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| << | < | > | >> |IndicePresentazione di Mario Tozzi Una competizione positiva: la corsa a salvare il pianeta 5 Introduzione di Stefano Apuzzo e Dando Bonato 7 Cosa fare dopo Kyoto? di Al Gore 10 Come costruire una società basata sull'energia rinnovabile? di Jeremy Rifkin 17 Quali politiche ambientali oggi in Italia? di Carlo Ripa di Meana 26 Destinati alla catastrofe? di Fulco Pratesi 29 Il capitalismo può convivere con l'ambiente? di Fabrizio Galimberti 33 Parte prima Fare impresa nel rispetto dell'ambiente 1. Risvolti sociali e ambientali dell'industrializzazione di Edgar Meyer 44 2. Innovazione tecnologica e riduzione degli impatti ambientali 53 3. Meccanismi flessibili per le imprese a salvaguardia dell'ambiente di Guido Busato 59 Parte seconda Le sfide per le imprese "verdi" in Italia 4. Clima 72 5. Aria 86 6. Energia 103 7. Acqua 114 8. Risorse 123 9. Sostenibilità 147 10. Etica 162 Parte terza Le pagelle ambientali dell'industria italiana 11. Impatto ambientale e azioni a difesa dell'ecosistema 180 12. Energia 183 13. Auto e Mobilità 195 14. Chimica e Farmaceutica 204 15. Elettronica 212 16. Agroalimentare 219 17. Carta, Legno e Foreste 227 18. Tessile e Abbigliamento 234 19. Cemento 238 20. Siderurgia 244 21. Ingegneria e Costruzioni 249 22. Conclusioni 255 Parte quarta I promotori di Eco Logo e Fonti informative Amici della Terra Lombardia 258 ReMedia 259 Class Onlus 261 Ecoqual'It 263 10 libri per approfondire 265 10 siti web per tenersi aggiornati 267 Il cittadino chiede... Le imprese rispondono! 269 |
| << | < | > | >> |Pagina 2| << | < | > | >> |Pagina 5PresentazioneUna competizione positiva: la corsa a salvare il pianeta di Mario Tozzi
Conduttore televisivo, Presidente Parco Nazionale Arcipelago Toscano
Eco Logo squarcia il velo della pubblicità con l'ambizione di scoprire, tra i vari settori dell'industria quali, in realtà, hanno comportamenti ambientalmente corretti e responsabili e quali no. Trovo affascinante l'idea di mettere a confronto, con tutte le cautele del caso, le prestazioni ambientali delle diverse squadre produttive italiane, segnalando i giocatori industriali che hanno la minore impronta ecologica sul campo della sostenibilità. Le imprese intelligenti oggi risparmiano l'ambiente perché questo fa risparmiare i loro budget. Per le aziende che hanno un brand, un logo, anzi un Eco Logo, da difendere sul mercato consumer, è fondamentale promuovere una immagine linda e sensibile ai problemi del pianeta. I consumatori-cittadini, infatti, sono sempre più attenti a ciò che acquistano: secondo uno studio del 2007, negli ultimi due anni, il 50% dei consumatori ha preferito prodotti rispettosi dell'ambiente in termini di packaging, di ingredienti utilizzati o di relativi messaggi pubblicitari. Le imprese che hanno puntato sull'efficienza energetica, su "zero rifiuti", sulla riduzione dei consumi di acqua, hanno avuto significativi risparmi economici nelle bollette. Altre aziende hanno addirittura deciso di produrre l'energia autonomamente, con fonti rinnovabili e in co-generazione. Il gioco delle patenti ambientali alle imprese e ai comparti industriali, lanciato da questo volume, mi sembra, oltre che divertente, interessante perché stimola una competizione in positivo tra le imprese a fare sempre di più per ridurre i propri impatti e sempre meglio nell'efficienza energetica e nella sostenibilità. Un'ottima lettura per il Pianeta Gaia. | << | < | > | >> |Pagina 7Introduzione
di Stefano Apuzzo e Danilo Bonato
