|
|
| << | < | > | >> |IndicePrefazione di STEFANO BENNI 7 Nota del curatore 11 I. EGKALÌNA 15 II. LA TROMBA DI SABBIA 25 III. IL SOGNO DEI DIECI RE 35 IV. LA SFINGE SOGÉCA 49 V. LANTERNA MAGICA 61 VI. L'OMBRA DEL SERPENTE 75 VII. LABIRINTI 87 VIII. L'UNDÉCIMO RE 97 IX. TRAFITTO DAL SUNHÍR 109 X. GAMBETTO DI RE 123 XI. IL COLOSSO DI BABELE 135 XII. DESERTO DELL'OBLIO 149 XIII. L'ORCIO CHE RIDE 161 XIV. IL DORSO DELLA TIGRE 171 Nota finale del curatore 182 |
| << | < | > | >> |Pagina 11Il 16 febbraio 1943, il tenente colonnello Jasper A***, uno degli ufficiali più giovani e valenti della RAF, partito da Delhi in missione di guerra, deviò volontariamente la rotta dei suoi trentadue bombardieri e, raggiunta una località a circa 800 miglia dal suo obbiettivo, lì, su una vasta area sconosciuta e desertica, scaricò l'arsenale di bombe, razzi incendiari e proiettili dell'intera squadriglia. Una simile, inaudita, trasgressione danneggiò in modo irreparabile la strategia bellica degli Alleati. Privata della prevista protezione aerea, l'offensiva britannica in corso subì, lungo tutto il fronte mediorientale, sanguinosi ritardi e innumerevoli perdite. Chiamato a difendersi innanzi alla Corte Marziale, Jasper A*** si rifiutò di parlare. Il suo silenzio irriguardoso irritò i Giudici e l'opinione pubblica. Quando la condanna a morte sembrò inevitabile - e solo allora -, il difensore del pilota, in un estremo tentativo di mutare le sorti del processo, produsse presso la Corte un documento che, a suo giudizio, poteva spiegare i moventi segreti dell'azione incriminata: un resoconto in forma di diario compilato sette anni prima dal padre di Jasper, l'eminente archeologo di Birmingham Thelesius Israfel A***. Questo diario viene qui pubblicato per la prima volta. Esso riferisce alcuni singolari avvenimenti che si sarebbero verificati, in un arco di tempo imprecisato, nell'Emirato Indipendente di Bastra.
Per soccorrere il lettore nella faticosa decifrazione del testo che segue,
riportiamo quanto lo stesso Thelesius A*** ebbe a scrivere sull'
Archaeological Digest
del 1912, nella voce dedicata allo Staterello orientale:
« BASTRA (ba-sstra) - Antica Capitale della Civiltà dei Sogéchi (vedi), fiorita tra il cinquemila e il duemila a.C., la "placenta della Civiltà Indoeuropea" (Schauerhausen). La storia di Bastra data con certezza dall'abbandono - nel 5.382 a.C. - dell'antica Città-Tempio di Ka-Siferejd, che il mondo latino chiamò Seforádi, di cui si ignora l'esatta ubicazione. Tale diaspora, avvenuta per motivi mai accertati, diede luogo, in un lustro, alla scissione della Nazione Sogéca in undici Suvìr o Contee, rette da altrettanti Capi Religiosi, o Maestri. Nel 5002 a.C., il Paese venne riunificato sotto il dominio della più potente Contea dei Sogéchi, quella Bastrita, e da allora viene guidato da un unico Principe, designato nella lingua locale con il titolo onorifico di Ekkár (vale a dire: il "Difensore dell'Oblio").
Alla Civiltà degli Antichi Sogéchi, culminata con l'erezione di Ka-Siferejd
(5410-5385 a.C.) appartengono: il primo calendario, il primo culto monoteistico,
la prima moneta e persino le prime due scritture conosciute del mondo: la lingua
Tazda
(vedi), poi sostituita dal più evoluto sistema di caratteri
Sirdj.
In Sirdj è stata scritta e tramandata la Letteratura classica Sogéca, che gli
esperti giudicano superiore a ogni altra dell'Antichità, prima dell'avvento
dei Greci. È Sogéco, e coevo di Seforádi, il primo poema umano di cui si abbiano
notizie e copiosi frammenti: "Il Sogno dei Dieci Re"
(Kar Wektar-d Lamidia)
di Marmitawi o (alla latina) MANÍPPUS, composto in lingua Sirdj intorno al 5400
a.C. [...]»
