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| << | < | > | >> |Indice7 Introduzione Un automa chiamato teologia 19 Capitolo primo Quando l'Oriente incontra l'Occidente 47 Capitolo secondo Il "thriller dell'ortodossia" 77 Capitolo terzo Lo scarto del Reale 121 Capitolo quarto Dalla Legge all'Amore... e ritorno 159 Capitolo quinto Sottrazione ebraica e cristiana 189 Appendice L'ideologia oggi 225 Postfazione Il filosofo che sapeva troppo Marco Senaldi 235 Bibliografia |
| << | < | > | >> |Pagina 7Introduzione
Un automa chiamato teologia
Oggi, nel momento in cui l'analisi storico-materialista è in declino, praticata per così dire di nascosto, e raramente chiamata con il suo vero nome, mentre la dimensione teologica va offrendo un nuovo orizzonte nella forma della svolta messianica "post-secolare" del decostruzionismo, è venuto il momento di rovesciare la prima tesi di Walter Benjamin sulla filosofia della storia: "Vincere deve sempre il fantoccio chiamato 'teologia'. Esso può farcela senz'altro con chiunque, se prende al suo servizio il materialismo storico, che oggi, com'è noto, è piccolo e brutto, e che non deve farsi scorgere da nessuno" (Benjamin 1955, p. 75). Una delle possibili definizioni della modernità è: l'ordine sociale in cui la religione non è più completamente integrata e identificata con un determinato stile di vita culturale, ma acquisisce un'autonomia tale da poter sopravvivere come la medesima religione in culture differenti. Questa estrinsecazione permette alla religione di globalizzarsi (oggi ci sono cristiani, musulmani e buddisti dappertutto); d'altra parte, il prezzo da pagare è che la religione viene ridotta a epifenomeno secondario rispetto al funzionamento secolare della totalità sociale. In questo nuovo ordine globale la religione ha due ruoli possibili: o terapeutico o critico. O aiuta gli individui a funzionare meglio entro l'ordine esistente, oppure cerca di affermarsi come agente critico che articola ciò che non va con questo ordine in quanto tale, uno spazio per le voci dei dissenzienti in questo secondo caso la religione COME TALE tende ad assumere il ruolo di un'eresia. [...] Perché allora abbiamo assolutamente bisogno della religione nella nostra epoca moderna? La risposta classica è: la filosofia razionale o la scienza sono esoteriche, limitate a una piccola cerchia, non possono rimpiazzare la religione nella sua funzione di catturare l'immaginazione delle masse e così mantenere l'ordine morale e politico. Ma questa soluzione è problematica nelle parole stesse di Hegel: il problema è che, nella moderna epoca della ragione, la religione non può più adempiere a questa funzione di organica forza vincolante della sostanza sociale oggi la religione ha perso irrimediabilmente questo potere, non solo per gli scienziati e per i filosofi, ma anche per l'ampia cerchia della gente "comune". Nelle sue Lezioni di estetica Hegel afferma che, nell'età moderna, quanto più ammiriamo l'arte, tanto meno sentiamo il bisogno di piegare le ginocchia dinnanzi a essa e lo stesso vale per la religione. Oggi noi viviamo (nel-)la tensione indicata da Hegel anche più di quanto accadesse alla gente ai tempi dello stesso Hegel. Quando Hegel scriveva: "Va considerata semplicemente come una follia della nostra epoca quella che intende trasformare un sistema etico corrotto, e la connessa costituzione e legislazione statuale, senza trasformare anche la religione; che intende fare una rivoluzione senza aver fatto una riforma religiosa" (Hegel 1817, p. 889), annunciava la necessità di quella che Mao ha chiamato la "rivoluzione culturale" come condizione per il successo della rivoluzione sociale. Tutto ciò non è forse quello che accade oggi: una rivoluzione (tecnologica) senza una fondamentale "rivoluzione dei costumi" [Revolution der Sitten]? La tensione fondamentale non è tanto quella tra ragione