Nei prossimi decenni la temperatura della Terra aumenterà di uno, di due, di quattro o di sei gradi? Potrebbe apparire una discussione accademica. Teorica. E invece stiamo parlando del nostro futuro e di quello dei nostri figli. Stiamo parlando del destino che potrebbe farci assistere, da anziani, alle inondazioni delle nostre città causate dallo scioglimento dei ghiacciai e dall'innalzamento dei mari. Secondo tutte le previsioni, se l'umanità intera sarà così brava da azzerare le emissioni di anidride carbonica tanto da contenere l'aumento della temperatura globale di "solo" due gradi, avremo comunque sconvolgimenti ambientali e sociali non indifferenti. Con questo scenario "ottimistico" potremmo assistere non all'estinzione del genere umano, bensì all'inondazione di Venezia, del centro di Londra, di Miami e Manhattan, con tutte le coste mediterranee, incluse quelle italiane, ridotte a deserti aridi. Con l'aumento di un grado centigrado della temperatura globale scompaiono i piccoli ghiacciai, aumentano malaria e altre malattie tropicali, si scioglie il permafrost, scompaiono l'80% delle barriere coralline e si affievolisce la corrente del Golfo. Sarebbe solo l'inizio di una serie di eventi drammatici a catena. Con l'aumento di due gradi, l'acqua potabile diminuirebbe del 20-30%, la resa agricola si abbatterebbe del 10%, avremmo 60 milioni di nuovi casi di malaria in Africa, le alluvioni lungo le coste interesserebbero 10 milioni di persone in più e il ghiaccio della Groenlandia si scioglierebbe definitivamente. Con più quattro gradi centigradi la disponibilità di acqua potabile diminuirebbe del 30-50% nell'area mediterranea, scomparirebbero i ghiacci dell'Himalaya e si prosciugherebbero i fiumi di India e Cina, favorendo migrazioni bibliche. La malaria arriverebbe in pianta stabile in Europa e le rese agricole diminuirebbero del 15-35%. La pesca diventerebbe quasi un lontano ricordo. Trecento milioni di persone in più sarebbero esposte alle alluvioni, sarebbe distrutta la foresta amazzonica e le tundre con la liberazione di gas metano e altri gas ad effetto serra che farebbero aumentare ancor di più la temperatura. Il livello del mare si innalzerebbe di 7 metri, sommergendo intere città costiere. Con l'innalzamento di cinque gradi centigradi il nostro pianeta diventerebbe irriconoscibile, con migrazioni di massa e conflitti e con la popolazione concentrata a ridosso delle calotte polari. Sei gradi di aumento della temperatura porterebbero a estinzioni di massa sulla terraferma e negli oceani, al pari di quanto accadde nell'era del Permiano, 251 milioni di anni fa. Questi scenari, a partire dall'innalzamento della temperatura di "solo" due gradi entro il secolo, data ormai per inevitabile da tutti gli scienziati del mondo, ci inquietano, ci allarmano e ci dicono che dobbiamo fare qualcosa. Ecco perché siamo molto interessati a cosa sta facendo l'industria italiana per ridurre o azzerare il proprio impatto ambientale e le emissioni di CO2. Eco Logo scruta curioso nelle viscere dell'industria italiana e tenta di interpretarne la reale volontà di rimboccarsi le maniche per raccogliere le sfide ambientali del prossimo decennio. I temi prioritari che le nostre imprese devono affrontare sono introdotti dai contributi di alcune personalità di rilievo in campo scientifico, economico e ambientale, quali Al Gore, Fabrizio Galimberti, Fulco Pratesi, Jeremy Rifkin, Carlo Ripa di Meana che ci aiutano, attraverso riflessioni e domande, a introdurre in modo originale e appassionato la sfida che ci coinvolge tutti, imprese e cittadini, per assicurare un futuro al pianeta e ai nostri figli. | << | < | > | >> |Pagina 10Cosa fare dopo Kyoto?
