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| << | < | > | >> |Pagina 9— Scim-mia! Scim-mia!... — Porci, schifosi, rottinculo, razza di coglioni, io vi ammazzo! Stretto contro il muro dell'istituto Jules-Ferry, Patrick Leguern affronta la muta dei suoi compagni di scuola. Sudato e ansimante, si difende con le unghie e con i denti, a furia di insulti, sputi e calci. Da lontano, con la valigetta dei test in mano, David Kupfermann assiste alla battuta di caccia. Esita a intervenire, oggi è qui in veste di psicologo scolastico, non di insegnante della classe di recupero del vicino istituto, e per riuscire a individuare il suo futuro alunno in maniera imparziale, la sua neutralità deve essere bendisposta nei confronti di tutta la popolazione infantile della zona. Un fischio lo toglie dall'imbarazzo. Il direttore si affaccia al cancello, i ragazzi si affrettano a entrare nel cortile. David li segue. Il direttore gli stringe la mano: — Uno dei suoi candidati, Kupfermann. Accenna col mento a Patrick Leguern. David annuisce. La sua esperienza di maestro dei disadattati della cosiddetta "classe dei senza cervello" di Savigny-sur-Orge gli ha insegnato che una manifestazione di esclusione è più attendibile di qualsiasi test: ogni zimbello dei compagni alla fine si rivela un soggetto con ritardo di sviluppo, ritardo classificato come lieve quando l'alunno ripete il primo anno delle elementari per tre volte, o medio quando lo ripete per quattro volte. Patrick è solo alla seconda volta. — Ma ha cominciato la scuola a sette anni, - ricorda la sua insegnante, la maestra Gonson, perorando la sua causa. - Alla materna l'hanno tenuto un anno in più. — Se è per questo, - interviene la supplente incaricata della sezione della prima riservata agli alunni con difficoltà, la signora Bomy, - il signor Kupfermann dovrebbe prendersi tutta la mia classe. E io non ho mica quindici alunni come lui. Ne ho trentadue, dico trentadue! — A te va di lusso, Kupfermann, ammettilo, - commenta Durand, maestro di quinta. - Hai dalla tua il regolamento che limita il numero massimo dei disabili certificati, hai un titolo di insegnante specializzato, uno stipendio migliore di me, che faccio il tuo stesso lavoro con i sedici analfabeti promossi per anzianità che mi ritrovo in classe, e devo anche preparare all'esame finale gli altri trenta, che sono appena un po' meno analfabeti. — Allora, Kupfermann, di quanti posti dispone quest'anno? - chiede il direttore. — Tre in tutto: due per l'istituto Aristide-Briand e uno solo per voi. Stizzito, il direttore fischia la fine della ricreazione. Il gruppo di insegnanti si disperde, i ragazzi si dispongono in fila. David alza le spalle, non è colpa sua se esiste una sola classe di recupero invece delle dodici che sarebbero necessarie a Savigny-sur-Orge, una penuria che confina con l'assurdo. Quando qualcuno dei suoi deficienti, per raggiunti limiti di età, lascia il mondo della scuola per quello della disoccupazione, David è costretto dalla legislazione vigente a organizzare delle prove di ammissione estremamente selettive per i nuovi alunni. Anche escludendo i minori di nove anni e i maggiori di dodici, rifiutando i quozienti intellettivi non compresi tra 50 e 75, cioè i ritardati gravi e quelli che non lo sono abbastanza, eliminando i semplici dislessici, i caratteriali, i non francofoni, i minorati fisici e psichici, e infine le femmine - nel 1966 alle elementari non sono previste classi miste -, c'è ancora l'imbarazzo della scelta. David è del parere che bisognerebbe tirare a sorte i fortunati vincitori, l'ispettore che presiede la commissione medico-pedagogica del distretto scolastico insiste a vagliare test e incartamenti. In pratica, non c'è nessuna differenza. | << | < | > | >> |Pagina 43Leguern, ancora Leguern, sempre Leguern, a questo punto David è arcistufo. I colleghi non fanno che lamentarsene, in mensa, durante la ricreazione. Il preside ha avviato contro di lui un procedimento di espulsione, non si può tenere in una scuola pubblica un idiota pericoloso, o come direbbe Kupfermann "un elemento intellettualmente carente e con problemi comportamentali", va internato e fatto curare, è per il suo bene. In classe bisogna sempre tenerlo d'occhio, altrimenti sono baruffe, cazzotti, compiti e schede in briciole, la sua sola presenza è già un disturbo. È il fallimento pedagogico di David e il suo continuo rimorso. Non solo continua a non ingranare con la lettura per il secondo anno consecutivo, ma adesso al minimo rimprovero si protegge il viso con il braccio alzato. David fa una smorfia di dolore, dopo la tregua delle vacanze estive il suo stomaco è tornato a tormentarlo. Comunque, non è il momento di farsi venire un'ulcera, da quando ha rinunciato a scrivere romanzi David trabocca di progetti sostitutivi e di editori intelligenti, un libro sull'insegnamento di sostegno quasi terminato, altri quattro in cantiere sulle arti marziali, con la collaborazione del Maestro Kagemusha, il suo istruttore. — Kage, in Giappone anche i bambini praticano il karate? — Ma certo. Io ho iniziato a sei anni. — Non ci sono controindicazioni? — Molto meno che nel judo, dove le continue cadute sono nocive per uno scheletro ancora in corso di ossificazione. Nel karate si lavora più sull'equilibrio che sullo sbilanciamento e per i giovani è senz'altro preferibile. Perché, vorresti insegnarlo ai tuoi deficienti?
