Copertina
Autore Paolo Apolito
Titolo La religione degli italiani
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 2001, Storia fotografica della società italiana , pag. 256, dim. 175x220x13 mm , Isbn 978-88-359-4994-7
LettoreRenato di Stefano, 2002
Classe fotografia , storia contemporanea d'Italia , storia sociale , religione , paesi: Italia
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Indice


      Introduzione

 33   Il cattolicesimo istituzionale e romano

 89   Il cattolicesimo popolare:
      il ciclo dell'anno

169   Il cattolicesimo popolare:
      il ciclo della vita

187   Il cattolicesimo sociale

209   Il cattolicesimo post-conciliare

237   Le altre religioni

254   Ringraziamenti

255   Referenze fotografiche

 

 

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Pagina 7

INTRODUZIONE


I due mondi

La religione degli italiani è da secoli il cattolicesimo romano. La forza spirituale e politica della Chiesa cattolica sul territorio di quella che diventerà la nazione italiana è stata nell'era cristiana tanto rilevante da impedire che si diffondessero vigorosamente altri culti, altre religioni. Soprattutto dopo la diaspora religiosa aperta dalla Riforma luterana, l'Italia divenne il baluardo principale della controffensiva cattolica, che a partire dal Concilio di Trento fu prodotta nel tentativo di riconquistare le posizioni perdute e dare nuovo slancio al cattolicesimo. Le complesse vicende che tre secoli dopo condussero da una frammentazione in numerosi piccoli e medi Stati all'unità nazionale influirono poco sulla dimensione religiosa che rimase quasi esclusivamente cattolica. Grazie alla influenza che la Chiesa, nelle sue dimensioni centrali e nelle sue espressioni periferiche, esercitava in tutti gli strati sociali, indipendentemente dalle occasioni di contrasto politico e giurisdizionale che pure non vennero mai meno, il riferimento religioso degli italiani non s'allontanò mai dalla religione cattolica. Piccole enclave di protestantesimo, isole ebraiche o ortodosse, movimenti acattolici erano frutto di circoscritti processi di conversione di scala territorialmente delimitata o di differenze etniche derivate da flussi di immigrazione che avevano mantenuto tradizioni religiose di provenienza.

Ma il cattolicesimo in Italia non è stato una religione unitaria, omogenea socialmente e territorialmente. Al contrario, essa ha presentato un'ampia varietà di esperienze religiose, di orientamenti di fede, di vissuti devozionali, tale da sorprendere i viaggiatori e gli studiosi che attraversando l'Italia spesso individuavano piú religioni in una, sempre almeno due, l'una colta delle élite, l'altra del «popolo».

Soprattutto quelli che si spingevano al Sud della penisola provavano impressioni sconcertate, talvolta frettolose, di fronte a realtà culturali difficili da comprendere, e ne traevano spesso conclusioni dal tono apodittico, a volte poi usate per fini di polemica religiosa. Ne è un esempio famoso l'opera pubblicata alla fine dell'Ottocento da Trede, secondo il quale il cattolicesimo romano era stato vinto dal paganesúno antico e la prova era nei culti, nelle feste, nei riti che venivano praticati nell'Italia meridionale. Ma Trede non si discostava molto, se non per il tono sprezzante verso il cattolicesimo, dalle condanne che per secoli Sinodi e Concili avevano lanciato, e continuarono a lanciare dopo di lui, contro le consuetudines non laudabiles del «popolo». Settant'anni dopo Trede, Ernesto De Martino ne criticò vivacemente la tesi, «scopertamente polemica e confessionale» e priva di senso storico. Per De Martino, non v'era stato un cedimento cattolico verso il paganesimo, morto come civiltà religiosa e presente solo in «relitti», ma al contrario la stessa Chiesa aveva contribuito ad elaborare forme magico-religiose di compromesso con le ideologie magiche contadine, con lo scopo di conseguire una piú efficace penetrazione nelle campagne. L'interpretazione corretta dello sviluppo delle forme di cattolicesimo popolare dunque era nella forza pedagogica del sincretismo magico-religioso.