e sentimento, ma piuttosto quella tra conoscenza e fede sconfessata che si incarna in un rito esteriore la situazione spesso descritta nei termini di una ragione cinica la cui formula, l'inverso di quella di Marx, venne proposta decenni fa da Peter Sloterdijk: "so bene cosa sto facendo, e ciononostante lo faccio". Tuttavia, questa formula non è così priva di ambiguità come potrebbe sembrare dovrebbe essere completata con: "...perché non so IN COSA CREDO". Nella nostra epoca politicamente corretta, è sempre consigliabile partire dall'analisi della serie di divieti non scritti che definiscono la posizione che è lecito assumere. La prima cosa da notare, nelle questioni religiose, è il fatto che sia ancora di moda un riferimento alla "spiritualità profonda": il materialismo diretto è poco fine, si tende piuttosto a coltivare un'apertura verso una radicale Alterità al di là del Dio onto-teologico. Di conseguenza, quando oggi si chiede in modo diretto a un intellettuale: "Ok, bando agli scrupoli, e veniamo al fatto fondamentale: credi o no in una qualche forma del divino?", la prima risposta è un sottrarsi imbarazzato, come se la domanda fosse troppo personale, troppo inquisitoria; questo sottrarsi viene poi spiegato solitamente in termini più "teoretici": "Θ che la domanda è sbagliata! Non è semplicemente una questione di credere o meno, ma piuttosto si tratta di una certa esperienza radicale, della capacità di aprirsi a una certa dimensione inaudita, del modo in cui la nostra apertura a un'Alterità radicale ci permette di assumere una specifica posizione etica, di sperimentare una forma frantumata di godimento...". Ciò che abbiamo oggi è una sorta di fede "sospesa", un credo che può prosperare solo come non pienamente ammesso (pubblicamente), come un osceno segreto privato. Contro questa tendenza si dovrebbe insistere più che mai sul fatto che la "volgare" domanda "Credi VERAMENTE o no?" CONTA forse oggi più che mai. Qui il mio scopo non è semplicemente sostenere che io sono completamente materialista e che il nocciolo sovversivo del cristianesimo è accessibile anche a un approccio materialista; la mia tesi è molto più forte: questo nucleo è accessibile SOLO a un approccio materialista e viceversa: per diventare un vero materialista dialettico si deve passare attraverso l'esperienza cristiana. [...] E, forse, qui sta la posta in gioco del riferimento odierno alla "cultura", della "cultura" che emerge come categoria mondana centrale. Per esempio, a proposito della religione, oggi noi non "crediamo veramente" più, semplicemente seguiamo (alcuni) degli usi e dei costumi religiosi come parte del rispetto per lo "stile di vita" della comunità alla quale apparteniamo (gli ebrei non credenti che obbediscono alle regole kosher "fuori dal rispetto per la tradizione", ecc...). "Non ci credo veramente, è solo parte della mia cultura" sembra effettivamente essere la modalità predominante del credere denegato/rimosso caratteristico della nostra epoca. Cos'è uno stile di vita culturale, se non il fatto che, sebbene non crediamo in Babbo Natale, c'è un albero di Natale in ogni casa e nei luoghi pubblici ogni dicembre? Forse, allora, l'idea "non fondamentalista" di "cultura" come distinta dalla religione, dall'arte, ecc. "reali" CONSISTE essenzialmente in un nome per designare il campo delle credenze denegate/impersonali "cultura" è il nome per tutte quelle cose che facciamo senza crederci veramente, senza "prenderle sul serio". Questa non è forse anche la ragione per cui la scienza non fa parte di questa idea di cultura è troppo reale? E non è anche il motivo per cui noi rifiutiamo i fondamentalisti in quanto "barbari", anti-culturali, una minaccia alla cultura loro osano prendere sul serio le loro credenze? Oggi, in fin dei conti, percepiamo come una minaccia alla cultura coloro che vivono in modo immediato la loro