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| << | < | > | >> |IndiceIX Introduzione alla seconda edizione 1 1. Che cos'è un ragionamento? 1 1.1 Segno e linguaggio 2 1.2 Il termine 3 1.3 L'enunciato 5 1.4 Il ragionamento 6 1.5 I diversi tipi di ragionamento 11 2. Logica, dialettica e retorica 11 2.1 I diversi tipi di ragionamento a confronto 12 2.2 Il rapporto tra dimostrazione e argomentazione 15 2.3 La dialettica e la retorica 19 2.4 Le nuove teorie dell'argomentazione 24 2.5 Logica, dialettica, retorica 27 3. La logica aristotelico-medievale 27 3.1 Gli enunciati categorici 29 3.2 Il quadrato delle opposizioni 32 3.3 Le inferenze immediate 36 3.4 La teoria sillogistica 3.4.1 I modi dei sillogismi 40 3.4.2 Sillogismi non categorici 45 3.4.2.1 Il sillogismo disgiuntivo (aut) 45 3.4.2.2 Il sillogismo ipotetico puro 46 3.4.2.3 Il sillogismo ipotetico misto 46 3.4.2.4 Il sillogismo congiuntivo 47 3.4.2.5 Il polisillogismo 47 3.4.2.6 Il sorite 47 3.4.2.7 L'epicherema 48 3.4.2.8 Il dilemma 48 49 3.5 La dimostrazione per assurdo 53 4. La logica fregeana 54 4.1 Logica enunciativa 4.1.1 Negazione 55 4.1.2 Congiunzione 56 4.1.3 Disgiunzione 56 4.1.4 Implicazione materiale 57 4.1.5 Doppia implicazione materiale 59 4.1.6 Contraddizione, tautologia ed equivalenza logica 60 4.1.7 Leggi, logiche e regole 62 65 4.2 Logica predicativa 4.2.1 La negazione degli enunciati quantificati 68 4.2.2 Gli enunciati quantificati complessi 70 73 5. Confronto fra le due logiche classiche 74 5.1 La quantificazione 76 5.2 La teoria delle inferenze 80 5.3 Il verbo essere 81 6. La logica modale 84 6.1 Necessario 84 6.2 Contingente e possibile 85 6.3 Necessità della conseguenza e necessità del conseguente 86 6.4 Leggi modali 86 6.5 Predicati e modalità 89 7. La definizione 92 7.1 Secondo l'uso 93 7.2 Secondo la strategia 7.2.1 Definizione estensionale 94 7.2.2 Definizione intensionale 94 7.2.3 La definizione quasi-intensionale 95 97 7.3 Secondo lo statuto epistemologico 99 8. Gli argomenti 99 8.1 Tipologia dell'argomentare 100 8.2 Le premesse dell'argomentazione 8.2.1 I luoghi della cogenza 101 8.2.2 I luoghi dell'ideale 104 8.2.3 I luoghi dell'esistente 104 8.2.4 I luoghi dell'ordine 105 8.2.5 I luoghi della persona 106 106 8.3 Della cogenza: gli argomenti deduttivi 107 8.4 Della cogenza: gli argomenti pseudo-deduttivi 8.4.1 Pseudo-identità 107 8.4.2 Incompatibilità 108 8.4.3 Pseudo-contraddizione 108 8.4.4 Ritorsione 109 8.4.5 Dilemma 109 8.4.6 Autofagia 112 8.4.7 Pseudo-transitività 112 8.4.8 Tutto e parte 113 8.4.9 Ad humanitatem 114 114 8.5 Dell'ideale: gli argomenti a priori 8.5.1 Essenza 114 8.5.2 Direzione 115 8.5.3 Propagazione 116 8.5.4 Superamento 117 8.5.5 Regola di giustizia 117 8.5.6 A fortiori 118 8.5.7 Complementarità 118 8.5.8 Compensazione 119 8.5.9 Riduzione al superiore 120 8.5.10 Etimologia 120 8.5.11 Facile 121 8.5.12 Coerenza degli effetti 122 123 8.6 Dell'esistente: gli argomenti a posteriori 8.6.1 Induzione 123 8.6.1.1 Induzione completa 125 8.6.1.2 Induzione da un solo caso 125 8.6.1.3 Induzione per enumerazione semplice 126 8.6.1.4 Induzione per eliminazione 127 8.6.1.5 I canoni induttivi di Mill 128 8.6.2. Argomenti causali 137 8.6.2.1 Argomento del post hoc 138 8.6.2.2 Argomento della causa 138 8.6.2.3 Argomento dell'effetto 139 8.6.2.4 Priorità della causa sull'effetto 139 8.6.2.5 Causa prima 140 8.6.3 A contrario 141 8.6.4 Ad consequentiam 142 8.6.5 Spreco 143 8.6.6 Superfluo (principio di economia, rasoio di Ockham) 143 8.6.7 Consolidamento 144 144 8.7 Dell'ordine: gli argomenti strutturali 8.7.1 Analogia 144 8.7.2 Paragone 145 8.7.3 Doppia gerarchia 146 147 8.8 Della persona: gli argomenti pragmatici 8.8.1 Ad hominem 147 8.8.2 Modello 148 8.8.3 Esempio 149 8.8.4 Illustrazione 150 8.8.5 Autorità 151 8.8.6 Sacrificio 151 153 9. Le fallacie 154 9.1 Della cogenza: fallacie deduttive 9.1.1 