David pensa più che altro che potrebbe essere un buon metodo per
canalizzarne la violenza. Sferrare a vuoto centinaia di
pugni e di calci permette di assorbire il surplus di aggressività.
Combattere corpo a corpo preservando contemporaneamente
l'integrità fisica dell'avversario rende obbligatoria una perfetta
padronanza di sé. Resta da vedere se i suoi alunni e in particolare un certo
Patrick Leguern saranno capaci di trasferire ai loro
conflitti esistenziali il controllo acquisito durante gli incontri
arbitrati. David non si fa alcuna illusione sullo spirito cavalleresco, il senso
dell'onore, la "forza della mente" e altre fesserie che le arti marziali
made in Japan
dovrebbero trasmettere. A parte gli atleti professionisti, i samurai che si
allenano con David sono senz'altro di buona compagnia sul tatami, negli
spogliatoi e davanti a un bicchiere di birra, ma ciò non toglie che vengano da
Kagemusha per perfezionare le loro capacità di sicari, buttafuori, fascisti,
gorilla, guardie del corpo o sbirri delle brigate antisommossa. In confronto, le
sue scimmiette sono degli angioletti.
— Signor maestro, ci insegnerà l'urlo che uccide? — Vi ho già spiegato che è solo un modo di dire. — Oh, signor maestro, dice così per farci rigare dritto. — Io sono sicuro che il maestro ce lo insegnerà, se lavoriamo sodo. — E se facciamo i bravi. I ragazzi del Collettivo fissano Patrick sbalorditi, un attimo di silenzio e poi scoppiano le approvazioni, ma naturalmente! La nuova norma viene votata per acclamazione, evviva i tornei in piena regola, abbasso le risse anarchiche, ogni trasgressore subirà la messa al bando perpetua dagli allenamenti. Nessuna argomentazione scientifica riuscirebbe a far vacillare la fede dei credenti, David non insiste sull'urlo che non uccide, tuttavia moltiplica le precauzioni, segreto assoluto da mantenere con le altre classi, un giorno o l'altro organizzerà una dimostrazione, previa autorizzazione scritta dei genitori, assicurazione integrativa, visita medica. Il dottor Allouch si dichiara interessato all'esperimento e lo dimostra, ricevendo nel suo ambulatorio l'esercito delle scimmie. I ragazzini si denudano, il dottor Allouch pesa, misura, ausculta, verifica se i testicoli sono ben scesi. Patrick scoppia in una risatina. Il dottor Allouch non vuole neppure essere pagato per il disturbo. Le scimmiette insistono, vengono a patti sul prezzo di una visita fatturata al maestro, che si farà rimborsare dalla mutua, il tesoriere del Collettivo anticipa i soldi ed esige una ricevuta che verrà distrutta dopo il rimborso. Il dottor Allouch riaccompagna i nuovi pazienti giù in strada. Prende David da parte ed esprime la sua costernazione davanti alla miseria fisiologica di questi preadolescenti. Forse perché li ha visti tutti insieme, ma mai come oggi era stato colpito dal loro aspetto sottosviluppato, altezza e peso al di sotto della media, scoliosi e cifosi quasi generali, manifestazione tardiva dei segni della pubertà. David sorride, è talmente abituato a loro, che ormai sono gli alunni delle altre classi a sembrargli anormali. Comunque, su un punto può rassicurare il dottore, l'assenza dei caratteri sessuali secondari nei più giovani non nuoce assolutamente alla precocità e alla frequenza del loro autoerotismo. Il dottor Allouch sorvola sulla questione, piuttosto, come è stata accolta dalla gerarchia scolastica l'introduzione del karate a scuola? David preferisce metterli davanti al fatto compiuto, il più tardi possibile. Se ne incarica Patrick già l'indomani. Entrando nel cortile, David scorge un gran capannello di ammiratori attorno alla scimmia, che esibisce un kimono nuovo di zecca. Il Maestro Kupfermann non si aspettava tanto, il karate può essere praticato con qualsiasi abbigliamento e si era d'accordo che le famiglie non avrebbero dovuto affrontare alcuna spesa. David incassa la testa tra le spalle e si dirige verso