di Al Gore,
Premio Nobel per la Pace
Noi — la specie umana — siamo giunti ad un momento decisivo. È inaudito, e fa perfino ridere, pensare di poter davvero compiere delle scelte in quanto specie, ma è proprio questa la sfida che ci troviamo davanti. La nostra casa – la Terra – è in pericolo. Non è il pianeta a correre il rischio di essere distrutto, ma le condizioni che lo hanno reso un luogo accogliente per gli esseri umani. Senza renderci conto delle conseguenze delle nostre azioni, abbiamo cominciato a riversare nel sottile involucro di aria che circonda il nostro mondo quantità di anidride carbonica tali da arrivare letteralmente ad alterare l'equilibrio termico tra la Terra e il Sole. Se non ci fermeremo, e in fretta, la temperatura media crescerà a livelli che gli esseri umani non hanno mai sperimentato fino ad ora, mettendo fine al propizio equilibrio climatico su cui poggia la nostra civiltà. Nell'ultimo secolo e mezzo, sempre più freneticamente, abbiamo estratto dal terreno quantità sempre maggiori di carbonio, principalmente sotto forma di petrolio e carbone, bruciandolo al ritmo di 70 milioni di tonnellate di CO2 riversate ogni 24 ore nell'atmosfera terrestre. Le concentrazioni di anidride carbonica, che non erano mai salite oltre il livello di 300 parti per milione (ppm) da almeno un milione di anni a questa parte, sono cresciute dalle 280 ppm dell'inizio del boom del carbone fino alle 383 ppm di quest'anno. La conseguenza diretta è che molti scienziati adesso ci avvertono che ci stiamo avvicinando a una serie di "punti di non ritorno", che nel giro di 10 anni potrebbero metterci nell'impossibilità di evitare danni irreparabili all'abitabilità del pianeta per gli esseri umani. Negli ultimi mesi, nuovi studi hanno dimostrato che la calotta glaciale artica, che aiuta il pianeta a raffreddarsi, si sta sciogliendo a ritmi quasi tre volte più veloci di quanto previsto dai più pessimistici tra i modelli elaborati al computer. Se non agiremo, nel giro di appena 35 anni, il ghiaccio potrebbe arrivare a scomparire completamente nei mesi estivi. All'altra estremità del pianeta, al Polo Sud, gli scienziati hanno scoperto nuove prove di scioglimento della neve in un'area dell'Antartide occidentale grande quanto la California. Non è una questione politica. È una questione morale, che riguarda la sopravvivenza della civiltà umana. Non è una questione di destra o di sinistra, è una questione di giusto o sbagliato. Per metterla in termini semplici, è sbagliato compromettere l'abitabilità del nostro pianeta e rovinare il futuro di tutte le generazioni che verranno dopo di noi. Il 21 settembre del 1987, il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan disse: "Ossessionati come siamo dagli antagonismi del momento, spesso ci dimentichiamo quante cose uniscano tutti noi membri della razza umana. Forse ci serve una minaccia esterna, universale, per riconoscere questo legame comune. Ogni tanto penso che le nostre divergenze scomparirebbero rapidamente se ci trovassimo a fronteggiare una minaccia aliena proveniente da un altro mondo". Noi – tutti noi – ci troviamo ora di fronte a una minaccia universale, che non proviene da un altro mondo, ma che è, cionondimeno, di portata cosmica. Compariamo due pianeti del nostro sistema solare, la Terra e Venere: i due corpi celesti hanno dimensioni quasi identiche, e un quantitativo di carbonio quasi identico. La differenza è che sulla Terra la maggioranza di questo carbonio si trova sottoterra, depositato da varie forme di vita nel corso degli ultimi 600 milioni di anni, mentre su Venere la maggioranza del carbonio si trova nell'atmosfera. Il risultato è che mentre sulla Terra la temperatura media equivale a un gradevolissimo 15 gradi centigradi, su Venere lo stesso parametro schizza fino a 464. Certo, Venere è più vicina al Sole, ma la colpa non è del nostro astro: Venere è mediamente