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| << | < | > | >> |Pagina 4Personaggi principali:DARIUS JUST - scrittore ENRIETTA CORVASS - addetta stampa della ABA GILES DEVORE - scrittore di successo EUNICE DEVORE - avvocato, moglie di Giles ROSEANN BRONSTEIN - libraio ISAAC ASIMOV - scrittore MICHAEL P. STRONG - guardia del Servizio di sicurezza dell'albergo SARAH VOSKOVEK - addetta alle P.R. dell'albergo ANTHONY MARSOGLIANI - detective dell'albergo SHIRLEY JENNIFER - scrittrice, amica di Darius | << | < | > | >> |Pagina 5Darius Just (narratore) - ore 13,30 Provate a ricostruire la morte violenta di un amico e osservate com'è avvenuta. Niente sarebbe successo se, prima, non si fosse verificato il fattore A, che a sua volta era il risultato di una causa B, e così via, risalendo fino all'origine delle origini nella nebbia dei tempi. Tuttavia, nel caso particolare in cui mi trovai coinvolto, le cause dirette possono limitarsi a una serie ben precisa di avvenimenti, che dovevano verificarsi tutti perché il destino di quella morte violenta potesse compiersi. Se uno solo di quei fatti non fosse accaduto, qualcuno che ora è morto sarebbe vivo, o se comunque doveva morire, almeno non sarebbe finito in quel modo, morto ammazzato. E io mi trovai proprio al centro di quegli avvenimenti. Senza saperlo, naturalmente, vi fui coinvolto in pieno. Posso ricostruire tutta la storia a partire da domenica 25 maggio 1975, il primo giorno del settantacinquesimo congresso dell'ABA, American Booksellers Association, l'Associazione dei librai d'America. In città, i congressisti erano sparpagliati negli alberghi più vicini al centro. Tra di loro c'era una donna che, quel giorno, doveva presentare un suo libro a una conferenza stampa, per il lancio pubblicitario. Questa donna doveva affrontare i giornalisti alle quattro del pomeriggio e doveva decidere cosa indossare. E qui sta il punto, se sono in grado di immaginare i motivi del suo dilemma. Da un lato era giovane, bella e dotata di un corpo perfetto, che istintivamente desiderava mettere in mostra. Dall'altro era una femminista e il libro rispecchiava fedelmente le sue idee; perciò la possibilità di sfruttare il fascino del proprio corpo per aumentare l'interesse della sua opera di scrittrice sarebbe stata una mossa contraddittoria. Non so se ebbe delle esitazioni e, se ne ebbe, quanto durarono. Comunque sia finì con l'indossare un abito bianco che, nel corpetto, alternava alla stoffa ampie zone di pizzo trasparente. Sotto questo corpetto poi non c'era altro che il suo magnifico corpo. Se la ragazza restava immobile, il seno era senz'altro nascosto dalle strisce di stoffa disposte strategicamente, ma appena alzava un braccio, l'abito si spostava in quella direzione e subito faceva capolino un capezzolo. Bene, quando tutto questo accadde io non c'ero e non ne fui certo responsabile. Eppure proprio questo piccolo particolare fu il primo anello nella concatenazione degli avvenimenti. Quando la nostra femminista decise di presentarsi al mondo, pose la prima pietra di cui era lastricato il cammino che avrebbe portato alla morte. E la mia presenza, in quel preciso momento, nella sala delle conferenze, fu la seconda pietra. Se lei avesse scelto di essere modesta, niente (forse) sarebbe successo, che fossi stato presente o no. E se ci fossi stato, niente sarebbe accaduto (forse), anche se lei si fosse presentata completamente nuda. Ma la donna indossò quel vestito, e io non c'ero, e tutto andò come andò. Ma se non c'ero, dov'ero? Stavo viaggiando. Ero partito all'una e mezzo del pomeriggio diretto al congresso dell'ABA. Al mio editore era sembrato opportuno che nella mia posizione di scrittore poco conosciuto mi facessi vedere a quel congresso di librai e mi procurassi un po' di pubblicità. Non opposi nessuna obiezione anche perché tutte le spese mi sarebbero state rimborsate, e soprattutto perché il congresso sarebbe stato un ottimo pretesto per starmene lontano dalla macchina da scrivere per qualche giorno. All'inizio, avevo pensato di andarci lunedì 26, il