il gruppo dei colleghi, poco amichevoli. — E così, Kupfermann, insegnerà ai suoi ragazzi come fracassare meglio i nostri? — Come se il suo Leguern non avesse già abbastanza impulsi assassini! — Stavolta non sono assolutamente d'accordo con te, Kupfermann. Leguern è un caso patologico e tu stai per affidargli l'equivalente di una pistola carica. — Mi dica, ha l'autorizzazione dell'ispettore Robecque? Pur essendo come preside il suo diretto superiore, non ricordo di avere inoltrato alcuna sua richiesta. David cerca di perorare la sua causa, nel quadro dell'educazione fisica prevista dall'orario scolastico, una specifica autorizzazione gli è sembrata superflua, il karate è uno sport meno pericoloso del calcio, lo dimostrano le statistiche degli incidenti. Con i ragazzini si tratta semplicemente di esercizi ginnici, precisione, equilibrio, agilità, movimenti respiratori, non è il caso di farne una tragedia, e inoltre, se una qualificazione controllata è di per sé in grado di valorizzare degli alunni in situazione di disagio, David si accorge che non convince nessuno. Fa un profondo sospiro, le arti marziali comportano una morale molto severa e grazie al karate ha trovato la panacea per rimediare alle continue zuffe nella scuola. Il preside alza le sopracciglia e fischia la fine della ricreazione. Mentre salgono alla loro soffitta le scimmiette sono sovraeccitate, invidiano il kimono di Patrick, non è giusto, il maestro avrebbe dovuto chiederne uno anche ai loro genitori. David taglia corto con aria cattiva, invece di indire la seduta mattutina del Collettivo, fa allontanare i banchi, tutti in ginocchio, in giapponese si dice seizà, rei si usa per salutare o quando ci si inchina, in quanto ai kimono, ci arrangeremo, ascoltate bene la voce del Maestro: — Avete votato e approvato di non usare mai il karate né per giocare né per litigare in cortile, per strada o a casa. Allora, in quanto guardiano delle leggi della classe, vi avverto: il primo che viene meno alla promessa, lo prendo a quattr'occhi e gli gonfio il muso di botte, dieci volte peggio di quelle che ha beccato Patrick l'anno scorso. Le scimmiette si mostrano contrariate dal fatto che si dubiti della loro parola. Con gran sorpresa di David, la mantengono anche nel corso dei mesi successivi. Al bisogno, se Patrick manifesta qualche velleità contraria, gli altri quattordici lo agguantano saldamente e gli fanno intendere ragione ben bene, finché non si dà una calmata. I samurai della palestra Kagemusha, stranieri e campioni, sbirri, fascisti e gorilla fanno una colletta per regalare loro dei kimono. Il ghetto è in trionfo, le scimmiette si pavoneggiano, fanno le sbruffone, la loro è la casta degli intoccabili. | << | < | > | >> |Pagina 91— E se mi attaccano?Basterà che si rifugi vicino a David, è o non è il cocco del maestro? Patrick annuisce, ne ha le prove, papà Kupfermann lo protegge dal sadismo degli altri insegnanti, in tutte le forme. Della scuola materna Patrick conserva il ricordo non tanto di banali sculacciate quanto di umiliazioni aberranti, lo mandavano a dormire con i più piccoli, gli tappavano la bocca con lo scotch, gli portavano via le scarpe, lo legavano al banco, lo facevano filare a cuccia sotto la cattedra, un giorno la maestra l'ha imbrattato di pittura perché aveva rovesciato un vaso pieno d'acqua. Alle elementari, all'infuori di obbligarlo a restare in piedi impalato, fargli fare di corsa il giro del cortile e trattenerlo a scuola oltre l'orario scolastico, i castighi erano più virili. Riceveva una quantità di tirate d'orecchi, colpi di righello sulle dita, pizzicotti sulla parte interna del braccio, ma per lo più veniva agguantato, scrollato, schiaffeggiato e spesso incassava anche qualche bel calcio in culo. Con papà Kupfermann è un paradiso. Il maestro non lo punisce mai, a parte castighi da ridere, come chiamarlo per cognome o proibirgli di lavorare, questa