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| << | < | > | >> |IndiceVII Prefazione di Giovanni Boniolo XIII Introduzione La comparsa della cultura e della morale: il ruolo della mente I. I dualismi mentali: natura, meccanismi, origini e spiegazioni 3 1. Il dualismo della generazione: conoscenze soggettive e oggettive 24 2. Il dualismo dell'acquisizione delle conoscenze 52 3. Il dualismo dell'origine delle specie e della morale: selezione naturale e trascendenza 72 4. Il dualismo delle interpretazioni della morale: storia naturale e religione 96 5. La diversità dei contributi all'identità umana: geni, cultura e ambiente II. La generazione della cultura e della morale: il ruolo della mente 111 6. L'oggettività della morale: una realtà o un'illusione? 129 7. I giudizi morali come opinioni associate a emozioni e sentimenti 148 8. La patologia delle funzioni mentali III. Libertà e moralità delle persone 159 9. Autonomia e Relativismo come strumenti di difesa del Diritto alla Libertà politica e morale 176 10. Da un mondo finito a un mondo infinito 189 Appendice L'evoluzione del sistema mente-cervello durante la filogenesi e l'ontogenesi 205 Riferimenti bibliografici 211 Indice dei nomi |
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La comparsa della cultura e della morale: il ruolo della mente
1. La natura dei problemi Questo testo è stato scritto da un biologo e non da un filosofo, per cui l'attenzione è rivolta non tanto ai contenuti della cultura e della morale, di cui si occupano in prevalenza i filosofi, quanto ai principi e ai meccanismi biologici che sottendono lo sviluppo culturale e morale degli esseri umani e di cui si occupano gli epistemologi e gli storici delle scienze naturali. La mia attenzione, dal 1991 in poi, si è concentrata sulla relazione tra i fondamenti biologici dei meccanismi di evoluzione della mente e le trasformazioni del mondo culturale e morale dipendenti da tali meccanismi. Il primo problema è quello del meccanismo di acquisizione delle conoscenze e quindi del dualismo fra empirismo e innatismo: alla nascita la mente umana è una tabula rasa o dispone, invece, di conoscenze innate? E come contribuiscono all'acquisizione della cultura e della morale queste conoscenze innate? C'è abbastanza informazione nel genoma per spiegare tutte le conoscenze innate attribuite alla mente: in quale misura la creazione di opere letterarie, morali, artistiche e scientifiche può essere attribuita alla conoscenza innata e quindi al genoma? E poi, se dipendono dal genoma, perché non vengono realizzate più precocemente?
Il secondo problema è quello dell'origine della morale. Le religioni
difendono l'idea che l'uomo abbia una natura e una filosofia morale
perché è stato fatto a
imago dei,
mentre per i laici la natura e la filosofia della morale sono il prodotto
dell'evoluzione della mente e della storia naturale degli esseri umani. I
filosofi sottolineano, tuttavia, che il
dover essere
non può aver avuto derivazione dall'
essere
e che non può esservi transizione dai fenomeni naturali ai valori. Ma, se si
accetta la conclusione dei filosofi, e se il sistema mente-cervello è composto
di strutture fatte solo per analizzare, spiegare e poi gestire i fenomeni
naturali (che sono il risultato di processi strettamente deterministici) nascono
problemi importanti. Come si spiega, negli antenati dell'
Homo sapiens sapiens
che hanno preceduto gli esseri umani, la comparsa di quei comportamenti morali
(che richiedono l'esistenza di principi prescrittivi e poi la gestione di tali
principi)? E ancora: che relazione c'è, per un laico, fra l'evoluzione della
mente e la comparsa della morale e della cultura?