tre volte più calda di Mercurio, che è il pianeta più vicino al Sole in assoluto. La colpa è dell'anidride carbonica. Questa minaccia ci impone, come diceva Reagan, di unirci nella consapevolezza di ciò che ci accomuna. Su tutti e sette i continenti, il concerto Live Earth ha attirato l'attenzione del genere umano per dare il via a una campagna triennale che renda tutti gli abitanti del pianeta consapevoli che la crisi climatica può essere risolta in tempo per evitare la catastrofe. I singoli individui sono uno degli elementi della soluzione. Citando Buckminster Fuller: "Se il successo o il fallimento di questo pianeta, e della specie umana, dipendesse da quello che sono e da quello che faccio, come sarei? E che cosa farei?". L'azione individuale dovrà indirizzare e guidare l'azione dei governi, e gli americani da questo punto di vista hanno una responsabilità speciale: per gran parte della nostra breve storia, gli Stati Uniti e il popolo americano hanno garantito al mondo la loro leadership morale. Il Bill of Rights, i principi democratici inscritti nella Costituzione, la sconfitta del fascismo nella Seconda Guerra Mondiale, la vittoria sul comunismo e la conquista della Luna, sono tutti risultati della leadership americana. Una volta di più, noi americani dobbiamo unirci e premere sul nostro governo perché raccolga questa sfida globale. La leadership americana è una precondizione per il successo. A questo scopo, dovremo esigere dai nostri governanti che gli Stati Uniti sottoscrivano, nel giro dei prossimi due anni, un trattato internazionale che tagli le emissioni inquinanti del 90% nei Paesi sviluppati e di oltre la metà a livello mondiale, in tempo perché la prossima generazione possa ricevere in eredità una Terra in buona salute. Questo trattato segnerà un nuovo sforzo. Io sono fiero del ruolo che ho avuto durante l'amministrazione Clinton nei negoziati per il protocollo di Kyoto, ma sono del parere che quell'accordo sia stato demonizzato a tal punto, negli Stati Uniti, che probabilmente non potrà mai venire ratificato, più o meno come accadde ai tempi dell'amministrazione Carter, nel 1979, quando il governo non riuscì a spuntare la ratifica di un ambizioso trattato per la limitazione degli armamenti strategici. E in ogni caso, tra breve prenderanno il via i negoziati per arrivare a un trattato più ambizioso sul problema dei cambiamenti climatici. Perciò, così come il presidente Reagan cambiò nome e modificò l'accordo Salt (ribattezzato in Start), dopo averne, tardivamente, riconosciuto la necessità, il nostro prossimo presidente dovrà concentrarsi immediatamente sul raggiungimento di un nuovo accordo, ancora più ambizioso, per la lotta contro i cambiamenti climatici. Dobbiamo puntare a completare questo trattato globale entro la fine del 2009, e non aspettare fino al 2012, come previsto attualmente. Se per l'inizio del 2009 gli Stati Uniti avranno già messo in campo una serie di misure interne per ridurre le emissioni di gas serra, sono sicuro che quando daremo all'industria un traguardo da raggiungere e gli strumenti e la flessibilità per ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica, riusciremo a completare e a ratificare in tempi rapidi un nuovo trattato. Quella che abbiamo di fronte, d'altronde, è un'emergenza planetaria. Un nuovo trattato prevederà, in ogni caso, come già Kyoto, gradi differenziati di impegno: ai Paesi saranno richiesti sforzi di diversa entità, tenendo conto di quanto hanno contribuito, storicamente, a creare questo problema, e tenendo conto della loro capacità relativa di sostenere gli oneri del cambiamento. È un precedente consolidato nel diritto internazionale, e non esistono altri modi per procedere. Qualcuno cercherà di distorcere questo precedente utilizzando argomentazioni xenofobiche e nazionalistiche per dire che ogni Paese dovrebbe essere tenuto a rispettare gli stessi standard. Ma