Copertina
Autore Slavoj Žižek
Titolo Politica della vergogna
Edizionenottetempo, Roma, 2009, figure , pag. 120, cop.fle., dim. 14x20x0,8 cm , Isbn 978-88-7452-133-3
OriginaleKouchner in Lampedusa, The Undead Lenin, The Liberal Utopia, The Chinese Valley of Tears, Shame and its Vicissitudes, Human Rights for Odradek?
CuratoreEdoardo Acotto
TraduttoreEdoardo Acotto, Michela Agostini
LettoreRiccardo Terzi, 2009
Classe politica , filosofia
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Indice


Pop-filosofia: per tutti o per nessuno?          7
    di Edoardo Acotto

Bernard Kouchner a Lampedusa                    17

Lenin non-morto. Il 90° anniversario            23
della Rivoluzione di Ottobre

L'utopia liberale                               29

La valle di lacrime cinese                      49

La vergogna e le sue vicissitudini              59

Diritti umani per Odradek?                      89

Note al testo                                  110



 

 

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Pagina 17

Bernard Kouchner a Lampedusa


Il 16 settembre 2007, il ministro degli Affari Esteri francese Bernard Kouchner avvertí che il mondo si sarebbe dovuto preparare a una guerra causata dal programma nucleare iraniano: "Dobbiamo prepararci al peggio, e il peggio è la guerra". Quest'affermazione, com'era prevedibile, fu causa di notevole scompiglio e di critiche rivolte a ciò che Sir John Holmes, a capo dell'Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite, definí "il contagio iracheno": dopo lo scandalo delle armi di distruzione di massa, agitate come pretesto per l'invasione, evocare analoghe minacce aveva perso per sempre ogni credibilità — perché dovremmo ancora credere agli Stati Uniti e ai loro alleati, se già siamo stati brutalmente ingannati?

C'è tuttavia un altro aspetto, molto piú preoccupante, che riguarda il monito di Kouchner. Quando il presidente Sarkozy, appena eletto, nominò Bernard Kouchner, noto per i suoi orientamenti umanitari e politicamente vicino ai socialisti, a capo del Quai d'Orsay, persino alcuni oppositori di Sarkozy salutarono questa scelta come una piacevole sorpresa. Adesso il significato di questa nomina è chiaro: il ritorno in forza dell'ideologia dell'"umanismo militaristico" o anche "pacifismo militaristico". Il problema insito in quest'etichetta non è tanto che si tratta di un ossimoro che richiama alla mente lo slogan "la pace è guerra" di Orwell in 1984: la semplicistica posizione pacifista "piú bombe e uccisioni non porteranno mai la pace" è illusoria; spesso è necessario combattere per la pace. Il vero problema non è nemmeno che, come nel caso dell'Iraq, l'obiettivo è nuovamente scelto non certo sulla base di pure considerazioni morali, ma per interessi strategici, geopolitici ed economici non dichiarati. Il problema insito in un "umanismo militaristico" non risiede nel "militaristico" ma nell'"umanismo": poiché l'intervento militare è presentato come aiuto umanitario, giustificato direttamente da diritti umani depoliticizzati e universali, chiunque vi si opponga non solo prende le parti del nemico in un conflitto armato, ma compie una scelta criminale che lo esclude dalla comunità internazionale delle nazioni civilizzate.

Ecco perché, nel nuovo ordine mondiale, non abbiamo piú guerre nel vecchio senso della parola, cioè conflitti regolari tra stati sovrani in cui si applicano determinate convenzioni (il trattamento dei prigionieri, la proibizione di certe armi ecc.). Ciò che resta sono "conflitti etnico-religiosi" che violano le regole dei diritti umani universali. Essi non contano come vere guerre e richiamano l'intervento "pacifista e umanitario" delle potenze occidentali: a maggior ragione nel caso di attacchi diretti agli Stati Uniti o ad altri rappresentanti del nuovo ordine mondiale, quando, di nuovo, non si ha a che fare con vere guerre, ma solo con "combattenti illegali" che resistono colpevolmente alle forze dell'ordine universale. In questo caso, non è neanche possibile immaginare che un'organizzazione umanitaria neutrale, come la Croce Rossa, medi tra le parti in conflitto, organizzi lo scambio di prigionieri ecc.; una delle parti in conflitto (l'esercito mondiale guidato dagli Stati Uniti) già assume il ruolo della Croce Rossa: non percepisce se stesso come una delle parti in guerra, ma come un mediatore, un agente di pace e di ordine globale che annienta le agitazioni locali e particolaristiche elargendo, simultaneamente, aiuto umanitario alle "popolazioni locali".

Dunque, la domanda fondamentale è la seguente: CHI è questo "noi" in nome del quale parla Kouchner, chi vi è incluso e chi, invece, ne è escluso? Questo "noi" è veramente il "mondo", l'apolitica comunità "mondiale" dei popoli civilizzati che agiscono in nome dei diritti umani? Abbiamo avuto una risposta a questa domanda quattro giorni dopo, il 20 settembre, quando sette pescatori tunisini furono arrestati in Sicilia per aver commesso il crimine di salvare quarantaquattro migranti africani da morte certa per annegamento. Se saranno condannati per "favoreggiamento dell'immigrazione clandestina", dovranno trascorrere da uno a quindici anni in carcere. Il 7 agosto avevano gettato l'ancora su un banco di sabbia a trenta miglia a sud dell'isola di Lampedusa, vicino alla Sicilia, ed erano andati a dormire. Svegliati dalle grida, videro un gommone stipato di persone, tra cui donne e bambini, in uno stato di estrema prostrazione fisica, scosso da forti marosi e sul punto di affondare. Il capitano prese la decisione di imbarcarli fino al piú vicino porto dell'isola di Lampedusa, dove l'intero equipaggio fu arrestato. Coloro che esprimono comprensione per questa misura si comportano allo stesso modo dei negazionisti dell'Olocausto quando devono giustificare le loro problematiche affermazioni: sostengono che gli accusatori sottraggono i provvedimenti presi al loro contesto; proprio in quanto problematici, dovrebbero essere inquadrati nelle condizioni specifiche e piú ampie che li circondano. Ora, in che cosa consiste tale contesto? Evidentemente, nella paura della fortezza europea di essere invasa da milioni di rifugiati affamati: il vero obiettivo di quest'assurdo processo è dissuadere altri equipaggi dal fare lo stesso. Significativamente, non sono state intraprese azioni legali contro altri pescatori che, trovandosi in una situazione simile, hanno com'è noto allontanato i migranti a colpi di bastone lasciandoli affogare.