2. L'acquisizione delle conoscenze nella mente: empirismo o innatismo? Sui meccanismi di acquisizione delle conoscenze si sono contrapposte per anni due correnti di pensiero. La prima, di cui lo psicologo ginevrino Jean Piaget è stato l'esponente più importante, aveva difeso la tesi (indicata anche come empirista o del secchio vuoto o della tabula rasa) di un apprendimento fondato su un meccanismo di graduale acquisizione di conoscenze dall'ambiente nel corso di un processo autoregolato. Sull'onda del successo della linguistica di Chomsky e del modularismo di Fodor, a partire dagli anni cinquanta si è però affermata la tesi innatistica. Prima di discutere i contributi di Chomsky e Fodor va ricordato che la concezione innatistica della conoscenza nasce, sotto l'aspetto concettuale, dalla critica della teoria dell'induzione – elaborata dai grandi filosofi della scienza del secolo scorso, quali Karl Popper, Carl G. Hempel, Herbert Feigl e Nelson Goodman – in cui viene concluso che l' induzione è una procedura mediante cui gli eventi futuri vengono determinati sulla base di quelli passati. I filosofi della scienza hanno dimostrato che le conclusioni raggiunte con il metodo dell'induzione sono valide solo fino al momento in cui esse vengono confutate. Classico l'esempio della conclusione che "tutti i cigni sono bianchi", conclusione che resta valida solo fino al momento in cui viene dimostrata l'esistenza di un cigno nero. La difesa della concezione innatistica è largamente fondata sulla critica dell' illusione dell'induttivismo: il fatto che un fenomeno sia stato osservato molte volte non implica che esso sia stato dimostrato, per cui è inutile continuare a raccogliere informazioni a favore di un fenomeno già osservato. Questa critica ha indebolito l'interpretazione di Piaget. Chomsky ha tratto dall'analisi del linguaggio importanti indicazioni sull'esistenza di una struttura innata specifica, indicata come organo del linguaggio. Questa struttura mentale, geneticamente determinata, genera una grammatica universale capace di consentire a tutti gli esseri umani l'apprendimento di un linguaggio. Ciò non è in conflitto con la constatazione che il particolare tipo di linguaggio appreso da ciascun essere umano dipende poi dall'ambiente in cui ogni essere umano si trova a vivere. La svolta innatista ha dato una spinta decisiva all'affermazione dell'idea che alla nascita la mente umana non sia una tabula rasa, ma già una struttura con numerosi domini (o moduli) cognitivi. Fodor ha proposto una divisione della mente in due tipi di sistemi. I primi sono i sistemi verticali o di input, a cui appartengono oltre all'organo del linguaggio, anche i sistemi motori e i sistemi percettivi deputati alle afferenze sensoriali. Di molti di questi moduli sono state anche identificate le localizzazioni nella corteccia cerebrale. Da Fodor in poi si è affermata la nozione di modularità, cioè l'esistenza di moduli funzionanti come macchine di Turing, cioè come piccoli computer, chiusi e indipendenti, soggetti a una specifica informazione genetica (il cosiddetto incapsulamento informativo) e a un altrettanto specifico sviluppo ontogenetico. Ognuno di questi domini è pertanto fondato su principi non influenzabili da regole non appartenenti al proprio dominio. In anni più recenti sono state proposte alcune modifiche al concetto di modularità nella formulazione di Fodor. Accanto ai sistemi verticali vi sono i sistemi orizzontali, i quali sono deputati invece a gestire la memoria, l'attenzione, l'intelligenza, il giudizio e molte altre facoltà mentali. Le facoltà orizzontali non hanno invece un'unica e ben definita localizzazione, in quanto il loro compito è mettere in collegamento i vari sistemi di input ed elaborare nuove idee incorporando anche le informazioni fornite dai sistemi di input.
Sorge la domanda sul
come
e
quando
vengano utilizzate, durante lo sviluppo, le strutture mentali responsabili dell'
innatismo:
solo durante la vita intrauterina o anche durante l'intera ontogenesi (e quindi
durante tutta la vita)? Penso che la risposta sia diversa per i sistemi
verticali
e per quelli
orizzontali.
Infatti, nel caso dei sistemi verticali è molto
probabile che l'informazione genomica venga trasmessa assai precocemente e
utilizzata largamente sin dai primi anni di vita. Questo è dimostrato dal fatto
che tutti gli esseri umani iniziano a svolgere prestissimo tutte le funzioni dei
sistemi
verticali.
