Autore Alain Berthoz
Titolo La semplessità
EdizioneCodice, Torino, 2018 [2011] , pag. 214, ill., cop.fle., dim. 13,8x21x1,8 cm , Isbn 978-88-7578-834-6
OriginaleLa simplexité
EdizioneOdile Jacob, Paris, 2008
TraduttoreFederica Niola
LettoreCorrado Leonardo, 2020
Classe scienze cognitive , biologia , evoluzione , psicologia , sensi












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


VII Introduzione


    Parte I. Non dimenticare di osare

    Capitolo 1
  5 La semplessità: una proprietà fondamentale degli organismi viventi

    Capitolo 2
 13 Abbozzo di una teoria della semplessità

    Capitolo 3
 23 Sguardo ed empatia

    Capitolo 4
 37 L'attenzione: "Scelgo, dunque sono"

    Capitolo 5
 53 Il cervello emulatore di mondi

    Capitolo 6
 65 A che cosa servono i nostri sensi?


    Parte II. Camminare sulla Luna

    Capitolo 7
 83 Le leggi del movimento naturale

    Capitolo 8
 93 Il gesto semplesso

    Capitolo 9
103 Camminare, una sfida alla complessità


    Parte III. Gli spazi del pensiero

    Capitolo 10
123 Lo spazio semplesso

    Capitolo 11
143 Spazio percepito, vissuto e concepito

    Capitolo 12
151 I fondamenti spaziali del pensiero razionale

167 Epilogo
177 Ringraziamenti
179 Note
191 Bibliografia


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina VII

Introduzione


Per quale motivo un affermato studioso di scienze naturali si interessa all'epistemologia? È venuta a mancare la possibilità di svolgere un lavoro valido nel suo ambito? Ho sentito molti miei colleghi esprimere questo punto di vista e immagino che sia così anche per molti altri. Non condivido questo modo di pensare [...]. Concetti che si sono dimostrati utili per ordinare le cose acquistano una tale autorità su di noi da farci dimenticare la loro origine terrena e portarci ad accettarli come dati inalterabili. Così questi concetti diventano "necessità del pensiero", "dati a priori" e così via. Spesso sono proprio questi errori che rendono impossibile per molto tempo il cammino del progresso scientifico. Perciò è tutt'altro che irrilevante cercare di diventare abili nell'analizzare i concetti che sono stati a lungo un luogo comune e mettere in evidenza le circostanze dalle quali dipendono la loro giustificazione e la loro utilità, mostrando come siano emersi individualmente, a partire dai dati dell'esperienza. In questo modo la loro soverchiante autorità sarà rovesciata. Albert Einstein


Questo volume propone una riflessione su un concetto nuovo: la semplessità. Tale neologismo designa una delle invenzioni più stupefacenti degli organismi viventi, applicabile a diversi livelli dell'attività umana, dalla molecola al pensiero, dall'individuo all'intersoggettività, fino ad arrivare alla coscienza e all'amore.

Oggi, all'inizio del XXI secolo il principio guida è la complessità. L'economia è complessa, la vita nelle megalopoli è complessa, i meccanismi del morbo di Alzheimer sono complessi. Trovare un biocarburante efficace per sostituire il petrolio è complesso, gestire le famiglie separate e permettere contemporaneamente uno sviluppo armonioso dei bambini e la libertà sessuale dei genitori è complesso. Siamo schiacciati dalla complessità. Inoltre, apparteniamo a diversi corpi sociali, religiosi e politici, e viviamo divisi tra numerose identità: siamo cittadini del nostro Paese, ma anche dell'Europa, abitanti di un quartiere, medici o muratori, turisti, pazienti, clienti ed elettori. Ciascuna di queste identità ci inquadra, ci impone una serie di comportamenti, norme, abitudini e habitus che ci collocano all'interno di un intreccio di ragnatele sociali e psicologiche in costante mutamento, caratterizzate da una complessità che non ha eguali nella storia dell'uomo.

Anche le teorie scientifiche che riguardano la materia e gli organismi viventi devono confrontarsi con la complessità dei processi naturali. La complessità investe dunque ogni ambito, senza eccezioni. La fisica cerca da tempo una soluzione a questa complessità e, pur avendo raggiunto in generale un livello di maturità notevole, nel confrontarsi con la complessità deve rassegnarsi a rapporti di incertezza che definiscono i limiti stessi della conoscenza e ammettere, per esempio, che non si possono conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella.

Nel tentativo di formalizzare la complessità, scienziati di tutte le discipline hanno creato un istituto di ricerca, il Santa Fe Institute, negli Stati Uniti, fondato, tra gli altri, dal Premio Nobel per la Fisica Murray Gell-Mann , lo scopritore dei quark. Il suo libro Il quark e il giaguaro riassume il processo necessario per costruire una teoria dei sistemi complessi adattativi. La metafora è celebre: il battito d'ala di una farfalla nell'America del Sud può provocare una catastrofe in Europa. In altre parole, una legge molto semplice di organizzazione della materia vivente può generare strutture complesse.




Meraviglie e imposture della semplicità


Di fronte alle sfide della complessità assistiamo a una proliferazione di metodi per semplificare. Tali metodi, destinati a evitare la follia collettiva e individuale dovuta all'impossibilità, per il nostro cervello, di elaborare l'immensa quantità di informazioni necessarie per vivere, agire e comprendere, sbandierano un'apparente semplicità, espressa attraverso teorie matematiche astruse, che mascherano l'incapacità dei loro autori di cogliere il reale. Questi modelli matematici, legati agli interessi privati che nascondono, provocano regolarmente drammi, come dimostrano la recente crisi finanziaria e il fallimento dei sistemi bancari. Possiamo fare un altro esempio: per facilitare la decisione, si tende a ridurre l'uomo a una serie di processi logici e a modellizzarlo mediante una serie di teorie logico-matematiche che semplificano la realtà del vissuto. Ma, nonostante gli sforzi volti a trovare soluzioni efficaci, le "semplici euristiche per farci furbi", dobbiamo per forza prendere atto che oggi l'uomo è un Teseo perso nel labirinto, senza un filo di Arianna in grado di fargli ritrovare la via. Gli si fa credere che l'uscita sia alla fine della strada, ma questa non porta da nessuna parte. Può quindi capitare che l'uomo, perso nella complessità reale del mondo e consapevole dell'inconsistenza di tali modelli formali, si riavvicini a credenze antiche e si volga all'oscurantismo.