A conclusione di questa Nota, che non sarà la sola del Testo, si deve solo aggiungere e precisare che al padre di Jasper, il Professor Thelesius Israfel A***, va anche attribuita la scoperta di uno dei più mirabolanti reperti dell'Antichità: l' "Orcio-che-Ride", un manufatto dissepolto nel 1926 durante gli scavi di Dirthé (Shar-Isocta) che recava sul dorso una lunga iscrizione proto-sogéca in caratteri Tazda. Si tratterebbe, a giudizio del Professar A***, della prima prova documentata di Scrittura Coerente mai impressa dall'Uomo. Purtroppo ne ignoriamo il contenuto perché l'Orcio-che-Ride, com'è noto agli addetti, divenne per motivi misteriosi inaccessibile, fin quando, a pochi mesi dal suo rinvenimento, se ne persero le tracce e non si seppe neppure presso chi reclamarne il possesso. Amareggiato - così affermarono i suoi esigui Amici - dalla scomparsa di quel documento artistico e letterario irripetibile, Thelesius Israfel A*** lasciò all'improvviso, in quello stesso 1926, la cattedra e la professione di Archeologo. Impermeabile alle proteste del Mondo Accademico, si rifiutò di rendere pubblico il Testo che istoriava l' "Orcio-che-Ride", pur essendo il solo ad averlo fotografato e trascritto, e pur avendone enfaticamente annunciato, sulla sua Rivista "Ruin", un'accurata traduzione dal Sogéco. Protetto da una coltre di impenetrabile silenzio, il Professor A***, visse ancora dieci anni da vedovo e da misantropo, e infine partì verso l'Oriente per un viaggio senza ritorno.
Gli Archeologi avversari e i cattedratici invidiosi gioirono della sua
fuga. Finché, in pieno Conflitto Mondiale, cominciarono a calunniarlo: lo
incolparono della distruzione dell'Orcio sogéco. Qualcuno giunse a sussurrare
che il Vaso di Dirthé non era mai esistito.
Il nostro interesse è ristabilire la Verità. Pubblicando finalmente il giornale del grande Archeologo di Birmingham, siamo certi di compiere un doveroso atto di riparazione e un giusto omaggio al buon nome della famiglia A***, che peraltro si estinse nel '43, subito dopo la sentenza della Corte Marziale. | << | < | > | >> |Pagina 17[Strato "D"]*16 agosto 1936 [ (...) Khalulabìd! Come un'effervescenza polverosa di sogno mi è affiorato alla mente questo nome segreto - acqua oscura, non più trattenuta dal pozzo senza fondo della memoria. Io sapevo tutto di Khalulabìd, e proprio questo non m'ha salvato dal ricordo e, ora, dalla pena, dalla pena infinita. Perché BASTRA È CADUTA. Poco fa (l'ho appena letto sulla Gazzetta delle Indie) ho appreso dell'assedio che ancora stringe il Palazzo del Principe, il munifico Ekkár Svabodámi. E lo rivedo, quasi fosse ancora seduto di fronte a me, come in quella notte cieca, senza fine: saggio, colto, riflessivo, guerriero, modello di fierezza orientale. Rivedo l'Uomo che, distante, ammiravo: il Generale che con un pugno di soldati aveva tenuto testa a un intero battaglione zarista sbandato dopo la Grande Rivoluzione; che a sud s'era opposto quasi da solo, a colpi di torcia e scimitarra, a un'improvvisa invasione derviscia. Il condottiero che, diceva la leggenda, per difendere il Trono paterno, s'era gettato sul nemico urlando "Eleh Eftari Kurmanda-sah!" (1). Riascolto il tono della sua voce, l'inglese raffinato con il quale mi diceva, con ostentata noncuranza, "Bastra non cadrà mai, finché godrà la protezione e l'indifferenza dell'Impero, finché custodirà l'arte e la memoria dei Sogéchi"...
E io, Inglese, perché ora pavento e insieme desidero con tutte le mie forze
la sua rovina? Perché io, archeologo, prego e tremo che l'orda che preme i
confini dei Palazzo distrugga anche, pietra su pietra, monile su monile, ogni
vestigio della Civiltà Sogéca?