perché Paesi che hanno un quinto del nostro prodotto interno lordo, Paesi che in passato non hanno contribuito se non maniera marginalissima a creare questa crisi, dovrebbero sopportare lo stesso sforzo degli Stati Uniti? Siamo così spaventati da questa sfida da non riuscire ad assumere un ruolo guida? I nostri figli hanno diritto a pretendere da noi una maggiore responsabilità, ora che è il loro futuro – anzi, il futuro di tutta la civiltà umana – a essere in bilico. Meritano qualcosa di meglio di un governo che censura i dati scientifici più attendibili e se la prende con quegli scienziati onesti che cercano di metterci in guardia dalla catastrofe incombente. Meritano qualcosa di meglio di politici che se ne stanno con le mani in mano e non fanno niente per affrontare la sfida più grande che il genere umano abbia mai dovuto affrontare, perfino ora che il pericolo, ormai, incombe su di noi. Noi ci dobbiamo concentrare sulle opportunità che derivano da questa sfida. Nuovi posti di lavoro, nuove occasioni di profitto spunteranno fuori una volta che le grandi aziende si saranno messe in moto con decisione per cogliere le colossali opportunità economiche offerte da un futuro di energia pulita. Ma c'è qualcosa di ancora più prezioso da guadagnare se faremo la cosa giusta. La crisi climatica ci offre l'occasione di sperimentare quello che poche generazioni nel corso della storia hanno avuto il privilegio di sperimentare: una missione generazionale, un obiettivo morale convincente, una causa comune e l'entusiasmante prospettiva di venire obbligati dalle circostanze a mettere da parte le meschinità e i conflitti della politica per abbracciare una sfida autenticamente morale e spirituale. | << | < | > | >> |Pagina 724. Clima
Conto alla rovescia per fermare La distruzione del pianeta: ridurre la CO2
ed eliminare le sostanze ozonolesive
Non ci sono più dubbi: siamo nei guai Il 2007 è l'anno in cui il mondo politico e scientifico, pressoché all'unanimità, si è accorto degli sconvolgimenti climatici in atto. Le centinaia di ricercatori, climatologi e scienziati dell'IPCC, (Intergovernmental Panel on Climate Change), l'organismo dell'ONU che si occupa di mutamenti climatici, hanno visto riconosciuto il proprio lavoro con l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace all'ex Vice Presidente Usa, Al Gore, il cui documentario Una scomoda verità ha ricevuto anche l'Oscar.
Oggi possiamo affermare che il mondo ha preso atto di
"avere la febbre", nonostante le sdrammatizzazioni di alcuni
scienziati-petrolieri non sempre liberi da condizionamenti economici,
l'ottimista-economista scettico danese
Bjorn Lomborg e qualche burocrate della Casa Bianca in
epoca Bush che correggeva a penna i dossier climatici per
renderli meno allarmanti.
Ci estingueremo come i dinosauri? La domanda è provocatoria certamente, ma non così lontana dalla realtà. Il riscaldamento globale sta già provocando estinzioni di massa, di altre specie, certamente. Ma chi ci dice che – prima o poi – non toccherà anche a quella umana? Il nostro impeccabile ottimismo non basterà a metterci al riparo dagli effetti dei danni che abbiamo e che stiamo provocando al pianeta. Le estinzioni di massa del passato sono state causate per lo più da mutamenti climatici e i climatologi stimano che lo stesso avverrà nei prossimi due secoli. L'estinzione di massa più eclatante delle ere più recenti risale a 65 milioni di anni fa, quando una temperatura di 4 gradi centigradi più alta di quella odierna, nel Cretaceo, causò la sparizione in massa delle specie viventi. 251 milioni di anni fa, durante il periodo del Permiano, si estinsero il 95% delle specie marine e il 70% di quelle terrestri. Le previsioni dei climatologi suggeriscono che, al ritmo attuale di "global warming", entro la fine del secolo, le temperature sulla Terra potrebbero aumentare addirittura di 6,4 gradi centigradi.