cultura, coloro che mancano di una distanza nei suoi confronti. Ripensiamo all'oltraggio di quando, alcuni anni fa, le forze talebane in Afghanistan distrussero le antiche statue buddiste a Bamiyan: sebbene nessuno di noi, occidentali illuminati, credesse nella divinità di Buddha, fummo così offesi perché i musulmani talebani non avevano mostrato il giusto rispetto per "l'eredità culturale" del loro stesso paese e dell'umanità intera. Invece di credere per mezzo di un altro, come tutta la gente di cultura, essi credevano veramente nella loro religione e così non avevano grande sensibilità per il valore culturale dei monumenti delle altre religioni per loro le statue di Buddha erano solo falsi idoli, non "tesori culturali". Uno dei luoghi comuni odierni sui filosofi è che la loro stessa analisi dell'ipocrisia del sistema dominante tradisce la loro ingenuità: perché si stupiscono ancora di vedere gente che vìola in modo incoerente i valori che professa quando ciò favorisce i suoi interessi? Si aspettano veramente che la gente sia coerente e di sani principi? Θ qui che bisognerebbe difendere i veri filosofi: ciò che li stupisce è la caratteristica esattamente opposta - non il fatto che la gente non "creda veramente" e non segua i principi che professa, ma che la gente che professa la propria distanza cinica e il proprio radicale opportunismo pragmatico, segretamente creda molto più di quanto sia pronta ad ammettere, anche se costoro traspongono queste credenze in (inesistenti) "altri". | << | < | > | >> |Pagina 50La prima cosa che si dovrebbe aggiungere a tutto ciò oggi è che lo stesso vale per gli stessi difensori della religione: quanti difensori fanatici della religione hanno iniziato ad attaccare ferocemente la cultura secolare contemporanea e hanno finito per rinunciare alla religione stessa (abbandonando ogni esperienza religiosa significativa)? Θ non è forse vero che, in modo strettamente analogo, i guerrieri liberali sono così zelanti nel combattere il fondamentalismo anti-democratico che finiranno per gettare via la libertà e la democrazia stessa sè solo potranno combattere il terrore? Costoro hanno una tale passione nel provare che il fondamentalismo non-cristiano è la minaccia principale alla libertà da essere pronti a ripiegare sulla posizione per cui dovremmo limitare la nostra stessa libertà qui e ora, nelle nostre società che si presumono cristiane. Se i "terroristi" sono pronti a distruggere questo mondo per amore dell'altro, i nostri guerrieri anti-terrorismo sono pronti a distruggere il loro stesso mondo democratico per l'odio nei confronti dell'altro musulmano. Jonathan Alter e Alan Derschowitz amano la dignità umana a tal punto da essere pronti a legalizzare la tortura il degrado ultimo della dignità umana per difenderla...Quando Alan Derschowitz (2002) non solo condanna quella che egli percepisce come la riluttanza della comunità internazionale a opporsi al terrorismo, ma ci provoca anche a "pensare l'impensabile", come la legalizzazione della tortura, cioè, cambiare le leggi così che, in situazioni eccezionali, i tribunali abbiano il diritto di emettere "mandati di tortura", la sua argomentazione non è così facile da contrastare come potrebbe apparire. Per prima cosa, la tortura è "impensabile"? Non viene forse sempre praticata ovunque? In secondo luogo, se si segue la linea utilitarista dell'argomentazione di Derschowitz, non si potrebbe forse anche discutere della legittimità del terrore stesso? Nello stesso modo in cui si potrebbe torturare un terrorista perché ciò che sa può prevenire la morte di molte più persone innocenti, perché non perdonare completamente il terrore, almeno contro il personale militare e di polizia che conduce un'ingiusta guerra di occupazione, se ciò può prevenire atti violenti su scala maggiore? Qui, allora, abbiamo un caso interessante dell'opposizione