--------- (1) "Eleh Eftari Kurmanda-sah!": in bastrita, "La Polvere che Sono fa Paura"! --------- Sembra - scrive la Gazzetta delle Indie - che l'esercito invasore, formato per la maggior parte di volontari afghani, mongoli e persiani, sia penetrato fino al cuore stesso del Paese senza incontrare resistenza. Durante il suo cammino verso la Capitale, la "Forza Internazionale per la Pacificazione di Bastra" ha passato per le armi dodicimila civili per evitare (riferisce il corrispondente) che le "Truppe Alleate venissero contagiate dal comportamento nauseante della popolazione e si lasciassero andare al saccheggio della propria dignità di soldati". Per esemplificare questo passo oscuro del bollettino di guerra, l'inviato ricorda che, al passaggio delle milizie, "i campagnoli di Bastra, preda di qualche droga e della loro degenerazione ormai decennale, offrivano i loro corpi e quelli delle loro mogli e figlie non alla lussuria, ma alle pentole e alla cucina dei soldati". Con raccapriccio, il giornalista rammenta che Bastra, "un tempo nota per la guida illuminata del suo Sovrano, lo splendore delle sue Rovine, e la sua squisita ospitalità, dal '26 è andata alla deriva". "Il Principe Svabodàmi ha cacciato personalmente tutti i rappresentanti occidentali dal Paese, e l'ultima missione cattolica dovette lasciare la capitale cinque anni fa, per cause mai accertate. Il Vescovo di Bastra, Scutizzo - continua il corrispondente - morì pochi mesi dopo il suo ritorno a Capua, in Italia, e tanto evidenti erano in lui i segni della corruzione per una malattia innominabile e davvero vergognosa per un prete, che fu radiato dalla Chiesa, scomunicato e infine sepolto in un fienile". Leggo anche una dichiarazione del Gran Lama di Khalèd - uomo di spiritualità superiore, lontano da ogni cura del Mondo e solitamente timorato e silenzioso -, che non sa nascondere la propria soddisfazione "perché il lercio bubbone viene finalmente schiacciato, e Bastra ha finito di appestare l'Asia". Leggo e mi chiedo: come, com'è potuto accadere tutto questo? E, sciocco e pazzo che sono! non sarò presto l'unico al mondo che conosca il Segreto, che sappia il come, il perché, il "punto preciso", la notte, il colloquio, la beffa, la "parola" da cui è nata questa immensa rovina? Da quella notte, la mia notte con l'Ekkàr... da quella parola... KHALULABÌD...] | << | < | > | >> |Pagina 19[Strato "C"]*L'Ekkàr mi parlava del Sogno. Dapprima mi ero stupito che avesse riservato la conversazione, dopo il pranzo sontuoso della sera, a un argomento tanto fantastico. Mi chiedevo soprattutto per quale ragione mi avesse chiamato da Delhi con una missiva urgente e premurosa, e attendevo con ansia che mi comunicasse il motivo del suo invito regale. Il Principe mi parlava del Sogno, rammento, e allora mi lasciai conquistare dal suo eloquio colto, gutturale e avvincente e anch'io mi provai a parlare del Sogno come mai con nessuno avevo tentato. - Vi sono grandi Imprese - diceva Svabodàmi -, che sono scaturite da un Sogno, come un miracolo nel Deserto.- E riferì di fatti prodigiosi che appassionavano la sua indole di studioso e di militare e che infine lo turbavano per una segreta affinità o affezione che, ero certo, non avrebbe tardato a rivelarmi. | << | < | > | >> |Pagina 30[Strato "B"]
«Un giorno un cacciatore di serpenti fu colto, nel deserto, dal terribile
"Szymùth", la tempesta di sabbia, fine, impalpabile e invisibile, che satura i
polmoni dei viandanti e rende cieco e pazzo chi la incontra. Il calore che
emanano le dune, a mezzogiorno, altera i contorni della visione. Il Szymùth, che
giunge inavvertibile, e in assenza di suono, riassesta all'improvviso il campo
visivo delle vittime, secondo una geometria che non ha nulla di umano. Voi
conoscete senz'altro, professore, i versi immortali del nostro Okhradilk, che
volendo appunto rappresentare questo choc percettivo, recitano:
Questo è il Szymùth. (5)
--------- (5) Secondo lo Jutter-Schamehl Astiage (Köln,1919), l'armata di Cambise scomparve nel deserto egizio nel corso di una "furiosa tromba di sabbia, o Gimúd: i guerrieri, convinti di avanzare, penetrarono invece nel terreno, e sprofondarono nelle dune, dove perirono soffocati dalle loro stesse armature". --------- Per sfuggire alla tempesta invisibile di sabbia, il cacciatore di serpenti si bendò e spronò il suo cammello. Almeno così gli parve. Di sicuro, errò senza una meta, per ore. Quando il turbine di polvere cessò, si ritrovò - supino, la sua cavalcatura straziata accanto - su un' altissima colonna. Nessuno, al suo ritorno, volle credere al suo racconto trafelato.