Ciò che è dimostrato da quest'incidente è che la nozione, dovuta a Giorgio Agamben, di homo sacer, cioè dell'escluso dall'ordine civile che può essere ucciso impunemente, opera a pieno regime nel mezzo di un'Europa che pretende di essere l'assoluto bastione dei diritti umani e dell'aiuto umanitario.

Come può accadere che, nel cuore di QUESTA Europa, quei pescatori tunisini che compiono semplicemente l'elementare dovere morale di salvare vite innocenti da morte certa siano chiamati in giudizio? Il capitano del peschereccio, Abdelkarim Bayoudh, ha dichiarato: "Sono contento di ciò che ho fatto". Noi, cittadini dell'Unione Europea, decisamente non dovremmo essere contenti di fare parte di un "noi" che include il tribunale di Lampedusa.

L'impasse in cui si trova la costituzione europea è un segnale del fatto che il progetto europeo è in questo momento in cerca della sua identità. Il dibattito viene generalmente dipinto come uno scontro tra i multiculturalisti liberali, che desiderano allargare i confini dell'Unione Europea alla Turchia e oltre, e i cristiani eurocentrici della linea dura, che esprimono dubbi sulla democraticità e il rispetto dei diritti umani all'interno dello stato turco. E se questo dibattito fosse quello sbagliato? Se facessimo meglio a restringere i confini e a ridefinire l'Europa in modo da escludere non la Turchia, ma il tribunale di Lampedusa? Forse è tempo di applicare all'Italia (o alla Polonia, o ad altri paesi...) gli stessi criteri con cui valutiamo la Turchia.

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Pagina 29

L'utopia liberale


C'è qualcosa di sorprendente nelle reazioni generalmente ostili all' ultimo libro di Naomi Klein: sono molto piú violente di quanto ci si potrebbe aspettare — persino la sinistra liberal che simpatizza con alcune delle sue analisi deplora che "l'esaltazione oscuri il ragionamento" (come ha detto Will Hutton nella recensione del libro sull' Observer). Ovviamente, Klein ha toccato qualche nervo sensibile con la sua tesi centrale:

La storia del mercato libero contemporaneo è stata scritta attraverso gli shock. Alcune delle piú drammatiche violazioni dei diritti umani nella nostra epoca, usualmente considerate semplici atti sadici compiuti da regimi antidemocratici, in realtà sono state commesse con l'intento deliberato di terrorizzare l'opinione pubblica allo scopo di preparare il terreno per l'introduzione di riforme radicali in senso liberista.

Questa tesi è sviluppata attraverso una serie di analisi concrete, tra le quali è centrale quella sulla guerra in Iraq: l'attacco USA era sostenuto dall'idea che, seguendo la strategia militare dello shock and awe ["colpisci e terrorizza"], l'Iraq avrebbe potuto poi essere organizzato come un paradiso del libero mercato – il paese e il popolo sarebbero stati talmente traumatizzati da non opporre alcuna resistenza. Tuttavia, se si può affermare che proprio in Iraq il disastro capitalista ha avuto il maggiore impatto, la generalizzazione di questo caso non è forse troppo rapida e unilaterale, un'immagine speculare della posizione di Milton Friedman e di altri fondamentalisti del mercato? Klein ignora i benefici effetti del mercato, non vede (non vuol vedere) che l'economia di mercato, quando si combina con le istituzioni democratiche, con un'adeguata istruzione, con la tutela della salute ecc., può svolgere bene la sua funzione; quindi non c'è da stupirsi se Klein non offre proposte alternative.

Per quanto possa apparire convincente, tuttavia questa critica non coglie il punto dolente dell'analisi di Klein: il nucleo UTOPICO dell'economia neoliberista. Mentre il liberismo si presenta come antiutopia incarnata e il neoliberismo odierno come il segno di una nuova era dell'umanità che ha lasciato dietro di sé i progetti utopici responsabili degli orrori totalitari del XX secolo, ora sta diventando chiaro che i tempi della vera utopia erano quelli dell'allegra "clintonite" degli anni novanta, con la loro convinzione di aver raggiunto la "fine della storia" (Fukuyama): l'umanità aveva finalmente trovato la formula per l'ordine socio-economico ottimale. L'esperienza degli ultimi decenni mostra chiaramente che il mercato non è un meccanismo benigno che lavora meglio quand'è lasciato solo a fare il suo lavoro — richiede invece molta violenza supplementare per creare le condizioni del suo funzionamento. Il modo in cui i fondamentalisti del mercato reagiscono ai risultati distruttivi dell'applicazione delle loro ricette è tipico degli utopisti "totalitari": biasimano il fallimento dei compromessi da parte di chi mette in pratica le loro idee (c'è ancora troppo intervento statale ecc.), e domandano un'applicazione ancor piú radicale della dottrina del mercato.

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