La situazione è molto diversa per i sistemi orizzontali, cioè per le reti
neuronali facenti parte dei
sistemi orizzontali,
le quali devono svolgere le funzioni mentali più complesse. La mia idea è che i
prodotti dell'
innatismo orizzontale
possano essere espressi in modo molto flessibile durante tutta la vita.
Questo è in accordo con l'osservazione che la maturazione delle grandi
personalità del mondo della cultura – artisti, musicisti, letterati, filosofi,
scienziati – avviene molto lentamente. I prodotti di natura
innatistica
dei sistemi orizzontali richiedono uno sviluppo della personalità e
delle idee, e sono spesso il risultato di una fortunata, e altrettanto casuale,
integrazione di informazioni o prodotte all'interno del sistema
mente-cervello o trasmesse dall'esterno.
3. I sistemi verticali e orizzontali della mente. Gli effetti dell'innatismo durante la filogenesi e l'ontogenesi La concezione delle scienze biologiche come di un settore delle scienze naturali che obbedisce al determinismo non implica affatto che sia possibile prevedere esattamente – con molto anticipo e con la precisione della meccanica classica – il risultato finale dei processi biologici. Nei confronti di un'acquisizione di conoscenze mediante l'utilizzazione dei sistemi innati situati nelle reti orizzontali – e quindi mediante un innatismo orizzontale – la critica più diffusa nasce da una concezione dell'innatismo come di un'attività essenzialmente statica: una staticità, peraltro, difficilmente compatibile con la grande dinamicità del sistema mente-cervello. Sia nella cultura popolare sia in quella scientifica i geni sono stati sempre immaginati come se, in ogni essere umano, esprimessero dei ritratti fissi del futuro di ogni individuo, ritratti dai quali ognuno potrebbe identificare i propri talenti, le proprie inclinazioni, i propri destini. In questa visione il genoma funzionerebbe come un programma che comprende tutto ciò che si attualizza nell'organismo durante la vita intrauterina, e che esaurisce la sua funzione nel momento in cui l'embrione lascia la madre. L' innatismo è sato associato così a tutto ciò che è già specificato alla nascita, per cui se qualcosa non è specificato alla nascita non è innato. Come ho detto prima, tuttavia, la concezione dell'innatismo quale programma rigidamente predeterminato può essere abbastanza vicino alla realtà per l'innatismo verticale ma non per quello orizzontale. Nell'innatismo orizzontale è necessario tener conto dell'evoluzione della mente, cioè delle trasformazioni a cui va incontro la mente durante la vita di ogni essere umano, e principalmente della distinzione fra due fasi: la prima di generazione delle cellule neuronali e la seconda di generazione delle reti neuronali. È vero che è di natura genetica tutto, o quasi tutto, quello che viene trasmesso alle cellule neuronali, ma poco di quello che contribuisce all'organizzazione delle reti neuronali, specie di quelle adibite ai collegamenti orizzontali, che sono le vere responsabili delle attività mentali negli adulti. In sintesi, nel sistema mente-cervello vi sono tre tipi di utilizzazioni dell'informazione del genoma. Una prima parte dell'informazione viene utilizzata per generare le cellule neuronali; una seconda parte per creare le reti dei sistemi verticali e cioè per creare ciò che è stato indicato prima come l'innatismo dei sistemi modulari; una terza parte resta, invece, in una situazione di attesa nel senso che resta ancora da stabilire come e quando sarà utilizzata durante la vita: una parte cospicua dell'informazione trasferita dal genoma alle cellule neuronali viene utilizzata per lo sviluppo e l'organizzazione delle reti neuronali solo molto tempo dopo la nascita e in condizioni molto diverse. Le reti neuronali dei sistemi orizzontali, responsabili di gran parte dei pensieri della mente, vengono costruite molto più tardi e secondo un processo largamente indipendente dall'informazione genomica e dipendente, invece, dalla storia dei meccanismi di evoluzione della mente: meccanismi specifici e imprevedibili per ogni essere umano. Per capire meglio la gradualità e la variabilità del processo di generazione del sistema delle reti orizzontali, ho adottato un concetto definibile come di processo di espressione delle proprietà innate. Intendo così sottolineare che