poi è la migliore di tutte. In ricreazione e a mensa i sorveglianti hanno tanta di quella strizza di David che Patrick non osano nemmeno toccarlo, si spolmonano nei loro fischietti e dopo vanno a fare la spia: — Signor Kupfermann, il suo Leguern... insomma, ha fatto di nuovo a botte. E sottolineano 'suo', Patrick si gonfia d'orgoglio, è vero, è la scimmietta preferita del suo nuovo papà, costretto a lanciargli un'occhiataccia. Patrick recita la sua parte nella commedia, piagnucola alla perfezione, non è colpa sua, non è stato lui a cominciare. Papà Kupfermann grida per finta, basta, faremo i conti dopo, mettetevi in fila, e alla svelta. Patrick manifesta il suo rispetto filiale trottando verso l'area riservata ai lievemente ritardati, prende le distanze dal vicino, incrocia le braccia, con espressione contrita. Si torna in classe, tutti seduti, il maestro chiede al suo Leguern di guardarlo in faccia. Patrick gli rivolge un sorriso complice, papà Kupfermann scrolla la testa e stringe le labbra, disarmato, forza, al lavoro, si vede com'è fiero di avere un figlio acquisito che non ha paura di nessuno. L'unica rogna viene dal vecchio Ikni, nel corso dei mesi le minacce del preside si fanno sempre più concrete e a quanto pare la mamma e papà Kupfermann le prendono sul serio, Patrick promette di rigare dritto. — Ha visto, signor maestro, non mi azzuffo più. — Però la signorina Tourette mi ha detto che a mezzogiorno l'hai fatta impazzire. Esagerata, puttana, troia per beduini, un eccesso di indignazione impedisce a Patrick di spiegarsi, quando la supplente sorveglia la mensa è sempre un bordello, urla e strilli da pollaio, tavoli insudiciati e cibo lanciato dappertutto. Oggi appunto Patrick non partecipava a quel manicomio, come al solito era seduto al suo tavolo in disparte e triturava con la punta della forchetta un trancio di pesce impanato ormai freddo, a lui non piace, la mamma non glielo fa mai. A quel punto il preside è piombato nel locale, ha cacciato un urlo, nessuno ha più fiatato. Il vecchio Ikni si è messo a passeggiare tra le file di tavoli, con le mani dietro la schiena, passando vicino a Patrick gli ha ordinato di mangiare il suo pesce. La scimmia ha cercato di prendere tempo, oggi non aveva fame. Ikni ha insistito, doveva almeno assaggiarlo. Patrick ha obbedito, gli è venuto quasi da vomitare e ha allontanato il piatto. Il preside non ha sopportato questo attacco alla sua autorità, per punizione ha condannato la scimmia a finire tutto e dato che la cosa andava per le lunghe, lo ha imboccato a forza. Nonostante i sogghigni e gli sberleffi degli altri scolari Patrick ha trattenuto le lacrime, la vergogna e la rabbia. Il preside era abbastanza soddisfatto della sua azione educativa: — Bene, hai visto? Non era poi così cattivo. | << | < | > | >> |Pagina 154Alla stazione della metro di Porte de la Chapelle, Patrick ha appuntamento con il signor Massat, direttore di La Charbonnière, a Plessis-Gassot. Un tizio un po' ciccione con la pipa, calvo e barbuto, sembra che i capelli gli siano scivolati sul mento, anche lui lo puoi chiamare Jean-Pierre e dargli del tu, a parte questo è meglio non fargli domande, altrimenti ogni volta lui ti rimbalza la palla: — È lontana, signore, La Charbonnière? — Tu che ne dici? — È contento della sua Renault 5, signore? — E tu che ne dici? Impossibile farlo sbottonare più di così, la scimmia lascia perdere i convenevoli e si lascia assorbire dal paesaggio. Escono da Parigi a passo di lumaca, ai primi di luglio gli abitanti della periferia non sono ancora andati in ferie e a quest'ora tornano tutti dal lavoro, fa caldo, Patrick sta sudando, Massat abbassa completamente il suo finestrino, madonna mia, fa paura, la scimmia non si offende, è dalla notte dei tempi che il suo odore indispone chiunque lo avvicini. Attraversano Saint-Denis e Pierrefitte a un'andatura penosa, a Sarcelles-Lochères si