Egli narrava d'aver letto sul pilastro l'antichissima parola dei Sogéchi:
GWA, ossia: "L'Iddìo", di aver toccato il simbolo proibito dell'UNO.
Bastra, come voi sapete, professa da millenni il politeismo, e ha bandito
dalla serie dei numeri la cifra "1" e, dalla grammatica, l'articolo
indeterminato corrispondente. I Maestri, per dimostrare l'inesistenza di
un'unica Divinità, per di più giusta e onnipotente, esibivano le proprietà della
calamita e additavano al volgo le mosche, il
sesso differente dal nostro,
le pustole e il fango.
Passarono i mesi, e un frammento del delirio sconnesso di quell'uomo, che tutti attribuivano al Szymùth, giunse all'orecchio di Á'Tamor Saréddon. Di questi, che fu il mio Precettore, non credo abbiate mai avuto notizia, benché nessun Archeologo, né in Bastra, né in Asia, né altrove, potesse gareggiare con lui per ingegno e in sapienza. La sua Fama, purtroppo, non varcò mai i nostri confini: Saréddon era restio alla pubblicità delle proprie scoperte, schivo, taciturno, sprezzante ma come divorato da una sete di Logica, di Scienza e di Storia che non ho mai rincontrato in nessuno. Mio Padre l'Ekkár aveva grande stima delle sue capacità, e gli concedeva mezzi illimitati. Io, archeologo più che dilettante, gli tributavo un'ammirazione sconfinata. Bene, Saréddon si convinse che la storia del pilastro e dell'eretico non era ispirata dalla Sabbia, ma dall'esperienza: e la colonna era tanto antica da precedere la Riforma Religiosa dei Maestri. In tre giorni allestì una spedizione nel deserto. In un mese, mi mandò a chiamare. Con lo stesso messaggio laconico mi informava di aver disseppellito le nove colonne leggendarie di Ka-Siferejd, e le rovine del suo Tempio perduto. | << | < | > | >> |Pagina 58Il Tazda, la scrittura puntiforme degli Eletti e dei Re, fu abolito di colpo e sostituito dal "Sirdj", che designa la stessa lingua ma ne stravolge i segni.Altrettanto drasticamente i nostri Antenati si comportarono con il Poema di Maníppus: le tavole del "Sogno dei Dieci Re" furono sbriciolate dagli elefanti dei Maestri, e il cantore di Seforádi, il "Pan silvestre" dei Sogéchi, fu castrato dal forcipe aguzzo del Carnefice, e abbandonato a dissanguarsi in una cella. Non c'é un documento, un'iscrizione, un rilievo, una filastrocca, un Mito che ci spieghino il motivo di tanto astio verso la grandezza passata, verso l'impresa leggendaria dei Re, verso l'inizio stesso della nostra Civiltà planetaria... Questo è il Grande Enigma da risolvere, questo è lo scopo del Gran Gioco cui ci invitano gli Ascritti, Drupídza e Seforádi... Provai a sperimentare un nuovo metodo, allora: accorpare tutti i Misteri del Santuario, e della Città, supporli tutti indissolubilmente congiunti in uno stesso nodo, stabilire tra loro una sorta di gerarchia, in modo tale che il rebus proposto da questo Penetrale, una volta sciolto, rischiarasse e risolvesse tutti gli altri. Nella mia Impresa, non avevo bisogno d'altro aiuto che quello della Scienza, e di due ferree facoltà raziocinanti, una induttiva, l'altra deduttiva. Esistono Due Logiche, ci insegnano i nostri Dèi, e non c'é mistero umano che, da queste, non possa essere svelato. Le azioni degli uomini sono spesso incomprensibili, perché hanno all'origine infiniti moventi, ma le loro menzogne e i loro segreti si assomigliano, perché ne hanno uno solo: nascondere la Verità... Così è anche per questa cripta...» Per la prima volta, dal principio del suo lungo monologo, Saréddon parve ricordarsi di Me, che, inebriato e confuso, gli sedevo di fronte. Allora si mosse e mi disse:
- Il
Grande Gioco
con Drupídza va a incominciare. Nella sfida con i nostri astuti Antenati,
Altezza Ereditaria, dovremo mettere in palio la posta più alta... (14)