le proprietà imposte dal genoma alle cellule neuronali restano identiche nei loro principi ma non nella loro espressione: l' espressione delle proprietà dei neuroni durante la formazione delle reti orizzontali può essere profondamente modificata in conseguenza dei mutamenti apparsi poco alla volta nel corso dell'esistenza nel sistema mente-cervello, a causa sia delle interazioni con l'ambiente esterno sia del carattere caotico dei meccanismi di formazione delle sinapsi e delle reti. L'attività mentale dipende, dunque, sia da ciò che viene trasmesso dal genoma, sia da ciò che si sviluppa durante l'evoluzione della mente. Durante la vita, il sistema mente-cervello va incontro a profondi cambiamenti che riguardano: il numero delle sinapsi fra i neuroni, la lunghezza degli assoni e dei dendriti, la formazione delle nuove sinapsi e la loro eventuale selezione in funzione della loro utilità per l'attività cerebrale, lo sviluppo di percorsi neuronali preferenziali e via dicendo. In breve: come la struttura delle cellule neuronali è determinata dal genoma, così la struttura delle reti neuronali orizzontali è determinata dall'evoluzione della mente nel modo in cui essa si sviluppa durante tutta la vita dell'organismo.
Come accade durante la storia di tutti gli eventi casuali, le nuove sinapsi
e reti determinano dapprima un aumento di
incertezza
nel sistema e, successivamente, una generazione di nuove informazioni in
conseguenza della selezione delle sinapsi e delle reti più utili. Per effetto
dei meccanismi selettivi il sistema mente-cervello acquisisce attività
nuove e specifiche: il sistema mente-cervello si trasforma così nel
più importante ed efficiente sistema di generazione d'informazioni esistente
nel mondo naturale.
Nessuno contesterebbe che la creazione della teoria della relatività da parte di
Einstein sia stata il risultato delle sue eccezionali capacità mentali innate.
Queste capacità innate, tuttavia, sono state espresse in conseguenza dello
sviluppo delle reti neuronali orizzontali e non delle cellule neuronali: si può
pertanto pensare che esse non fossero ancora presenti alla nascita o in età
giovanile e che siano state
espresse
solo parallelamente allo sviluppo dell'organizzazione mentale e quindi agli
effetti di tutti i fattori, ambientali e culturali, che hanno favorito tale
sviluppo.
4. Comportamenti morali e meccanismi mentali Il dibattito sull'evoluzione si è concentrato, fino a poco tempo fa, sull'evoluzione del mondo naturale, mentre sono state largamente ignorate le trasformazioni del più importante sistema evolutivo apparso sulla terra: quello della mente umana. Solo recentemente l'attenzione si è spostata sui processi evolutivi del sistema mente-cervello, durante la filogenesi (nelle specie) e l'ontogenesi (nei singoli esseri umani). La domanda a cui rispondere è la seguente: com'è avvenuta – durante l'evoluzione della specie e dei singoli esseri umani – la trasformazione della struttura mente-cervello: da un sistema naturale costituito da neuroni separati e privo di intenzioni e di valori, in un sistema strutturato in insiemi di reti neuronali e generatore di un mondo culturale e morale ricco di intenzioni e di valori? Non è contestabile che i bambini sviluppino la cultura e la morale sotto la guida degli adulti e durante le interazioni con l'ambiente. Restano, però, due domande. La prima e se il rispetto delle convenzioni dei bambini (cioè la morale eteronoma) possa già definirsi come morale o se sia da considerarsi come morale solo il comportamento autonomo degli adulti. Se la seconda interpretazione è quella corretta, come si passa dall'eteronomia all'autonomia, fondata sul libero arbitrio? Ovvero, come si sviluppa il libero arbitrio? La seconda domanda è quali siano stati i processi che hanno permesso lo sviluppo della moralità autonoma all'epoca degli antenati dell' Homo sapiens sapiens. La tesi che io cerco di difendere è che sono stati gli stessi esseri umani a essere stati responsabili – nella filogenesi e nell'ontogenesi – dello sviluppo in parallelo delle strutture delle loro menti e dei contenuti dei loro mondi culturali e morali. Ma quando si parla di sviluppo della cultura e della morale, nella filogenesi e nell'ontogenesi, di che cosa si parla se non della storia dell'evoluzione della mente? Che relazione c'è