Fallacie di definizione 154 9.1.1.1 Definizione troppo ampia 154 9.1.1.2 Definizione troppo stretta 154 9.1.1.3 Definizione oscura 155 9.1.1.4 Definizione circolare (circulus in definiendo, o diallellon) 155 9.1.1.5 Definizione autocontraddittoria 155 9.1.1.6 Ambiguità (equivocazione) 156 9.1.2 Fallacie inferenziali 156 9.1.2.1 Affermazione del conseguente 156 9.1.2.2 Negazione dell'antecedente 156 9.1.2.3 Autocontraddittorietà 157 9.1.2.4 Autoconfutazione 157 9.1.3 Fallacie sillogistiche 157 161 9.2 Fallacie pseudo-deduttive 9.2.1 Falsa disgiunzione 161 9.2.2 Falso dilemma 162 9.2.3 Ad ignorantiam 162 9.2.4 Domanda composta (plurium interrogatio) 163 9.2.5 Questione complessa 163 9.2.6 Conclusione irrilevante (ignoratio elenchi) 163 9.2.7 Composizione 1 164 9.2.8 Composizione 2 164 9.2.9 Distinzione 1 165 9.2.10 Distinzione 2 165 9.2.11 Fallacia del giocatore 166 166 9.3 Dell'ideale: fallacie a priori 9.3.1 Petizione di principio (circulus in probando, diallellus) 166 9.3.2 Regresso all'infinito 167 9.3.3 Transitus de genere ad genus 167 9.3.4 Fallacia d'accidente 168 9.3.5 Falsa etimologia 168 9.3.6 Argumentum ad novitatem 168 9.3.7 Argumentum ad antiquitatem 169 9.3.8 Anfibolia 170 9.3.9 Accento 171 9.3.10 Linguaggio pregiudizievole 171 9.3.11 Espressione prevalente sul contenuto 172 9.3.12 Explanans ad hoc 172 9.3.13 Explanandum minato 173 9.3.14 Assenza di explanandum 173 9.3.15 Explanans non controllabile 174 174 9.4 Dell'esistente: fallacie a posteriori 9.4.1 Generalizzazione indebita 1 (a dicto secundum quid, ad dictum simpliciter) 174 9.4.2 Generalizzazione indebita 2 (enumeratio imperfecta, o ab uno descendet omne) 175 9.4.3 Esempio non rappresentativo 175 9.4.4 Fallacia d'accidente converso 176 9.4.5 Controevidenza 176 9.4.6 Esclusione 176 9.4.7 Correlazione causale (post hoc ergo propter hoc) 177 9.4.8 Effetti congiunti 177 9.4.9 Irrilevanza causale 178 9.4.10 Causa complessa 178 9.4.11 Causa errata (non causa pro causa) 178 9.4.12 Inversione causale 179 9.4.13 Appello alle conseguenze negative ("pendio sdrucciolevole") 179 180 9.5 Dell'ordine: fallacie strutturali 9.5.1 Falsa analogia 180 9.5.2 Metà campo 181 181 9.6 Della persona: fallacie pragmatiche 9.6.1 Argumentum ad baculum 182 9.6.2 Argumentum ad verecundiam 182 9.6.3 Argumentum ad misericordiam 183 9.6.4 Argumentum ad judicium 183 9.6.5 Argumentum ad populum 184 9.6.6 Argumentum ad personam 184 9.6.6.1 Ad personam 1 (abusivo) 184 9.6.6.2 Ad personam 2 (circostanziale) 184 9.6.6.3 Ad personam 3 (tu quoque) 185 9.6.7 Avvelenamento del pozzo 185 9.6.8 Colpa per associazione 185 9.6.9 Ridicolo 186 9.6.10 Uomo di paglia (falsa pista) 187 9.6.11 Due torti fanno una ragione 187 189 10. Come si argomenta e come si discute 190 10.1 Come si prepara un'argomentazione 191 10.2 Come costruire un'argomentazione 193 10.3 Come contro-argomentare 10.3.1 Si attacca lo status quaestionis 193 10.3.2 Si attacca la giustificazione argomentativa 193 195 10.4 Regole per discutere razionalmente 199 Bibliografia minima 201 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina IXIntroduzione alla seconda edizioneQuesto libro esce in una nuova edizione. Nato per una scommessa, una decina d'anni fa, ha incontrato una fortuna inattesa proprio perché, crediamo, esso riempiva un vuoto. Vuoto di strumenti, perché nel panorama italiano mancava, in fondo, un libro dedicato alla buona ragione, cioè alle regole e agli attrezzi del ragionare corretto. Ma anche vuoto di valore, relativamente alla discussione pubblica, al bisogno di confrontare le nostre idee per scoprire una qualche verità, non solo per affermare la propria. Pubblicato nel 2002 come raccolta di strumenti logici e argomentativi, si è rivelato un piccolo Organon – si parva licet componere magnis – un prontuario di facile consultazione che raccoglie regole logiche, strategie argomentative, errori