Memorial Day, saltando la prima giornata. Già da un paio di mesi, mi ero impegnato a fare una conferenza, in un qualche tempio della cultura a circa cento miglia dalla città e non vedevo perché, dopo la conferenza, non avrei dovuto farmi nutrire (da tempo ho una passione sfrenata per un tipo di tartina tostata con formaggio fuso e salmone affumicato, su cui metto furtivamente una fetta di cipolla cruda, quando nessuno mi guarda) e divertirmi un po'. Sarei andato al congresso il giorno seguente. Ma poi un mio amico, Martin Walters, storico di professione, mi telefonò una settimana prima, pregandomi di curare le relazioni pubbliche al congresso dell'ABA. Aveva l'impressione che fossi un sostenitore accanito della letteratura impegnata e la convinzione, ancora più curiosa, che il mio nome significasse qualcosa nel mondo della cultura e potesse essere usato con notevole effetto. Entrambe le idee mi sembravano sbagliate nel modo più assoluto, ma era mio amico e io aiuto gli amici... inoltre non era il caso di dirgli la verità. Fargli sapere, cioè, che le mie nozioni di storia erano piuttosto vaghe, e che ancora più vaga era la conoscenza che il mondo aveva delle mie capacità. - Quando avresti bisogno di me? - gli chiesi. - È in programma per le 16,20 di domenica - mi rispose. Feci dei rapidi calcoli mentali e decisi che sarei riuscito a mangiare le mie tartine e ad arrivare in tempo. - Ci sarò - risposi, e aggiunsi, con la cautela che spesso fa capolino, improvvisa e irrazionale, dalla mia razionalissima mente - salvo cause di forza maggiore. Ma la forza maggiore era già in movimento. La proposta del mio amico era avvenuta una settimana prima che la nostra giovane femminista si ammirasse nello specchio della sua camera d'albergo, e concludesse di essere tanto appetitosa da non sembrare vera. La mia risposta "Ci sarò" fu un'altra di quelle tali pietre su quel famoso cammino. Anzi, segnò senz'altro l'inizio di tutto. Feci, dunque, la mia conferenza, spiegando educatamente che avrei dovuto mangiare qualcosa e scappar via. Mangiai e all'una e mezzo corsi a prendere la macchina. Guidai ad andatura moderata, sicuro di arrivare in città in tempo. E non ebbi motivo di cambiare idea, finché non mi inserii nella Cross-North Highway. D'altra parte non potevo pensare di includere, tra le cause di forza maggiore, un ingorgo di traffico su quella superstrada. Certo avevo creduto di aver fatto bene i miei calcoli. Era il secondo giorno di un fine settimana di tre giorni. Tutti quelli che dovevano andare in qualche posto erano già partiti e quelli che intendevano tornare non si erano ancora mossi. Pensavo perciò di essere a posto ed ero perfettamente tranquillo. Il guaio sulla Cross-North è che a qualsiasi ora del giorno o della notte capita che una o due macchine abbiano dei guasti. In più ci sono un milione di automobilisti che, quando sono a corto di divertimenti, decidono di portare le loro carrette sulla Cross-North e di abbandonarle là. Appena trapela la notizia (per telepatia, immagino) che le corsie della superstrada non sono più completamente libere, tutti quelli che si trovano a nord della città ci si riversano dentro con grida di piacere. E così cominciò quel fatale nervosismo che mi perseguitò tutta la giornata. Mi muovevo lentamente, mentre davanti a me vedevo una triplice fila di auto che procedevano anch'esse lentissime, come un'onda di calore senza alcuna speranza di sollievo. La mia irritazione non ebbe più limiti, quando mi chiesi perché mai non avessi preso la Western Parkway, e di tanto in tanto mi lasciavo andare a veri accessi di rabbia, gettando delle rapide occhiate al mio orologio. Ma arrivai in tempo! Riuscii a farcela! Arrivai al mio appartamento, che è a solo poco più di un miglio dall'hotel, parcheggiai la macchina, mi rinfrescai, presi al volo un taxi, raggiunsi l'albergo, salii al quinto piano, individuai la sala delle interviste e vi feci il mio ingresso puntualmente alle quattro e venti del pomeriggio.
Erano esattamente le 16,20.
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