Oggigiorno il bisogno di semplificare riguarda tutte le attività. In ogni ambito della vita sociale e politica, della medicina, della scienza, della tecnologia, della vita quotidiana, si è alla ricerca di metodi o di principi di semplificazione. Si fabbricano apparecchi elettronici o digitali la cui complessità è dissimulata dalla semplicità d'uso. Si riempiono i computer di software pesantissimi trovando metodi perché l'utente li possa adoperare in modo semplice. Si semplificano i moduli per la dichiarazione dei redditi, le ricette mediche. Si semplificano i documenti amministrativi, si semplificano le procedure penali per velocizzarle. Si istituisce il voto elettronico e si fornisce agli elettori la scelta semplice tra due candidati che si contrappongono su un palcoscenico televisivo. Si semplifica la vita delle persone creando supermercati dove possano trovare tutti i prodotti di cui hanno bisogno. Gli ingegneri trovano soluzioni per semplificare il calcolo delle misure delle fibre ottiche (light pipes), i chimici scoprono principi semplificativi per quanto riguarda le reazioni enzimatiche o cinetiche. Il risultato di questa frenesia della semplificazione è di produrre un aumento della complessità. Quanto più l'utilizzo dei computer è semplice, tanto più i software saranno pesanti. Semplificare ha un prezzo.

Al giorno d'oggi si ha la tendenza a confondere la modernità con la semplicità. Di fronte alla proliferazione e all'esuberanza dell'arte barocca, alle fantasie dell'architettura classica, alla frivola raffinatezza dei costumi e degli abiti, il XX secolo ha conosciuto un movimento di riduzione a una semplicità maggiore nelle forme e nei materiali. Questo movimento, illustrato dall'influenza del Bauhaus, ha invaso l'industria e il design. Per fortuna comincia a essere contestato e gli stilisti, per esempio, sembra stiano ritrovando il piacere di giocare con le forme e i colori, le consistenze e i ritmi, la trama e le pieghe dei tessuti.




L'originalità degli organismi viventi


È arrivato il momento di definire più precisamente il senso che do al concetto di semplessità. Non ho inventato niente, visto che la parola semplessità, nella sua traduzione inglese, simplexity, viene usata abbastanza comunemente fin dagli anni Cinquanta in diversi ambiti, dalla geologia all'economia al design. Tuttavia questo tipo di utilizzo non è particolarmente interessante, perché spesso riduce il termine a un sinonimo di semplicità. Per me la semplessità è tutt'altra cosa. È, prima di tutto ed essenzialmente, una proprietà degli organismi viventi. In questo libro tento un'analisi approfondita del concetto di semplessità e della sua importanza per comprendere l'originalità della materia vivente. La semplessità non è la semplicità, è legata in modo sostanziale alla complessità, con cui condivide una medesima radice. Come ricorda giustamente Gell-Mann, «la parola semplicità si riferisce all'assenza, totale o quasi, di complessità. Mentre la parola semplice deriva da un'espressione che significa "piegato una sola volta", complesso deriva da una parola che significa "intrecciato"».

Secondo alcuni, i teorici della complessità hanno identificato bene ciò che distingue gli organismi viventi dalla materia inerte. Nel suo libro sulla modellizzazione dei sistemi viventi complessi, Bellomo , teorico della complessità, scrive: «Sebbene gli organismi viventi ubbidiscano alle leggi della fisica e della chimica, la nozione di funzione o di intenzione (purpose) distingue la biologia dalle altre scienze naturali. I sistemi biologici e quelli fisici differiscono in realtà per quanto riguarda la sopravvivenza e la riproduzione, e gli aspetti concomitanti di tale funzione». Dopodiché propone una teoria matematica delle interazioni tra «un gran numero di entità che interagiscono, che verranno chiamate particelle attive o, occasionalmente, agenti, e che sono organizzate in popolazioni diverse che interagiscono». Per quanto interessante, una simile concezione dell'azione presenta alcuni limiti. Infatti non affronta ciò che costituisce l'originalità dell'atto negli organismi viventi. Non viene menzionata in alcun modo l'idea che la vita ha trovato una serie di soluzioni per semplificare la complessità. Non si fa accenno alcuno al fenomeno assolutamente straordinario che si è prodotto nei viventi: la creazione di confini che delimitano spazi chiusi come la cellula o lo stesso corpo. Tali soluzioni rappresentano principi semplificativi che riducono il numero o la complessità dei processi e permettono di elaborare molto rapidamente informazioni e situazioni, tenendo conto dell'esperienza passata e anticipando il futuro, facilitando la comprensione delle intenzioni senza snaturare la complessità del reale. Dal mio punto di vista la semplessità consiste in questo insieme di soluzioni trovate dagli organismi viventi affinché, nonostante la complessità dei processi naturali, il cervello possa preparare l'atto e anticiparne le conseguenze. Queste soluzioni non sono né caricature né scorciatoie né riassunti. Nel porre il problema in un altro modo, consentono di arrivare ad azioni più eleganti, più rapide, più efficaci. Permettono anche di mantenere o di privilegiare il senso, anche a costo di fare una deviazione.

La semplessità è complessità decifrabile, perché fondata su una ricca combinazione di regole semplici. Per riprendere una formula di Leibniz a proposito del migliore dei mondi possibili, che combina la varietà maggiore di fenomeni con la semplicità maggiore delle leggi, è una semplicità complicata. La musica di Boulez o di Dusapin è moderna; può anche non piacere, ma è semplessa. Così come lo è una fuga di Bach, che comincia con qualche nota ed evolve lentamente verso meravigliose volute di suoni combinati che danno l'impressione della complessità, mentre in realtà seguono una logica rigorosa. Lo stesso vale per le grandi liturgie russe o per le polifonie che danno l'illusione di una grande semplicità attraverso una sapiente distribuzione di ritmi e spazi sonori interconnessi, intrecciati in un balletto che sembra un assolo, perché segue una via che, nel nostro cervello, armonizza attività molteplici.