nel ragionamento, esempi di buona discussione. Abbiamo scoperto, nel tempo, che il suo uso si è diffuso e il suo impiego allargato. Originariamente pensavamo a un destinatario interessato soprattutto alla filosofia. Ma via via abbiamo scoperto che si tratta di un libro per tutti: per chi si occupa di comunicazione, di politica, di pubblicità, di scuola, di formazione aziendale, o per chi coltiva il puro e semplice interesse al condurre bene la propria ragione. Il bisogno di conoscere le regole e gli strumenti del buon ragionare si è infatti intensificato, ai nostri giorni, per mille motivi. Siamo oggetto di una costante sollecitazione comunicativa, dovuta al moltiplicarsi dei media, all'enorme quantità di messaggi a cui possiamo attingere, al costante e martellante richiamo pubblicitario, alla sconcertante sequenza di tesi e di contro-tesi che caratterizzano il dibattito politico, in particolare in Italia. Per limitarci a quest'ultimo ambito, ci stiamo tragicamente abituando a discorsi che oggi affermano una cosa e domani la negano, con una disinvoltura a dir poco sconcertante. L'arte della smentita, più che della replica, sembra diventare una prassi comune, non più contrastata. Ma così stiamo perdendo il valore stesso della razionalità, il pregio della coerenza.
L'arte antica del dibattere da secoli, purtroppo, è stata espunta dal
quadro della nostra formazione di base. Nessuno insegna più a discutere e gli
sforzi per insegnare a pensare si scontrano, come dicevamo, con un'inciviltà
comunicativa che dà ragione alla forza (mediatica) e non forza alla ragione.
Tuttavia, al profondo, non crediamo che bastino le tecniche o gli strumenti per condurre bene il proprio pensiero. Diciamo che sono una condizione necessaria, ma non sufficiente per ragionare bene. Se è utile scoprire di aver commesso un errore, se è positivo saper cogliere un'incongruenza nella tesi che si sta criticando, se è importante sapere con quali argomenti è bene comunicare il proprio pensiero a un uditorio dato, tutto questo non basta. Serve anche altro. Serve anzitutto un'etica. Perché argomentare, infatti? Se il fine fosse solo comunicare, o mostrare di aver ragione o, peggio, persuadere a ogni costo, questo libro servirebbe a poco. Anzi, non servirebbe a nulla. Argomentare, infatti, non è semplicemente dare ragione al proprio pensiero. Argomentare significa mettersi in gioco, con altri, nella ricerca di qualcosa che nessuno possiede: la verità. Discutere infatti è il modo più civile, e alla lunga il più efficace, per comporre le differenze e far convivere le diversità. Nella discussione, infatti, anche con chi ha posizioni lontanissime dalle proprie, non emergono quasi mai una ragione e un torto. Ma sempre, se la discussione è onestamente condotta, quello che emerge è la chiarezza. Chiarezza maggiore sui concetti che utilizziamo e che spesso meritano una definizione più precisa e una maggiore comprensione. Chiarezza sui punti d'appoggio delle nostre convinzioni, spesso malfermi, buoni per noi e per chi già la pensa come noi, ma non per chi vede il mondo in un altro modo. E infine chiarezza sui punti di partenza, nostri e altrui. Il dissidio, infatti, si percepisce sempre alla foce. Quando ciò che riteniamo appare in palese contrasto con chi non la pensa come noi, spesso alla base non c'è un cattivo ragionamento, ma un diverso inizio. Nell'esercizio di un'argomentazione onestamente condotta, vengono quindi alla luce quei punti di partenza di cui non eravamo nemmeno consapevoli, convinti, come siamo spesso, che l'ovvietà di un principio non abbia bisogno di motivazione. E così, scoprendo che alle spalle di una divergenza di opinioni c'è una differenza di presupposti, quello che accade è una comune educazione a pensare la diversità, a immaginare un mondo che sgorga da fonti diverse, che si alimenta di differenti principi.