hegeliana di in-sé e per-sé: "per sé", rispetto al proprio obiettivo esplicito, Derschowitz, naturalmente, attacca ferocemente il terrorismo tuttavia, "in sé o per noi", egli soccombe all'esca del terrorismo, dal momento che la sua argomentazione contro il terrorismo appoggia già la premessa di fondo del terrorismo. In modo più generale, non vale forse lo stesso per il disprezzo postmoderno delle grandi Cause ideologiche, per l'idea che, nella nostra epoca post-ideologica, invece di cercare di cambiare il mondo, noi dovremmo reinventare noi stessi, il nostro intero universo, impegnandoci in nuove forme (sessuali, spirituali, estetiche...) di pratiche soggettive? Come dice Hanif Kureishi in un'intervista a proposito del suo Intimacy: "Vent'anni fa era la politica a cercare di fare una rivoluzione e di cambiare la società mentre ora la politica si è ridotta a due corpi che in uno scantinato fanno l'amore e ciò può ricreare un nuovo mondo". Quando ci si confronta con affermazioni come questa, non si può non ricordare la vecchia lezione della teoria critica: quando cerchiamo di preservare l'autentica sfera intima del privato contro l'attacco dello scambio pubblico strumentale/oggettivato "alienato", è il privato stesso che si trasforma in una sfera "mercificata" totalmente oggettivata. Il ritrarsi entro il privato significa adottare oggi la formula dell'autenticità privata propagandata dalla recente industria culturale, dal prendere lezioni di illuminazione spirituale e seguire l'ultima moda culturale di tendenza, fino al praticare jogging e body-building. La verità ultima del ritrarsi nella sfera privata sono le confessioni pubbliche dei segreti intimi negli show televisivi contro questa sorta di privato si dovrebbe sottolineare che, oggi, il solo modo di spezzare i vincoli della mercificazione "alienata" è inventare una nuova collettività. Oggi, più che mai, è attuale la lezione dei racconti di Marguerite Duras: il modo il SOLO modo di avere un'intensa e compiuta relazione PERSONALE (sessuale) per una coppia non è guardarsi l'un l'altro negli occhi, dimenticandosi del mondo circostante, ma, tenendosi per mano, guardare insieme un terzo punto (la Causa per la quale entrambi stanno combattendo, in cui entrambi sono impegnati). | << | < | > | >> |Pagina 57Nel senso strettamente lacaniano dei termini, si dovrebbe così postulare che la "felicità" risieda nell'incapacità o nell'inesperienza del soggetto di fare pienamente i conti con le conseguenze del proprio desiderio: il prezzo della felicità è che il soggetto resta attaccato all'incoerenza del proprio desiderio.Nelle nostre vite quotidiane noi (fingiamo di) desiderare cose che in realtà non desideriamo, così che, alla fine, la cosa peggiore che può capitarci è di OTTENERE quello che "ufficialmente" desideriamo. La felicità è pertanto intrinsecamente ipocrita: è la felicità di sognare cose che in realtà non vogliamo. Quando la Sinistra di oggi bombarda il sistema capitalista di richieste che esso ovviamente non può soddisfare (Pieno impiego! Difendere il welfare state! Pieni diritti agli immigrati!) sta giocando fondamentalmente un gioco di provocazioni isteriche, indirizzare al Master delle richieste alle quali sarà per lui impossibile venire incontro e che metteranno così in evidenza la sua impotenza. Tuttavia, il problema con questa strategia non è solo che il sistema non può venire incontro a queste richieste, ma anche che coloro che le enunciano non vogliono VERAMENTE che esse vengano realizzate. In altre parole, quando i "radicali" accademici chiedono pieni diritti per gli immigrati e l'apertura delle frontiere, sono consapevoli del fatto che l'adempimento diretto di questa richiesta inonderebbe, per ovvie ragioni, i paesi sviluppati occidentali di milioni di nuovi venuti, così da provocare una violenta reazione razzista da parte della classe operaia