allora, durante la filogenesi e l'ontogenesi, fra l'evoluzione del sistema mente-cervello e la capacità di manifestare comportamenti dipendenti da intenzioni e da valori? L'idea di una relazione sembra, a prima vista, in contrasto con alcune delle più importanti conclusioni unanimemente raggiunte dalla filosofia moderna. Secondo Hume, Moore e la filosofia contemporanea il dover essere non può derivare dall' essere, e lo stesso Darwin si era sempre preoccupato di discutere con molta prudenza la comparsa dei comportamenti morali durante l'evoluzione biologica anche se, nel suo secondo libro, ha così descritto lo sviluppo delle basi biologiche della capacità morale: Credo sia stata altamente probabile la seguente sequenza di eventi, e cioè che qualsiasi animale — una volta dotato di ben definiti istinti sociali, ivi inclusi gli affetti per i genitori e per i figli — possa inevitabilmente acquisire un senso o una coscienza morale, non appena la sua potenzialità intellettuale abbia raggiunto un livello simile, o abbastanza simile, a quello dell'uomo (Darwin, 1871, p. 101).
Come ha fatto notare
Boniolo,
Darwin non si è preoccupato del problema dei contenuti dei giudizi morali, ma
solo della genesi di quelle che Boniolo definisce come le
enabling conditions
rispetto alla capacità di elaborare e di rispettare i giudizi morali.
5. I fondamenti biologici dei comportamenti morali La mia analisi parte dalla considerazione che, nel corso della loro vita, gli esseri umani debbano affrontare due tipi di problemi di natura completamente diversa. I primi sono di un carattere indicabile come qualitativo e intrinsecamente ambiguo, nel senso che richiedono non tanto un ragionamento logico, o il calcolo di qualcosa, quanto la ricerca e la scelta di una soluzione: sono, dunque, problemi di cultura, di preferenze, di desideri, di aspirazioni. I secondi sono definibili, invece, come problemi di carattere quantitativo, cioè di calcolo, di tecnologia, di conoscenza meccanica, di procedura. I due tipi di problemi (uno di scelta e l'altro di calcolo o di logica) richiedono strutture biologiche diverse fra loro. Nel primo tipo di problema, quello ambiguo o qualitativo, non esiste una sola risposta ma ne esistono molte e spesso equivalenti. La stessa molteplicità delle risposte rinforza la conclusione che ognuna di esse possa essere adatta o non-adatta, laddove l'adatto e il non-adatto dipendono non solo dalla natura del problema, ma anche dalla storia della persona che opera la scelta e quindi dalla priorità da essa attribuita al problema. Nel secondo tipo di problema, quantitativo o deterministico, invece, la risposta non è tanto adatta o non-adatta, quanto piuttosto giusta o non-giusta (ovvero corretta o non-corretta). Molti problemi con i quali gli esseri umani devono confrontarsi sono al di fuori dell'area dei processi naturali di natura deterministica o dei problemi tecnici: questi problemi possono essere definiti di natura ambigua o adattativa, ed è appunto l'ambiguità quella che rende i problemi aperti a soluzioni diverse a seconda delle persone, delle condizioni psicologiche ed emotive in cui esse si trovano, e delle loro precedenti esperienze. Nei problemi qualitativi, affrontati dagli esseri umani, è necessario quasi sempre trovare una soluzione e prendere una decisione di cui non si può dire che sia giusta o sbagliata, ma di cui si può valutare, a volte solo a posteriori, se la risposta era adatta o non-adatta al problema e alla persona. Strettamente legata alla questione della diversità intrinseca della natura del problema è quella della struttura mentale che deve effettuare i ragionamenti quantitativi o le scelte di tipo qualitativo e prendere poi le decisioni. Nel caso dei problemi riconducibili alla conoscenza fisica (chimica, matematica o comunque di natura deterministica) la struttura mentale coinvolta è quella che opera sotto la guida della razionalità nell'ambito delle conoscenze del mondo naturale. Nel caso dei problemi definiti prima come ambigui, la struttura mentale coinvolta è, invece, quella che opera sotto la guida dell'emotività, dei sentimenti, dell'esperienza e dell'intenzionalità e che deve utilizzare il maggior numero possibile di informazioni sia dalle molteplici aree della mente, sia dalle conoscenze fornite dall'ambiente esterno. Ed è soltanto