Per questo la logica e l'argomentazione sono stati e continuano a
essere uno strumento fondamentale della filosofia. Perché essa descrive e
interpreta il mondo con il solo strumento della ragione. Né
fede, né forza, né potere, né persuasione servono in filosofia: la sola
regola del gioco è mostrare la razionalità della propria visione del
mondo. In questa costante ricerca di ragioni emergono i principi, gli
universali, i presupposti, o almeno quello che chi argomenta ritiene
tali. E, di nuovo, solo in questa continua conversazione tra intelletti,
la filosofia porta alla luce i punti di partenza del nostro conoscere e
del nostro agire.
In ogni caso, se gli strumenti del ragionare non bastano, nemmeno un'etica è sufficiente per saper ragionare. Il ragionamento in atto richiede, anche, un'arte. Saper condurre bene i propri ragionamenti e saperli confrontare con gli altri richiede, infatti, una specifica fantasia, un'intelligenza del pensiero, un'arte del dialogare, appunto. E quest'arte non si insegna. Semmai si impara, ascoltando i grandi pensatori del passato non meno che gli intellettuali del presente. A questa scuola, fatta di apprendistato più che di istruzioni, siamo tutti sempre chiamati, probabilmente senza essere mai pronti.
In questa incertezza, infatti, si nutrono il pensiero quando indaga,
la ragione quando comprende, la discussione quando serve a deliberare. Come
diceva Perelman, la natura stessa dell'argomentazione
si oppone alla necessità e all'evidenza: non si delibera infatti dove la
soluzione è necessaria, né si argomenta contro l'evidenza. Per questo
le premesse e gli esiti della discussione razionale sono sempre incerti,
opinabili, insicuri. Eppure, paradossalmente, solo su questa incertezza si può
edificare qualcosa di solido. Su questa incertezza si appoggia la condivisione
di una verità cercata insieme e posseduta da
nessuno. Si appoggia la dolcezza, la civiltà di una ragione che sola
è capace di convincere senza costringere. Si appoggia la convivenza
pacifica, che non a caso ha inventato la democrazia e i parlamenti come il
migliore strumento per deliberare insieme quando gli interessi
sono divergenti.
La novità di questa edizione è nella struttùra e nell'approfondimento di alcuni aspetti. Rispetto alla prima edizione abbiamo esemplificato molti passaggi e aggiunto argomenti e fallacie. Nella prima parte del volume abbiamo cercato di definire che cos'è un ragionamento (cap. 1), per poi chiarire la differenza tra logica, dialettica e retorica (cap. 2). Da qui abbiamo preso le mosse per illustrare la logica aristotelico-medievale (cap. 3), la logica fregeana (cap. 4), e il loro confronto (cap. 5), per finire con uno sguardo alla logica modale (cap. 6) e alla teoria della definizione (cap. 7). La seconda parte del libro riguarda la teoria dell'argomentazione. Si inquadrano in una nuova tipologia presupposti, argomenti (cap. 8) e fallacie, cioè errori nel ragionamento (cap. 9), per concludere fornendo alcune regole per stendere un'argomentazione e condurre una buona discussione razionale (cap. 10). L'ultima parte del libro (cap. 11, Guida all'analisi, tra dialettica e retorica e cap. 12, Esempi di analisi dialettica e retorica), per una più agevole consultazione, è reperibile sul sito della casa editrice (www.brunomondadori.com) nella sezione dedicata a questo volume. Questi capitoli illustrano lo stretto intreccio che esiste tra logica, dialettica e retorica, attraverso delle analisi condotte su testi sia antichi che contemporanei. | << | < | > | >> |Pagina 11. Che cos'è un ragionamento?
L'esercizio della razionalità avviene attraverso la costruzione di
ragionamenti. Un ragionamento è infatti un insieme organizzato di enunciati e
gli enunciati sono composti da termini. Come si vede, ragionare equivale a
utilizzare il linguaggio, ma non ogni uso del linguaggio
è un ragionamento: la logica e la teoria dell'argomentazione sono le
discipline che si occupano, appunto, del ragionamento, cioè del linguaggio
organizzato per produrre ragionamenti corretti.