che poi metterebbe in pericolo la posizione di privilegio di quegli stessi accademici? Naturalmente costoro ne sono consapevoli, ma contano sul fatto che la loro richiesta non verrà accolta in questo modo essi possono ipocritamente conservare la loro limpida coscienza radicale mentre continuano a godersi la loro posizione di privilegio. Nel 1994, quando si stava verificando una nuova ondata di immigrazione verso gli Stati Uniti, Fidel Castro avvertì gli Stati Uniti del fatto che, se non avessero smesso di incitare i cubani a immigrare, Cuba non avrebbe più impedito loro di farlo cosa che le autorità cubane effettivamente fecero un paio di giorni dopo, mettendo in imbarazzo gli Stati Uniti con migliaia di nuovi venuti indesiderati... Non è forse come la proverbiale donna che risponde aggressivamente all'uomo che le fa delle avance da macho: "Stai zitto o dovrai fare quello di cui ti vanti!"? In entrambi i casi il gesto è quello di scoprire il bluff dell'altro, contando sul fatto che ciò di cui l'altro ha davvero paura è che si risponda pienamente alla sua richiesta. E lo stesso gesto non getterebbe nel panico anche i nostri accademici radicali? Il vecchio motto del '68 "Soyons realistes, demandons l'impossible!" acquista qui un nuovo cinico e sinistro significato che, forse, mostra la sua verità: "Lasciateci essere realisti: noi, la sinistra accademica, vogliamo apparire critici, mentre ci godiamo pienamente i privilegi che il sistema ci offre. Così, lasciateci bombardare il sistema con richieste impossibili: tutti noi sappiamo che queste richieste non saranno accolte, così possiamo essere sicuri che niente cambierà davvero e che noi conserveremo il nostro status quo privilegiato!". Se si accusa una grande corporation di particolari crimini finanziari, ci si espone a rischi che possono arrivare a tentativi di omicidio; se si chiede alla stessa corporation di finanziare un progetto di ricerca sul legame tra capitalismo globale e l'emergere di identità ibride postcoloniali, si hanno buone possibilità di ottenere centinaia di migliaia di dollari... I conservatori, pertanto, sono del tutto giustificati nel legittimare la loro opposizione al sapere radicale in termini di felicità: la conoscenza in definitiva ci rende infelici. Contrariamente all'idea che la curiosità è innata negli esseri umani, che c'è dentro ciascuno di noi un Wissenstrieb, una pulsione a conoscere, Jacques Lacan afferma che l'atteggiamento spontaneo di un essere umano è quello del "non voglio saperlo" una resistenza di fondo al sapere troppo. Ogni vero progresso nella conoscenza deve essere pagato da una dolorosa lotta contro le nostre propensioni spontanee la biogenetica di oggi non è forse la prova più chiara di questi limiti del nostro essere pronti a conoscere? | << | < | > | >> |Pagina 63Il problema è: questa "dottrina della gioia condizionata" (o, per dirla in termini lacaniani: la logica della castrazione simbolica) è effettivamente l'orizzonte ultimo della nostra esperienza? Θ proprio vero che, per godere della portata circoscritta di una libertà attuale, si debba tollerare una limitazione trascendentale alla nostra libertà? Il solo modo di salvaguardare la nostra ragione è ammettere un'isola di irrazionalità nel suo stesso cuore? Possiamo amare un'altra persona solo se siamo consapevoli del fatto che amiamo di più Dio? Va a onore di Chesterton il fatto che egli ha decifrato la natura propriamente perversa di questa soluzione riguardo il paganesimo; egli evita il classico (fra)intendimento secondo il quale l'antico atteggiamento pagano è quello di una gioiosa affermazione della vita, mentre il cristianesimo impone un ordine tetro di colpa e rinuncia. Al contrario, è la posizione pagana a essere profondamente melanconica: anche se predica una vita piacevole, è nella modalità del "goditelo finché dura, perché, alla fine, ci sono