dall'abitudine a esercitare la gestione di una molteplicità di informazioni associate a valutazioni e intenzioni che una parte della mente, e precisamente la corteccia dei lobi frontali, acquisisce l'esperienza per trovare le soluzioni a problemi così eterogenei e così aperti a una grande varietà di risposte. È importante sottolineare due aspetti. Il primo è quello della relazione fra la natura dei problemi affrontati e il tipo di risposte fornite; il secondo è quello della relazione fra la natura delle operazioni mentali e il principio filosofico che esclude la liceità di transizioni dai fatti ai valori. Vediamo anzitutto il primo aspetto: in che misura la differente natura delle risposte della mente dipende dalla differente natura dei problemi oppure della struttura mentale coinvolta? Una cosa è fornire una risposta alle domande legate ai problemi razionali di tipo deterministico, cioè i problemi che richiedono risposte semplici del tipo sì-no o giusto-sbagliato, e un'altra è fornire una risposta alle domande legate a problemi di natura ambigua, cioè problemi già associati a emozioni, sentimenti e motivazioni, e che richiedono risposte definibili come adatte o non-adatte, appropriate o non-appropriate. È la natura dei problemi che determina la natura della risposta e quindi l'area della mente coinvolta: i problemi di natura ambigua e qualitativa vengono gestiti da specifiche aree mentali diverse da quelle addette alla gestione dei problemi di natura non-ambigua e quantitativa. Vediamo ora il secondo aspetto. Se è vero, come è vero, che dalle premesse descrittive si possono solo dedurre conclusioni descrittive e dalle premesse prescrittive conclusioni prescrittive, bisogna anche accettare l'idea che le reti neuronali, specializzate nella gestione di fatti, non possano passare con facilità alla gestione di pensieri e comportamenti morali. Questo significa escludere la possibilità che le reti neuronali normalmente adibite alla gestione di fatti possano passare con facilità alla generazione di pensieri e di comportamenti morali. Si potrebbe pensare a una transizione non strutturale ma temporale e funzionale, e cioè che certi gruppi di reti neuronali vengano resi adatti a gestire, in momenti e tempi diversi, a volte i problemi ambigui e qualitativi e a volte i problemi non-ambigui e quantitativi. Per operare questa transizione, le reti neuronali dovrebbero essere integrate da altre reti responsabili di emozioni, sentimenti, motivazioni e finalità. Tale proposta implica che le reti neuronali subiscano una trasformazione da gestori di fatti (cioè di fenomeni naturali) a gestori di emozioni e di intenzioni, e quindi da gestori di risposte giuste-sbagliate a gestori di risposte adatte-non-adatte. La mia proposta alternativa è che nella mente esistano gruppi di reti neuronali già naturalmente associate a emozioni, sentimenti, motivazioni e scopi, e dunque già abituate a gestire le intenzioni e i valori. Secondo questa proposta vi sarebbe sempre, nella mente umana, una distribuzione non omogenea dei diversi gruppi o tipi di reti neuronali: questa distribuzione riguarda in particolare l'esistenza, in alcune aree, di reti neuronali associate a emozioni e sentimenti e quindi deputate a governare i comportamenti umani responsabili delle finalità, degli scopi e delle scelte di valori. Il risultato di queste associazioni nella struttura e nelle proprietà delle reti neuronali tende a creare una situazione analoga a quella già suggerita da Fodor per quanto riguarda la modularità dell'organizzazione cerebrale. Con il concetto di quasi-modularità nell'organizzazione dei sistemi orizzontali intendo suggerire una distinzione fra due tipi di aree nell'organizzazione nei sistemi orizzontali della mente. Un primo tipo di aree è quello in cui operano reti neuronali indipendenti da emozioni, sentimenti e predisposizioni verso le finalità; queste aree generano vere cause efficienti per i ragionamenti e le operazioni mentali di natura strettamente deterministica. Un secondo tipo di aree è quello in cui operano le reti neuronali naturalmente associate a emozioni, sentimenti e predisposizioni verso le finalità; queste aree generano invece principalmente le motivazioni dei comportamenti, cioè le cause finali che sono la premessa per la generazione di prodotti culturali e morali.