Gli scienziati dell'IPCC concordano anche sul conseguente aumento del
livello dei mari, dai 18 ai 59 centimetri entro la fine del secolo. Ogni
centimetro di aumento del livello dei mari comporta la perdita di un metro di
costa e non è secondario il fatto che milioni di persone vivono su
terreni che si trovano ad un metro sul livello del mare (ad
esempio il Bangladesh con i suoi 17 milioni di abitanti).
Quanto ci costano le emissioni? Esistono costi esterni al global warming che non vengono mai censiti e quantificati, come i disastri causati da alluvioni, dissesto idrogeologico, erosione costiera, stagioni impazzite con disastri sull'economia turistica, frane, assenza di neve, mucillagini, aumento delle richieste energetiche. Esistono, invece, dei costi certi: sono quelli derivanti dalle multe che l'Unione Europea comminerà presto all'Italia se il nostro Paese non ridurrà le emissioni inquinanti come sottoscritto e previsto dal Protocollo di Kyoto. Obiettivi di riduzione che, dal 1997, data della sottoscrizione del Protocollo, sono stati ignorati da tutti i governi che si sono succeduti, senza distinzione alcuna di colore politico. Anzi, le emissioni dell'Italia, anziché diminuire, sono aumentate di oltre il 10%. Il Piano sulla riduzione delle emissioni per il periodo 2008-2012, presentato a Bruxelles dal governo italiano, prevede la riduzione del 6,3% delle emissioni di CO2, ovvero meno 35-40 milioni di tonnellate di CO2 l'anno, con un impatto finanziario complessivo annuale intorno ai 23 miliardi. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, divenuta anch'essa paladina dell'ambiente, intervenendo sui cambiamenti climatici affermò: "Quanto più a lungo ignoreremo l'indispensabile, tanto più costoso sarà dopo fare l'inevitabile". Parole sante! La temperatura globale media è aumentata di 0,6 gradi centigradi dall'inizio della rivoluzione industriale. Non sembra molto, ma le conseguenze sono enormi. Le calotte glaciali si stanno riducendo anno dopo anno. Situazioni climatiche estreme e cicloni sono in continuo aumento. Basti pensare che qualche decennio fa nei Caraibi si verificava un uragano devastante ogni quattro anni, oggi ne abbiamo almeno due l'anno. L'esempio più eclatante e drammatico dei danni che può provocare la natura ferita dall'uomo è l'alluvione di New Orleans. I cambiamenti climatici stanno già provocando danni all'ecosistema e mettendo in pericolo la vita di milioni di persone. E questo è solo l'inizio. Il problema non si è mai presentato in forme così drammatiche ed evidenti nel passato. Colpisce l'intero pianeta e mette a repentaglio la vita delle persone di tutti i Paesi in tutti i continenti. | << | < | > | >> |Pagina 118Case historyAcqua pura e pubblica da CAP e TASM Il CAP, Consorzio Acqua Potabile, nasce e si sviluppa con la costruzione dei primi acquedotti nel milanese. Un cammino iniziato oltre settant'anni fa e che consente oggi di fornire acqua potabile ad oltre 200 comuni. Di per sé il mestiere del CAP è molto semplice da raccontare; gestisce i pozzi e cura la sicurezza della falda e della distribuzione di acqua a moltissimi comuni della provincia di Milano, Lodi, Pavia e Monza-Brianza e attinge l'acqua distribuita ai cittadini dai propri pozzi che son gli stessi che portano l'acqua nelle case. Perché il CAP contribuisce alla qualità dell'ambiente attraverso la gestione della risorsa "acqua"? Dai tempi dell'allarme "atrazina", un fertilizzante chimico i cui residui erano presenti in quantità nelle acque dei rubinetti negli anni '80, la gente consuma, con un incredibile incremento annuo, acqua in bottiglia. Nessuno si chiede se davvero l'acqua in bottiglia sia