Semplificare in un mondo complesso non è mai semplice. Richiede in particolare la capacità di inibire, selezionare, collegare, immaginare. Altrove ho detto che il fondamento dei nostri pensieri, dello sviluppo delle nostre funzioni cognitive più elevate e anche più astratte consiste nell'atto, e che il cervello si è sviluppato in modo da poter anticipare le conseguenze di un'azione, proiettando sul mondo le proprie percezioni, le proprie ipotesi e i propri schemi interpretativi. L'originalità degli organismi viventi è precisamente quella di avere trovato soluzioni che risolvono il problema della complessità con meccanismi che non sono semplici, ma semplessi. Si può far credere che la complessità sia riconducibile a un clic del mouse, che il mondo sia davvero a portata di una pagina di Google, che la soluzione alle grandi malattie psichiatriche sarà fornita dalla semplice scoperta dei geni ad esse relativi. Può essere vero quando si tratta di far funzionare una lavatrice, un computer, la biglietteria di una stazione, ma non quando si devono integrare le molteplici complessità proprie del nostro ambiente sociale, materiale e naturale. A complemento delle teorie della complessità bisogna gettare le basi di una teoria della semplessità che, in qualche modo, contenga una parte di complessità. È ciò che tento di fare in questo saggio.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 13

Capitolo 2

Abbozzo di una teoria della semplessità


Non perché un comportamento è più semplice esso è anche privilegiato, ma al contrario è il suo carattere privilegiato che lo fa apparire più semplice [...] Per lo più il comportamento privilegiato è più semplice e più economico, se si tiene conto dello scopo nel quale l'organismo è impegnato e se le sue forme fondamentali di attività, lo sviluppo della sua possibile azione, sono tutte presenti nella definizione delle strutture che saranno le più semplici per questo comportamento, privilegiate in esso. Maurice Merleau-Ponty


A questo punto vorrei tentare di abbozzare una teoria della semplessità. Un abbozzo non è un disegno finito, è l'espressione di un'intenzione, un progetto ridotto all'essenziale, impreciso e indeciso, che porta in sé i propri cambiamenti. È una domanda che innesca la risposta; una libera evocazione. Affermo che un processo semplesso è un processo retto da diversi principi, messo in atto in maniera successiva o, in alcuni casi, parallela, addirittura in modo ricorsivo. L'elenco di principi che esporrò è finalizzato a definire un quadro, incompleto e discutibile, volto a circoscrivere il concetto di semplessità. Mi propongo di aprire un cantiere, un dibattito, seguendo molto modestamente gli studiosi di geometria che hanno affrontato le geometrie non euclidee, ma anche Leonardo da Vinci , che ha abbandonato un ambito ristretto come quello del metodo albertiano della prospettiva, o Daniel Kahneman , che ha riconsiderato i fondamenti cognitivi delle teorie economiche.




L'inibizione e il principio del rifiuto


L'inibizione è una proprietà importante nel funzionamento degli organismi viventi e del cervello umano. È una delle maggiori scoperte dell'evoluzione. Consente la competizione, quindi la decisione, la plasticità, la stabilità. È utilizzata nel cervello per aumentare la velocità, per operare una selezione, una scelta nella complessità degli elementi di un fenomeno, di un atto, di una situazione, che riguardano i nostri rapporti con l'ambiente circostante o i meccanismi del nostro pensiero. Tutti i grandi centri del cervello (cervelletto, gangli della base, corteccia prefrontale) che intervengono a livello di coordinazione dei movimenti, selezione dell'azione, previsione del futuro o decisione, sono dotati di uno strumento di inibizione; lo sviluppo della corteccia prefrontale, per esempio, ha consentito all'uomo di non essere schiavo della realtà vissuta, del flusso degli eventi; gli ha permesso di prendere le distanze dal reale, di cambiare punto di vista. Le nostre funzioni esecutive ci conferiscono la capacità di inibire una serie di strategie cognitive primitive o di riflessi innati troppo automatici. Si può dire, in qualche modo, che pensare significa inibire e disinibire, che creare sia inibire alcune soluzioni automatiche o apprese, che agire sia inibire tutte le azioni che non compiamo. Il rifiuto di perdersi nella complessità è un'attitudine, una postura intellettuale che apre a un riesame, un po' come il mettere fra parentesi caro a Husserl.




Il principio della specializzazione e della selezione: l'Umwelt


È il nostro secondo principio. L'esempio più significativo consiste nel repertorio degli indicatori sensoriali usati da ogni diversa specie animale. Ciascuna specie cerca nel mondo unicamente gli indicatori importanti per la propria sopravvivenza. Ciascuna specie agisce in funzione del proprio Umwelt. Si può generalizzare quest'idea e applicarla alle funzioni cognitive e alla decisione in generale. La presa di decisione implica la scelta delle informazioni del mondo pertinenti rispetto ai fini dell'azione. È un principio di parsimonia, lo stesso che opera nell'arte della guerra, nella politica o nel ragionamento, che la saggezza popolare esprime in proverbi e detti come "Chi troppo vuole nulla stringe" o "Meglio un uovo oggi che una gallina domani".

La selezione non è indotta unicamente in un rapporto stimolo-risposta, ma si inscrive in una prospettiva dove un organismo vivente autorganizzato, autonomo, proietta sul mondo le proprie intenzioni e le proprie ipotesi. In questa operazione il nostro cervello funziona come un comparatore e un emulatore, più che limitarsi a elaborare le informazioni; per farlo utilizza numerosi meccanismi dell'attenzione cui dedicheremo un capitolo in seguito. La selezione delle informazioni prelevate sul mondo è legata a propria volta alla specializzazione. Il nostro cervello, infatti, è formato da centri specializzati in elaborazioni ben precise (il viso, il corpo, i ricordi, il linguaggio, l'emozione). Il privilegio dell'uomo consiste nel fatto che, in una certa misura, può creare mondi o per lo meno avere l'illusione di poter sfuggire al proprio Umwelt!




Il principio dell'anticipazione probabilistica


Il terzo principio è quello dell'anticipazione e della previsione, fondate sulla memoria. Questa doppia strategia, prospettiva e retrospettiva, inscrive il presente nel flusso dinamico di un universo che cambia. Consente di confrontare i dati dei sensi con le conseguenze delle azioni passate e di prevedere le conseguenze dell'azione in corso. Dati recenti mostrano questo doppio controllo a livello del talamo, incaricato di elaborare le informazioni sensoriali. Il principio dell'anticipazione fondato sulla memoria implica un funzionamento probabiliico; implica che la semplessità si adatti all'incertezza, e non è semplice. L'incertezza assicura un margine di libertà, cosicché l'ordine della semplessità non è un ordine fascista, ma democratico; la semplessità non è gerarchica, bensì eterarchica. Come nelle fughe di Bach, l'ordine consente all'immaginazione la possibilità delle variazioni, lascia intravedere la duttilità dietro un'architettura o una forma, porta in sé l'innovazione. L'innovazione può venire soltanto dalla complessità; passa necessariamente, a un certo punto, per un ordinamento spaziale e temporale originale e innovativo che è proprio della semplessità.