Non è pertanto necessaria nelle reti neuronali alcuna
transizione
dai
fatti
ai
valori
ovvero
passaggi
dalle
descrizioni
alle
prescrizioni,
transizione che non può avvenire per motivi sia neurofisiologici che filosofici.
Vi è invece una distinzione nella struttura organizzativa dei sistemi
orizzontali tra le varie aree della mente: distinzione che tende a generare, in
alcune aree della mente, una forte presenza di gruppi di reti
neuronali intrinsecamente associate a emozioni e sentimenti e quindi a
scopi
e a
finalità.
Ne segue che i processi neurofisiologici del sistema mente-cervello possono
essere dotati o della capacità di generare la
nuova informazione necessaria per la spiegazione e la manipolazione
dei fenomeni del mondo naturale, o – nei lobi frontali – la nuova
informazione ncessaria per lo sviluppo delle finalità, degli scopi, delle
intenzioni e dei valori: da questo differente gruppo di reti neuronali
vengono generati i prodotti dell'area culturale e morale. Le
enabling conditions
suggerite da Boniolo corrisponderebbero pertanto alla presenza (o al graduale
sviluppo) – durante l'evoluzione del sistema mente-cervello – di
un'organizzazione mentale fortemente influenzata dalla modularità: sia dalla
modularità completa dei sistemi verticali (adibiti alla gestione delle
percezioni, delle sensazioni, della motilità e del linguaggio), sia dalla
modularità parziale dei sistemi orizzontali. Questo secondo tipo di modularità,
sebbene meno nettamente definita rispetto a quella dei sistemi verticali, è
proprio quella che consente ad alcune aree del sistema mente-cervello di essere
dotate di reti neuronali associate alle emozioni e ai sentimenti, e pertanto
coinvolte nelle motivazioni e nelle intenzioni: proprio perché associate a
emozioni e sentimenti, le reti neuronali di queste aree diventano capaci di
farsi fonte delle intenzioni e dei valori (e quindi delle motivazioni dei
comportamenti umani) e generatrici di cultura e di morale.
6. Le alterazioni della morale: il ruolo dei lobi frontali Per approfondire il ruolo della mente umana nella generazione di intenzioni e di valori, si sono di recente diffusi approcci simili a quelli che hanno permesso alla medicina, nell'area degli ormoni e delle vitamine, di ottenere alcuni dei suoi più grandi successi: quest'approccio si fonda sull'analisi degli effetti prodotti dalle alterazioni dei processi neurofisiologici. Gli approcci di questo tipo hanno permesso di osservare la scomparsa di sentimenti, emozioni, intenzioni, valori e moralità nel caso di lesioni di aree particolari del sistema mente-cervello, quali quelle dei lobi frontali. Queste aree erano considerate silenti e quindi inaccessibili all'analisi della mente. L'utilizzazione di nuove tecnologie ha aperto però l'accesso a nuove informazioni sia sulle funzioni delle aree frontali del sistema mente-cervello, sia sulle alterazioni che compaiono quando queste aree vengono lesionate. Dopo le prime osservazioni di Damasio, fondamentale è stata la scoperta che la corteccia dei lobi frontali ha come funzione principale proprio quella di essere responsabile delle risposte nelle situazioni da me definite prima come ambigue: si è così rafforzata la conclusione che i lobi frontali sono i principali, anzi forse gli unici, responsabili delle decisioni e delle scelte effettuate dagli esseri umani. Per esempio, uno del segni più comuni della demenza è quello dell'incapacità di prendere decisioni: ebbene, nella demenza è osservabile proprio nei lobi frontali una diminuita attività neuronale e una diminuita irrorazione sanguigna. La sindrome della demenza è stata così attribuita a una diminuita attivita dei lobi frontali che hanno il compito di gestire le