più salubre e più controllata di quella dei pozzi, si usa acquistarla al supermercato, ormai per abitudine, da anni. Eppure, l'acqua in bottiglia rischia a volte di essere di qualità inferiore rispetto a quella che scorre dai rubinetti delle nostre abitazioni. L'acqua nelle bottiglie di plastica può trascorrere mesi, addirittura anni, lì dentro, prima di essere bevuta. Spesso le cataste di bottiglie di plastica, che contengono l'acqua che poi noi berremo, sono lasciate sotto il sole, con il rischio che la composizione chimica della plastica rilasci sostanze venefiche nel liquido (ad esempio gli ftalati), reagendo con il calore e con la luce intensa. Nelle città della Lombardia, in particolare nei comuni della Provincia di Milano, grazie all'iniziativa di TASM (Consorzio Tutela Ambientale Sud Milano), del CAP (Consorzio Acqua Potabile) e delle Amministrazioni locali, sono sorte molte case dell'acqua che distribuiscono gratuitamente acqua refrigerata e addizionata di anidride carbonica (frizzante). Le fontane con acqua refrigerata e condizionata sono prese d'assalto a tutte le ore della giornata, con file di gente armata di bottiglie e taniche. Eppure, è bene ricordarlo, quella che sgorga dai rubinetti delle fontane pubbliche o delle case dell'acqua è la stessa, identica, acqua che scorre dai rubinetti delle nostre case. Se si prova a farlo presente ci si sentirà rispondere: "No, non è possibile, quell'acqua ha un sapore diverso, è molto più buona, si sente... e poi quella dei rubinetti è piena di calcare...". L'unica differenza è che l'acqua della fontana pubblica o delle case dell'acqua è refrigerata (ma i frigoriferi esistono anche a casa nostra) e addizionata di anidride carbonica, quindi resa frizzante. La sensibile percezione diversa di gusto tra l'acqua del rubinetto e quella delle case dell'acqua può essere dovuta alla maggiore prossimità tra il rubinetto della fontana pubblica e il pozzo di prelievo che, in genere, si trova pochi metri sotto la stessa casa dell'acqua. L'acqua che giunge nelle nostre case fa, ovviamente, un percorso più lungo. A tutela dei cittadini tutti i pozzi gestiti dal CAP (o dal TASM) sono sottoposti a vigilanza costante per verificare l'eventuale presenza di residui pericolosi per la salute umana, tra i quali fitofarmaci, metalli pesanti o altri inquinanti organici. In questi anni, nessuno di questi ingredienti pericolosi è stato rinvenuto nell'acqua distribuita dal CAP. Quando viene ritenuto necessario, la stessa acqua viene trattata con i carboni attivi. Le percentuali di residui consentiti dalla legge, per l'acqua di falda, sono molto più severi di quanto la stessa legge non consenta per le cosiddette "acque minerali" in bottiglia. Inoltre, per le acque imbottigliate, i controlli sono saltuari, occasionali e spesso demandati alla buona volontà di qualche Procura della Repubblica o dei Nas dei Carabinieri. C'è chi spende un Euro la bottiglia per portarsi a casa "l'acqua da tavola", che altro non è che la stessa identica acqua del rubinetto, imbottigliata, distribuita e reclamizzata. L'esempio virtuoso del CAP, del TASM e dei comuni da essi serviti ci ricorda di ritornare alle cose semplici e normali, come aprire il rubinetto di casa per bere, oppure, in alternativa andare a piedi alla fontana pubblica o alla casa dell'acqua più vicina per prelevare acqua fresca, viva, zampillante, sicura e pulita. | << | < | > | >> |Pagina 18011. Impatto ambientale e azioni a difesa dell'ecosistemaQuanto è importante per una nazione moderna avere un'industria competitiva? Industria vuol dire ricchezza, posti di lavoro, sviluppo. Quattordici milioni di italiani trascorrono le loro