Possiamo arrivare solo a una stima della velocità del nostro corpo nello spazio, del meteo di domani o dello stato reale del mercato dei cambi. Non stupisce che i roboticisti, elaboratori di immagini, abbiano utilizzato così tanto il filtro di Kalman, uno strumento matematico che fornisce una stima probabilistica considerata ottimale in questo campo. Ai nostri fini è importante capire fino in fondo che l'anticipazione è sempre probabilistica. Oggi i ricercatori che operano nell'ambito della psicologia e delle neuroscienze utilizzano i modelli derivati dalla formula del reverendo Bayes, che lega a priori esiti della memoria del passato a probabilità riguardanti gli eventi futuri (figura 3), e non certo a causa del cosiddetto effetto carrozzone o istinto del gregge. Come è ovvio, si potrebbero proporre altre teorie probabilistiche, e questo di sicuro avverrà, ma oggi l'utilizzo dell'inferenza bayesiana nell'ambito della psicologia e delle neuroscienze è particolarmente utile per modellizzare numerosi processi.

Ecco un riassunto della teoria bayesiana. Per decidere in merito a un'azione, il nostro cervello deve fare una serie di ipotesi. Deve decidere qual è la probabilità che le sue ipotesi siano giuste in funzione dell'informazione di cui dispone, della sua memoria del passato e di una previsione dell'avvenire (pensate al vostro ragionamento sulla probabilità che faccia bel tempo oggi o domani). L'enunciato del teorema di Bayes dice che cosa bisogna fare. Se P(H|D) è la probabilità che un'ipotesi sia vera stando ai dati sensoriali attuali, allora P(H|D) = P(D|H) x P(H)/P(D), dove P(D|H) è la verosimiglianza, cioè la probabilità di questi dati se l'ipotesi è vera, essendo P(H) la probabilità a priori che l'ipotesi sia vera e P(D) la probabilità dei dati.

Oggi i fisici, nonostante la resistenza opposta da Einstein a questa idea, sostengono che l'universo sia retto dalle leggi della fisica quantistica, nella quale regna una serie di indeterminazioni: il rapporto di indeterminazione di Heisenberg , per esempio, stabilisce fino a che punto è possibile conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella. Allo stesso modo, mi sembra che la semplessità risolva una serie di problemi complessi, rinunciando al determinismo puro e accettando di includere la probabilità, il caso, l'idea che dal disordine possa emergere l'ordine. Un mio nipote ha sposato una ragazza indiana, attribuendomi così il titolo di mama, perché in India lo zio, per una coppia, è una sorta di padrino. Ho chiesto quale fosse il mio ruolo. Mi ha spiegato che non consisteva soltanto nel vegliare sulla felicità della coppia, ma nell'introdurvi un po' di disordine, cioè nell'arricchirlo mediante la diversità, cui Changeux ha attribuito grandi virtù.




Il principio della deviazione


Il quarto principio della semplessità è quello della deviazione attraverso una complessità accessoria.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 21

Il principio del senso


Grazie a tutte queste proprietà, per un organismo vivente la semplessità è ciò che dà senso alla semplificazione, visto che le soluzioni semplesse sono guidate da un'intenzione, da un fine, da una funzione. Come ho dimostrato nel mio libro Il senso del movimento, il fondamento del senso è nell'atto stesso: il senso non è applicato alla vita, è la vita stessa. Il concetto di semplessità include, nella mia mente, la nozione di senso. Elaborare una teoria della semplessità significa dunque elaborare una teoria del senso, ridefinendo questo termine, restituendogli come fondamento l'atto possibile intenzionale o l'atto desiderato. A questo punto i principi che ho abbozzato per tentare di delineare la nozione di semplessità si aprono alla discussione. Non pretendo che siano esaustivi, né che la loro formulazione sia definitiva. I capitoli successivi mirano a offrire esempi di processi semplessi, da utilizzare come riferimento.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 65

Capitolo 6

A che cosa servono i nostri sensi?




Codificare il continuo attraverso il discreto


Una proprietà importante del sistema nervoso consiste nella codifica dei fenomeni continui attraverso impulsi, cioè segnali discreti. La contrazione di un muscolo, per esempio, è codificata da una frequenza di impulsi scaricata dai recettori chiamati fusi neuromuscolari presenti nei muscoli. La rotazione della testa è codificata mediante una variazione di frequenza di scarica nei neuroni che individuano le accelerazioni grazie ai recettori vestibolari. Questa deviazione attraverso la codifica discreta permette di trasformare un'incredibile complessità di processi in una risposta semplice, comune a tutti i recettori. Il codice comune, il linguaggio comune, semplifica il lavoro del cervello.

Inoltre, in molti casi, questo passaggio alla codifica discreta è accompagnato da una spazializzazione. Nell'orecchio, per esempio, il recettore (la coclea) codifica le vibrazioni aeree prodotte dai suoni sotto forma di vibrazioni di una membrana, la membrana basilare. Tale membrana si comporta come un filtro spaziale di frequenza poiché, lungo il suo asse, le porzioni successive della membrana basilare vibrano con frequenze differenti. Come se diversi cantanti si disponessero su una linea e cantassero suoni sempre più acuti. Da un estremo all'altro della spirale della coclea i recettori che captano i movimenti della membrana basilare codificano frequenze crescenti. L'utilizzo dello spazio per classificare le frequenze lungo una membrana è una soluzione molto elegante, che elimina totalmente la necessità di un calcolo neuronale complesso.