informazioni responsabili dei processi connessi con le motivazioni e le intenzioni. Per questa funzione i lobi frontali sono stati anche definiti come i manager o i direttori d'orchestra della mente. Nell'evoluzione della specie umana l'espansione dei lobi frontali è arrivata per ultima. I lobi frontali, infatti, hanno cominciato ad accelerare il loro sviluppo solo nelle grandi scimmie antropomorfe, e sono stati definiti solo di recente come le sedi dell'intenzionalità e della capacità di previsione e pianificazione del futuro. Fino a poco tempo fa i testi di neurologia dedicavano solo poche righe ai lobi frontali. Poco alla volta però i neuropatologi e gli psichiatri si sono accorti, in primo luogo, che la mente umana è capace di elaborare obiettivi, piani, aspirazioni, ambizioni, e in secondo luogo che il coordinamento di tutta questa attività è essenzialmente concentrata nella corteccia dei lobi frontali. L'intera evoluzione dell'uomo potrebbe, o dovrebbe, essere considerata come l'età dei lobi frontali. Per Goldberg (2004) le strutture dei lobi frontali hanno molteplici funzioni. In particolare il ruolo della corteccia prefrontale è fondamentale nella formazione di scopi e intenzioni e poi nell'ideazione dei piani d'azione necessari per raggiungerli.
I danni dei lobi frontali provocano due tipi di sindromi, indicate come
dorsolaterali
e
orbitofrontali.
La
sindrome dorsolaterale
provoca quella che appare come una
pseudodepressione.
Il paziente presenta uno stato affettivo piatto, come se avesse perso il senso
dell'umore, e mostra di essere indifferente a tutto. Goldberg definisce i
pazienti lesionati nei lobi frontali come oggetti di una fisica newtoniana, nel
senso di essere incapaci di iniziare o di terminare da soli qualsiasi azione:
hanno sempre bisogno di uno stimolo esterno per iniziare o terminare qualsiasi
azione. La schizofrenia è oggi considerata una malattia frontale. La
sindrome orbitofrontale
può essere invece definita come la sindrome dell'amoralità, cioè una sindrome
che fa diventare i pazienti moralmente disinibiti. Questi pazienti oscillano
continuamente dall'euforia alla rabbia e viceversa, e mostrano uno scarso
controllo dei loro impulsi, senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze,
legali o morali, delle proprie espressioni verbali o delle proprie azioni. Un
paziente di questo tipo può commettere furti, essere sessualmente aggressivo,
effettuare azioni antisociali.
7. Dalle nuove conoscenze sull'evoluzione della mente alle trasformazioni delle società umane In questo saggio ho discusso, molto sinteticamente, gli effetti esplosivi che negli ultimi due secoli gli sviluppi della conoscenza culturale e scientifica – in particolare quella conoscenza che mira a spiegare la struttura e il funzionamento del sistema mente-cervello hanno prodotto sui pensieri e sui comportamenti degli esseri umani. Questi sviluppi hanno contribuito a rimuovere credenze e miti radicati da migliaia di anni. Approfondire questi problemi è il percorso indicato ai liberali e ai laici, e più in generale a coloro che intendono seguire il cammino tracciato da Galilei e da Darwin.
Mackie aveva suggerito che la morale andava
inventata
più che
scoperta.
Aggiungerei che la capacità di invenzione della morale da parte
della mente umana si è sviluppata parallelamente alla sua evoluzione: è
stata l'evoluzione della mente che ha consentito la transizione del sistema
mente-cervello degli esseri umani dal livello di una macchina
(come di fatto è negli organismi non dotati di coscienza) al livello di
una mente dotata di autonomia morale com'è il caso degli esseri umani dotati di
coscienza superiore.
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