solo morte e rovina". Il messaggio del cristianesimo è, al contrario, sotto la fuorviante apparenza di colpa e rinuncia, quello di una gioia infinita:La cinta esterna del cristianesimo è un rigido presidio di abnegazioni etiche e di preti professionali; ma dentro questo presidio inumano troverete la vecchia vita umana che danza come i fanciulli e beve vino come gli uomini (giacché il cristianesimo è soltanto la cornice che racchiude e limita la libertà pagana) (p. 199). Il signore degli anelli (The Lord of the Rings) di Tolkien non è forse la prova decisiva di questo paradosso? Solo un devoto cristiano può avere immaginato un universo pagano così magnifico, confermando in tal modo che il paganesimo è l'estremo sogno cristiano. Questo è il motivo per cui le critiche cristiane conservatrici, che recentemente hanno espresso la loro preoccupazione per il modo in cui libri e film come Il signore degli anelli o la serie di Harry Potter minacciano il cristianesimo con il loro messaggio di magia pagana, perdono di vista la questione, cioè, la conclusione perversa che è qui inevitabile: vuoi goderti il sogno pagano di una vita di piaceri senza pagare per questo il prezzo di una melanconica tristezza? Scegli il cristianesimo! Noi possiamo discernere le tracce di questo paradosso fino alla ben nota figura cattolica del prete (o della suora) come ultimo depositario della saggezza sessuale. Ricordiamo quella che presumibilmente è la scena più potente di Tutti insieme appassionatamente (The Sound of Music, 1965): dopo che Maria scappa dalla famiglia von Trapp per tornare in monastero, incapace di gestire la propria attrazione sessuale per il barone von Trapp, non può ritrovare la pace, dal momento che sta ancora pensando al barone; in una scena memorabile la madre superiora la convoca e le consiglia di ritornare dalla famiglia von Trapp e di cercare di chiarire la sua relazione con il barone. Ella esprime questo messaggio con una strana canzone, "Scala ogni montagna!", il cui sorprendente motivo è: "Fallo! Prenditi il rischio e prova tutto ciò che vuole il tuo cuore! Non permettere che meschine considerazioni ti sbarrino la strada!". Il potere misterioso di questa scena sta nell'inattesa messa in mostra dello spettacolo del desiderio, che rende la scena letteralmente imbarazzante: la stessa persona da cui ci si aspetterebbe una predica sull'astinenza e la rinuncia si trasforma nell'agente della fedeltà al proprio desiderio. Significativamente, quando Tutti insieme appassionatamente venne mostrato in Iugoslavia (che era ancora socialista) alla fine degli anni Sessanta, QUESTA scena i tre minuti di questa canzone fu la sola parte del film a essere censurata (cioè tagliata). L'anonimo censore socialista in questo modo mostrò il suo acuto senso per il potere veramente pericoloso dell'ideologia cattolica: lungi dall'essere la religione del sacrificio, della rinuncia ai piaceri terreni (di contro all'affermazione pagana della vita delle passioni), il cristianesimo offre un tortuoso stratagemma per indulgere nei nostri desideri SENZA DOVERNE PAGARE IL PREZZO, per godersi la vita senza il timore della decadenza e del dolore debilitante che ci aspettano alla fine dei nostri giorni.
Se andassimo fino in fondo in questa direzione, sarebbe possibile anche
sostenere che qui sta la funzione ultima del sacrificio di Cristo:
tu puoi indulgere ai tuoi desideri e goderteli, io ne sconto il prezzo su me
stesso!
Vi è così un elemento di verità in una barzelletta su qual è la preghiera ideale
di una giovane ragazza cristiana alla Vergine Maria: "O tu che hai
concepito senza avere peccato, lascia che io pecchi senza dover concepire!"
nel funzionamento perverso del cristianesimo, la religione viene in effetti
invocata come il nullaosta che ci permette di goderci la vita impunemente.
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