Il caso controllato


Il caso è presente a tutti i livelli del funzionamento cerebrale, dalla sinapsi fino all'integrazione multisensoriale, e anche nei processi cognitivi di decisione. Ma il caso ha qualità semplesse, poiché dietro l'apparente confusione che introduce si nascondono grandi vantaggi. Vediamone alcuni.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 73

La separazione di contenuto e contesto


Un modo interessante di semplificare l'analisi del mondo per guidare l'azione o le scelte che il nostro cervello deve compiere è quello di distinguere tra il contenuto e il contesto. Ritorniamo alle due vie visive di cui abbiamo parlato in precedenza. Una analizza il luogo in cui si trova un oggetto, una persona, analizza il contesto: è la via dorsale, che va dalla corteccia visiva alla corteccia frontale alla parte superiore del cervello. L'altra analizza l'identità, il contenuto (che cosa? chi?) lungo la via detta ventrale, che porta fino alla corteccia temporale. Inoltre un'altra via, che analizza il valore emozionale di una situazione attraverso l'amigdala, può essere considerata come una via specializzata nel contesto. Assegnare a un oggetto o a una persona attributi come "pericoloso" o "benefico" significa, di fatto, contestualizzare la percezione sensoriale. Allo stesso modo si sa che cinque circuiti collegano il talamo, i gangli della base e la corteccia. Questi circuiti selezionano e controllano le azioni del corpo, degli occhi, ma anche la memoria e l'emozione. Ciascuno dei circuiti che codificano il contenuto sensomotorio potrebbe essere doppiato da un altro circuito che codifica il contesto.

Se, come sostiene il neurofisiologo Llinas, la coscienza presuppone che contesto e contenuto siano regolati mediante meccanismi di sincronizzazione delle oscillazioni, dove sarebbe la semplificazione in questa ulteriore complessità? Si può arrischiare l'ipotesi seguente: separare contesto e contenuto è importante per individuare nel mondo una serie di invarianti, indipendentemente dalle circostanze particolari della percezione o dell'azione in corso. Invece, la percezione di un oggetto o di un evento che non tenesse conto del contesto sarebbe inutile. Questa separazione è essenziale e senza dubbio permette anche di dissociare l'apprendimento delle relazioni con gli oggetti del mondo sensibile e l'apprendimento dal contesto dell'azione.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 110

Il controllo della locomozione a partire dalla testa: una trovata geniale


Ho già detto che la gravità fornisce un sistema di riferimento notevole per indicare una verticale ripartita uniformemente sulla superficie della Terra. Questo "filo a piombo" gratuito è utilizzato dai recettori dell'orecchio interno (otoliti), in cooperazione con i recettori di accelerazione angolare della testa (canali semicircolari). In questo modo il cervello può conoscere in ogni momento l'inclinazione assoluta della testa nello spazio, dando vita a una vera e propria centrale inerziale, simile a quelle che si utilizzano a bordo degli aerei e dei missili per stabilizzare la posizione mentre si segue una traiettoria. Abbiamo mostrato che nell'uomo la locomozione non è organizzata a partire dai piedi, come avviene nella maggior parte degli umanoidi. La mia teoria è che la coordinazione dei numerosi gradi di libertà degli arti durante la locomozione sia organizzata a partire dalla testa (figura 12), che costituisce una piattaforma stabilizzata in rotazione.

Di conseguenza la camminata è assicurata mediante un controllo top-down dalla testa, che costituisce una sorta di riferimento mobile e libera l'animale terrestre dalla necessità di toccare il suolo; in matematica esiste una teoria dei sistemi di riferimento mobili elaborata da Élie Cartan, il grande studioso di geometria francese. Questo controllo top-down permette allo scoiattolo di saltare di ramo in ramo con un'abilità eccezionale, o all'uccello di volare e di piombare sulla preda con estrema precisione, anche in caso di vento forte. Aiuta anche il surfista, il campione di sci, gli acrobati e altri sportivi di tutte le discipline nell'esecuzione di figure particolarmente complesse. Gli umanoidi costruiti oggi dai roboticisti non cammineranno mai bene come l'uomo, a meno di non avere una centrale inerziale nella testa e una guida per la deambulazione che parte da una testa stabilizzata nella rotazione come quella degli animali.

Nell'uomo questo controllo della postura e dell'equilibrio si sviluppa durante l'infanzia. Il bambino comincia a dondolare la testa e organizza la locomozione attraverso una serie di programmi motori e di riflessi che prendono il suolo come punto di riferimento e ancoraggio. Ogni minima variazione del suolo mette in pericolo il bambino. Verso i tre-cinque anni il piccolo uomo acquisisce la capacità di correre e di saltare, di fare i "fuoristrada". È il segno di una specie di rivoluzione galileiana: la testa è stabilizzata in rotazione, lo sguardo guida il modo in cui si muove: il bambino si è affrancato dal punto suolo come punto di riferimento ed è diventato un uccello senza ali! Per risolvere in modo elegante un problema straordinariamente complesso (affrancarsi dal suolo), l'evoluzione ha trovato una soluzione che non è affatto semplice: far passare il controllo dal piede alla testa grazie a un sistema sensoriale molto sofisticato.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 114

Apologia dello scheletro


Il XX secolo ha adottato un atteggiamento paradossale riguardo il corpo. Ne ha riscoperto la bellezza, dimenticata dai tempi dei Greci sotto l'influenza delle religioni giudaico-cristiane, che ne avevano fatto un oggetto di passione: il corpo di Cristo è un simbolo di dolore. Oggi si assiste a una formidabile riabilitazione del corpo, una vera e propria orgia di corpo: c'è il corpo sensibile, il corpo vestito o svestito, il corpo commosso, il corpo percepito, il corpo in atto, il corpo altrui, il gioco dei corpi. Oggi si cura il proprio corpo, lo si agghinda, gli si impedisce di invecchiare, lo si rende muscoloso e lo si forgia, lo si fotografa e lo si scolpisce, lo si dipinge, lo si osserva trapassato dai raggi. Il corpo è divenuto oggetto di esposizione e di misurazione. Lo si dota di protesi, di ortesi, ci si occupa anche di eventuali arti fantasma. Se ne rinvigorisce la virilità, se ne sostituiscono le vertebre, i denti, gli occhi. La chirurgia prolifera. Non ci sono mai state tante attività volte alla rieducazione del corpo. Non ci sono mai state tante tecniche del corpo, per usare l'espressione di Marcel Mauss. E mai lo sport è stato più praticato e spettacolarizzato.

C'è un'industria del corpo, con migliaia di modelli di scarpe, di vestiti, di ogni genere di zaino, di cappello, di equipaggiamento per il mare o la montagna. Il corpo dell'uomo deve poter raggiungere le vette più alte, i pianeti più lontani, le grandi profondità. Jules Verne rimarrebbe molto colpito sapendo che oggi il capitano Nemo potrebbe uscire dal suo sottomarino e affrontare la piovra gigante munito di attrezzature elettroniche e di tute in grado di fungere da rivestimento per l'esterno, come quelle degli astronauti.