--------- (14) Per Grande Gioco (Al-kirmiz), a Bastra si intende di solito la disputa degli Scacchi, che furono inventati per l'appunto dai Sogéchi, e che originariamente non simboleggiavano una battaglia, ma piuttosto la conduzione della cosa pubblica, tanto che i singoli pezzi simulavano altrettanti amministratori e mestieri. In quel Principato si ritiene infatti che per un Re sia molto più difficile governare che vincere una guerra. Per inciso, a Bastra è anche popolare il "piccolo gioco" (kirmiz-in), che è una matrice, anteriore, degli Scacchi, del tutte sconosciuta agli Occidentali. Nel Kirmiz-in un contendente pone la Regina (che è l'Armut rosso, ossia l'"Apicoltore") in una casella qualsiasi della scacchiera. L'avversario, bendato e munito di bastone, cerca di frantumare quel pezzo con un'unica tremenda mazzata, dopo aver "dedotto" infallibilmente, col pensiero, dove si trova. --------- | << | < | > | >> |Pagina 89[Strato "D"]21 agosto 1936 [ STANOTTE, un sogno. Un sogno vero, non l'incubo consueto delle api e dell'abisso. Mi sono addormentato, ieri sera, nel mio studiolo, che avevo appena messo giù la penna e chiuso il diario. Sono crollato sulla poltrona, ho spalancato la Gazzetta delle Indie e mi accingevo a leggerla quando ecco, dopo appena poche righe, ho sentito il sonno gravarmi le ciglia, e tanta era la stanchezza, che la bocca si è socchiusa da sola, salivando, il respiro si è fatto più pesante, la fronte, un velo lieve di sudore e allora, allora una voce, che era la mia, mi ha sussurrato alle orecchie, come una nenia: "non resistere, ti stai addormentando..." Ma qualcosa in me - l'insonnia di dieci anni! - si ribellava a quella debolezza improvvisa e mi voleva vigile e attento. "È solo per un momento, mi sono detto; "adesso chiudo un po' gli occhi, per prendere respiro"... Ho spento la luce e ho poggiato il capo sul bracciolo, come facevo da bambino, in attesa di una carezza invisibile... E il sonno venne e venne il sogno con l'intensità di una preghiera... Ma ero agitato. Mi pareva allora di alzarmi, e mi pareva di continuare un discorso appena cominciato, e invece era un dialogo che, giusto dieci anni fa, avevo intrapreso col Rettore, e stavolta mi tornavano alla mente le parole che avrei voluto dirgli, ma avevo taciuto, e discutevo delle mie dimissioni con l'animo di una cosa certa. "Debbo fare un viaggio", protestavo. Passeggiavamo, io e il Rettore, e, camminando lungo il muro del Camposanto, sentii ridere. Distolsi lo sguardo, perché un presentimento mi diceva che la tomba di mia moglie era stata profanata. (21) Ma ecco che, in sintonia con gli umori della disputa, il paesaggio intorno a noi mutava... Il selciato della Strada Nuova: terra battuta solcata dai rigagnoli; il vecchio campanile: una colonna istoriata; il bosco e il Cimitero: un turrito Palazzo orientale e un serraglio dolente di cammelli....
Il Rettore mi fece notare quei prodigi, ma io credevo volesse sviare il
discorso dalle mie decisioni, e allora gli presi un braccio e, brusco, gli
dissi: "Cosa dovrei fare, insomma,
uccidermi?"
Credo di aver tremato, perché mi sono svegliato per un poco, il tempo di
sistemarmi una coperta sui ginocchi, di dirmi: "non è un sogno, è solo
un momento di stanchezza, passa subito..."
Ma appena ho chiuso gli occhi, ho visto la cupola verde, elicoidale, del Tempio dei Sogéchi. ERO A BASTRA. Precisamente, nel mercato delle Porte d'Oriente. Ho gridato: tradimento, tradimento!, cercando il Rettore, come se lui mi avesse teso quella trappola e mi avesse condotto lì a mia insaputa. Mi sono gettato minaccioso nella calca, ma ho incontrato solo ceffi ottusi di servi e di droghieri, donne sellate per la spesa, e sguardi plebei ottenebrati dal glaucoma... Qui, nulla è cambiato. Il mercato è tranquillo e maleodora come sempre. Che dice la Gazzetta? Che la Città è stata conquistata? No, non è vero: Bastra vive e non è mai degenerata... Le grida di un ambulante attirarono la mia attenzione. L'omarino, sbracciandosi, urlava con tutto il suo fiato: "Labirinti!... Vendo labirinti!... I migliori labirinti di Bastra!"... Ho già vissuto tutto questo, ho pensato.
Questo sole, questo cielo terso, questo mercato, quest'uomo, io li
conosco...
|