da un piccolo insieme di aspetti comuni. In questa seconda parte del volume affronterò dunque la questione delle possibili omologie tra le opere di artisti che hanno tentato di ridurre le forme alla loro ossatura essenziale e le scoperte degli scienziati che hanno cercato nelle reazioni delle singole cellule cerebrali la risposta alla domanda su come siano rappresentati nel cervello gli elementi costitutivi di tutte le forme. La via più facile per iniziare questa indagine consiste nell'introdurre il concetto di campo recettivo, uno dei più importanti fra quelli emersi nel Novecento nell'ambito della fisiologia sensoriale.

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Pagina 232

20.

Neurologia dell'arte astratta e dell'arte figurativa


Quando si considera lo stato delle nostre conoscenze sul cervello visivo soltanto venticinque anni fa, è un fatto degno di nota che oggi si possa dire qualcosa di plausibile e interessante riguardo a ciò che accade nel nostro cervello mentre stiamo guardando alcune opere d'arte, in particolare quelle delle scuole più moderne. Un quarto di secolo fa, la maggior parte dei neurobiologi non avrebbe avuto da dire niente di interessante o significativo sul modo in cui percepiamo le opere d'arte, al di là del fatto che tutta l'arte visiva deve attivare l'area V1 e che le sue caratteristiche e le sue qualità devono essere interpretate tramite quella che veniva definita vagamente la corteccia dell'«associazione» visiva. Oggi siamo in grado di dire molto di più, come ho cercato di mostrare. Possiamo contestare la vecchia ipotesi di una differenza tra vedere e capire, possiamo parlare della modularità del cervello visivo e metterla in relazione con la modularità dell'estetica visiva; possiamo dire che l'arte cinetica attiva una parte specifica del cervello, distinta da quella attivata dall'arte di Mondrian, e che i ritratti attivano un sistema diverso da entrambi i precedenti. Possiamo anche mettere in relazione alcuni aspetti di certe correnti artistiche, per esempio l'arte fauve, con certe specifiche vie cerebrali. Io penso che sia possibile procedere a una generalizzazione ulteriore: forse si può parlare della neurologia dell'arte astratta e dell'arte figurativa e narrativa. Qualcuno forse giudicherà che tutto ciò risulta ovvio alla luce di quello che ho già scritto. Se è così sono sorpreso del fatto che nessuno finora abbia espresso ciò che era ovvio.

L'astrazione, termine con cui intendo l'astrazione non iconica (cioè l'arte che non rappresenta né simbolizza oggetti), è stata una tendenza imperante nell'arte moderna. Per suo tramite artisti come Mondrian, Malevic e molti altri hanno tentato di ridurre le molteplici caratteristiche del mondo visibile ai loro elementi costanti (Mondrian 1937). In questo l'arte astratta è diversa dall'arte figurativa e da quella narrativa, che hanno avuto maggior diffusione. Quello che hanno dimostrato gli studi descritti nell'ultimo capitolo è il fatto che, in relazione alla visione del colore, i due generi artistici utilizzano vie cerebrali comuni fino a un certo punto e divergenti dopo. I quadri astratti a colori, del tipo di quelli di Mondrian, Malevic, Ben Nicholson e altri, attivano soltanto una parte delle vie relative al colore, quella parte che lo tratta in senso astratto, in un contesto in cui non c'è un colore «giusto» o «sbagliato», perché i colori non appartengono a oggetti, cui è associato un colore particolare. L'arte figurativa cromatica attiva altre aree dopo V4, come fa l'arte fauve, ma tutte e due attivano parti diverse delle vie cerebrali relative al colore che sono dopo V4.

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Pagina 236

21.