Ma già un secolo prima di Trede v'erano stati fenomeni che avevano presentato agli occhi degli osservatori una realtà sociale e culturale italiana come divisa in due mondi. Le rivolte popolari in Toscana e soprattutto l'esercito sanfedista a Napoli avevano posto un problema che non era solo religioso, ma soprattutto politico e sociale, mostrando brutalmente, dietro la devozione popolare, la presenza di un inquietante mondo disponibile alla reazione piú violenta, incomprensibile nella sua radicale diversità. Sulle ceneri della Repubblica Partenopea del 1799, Vincenzo Cuoco parlò della «nazione napoletana» divisa in «due popoli», quello degli uomini colti ammaestrati ai modelli francesi e inglesi e quello degli «incolti», divisi come per «due secoli di tempo e due gradi di clima».

Nello scontro tra rivoluzione e restaurazione, la Chiesa aveva messo in luce il suo profondo radicamento nelle campagne e, di fronte alle dinamiche secolarizzanti che attraversavano i ceti urbani, aveva cominciato a idealizzare il mondo contadino, indicato come centro di valori religiosi autentici, come baluardo della vera fede, come esempio per gli altri ceti.

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I movimenti cattolici post-conciliari

Il Concilio Vaticano II apre una fase di radicali trasformazioni interne al cattolicesimo, che rispondevano alle trasformazioni della società, questa volta non negandole o rifiutandole, ma aprendo un dialogo con esse. Le sfide erano enormi, perché si trattava di fare i conti con una accelerazione dei processi di secolarizzazione e scristianizzazione; perché si legittimava nella sedepiù alta della Chiesa un dibattito teologico in precedenza appena tollerato; perché si avviava un processo di revisione della centralità regale del papa, ancora forte in Pio XII; perché si affacciava una nuova libertà del laicato, delle associazioni e dei singoli credenti, che favoriva esperienze di nuova religiosità, molte volte di rottura, per esempio nell'esperienza dell'Isolotto a Firenze o nel movimento dei «cattolici del no» per i referendum del divorzio e dell'aborto, altre volte, dalla parte opposta, nei tentativi di restaurazione di un ordine liturgico antico accantonato dalle riforme conciliari, che culminarono nella protesta del vescovo Lefebvre, sospeso a divinis nel 1976. Oltre a questi fenomeni, di grande interesse sono i movimenti ecclesiali che nascono o che si rafforzano in questo periodo, dal Rinnovamento dello spirito al Movimento neocatecumenale, da Comunione e Liberazione ai Focolarini (riconosciuti nel 1962), i quali ben presto misero in crisi gli antichi assetti istituzionali della parrocchia e della stessa diocesi, costrette a riformulare le proprie dinamiche pastorali. La nascita dei movimenti ecclesiali fu una risposta articolata e non di segno omogeneo al progressivo intiepidimento religioso. Anche se si continuava a proclamare strumentalmente l'Italia una nazione cattolica, si era verificato un progressivo allontanamento persino dalle funzioni ordinarie della pratica religiosa, come la messa domenicale o l'eucarestia annuale. Quei movimenti rispondevano a un progetto generale di passaggio da una religione cui si aderiva per abitudine, per eredità sociale, per obbligo, a una religiosità di scelta, basata su un individuo che liberamente aderiva ad un progetto di percorso spirituale - scegliendo in una pluralità di «cammini» di fede e non subendo eventualmente quello territorialmente a lui vicino - e che intendeva avere un'esperienza diretta del sacro e del divino, anche se la logica stessa di movimenti che miravano ad assumere al proprio interno la vita «totale» dell'individuo che vi aderiva, sospendeva poi questa libertà individuale. Inoltre questi movimenti si affrancavano in gran parte dal nesso tra religione e politica, in base al quale essere cattolici significava far parte di un campo politico contrapposto ad altri, nesso presente nella logica da guerra fredda dei Comitati Civici di Gedda, della Madonna Pellegrina, del «microfono di Dio» padre Lombardi, nella stessa idea di partito cattolico, ma anche nella politica vaticana post-conciliare. Pur con qualche contraddizione e con la vistosa eccezione di Comunione e Liberazione, insieme al suo braccio politico Movimento popolare, i nuovi movimenti cattolici si proponevano innanzitutto come esperienze spirituali, anche con risvolti sociali, assistenziali, associativi, ma solo molto parzialmente politici. Questa nuova stagione religiosa registrava definitivarnente - e ne era una risposta - la perdita di centralità della Chiesa nella società italiana e lo scollamento tra vita civile e vita religiosa, la sfida di nuove fedi e nuove opzioni spirituali e poi soprattutto la non piú ignorabile scristianizzazione della società. Essa archiviava la tradizionale «pastorale di sacramentalizzazione, valida in una situazione di "cristianità"» e passava, come si esprimeva un documento della CEI del 1974, «ad una pastorale di evangelizzazione, richiesta dai tempi nuovi della chiesa e del mondo»