In questa orgia di corpo che cosa ne è dello scheletro? Proprio lo scheletro detiene alcune chiavi della semplificazione delle azioni che il nostro corpo permette. I muscoli non potrebbero fare nulla senza questa straordinaria struttura che compone l'architettura della nostra unità fisica, dei nostri rapporti con la forza di gravità e l'espressione del nostro repertorio di comportamenti. Lo scheletro è testimone del nostro Umwelt.

Ai nostri occhi lo scheletro evoca la morte. A scuola è appeso da qualche parte nell'aula di storia naturale: non ci viene insegnato ad ammirarlo. Ma chi va al museo di storia naturale nel giardino botanico di Parigi può cogliere il messaggio fondamentale che i migliaia di scheletri radunati ci trasmettono, cioè la loro profonda somiglianza. Guardate un dinosauro, un uccello, un pesce, uno scoiattolo, una giraffa. Gli elementi fondamentali dell'organizzazione sono gli stessi: testa, occhi, colonna vertebrale, sistema respiratorio, gambe. Gli zoologi hanno passato anni a sottolineare la diversità, ma si può anche decidere di insistere sulla profonda somiglianza.

Il fatto che la testa costituisca una piattaforma stabilizzata che rende possibile la coordinazione degli arti ha costituito il presupposto di un'architettura specifica della colonna vertebrale e, in particolare, del collo. Nella maggior parte dei quadrupedi e degli uccelli ha una bellissima forma a S, che garantisce la creazione di un piano orizzontale per la testa e colloca il sistema vestibolare in una posizione molto precisa rispetto alla gravità (figura 14). Il canale semicircolare orizzontale e l'utricolo possono posizionarsi su un piano orizzontale o possono stabilizzarsi secondo un angolo preciso sotto la guida dello sguardo. Questa architettura del collo è accompagnata da una magnifica distribuzione dei muscoli. Guardate un piccione o una gazza che camminano: la testa compie una serie di movimenti in avanti e indietro (nistagmo della testa). Quando il corpo avanza, la testa indietreggia. Tale movimento stabilizza l'immagine del mondo sulla retina, perché gli occhi di questi uccelli sono posizionati lateralmente. La geometria a S del corpo permette anche questa straordinaria semplificazione. La semplessità è anche questo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 123

Capitolo 10

Lo spazio semplesso


L'estensione concreta e qualitativa più o meno percepita che tutte le nostre sensazioni presentano costituisce la sensazione primitiva di spazio, e proprio a partire da questa sensazione un lavoro incessante di eliminazione e di selezione darà adito, alla lunga, a tutte le nostre conoscenze e rappresentazioni ulteriori dello spazio. William James


Ora vedremo molto rapidamente le basi neurali dell'elaborazione dello spazio. Ovviamente non si tratterà di un corso di fisiologia, ma cercheremo di mostrare come la spazializzazione delle funzioni della percezione e dell'azione, della memoria e della decisione diminuisca la complessità, a volte attraverso deviazioni che, a propria volta, generano semplessità.




Il cervello, una macchina geometrica


Il cervello è una macchina geometrica: questa teoria è stata ripresa numerose volte da quando Ramón y Cajal ha rivelato la notevole differenziazione della morfologia neuronale. Appare evidente se si ricorda che il corpo è rappresentato in mappe neuronali ordinate secondo topie. È il caso dell' homunculus nella corteccia motoria (somato-topia). Si parla di homunculus perché i neuroni piramidali della corteccia motoria che comandano i movimenti degli arti sono disposti secondo una mappa del corpo; questo è anche il caso della corteccia visiva primaria (retino-topia), dove si trova una "mappa" della proiezione del mondo sulla retina. Per comprendere i fondamenti della nozione di spazio è importante notare che la spazializzazione è una proprietà fondamentale nell'organizzazione degli organismi viventi. Come spiega Alain Prochiantz in A cosa pensano i calamari? Anatomia del pensiero, i geni di sviluppo delle parti del corpo sono disposti sul cromosoma in modo ordinato, collineare rispetto all'organizzazione spaziale che avranno le parti del corpo: si può dunque parlare anche di homunculus genetico. I vincoli di tempo e di spazio imposti nell'espressione di geni omeotici introducono nel genoma una dimensione spaziotemporale. In più l'organizzazione genetica del corpo include una gerarchia di mappe dalle forme diverse allineate dal midollo spinale fino alla corteccia. Nonostante la diversità di sistemazione di queste mappe, quindi, si ritrova a diversi livelli del cervello una medesima organizzazione fondamentale, che semplifica la corrispondenza tra le mappe.

Gli homunculi genetici di cui abbiamo parlato nel Capitolo I non sono unidimensionali, ma arricchiti delle quattro dimensioni dello spazio: «L'informazione spaziale è primordiale» e la differenziazione del cervello anteriore costituisce una risposta alla necessità di legare riflessi di ordine sensomotorio (il cui codice è spaziale) ad altre modalità sensoriali... la vista, l'udito e l'olfatto. Si troverebbero di conseguenza homunculi deformati che hanno un rapporto con l'homunculus genetico rappresentato nel genoma, nel caso dei vertebrati attraverso i quattro complessi HOX.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 132

Gli uomini e le donne utilizzano gli stessi meccanismi per la semplessità?


L'impatto di malattie psichiche come la depressione, l'ansia spaziale, l'agorafobia o l'autismo è molto diverso a seconda dei sessi. Oggi si sa per certo che queste differenze sono legate a diversità nelle performance, ma anche nei processi mentali, in numerosi compiti cognitivi che coinvolgono lo spazio. Gli uomini, per esempio, sono migliori delle donne in compiti di rotazione mentale, in cui, cioè, bisogna cambiare punto di vista. Hanno anche una migliore memoria delle mappe e hanno prestazioni migliori quando si tratta di effettuare un passaggio dal virtuale al reale. Le donne, invece, risultano migliori nell'identificare oggetti che si sono mossi, sono più veloci nei compiti di discriminazione, di comparazione e nei compiti che implicano una mediazione verbale. Sono migliori anche quando si tratta di memorizzare forme dotate di significato e di nome.