Il cervello di Monet


La ricerca da parte del cervello di una conoscenza visiva del mondo è, a quanto pare, un'attività spontanea. L'artista invece per conseguire lo stesso obiettivo impiega molte ore a distillare sulla tela la conoscenza acquisita dal cervello. In questo processo intervengono attività mentali superiori. Un buon esempio è costituito dalla combinazione dei processi visivi e intellettuali con cui pittori come Cézanne e Mondrian, e molti altri, cercarono di conoscere gli elementi essenziali delle forme. Il fatto che essi abbiano finito con l'accentuare proprio quegli stimoli che sono i più efficaci per attivare cellule particolari del cervello, riflette, credo, il fatto che il cervello stesso nel corso dell'evoluzione ha inserito nei suoi meccanismi proprio quegli elementi che gli permettono di conoscere le forme. Un pittore che osservi quelli che dovrebbero essere i componenti di ogni forma, sta essenzialmente osservando l'attività interna della fisiologia del suo cervello visivo. Ma questa differenza tra l'attività senza sforzo del cervello per acquisire la conoscenza e i faticosi tentativi degli artisti, ci riporta all'affermazione già citata, cioè che alcuni di essi dipingono tutto ciò che la natura presenta ai loro occhi, mentre altri introducono nella loro pittura una tensione più intellettuale. Monet è stato spesso citato come esempio di un artista che «dipingeva con gli occhi, ma Dio, che occhi». Vorrei quindi fare delle riflessioni a questo punto sull'attività del cervello di Monet, specialmente quando lavorava alla serie della Cattedrale di Rouen. Voglio dimostrare che anche per un artista come lui i centri cerebrali superiori svolgevano un ruolo molto importante nella sua opera, e che questa era tutt'altro che un tentativo di catturare degli istanti fuggitivi, come alcuni hanno affermato. Questa mia riflessione non è sostenuta da prove dirette, ma si fonda su quei fatti relativi alla fisiologia del cervello, e in particolare al modo in cui esso costruisce i colori, che ho presentato negli ultimi tre capitoli. In questo senso ha lo stesso interesse di tante speculazioni sull'attività mentale del presidente Wilson o del presidente Roosevelt mentre svolgevano i negoziati politici a Versailles o a Yalta, o su quella di Beethoven quando scriveva la sua musica. In ogni caso, è un piacere speculare sul cervello di Monet guardando i suoi quadri.

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Pagina 243

Epilogo

Per molte persone, specialmente nel mondo degli artisti, l'idea di scrivere un libro sulla neurologia dell'arte può avere implicazioni bizzarre e perfino pericolose: che si comprenda ciò che accade nel cervello quando guardiamo le opere d'arte, e che quello che accade nel cervello di un osservatore sia in larga misura identico a ciò che accade nel cervello di un altro e sia quindi riconducibile a formulazioni generali. L'arte, potrebbero sostenere costoro, non può essere riducibile a una formula; ha ottenuto gran parte del suo valore e del suo fascino per l'ambiguità che le è caratteristica, per i modi diversi in cui alimenta, eccita e turba individui diversi. Potrebbero sostenere che proprio questi effetti così differenti costituiscono un potente argomento a sfavore dell'ipotesi implicita in quanto detto sopra: il fatto cioè che quanto accade in un cervello è in effetti molto simile a quello che avviene in un altro. Altri forse giudicheranno che una persona come me, nutrita di cultura scientifica, non è in grado di capire a fondo le sottigliezze dell'arte e dei suoi scopi, e quindi può dare solo un contributo limitato a questo argomento, alle tematiche dell'esperienza estetica il cui fondamento rimane oscuro e misterioso, al di fuori delle competenze della sperimentazione scientifica, e che in effetti deve continuare a rimanere tale. Altri ancora, forse nell'ambito della neurologia e della scienza, riterranno che io sia rimasto a corto di esperimenti utili, «concreti», da affrontare in laboratorio, e abbia fatto quindi questa incursione nel mondo «vago» dell'arte, specialmente della pittura, dove i pareri non si possono sempre fondare su fatti solidi, dove non si possono criticare i giudizi in base a prove oggettive, perché, per quanto riguarda l'estetica, l'opinione di una persona semplice ha lo stesso peso di quella di un'altra di maggiore cultura.

C'è qualcosa di giusto in tutte queste considerazioni. È assolutamente vero che sappiamo troppo poco sul cervello umano e certamente non abbastanza per interpretare in termini neurologici l'esperienza estetica. È ugualmente vero che non esiste una formula semplice che si possa invocare per spiegare o chiarire in questi termini neanche una sola scuola di pittura, diciamo la pittura fiamminga del XVII secolo. Risulta pure vero che non si possono applicare ai problemi dell'estetica le sperimentazioni concrete della neurologia, perlomeno non oggi. Io però ho scritto questo libro soprattutto per soddisfare la mia curiosità, non per cercare di stabilire una regola o una formula neurologica sull'esperienza estetica. Volevo sapere se ci sono affermazioni generali sull'arte visiva esprimibili in termini di eventi cerebrali. Come neurobiologo penso che c'è sempre stata una sorprendente lacuna in molte discussioni interessanti sull'estetica - si tratti di Plotino, Kant, Hegel o Schopenhauer. L'omissione consiste nella mancanza di una discussione seria sul ruolo del cervello. Ma quando ho letto i contributi di questi filosofi tenendo presente il cervello, tante cose mi sono risultate più comprensibili. Spero fortemente che questo metodo di considerare l'arte come un prodotto del cervello in base alla sua attività e alle sue funzioni, farà ulteriori progressi. Il mio scopo nello scrivere questo libro è stato in realtà quello di esprimere l'impressione che le teorie estetiche diventeranno comprensibili e profonde solo quando saranno fondate sul funzionamento del cervello, e che nessuna teoria estetica che non abbia una forte base biologica può essere completa e profonda.

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