giornate lavorative in oltre tre milioni di imprese, molte delle quali di dimensioni piccolissime, impegnati a fabbricare, inventare, progettare e vendere. Dall'industria arrivano prodotti e servizi indispensabili per la nostra vita quotidiana. Come potremmo vivere senza l'automobile, il dentifricio al fluoro, il nostro mensile preferito, i jeans firmati e i cereali per la prima colazione? Quando compriamo questi oggetti dovremmo però sapere che c'è un altro conto da pagare: quello ambientale. L'industria, nel suo complesso, consuma circa un terzo dell'energia utilizzata in Italia ed è responsabile, considerando anche il settore energetico, dell'emissione di una quantità enorme di tonnellate di CO2 equivalenti (quella che causa l'alterazione del clima attraverso l'effetto serra), oltre 290 milioni. Fortunatamente negli ultimi anni la sensibilità delle imprese industriali nei confronti dell'ambiente è cresciuta. Ciò è avvenuto sia a seguito dell'emanazione di normative più specifiche in materia di protezione dell'ambiente, sia grazie al diffondersi di strumenti di gestione ambientale ad adesione volontaria. Parallelamente si è assistito alla progressiva crescita della coscienza verde nell'opinione pubblica, sempre più consapevole della necessità di interventi finalizzati alla prevenzione e riduzione degli impatti indesiderati delle attività produttive sull'ambiente.
Eco Logo
studia dieci settori industriali sotto il profilo
ambientale, prendendo in esame due macro-indicatori:
impatto
e
azione.
Impatto: esprime in modo sintetico il "peso" di un settore in termini di danno potenziale che le sue attività possono causare all'eco-sistema. Nel produrre determinati beni e servizi richiesti dal mercato, un settore può danneggiare l'ambiente più o meno gravemente. Quanto più è elevato l'impatto ambientale di un settore, tanto più il suo impegno per l'ambiente potrà risultare decisivo. L'impatto ambientale riguarda una pluralità di fattori quali la pericolosità intrinseca dei prodotti e dei processi produttivi, il consumo di risorse naturali, l'uso del suolo e gli effetti sul territorio, la produzione di rifiuti, le emissioni, i rischi di incidente rilevante.
Azione:
esprime l'ampiezza, la qualità e l'efficacia degli
interventi adottati da ciascun settore nel corso degli ultimi
cinque anni a favore dell'ambiente. Si può trattare di nuovi
modelli di business, di prodotti e processi "verdi", di innovazioni
tecnologiche, il cui tasso di adozione può essere più o
meno elevato nell'ambito dei differenti settori. L'analisi non
guarda tanto alle certificazioni ambientali (quali EMAS, ISO
14001, Ecolabel), molto diffuse nel nostro Paese e di cui non
si intende sminuire l'importanza, ma cerca di comprendere
la reale efficacia dei progetti realizzati nei diversi settori dell'industria.
Le pagelle ambientali non hanno la pretesa di essere esaustive, né tanto meno di rappresentare una "verità assoluta". Si tratta del punto di vista degli autori, basato sia sui dati pubblici forniti dalle associazioni di categoria, sia su report indipendenti di analisti ed esperti. I voti sono espressi secondo una scala che va da 1 a 10. Le pagelle aiutano a comprendere quali sono i settori dell'industria italiana su cui "puntare i riflettori", in quanto su di essi poggiano le comuni speranze di trovare soluzioni efficaci a problemi quali il riscaldamento climatico, la crisi energetica e l'inquinamento dell'eco-sistema. L'industria italiana — 3,5 milioni di imprese — 14 milioni di addetti — 1/3 dei consumi di energia del Paese
— 290 milioni di tonnellate di CO2 immessa nell'ambiente
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