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Pagina 30

Anche per le religioni non cattoliche gli anni Sessanta furono uno spartiacque decisivo. Il pluralismo religioso non poteva piú in Italia destare scandalo né produrre reazioni repressive. La forza suggestiva di nuove e vecchie religioni preoccupava il mondo ecclesiastico - il proselitismo piú preoccupante a questo proposito era rappresentato dai Testimoni di Geova, la cui propaganda è stata molto efficace tra i ceti popolari -, ma ormai era un dato acquisito dalla complessità sociale contemporanea. Nel nuovo clima ideologico nato in una società che cominciava a riconoscersi ricca, in cui le culture giovanili transnazionali del mondo occidentale trovavano un ruolo centrale nel mercato economico dei consumi e nei conflitti simbolici delle società opulente, si aprivano nuove curiosità e impulsi religiosi, che in quegli anni riguardavano soprattutto movimenti religiosi di origine orientale, favoriti da una tendenza culturale underground soprattutto americana che privilegiava il «viaggio ad Oriente». Successivamente prese piede anche in Italia la galassia dei movimenti ispirati in modalità varie alla New Age, e si rafforzò un processo di differenziazione tra religione e sacro: quest'ultimo affiorava in varie sfere della vita sociale e diventava anche un punto di vista, una filosofia, modulabile in decine di scelte diverse.

È in fondo proprio questo il nuovo profilo religioso dopo gli anni Sessanta: la religione diviene crescentemente una questione di scelta individuale piú che di eredità di gruppo o di obbligo sociale, subisce spesso spinte de-istituzionalizzanti che operano in termini di varia sacralizzazione in risposta ad ansie, domande e percorsi individuali, fino a diventare nei suoi aspetti piú volubili, e anche consumistici, una sorta di bricolage dell'anima.

Negli ultimi anni, però, questa forma di sensibilità religiosa schiettamente individualistica, pur rimanendo egemone, s'è trovata di fronte a nuove sfide, poiché è diventata solo una delle possibilità religiose presenti in una società sempre piú articolata e composita. I grandi flussi di immigrazione dal Sud povero del mondo pongono nuovi e imprevisti problemi di concezione religiosa e politica e conseguentemente di confronto e tolleranza religiosi, soprattutto da e verso l'Islam, avvertito spesso come una minaccia di civiltà piuttosto che una possibile nuova fede europea. La recente presa di posizione del cardinale Biffi, che invitava il governo italiano a scoraggiare l'immigrazione di musulmani e a favorire quella di cattolici, ha mostrato che la tolleranza religiosa, che sembrava una conquista ormai acquisita dell'Europa moderna, è un bene sociale e ideale sempre a rischio, che può ricevere attacchi spaventati dalle posizioni piú imprevedibili.

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