Queste differenze hanno di sicuro, tra le altre cause, una base ormonale. Il ciclo mestruale incide chiaramente sulle prestazioni di navigazione spaziale. Tuttavia i fattori ormonali sono responsabili solo in parte, e anche se la pubertà è importante per la distinzione delle abilità spaziali tra i sessi, si sa che alcune differenze appaiono prima e anche molto presto durante l'infanzia. All'origine di queste differenze tra i sessi potrebbe esserci un'asimmetria della corteccia parietale. I due emisferi sono asimmetrici, ed è possibile che le asimmetrie siano regolate dagli androgeni, che introducono l'aumento di dimensione della corteccia destra negli uomini. A prescindere dalla spiegazione ultima, un fatto è incontestabile: il cervello degli uomini e quello delle donne presentano differenze anatomiche. Da qui deriva l'interesse per una neuroscienza cognitiva differenziata, capace di rinnovare profondamente la psichiatria, di orientarsi verso nuovi metodi in quella che oggi chiamiamo rimediazione cognitiva, e anche di suggerire nuove modalità educative che tengano conto delle notevoli varietà di funzionamento del cervello umano.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 151

Capitolo 12

I fondamenti spaziali del pensiero razionale


Pollicino ha pensato una soluzione decisamente semplessa al problema più complesso che ci sia: ritrovare la strada in un bosco che non si conosce; si è munito di sassolini che ha disseminato lungo la via. Anche Arianna ha fornito una soluzione semplessa a Teseo quando è entrato nel labirinto per affrontare il Minotauro: gli ha dato una matassa di filo che l'uomo ha srotolato dietro di sé e che gli ha consentito di uscire. Nel corso dell'evoluzione il problema di trovare, o ritrovare, la strada ha dato luogo a numerose soluzioni biologiche. Le formiche del deserto utilizzano la luce polarizzata del sole; i roditori e molti altri animali segnano i propri percorsi per mezzo dell'odore; le api hanno meccanismi straordinari; gli uceelli migratori o i pesci, i pinguini che percorrono lunghi tragitti sul pianeta hanno fatto ricorso ad altre soluzioni. Prima ancora di Arianna e Pollicino l'uomo ha affrontato le migrazioni; fin dai primordi della sua storia ha attraversato i continenti per andare a cacciare in terre sconosciute, si è avventurato nei mari, ma è anche dovuto rientrare a casa. Per questo è stato costretto a sviluppare molto presto strategie cognitive di varia natura volte a memorizzare una strada, trovare una scorciatoia, orientarsi nello spazio. Ha concepito strumenti sempre più sofisticati, dall'astrolabio dei marinai fino agli strumenti elettronici per la navigazione di cui oggi sono dotati i dispositivi portatili (global positioning systems, GPS), per esempio.

La mia ipotesi a questo proposito è duplice. La prima è che gli strumenti mentali elaborati nel corso dell'evoluzione per risolvere i molteplici problemi che pone l'avanzamento nello spazio siano stati utilizzati anche per le funzioni cognitive più elevate: la memoria e il ragionamento, la relazione con l'altro e anche la creatività. La seconda ipotesi è che i meccanismi mentali deputati all'elaborazione spaziale permettano di semplificare numerosi altri problemi posti agli organismi viventi. Come abbiamo visto a più riprese nei capitoli precedenti, lo spazio serve in molti modi per semplificare la neurocomputazione, che si tratti della geometria dei neuroni e delle proteine più elementari, dell'utilizzo dell'elica, non solo per il genoma, ma per la ripartizione delle cellule sensoriali sulla coclea, della ripartizione dei segnali in mappe neuronali o in colonne, o ancora della modifica della geometria delle mappe neurali a seconda che la funzione sia sensoriale o motoria.

A questo punto vorrei insistere sull'utilizzo dello spazio per semplificare alcuni processi altamente cognitivi. Mi sembra, infatti, che le basi neurali della manipolazione mentale dei sistemi di riferimento spaziali (egocentrati, allocentrici, geocentrici, eterocentrici, spazio vicino e spazio lontano) costituiscano uno dei fondamenti del nostro pensiero razionale e, in particolare, dell'attitudine umana alla geometria, al ragionamento, al cambiamento di punto di vista, al trattamento simultaneo di diversi punti di vista, alle ramificazioni logiche.

Mi pare che queste basi neurali rendano possibile, in cooperazione con il cervello delle emozioni, l'interazione con l'altro, l'intersoggettività e anche l'empatia. Per esempio Frances Yates e Mary Carruthers hanno mostrato come, fin dai tempi dei Greci, la codifica spaziale sia utilizzata nella mnemotecnica per riporre o ritrovare gli oggetti, i luoghi, gli eventi, le parole, i concetti, ma anche per individuare combinazioni nuove, inventare storie, creare associazioni. L'architettura è un'altra illustrazione del modo in cui lo spazio ci serve per ordinare i concetti, le idee. Il grande specialista dell'antica Roma John Scheid ha scoperto un manoscritto romano in cui si menziona un percorso nella città destinato a educare le élite romane, e in particolar modo gli stranieri, alle usanze della vita sociale. Il documento contiene massime e raccomandazioni organizzate secondo la mappa di un percorso nella città di Roma. Ogni capitolo è associato a un monumento o a un luogo importante. Si può supporre che questo metodo di presentazione facilitasse agli allievi la memorizzazione dei contenuti del documento. In altre parole possiamo dire che utilizzare lo spazio non è solo un meccanismo semplesso per i sensi, come ho affermato in precedenza; ma è anche uno strumento della semplessità per il pensiero razionale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 162

Ritorno del reale


Arrivato al termine di questo saggio, visto che ho osato proporre un concetto nuovo, può essere utile ricordarne le fonti nella storia del pensiero. Una tale visione in prospettiva è, ovviamente, fuori della portata di un semplice fisiologo come me. Lo potrebbero fare i filosofi, gli storici della scienza, gli storici delle idee; forse giudicherebbero il mio tentativo molto audace, per non dire presuntuoso. Mi accontenterò dunque, umilmente, di tracciare alcune grandi linee, precisando perché è importante, e utile, contrapporre al concetto di complessità quello di semplessità.

Michel Foucault ha descritto la lenta evoluzione del pensiero occidentale fino al XVIII secolo. Il mondo è visto allora come un'idea astratta e dà luogo a una molteplicità di interpretazioni. Tuttavia, in mancanza di una scienza sperimentale, gran parte della riflessione sul mondo ha come strumento principale il linguaggio. Foucault, pensatore moderno del XX secolo, insiste sullo sviluppo teorico che si produce alla fine del XVIII secolo, quando il pensiero classico e il «linguaggio che nomina, ritaglia, combina, annoda e scioglie le cose, facendole vedere nella trasparenza delle parole», assume il dominio e prende piede l'idea astratta di rappresentazione. Il linguaggio classico aveva come vocazione profonda quella di «fare quadro», gli si riconosceva «una consistenza segreta» che «lo ispessiva in una parola da decifrare» e lo «collegava alle cose del mondo». Da allora in poi possederà un'esistenza multipla sulla quale ci si interrogherà.

