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Pagina 77
[ miseria ]
I nostri appuntamenti sono
regolati da un ritmo che non siamo
ancora riusciti a penetrare. È un
ritmo saltuario e irregolare, per
cui accade spesso che la sera,
prima di andarmi a rintanare da
qualche parte, io faccia una
capatina fino a casa nostra e
chiami giù Kate con una
scampanellata speciale, che abbiamo
convenuta tra noi perchè i bambini
non si accorgano che mi trovo nelle
vicinanze. Poichè lo strano,
infatti, è questo, ch'essi
sembrano volermi bene, sentire la
mia mancanza, parlare di me,
benchè nelle ultime settimane
della mia permanenza a casa io li
abbia picchiati. Li picchiai così
forte, che fui spaventato
dall'espressione del mio volto,
quando mi vidi improvvisamente
nello specchio, coi capelli
scarmigliati, pallido eppur tutto
in sudore, intento a turarmi le
orecchie per non sentire le grida
del ragazzo, che avevo picchiato
perchè cantava. Un sabato
pomeriggio Clemens e Carla mi
sorpresero mentre aspettavo Kate
sul portone di strada. Sussultai,
notando che alla mia vista le loro
facce avevano espresso una gioia
improvvisa. Mi si precipitarono
addosso, mi abbracciarono, mi
chiesero se non ero malato, e io li
seguii su per le scale. Ma appena
varcai la soglia della nostra
stanza fui ripreso dallo spavento,
dall'orrendo alito della miseria.
Nè il sorriso del più piccolo,
che parve riconoscermi, nè la
gioia di mia moglie, nulla valse a
calmare l'astiosa irritazione che
mi prese subito alla gola, non
appena i bambini cominciarono a
ballare e a cantare. E me ne andai
un'altra volta, prima che la mia
esasperazione esplodesse.
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