cammina bene, le strade sono larghe, a Patrick non piacerebbe molto abitare qui, non ci sono altro che edifici giganteschi, al confronto le case popolari di Savigny-sur-Orge sono una fesseria, immagini-flash di Marie, quella troia, la scimmia si sforza di scacciarle. Oltrepassano i nuovi quartieri di periferia e senza transizione si ritrovano in piena campagna, campi e campi coltivati, patate, grano, barbabietole, Massat accelera, un pendio, due paesi da una parte e dall'altra della strada, Bouqueval e Plessis-Gassot, girano a sinistra, superano alcune fattorie e arrivano alla tenuta La Charbonnière, c'è scritto su un cartello. La scimmia si crede tenuta a rilanciare le cordialità: — Alla fin fine, signore, non è tanto distante da Parigi. — È il tuo punto di vista. Si può anche pensare il contrario. In effetti non è né lontano né vicino a nessuna parte: è altrove. Be', comincia a fargli venire il nervoso 'sto Massat, con la sua voce da prete, Patrick decide di non rivolgergli più la parola, la macchina costeggia un prato spelacchiato e si ferma davanti a un grosso casamento. Ne escono due ragazzi, la scimmia sgrana gli occhi, i due sono completamente nudi come l'Edipo dell'enciclopedia e per niente imbarazzati, mentre passano squadrano il nuovo arrivato e con molta calma vanno a stravaccarsi sul prato. Con l'indice e il medio Massat si alliscia la barba, sempre senza fiatare, poi apre il bagagliaio della Renault 5 per prendere la valigia di Patrick. Si presenta un altro barbuto, stretta di zampa, dice di chiamarsi Jean-Claude, Patrick non sa perché tutti i rieducatori hanno la barba e si chiamano Jean-qualcosa. Questo qui è più espansivo di Massat, conduce la scimmia verso una sala dove c'è un bar, senza alcolici, non fa niente, Patrick chiede una Coca-Cola, anche l'altro se ne stappa una, alla salute e benvenuto. La scimmia svuota in un colpo solo la sua bottiglietta, Jean-Claude attacca una solfa da cui viene fuori che La Charbonnière è un po' come Thélème, la leggendaria abbazia edificata da Gargantua. Patrick capisce 'Cetelem', l'istituto di credito, allora è una banca che sgancia, non come alla fattoria di Bourgogne che dipendeva dal sistema sanitario, quelli sono dei tirchi con le braccia corte, qui dovrebbe andare meglio. Effettivamente a La Charbonnière/Cetelem non c'è un vero regolamento, ognuno fa quello che gli pare, cesti di vimini, tessuti, vasellame, giardinaggio, allevamento di polli, le pecore sono crepate tutte, oppure un lavoro all'esterno, per chi lo trova. L'imperialismo del potere medico è bandito, il terrorismo del discorso psicanalitico pure, è il luogo in sé a essere terapeutico, la scimmia approva con la testa con fare dottorale. Jean-Claude previene le sue obiezioni teoriche, se abbandoniamo il piano ideologico e ci poniamo a livello di vissuto, qualsiasi membro della comunità è responsabile e in grado di prendersi cura di sé senza bisogno della stampella degli strizzacervelli, in quanto agli inevitabili conflitti risultanti dalla vita in collettività, vengono regolati durante le assemblee generali dove ciascuno ha diritto di parola, la propria, quale che sia la sua posizione nella comunità, questa è la vera autogestione. La parola risveglia qualcosa nella memoria della scimmia, già se lo immagina, un consiglio come quello del Collettivo degli scolari che non serve a un cazzo, all'Aristide-Briand erano lui e il Kulattone a dettare legge. Nella sala entra una ragazza con occhiali e sigaretta, indossa una camicetta molto scollata annodata in vita, semitrasparente, niente reggiseno, sfodera un sorriso Durban's e chiede con una voce bassa, quasi roca: — Tu sei Patrick? Io sono Janine. Ehi, Jean-Claude, a che ora è l'assemblea? — Aspetteremo che faccia buio per accendere il fuoco in mezzo al prato.
— Ah, l'animo boy-scout dell'ultrasinistra antipsichiatrica!
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