In Bergson , che pure è un mago del verbo, si trova una critica al linguaggio, incapace di descrivere la complessità, il flusso, la profondità del reale che costituisce l'uomo. Bergson vede nelle parole del linguaggio una solidificazione del vissuto vivente, una frammentazione in cose. Scrive: «Noi tendiamo istintivamente a solidificare le nostre impressioni per esprimerle con il linguaggio [...]. Eccoci dunque in presenza dell'ombra di noi stessi: credevamo d'aver analizzato il nostro sentimento, e gli abbiamo sostituito, in realtà, una sfilza di stati inerti, traducibili in parole». Malgrado il suo dualismo, Bergson deve oggi essere studiato per le sue intuizioni e la sua riabilitazione della nozione di atto e di esperienza vissuta».

Ancora oggi si cerca di ritrovare il reale e si riscopre, in qualche modo, la sua complessità, poiché il reale non si lascia normare né nominare. Jacques Bouveresse, filosofo specialista di Wittgenstein , dichiara: «Mi sono riconciliato con il reale». René Girard accusa gli antropologi del fatto che, in nome dello strutturalismo, hanno dimenticato il reale, e in particolare la violenza fondamentale. Jean Thuillier chiede che la critica dell'arte ritorni a una fenomenologia vicina a quello che Jouvet avrebbe chiamato il sentito, nell'apprezzamento dell'opera d'arte e che si allontani da teorie formali. Anche nelle scienze cognitive si assiste a un movimento simile, con la riabilitazione del corpo sensibile o del ruolo dell'emozione nel ragionamento. Ma il reale sfugge all'analisi e se da una parte si constata un'uniformazione, secondo un principio di semplificazione, dell'uomo e della donna, anche del bambino, tutti consumatori di Coca-Cola, tutti spettatori di partite mondiali di rugby e di calcio, tutti fan delle stesse star della canzone, tutti collegati notte e giorno attraverso il cellulare e il web, si osserva dall'altra anche una formidabile ondata di desiderio di differenziarsi attraverso la religione, le tradizioni, le lingue e le etnie, fomentato da fanatismi di ogni sorta. La complessità delle relazioni tra le società e la natura sembra fuori portata rispetto ai mezzi di cui è dotato l'essere umano, si pensi alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo o all'ONU. La violenza che ne risulta è facilitata dal commercio delle armi e della droga. Il reale, la sua violenza e le sue contraddizioni rimettono in discussione il mondo ideale, quello precedente al XVIII secolo, che descriveva Foucault.




La relazione tra particolare e universale: il rasoio di Ockham


Il mondo non è dunque semplice, non può essere normato, non c'è un "dio creatore" che sta al di sopra di una realtà immutabile, retta da leggi vincolanti. Il concetto di gerarchia è messo in discussione a livello dello stato, della scuola, delle imprese. La ragione ha mostrato i suoi limiti; non a caso il premio Nobel per l'economia è stato assegnato a Kahneman, che ha dimostrato come l'uomo non sia un decisore razionale. Ormai la probabilità e il caso fanno da cornice allo studio scientifico sui processi naturali degli organismi viventi. L'uomo e il suo mondo, o piuttosto i suoi mondi, sono immersi nella complessità e ricercano con accanimento la semplicità. L'Occidente guarda con interesse alla filosofia cinese, i cui fondamenti risiedono nell'azione. Il buddhismo, religione senza dio in cui ciascuno deve trovare la propria via, attira pensatori e scienziati occidentali. Si riabilita il corpo in tutte le sue forme. L'idea di autorganizzazione, di autonomia che, nell'ambito del mondo vivente, è stata promossa da Maturana e Varela intorno al concetto di autopoiesi, ispira la robotica più avanzata.

Le teorie della complessità forse sono nate, in parte, dalla delusione storica di fronte a tutti i tentativi volti a normare il mondo vivente e la natura. Cercano di trovare un nuovo modello di interazioni che tenga conto dell'infinita varietà di forme e di forze che costituiscono i rapporti tra il mondo fisico e il mondo vivente. Manifestano anche l'importante scoperta della relazione tra « il caso e la necessità ». La maturità del concetto di probabilità si materializza oggi, in biologia e nelle neuroscienze cognitive, con l'incredibile successo delle teorie bayesiane. Non c'è più nulla di certo. Tutto è probabile. Malgrado il carattere letale del cancro, i giovani giocano con la probabilità e continuano a fumare le sigarette sul cui paccheto c'è scritto: «Il fumo uccide».

La relazione tra semplice e complesso è in parte la relazione tra il singolare e l'universale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 174

L'amore è una forma suprema di semplessità?


Uno dei problemi fondamentali dell'evoluzione è stato quello di mantenere stabilità e invarianti: la percezione dell'invarianza dell'oggetto, la percezione dell'unità del nostro corpo e della nostra identità ne sono una testimonianza. Ma gli organismi viventi hanno anche dovuto risolvere il problema della stabilità nelle relazioni tra individui. Per assicurare la sicurezza e il benessere del bambino, la stabilità parentale è fondamentale e presuppone l'attaccamento. Esiste un meccanismo innato che assicura questo attaccamento: l'imprinting. Ne abbiamo visto un esempio con la storia della cammella che piange. Ma questa soluzione non è semplice, comporta una serie di rischi. Il problema è ancora più evidente nell'uomo, mosso da un desiderio sessuale permanente. Alcuni popoli ovviano alla difficoltà mediante vincoli sociali forti o per mezzo dell'organizzazione spaziale degli scambi. Oggi si sa che la sindrome della personalità borderline, o stati limite, che induce comportamenti sociali e disturbi del comportamento molto gravi, è dovuta in parte a un deficit nella stabilità parentale o nelle relazioni precoci con i genitori. L'amore è l'invenzione più elegante per assicurare la stabilità di un rapporto che perdura al di là dell'atto sessuale? Istituisce, mediante l'unione degli innamorati, un legame che, in fin dei conti, risulta mille volte più forte di tutte le norme sociali?

| << |  <  |