1.1 Segno e linguaggio Non è nostra intenzione entrare nella determinazione di che cosa si intenda con linguaggio. Per i nostri fini conta solamente una distinzione, utile a non commettere errori di tipo logico. Anzitutto va definito il segno, linguistico e non.
Per Ch. S. Peirce (1839-1914) il segno è «ciò che sta per qualcos'altro».
La storia della trattazione del segno ha fatto emergere tre fondamentali
componenti: il significante, cioè la realtà materiale (suono, linea,
immagine...) che usiamo per comunicare, il significato, nozione mentale che
permette il passaggio tra significante e ciò per cui il segno sta, e il
denotato, ciò per cui il segno sta. Lo schema del segno è quindi il seguente.
Si coglie subito il problema di un rapporto tra segni e realtà mediato dal significato. Possiamo trattare la correttezza nella disposizione di segni, come le parole di una frase, o porci il problema di come un termine o una frase rappresenti qualcosa, oppure di che effetti si vuole produrre quando li pronunciamo. Il linguaggio, infatti, può essere analizzato considerando tre questioni principali: – sintattica: con essa si valuta la correttezza degli enunciati dal punto di vista delle regole di costruzione che ogni lingua (linguaggio) utilizza; – semantica: con essa si considera il rapporto tra enunciati e ciò per cui essi stanno, e quindi ha a che fare con la verità dei primi; – pragmatica: con essa si intende il fatto che il linguaggio ha a che fare con la produzione di azioni ("Apri la porta, per piacere", "taci").
Noi ci concentreremo soprattutto sui primi due aspetti, mentre tralasceremo
il terzo. Con queste premesse possiamo chiarire cosa si intende con termine,
enunciato e ragionamento.
1.2 Il termine "Mario", "bianco", "corre" sono termini. In generale, nomi, verbi, avverbi e aggettivi dotati di senso sono considerati termini. Una frase, per esempio "Il tavolo è bianco", è composta di termini. Esistono però anche altri termini, come gli articoli, le preposizioni, le congiunzioni..., che non hanno un senso in sé, ma solo nel contesto della frase. "Per", "il", "e" significano qualcosa solo in rapporto ad altri termini: per esempio, "Mario e Giovanni sono fratelli". Tali termini sono utili per modificare il senso della frase, come quando si utilizza la negazione: "Mario non è italiano". Vi sono, quindi, due classi di termini: – termini categorematici (o semantici), ovvero quelli in sé dotati di senso; – termini sincategorematici (o sinsemantici), ovvero quelli non dotati di senso in sé, ma che acquistano senso collegandosi ("sin", dal gr. syn, "con") con quelli che ne sono dotati, secondo le regole della sintassi del linguaggio in uso. Finora abbiamo affermato che i termini sono o non sono dotati di senso proprio. È la stessa cosa chiederci se sono veri o falsi?
Qui appare una distinzione fondamentale, da tener sempre presente: la
distinzione fra termini ed enunciati.
1.3 L'enunciato Con "enunciato" intenderemo una forma linguistica caratterizzata grammaticalmente, almeno nei casi più elementari, da un soggetto, una copula e un predicato. Dallo studio della grammatica sappiamo che esistono diversi tipi di enunciati. Per i nostri scopi basterà ricordarne due: – enunciati dichiarativi, che descrivono una qualche situazione: "Mario è italiano", "Mario corre";' – enunciati ipotetici, che esprimono un'ipotesi intorno a una qualche situazione: "Se Mario corre, allora arriva prima", "Domani potrebbe nevicare". Fra questi, saranno gli enunciati dichiarativi che incontreremo con maggior frequenza: d'ora in poi, quando useremo semplicemente il termine "enunciato" intenderemo che l'enunciato è dichiarativo, se non ci saranno indicazioni diverse. Gli enunciati sono composti di termini. Qui appare quell'importante distinzione alla quale si accennava poc'anzi. I termini non possono essere veri o falsi: solo gli enunciati sono veri o falsi. Vediamo di capire perché. "Tavolo" è un termine dotato di senso dal momento che dicendo "tavolo" sappiamo che cosa vogliamo dire. Ma se diciamo solo "tavolo", abbiamo detto qualcosa che non è né vero né falso. Solo formulando un enunciato come "Il tavolo è bianco" affermiamo qualcosa che può essere vero o falso. Quando costruiamo una frase che afferma o nega certe relazioni tra termini, quindi quando usiamo enunciati dichiarativi, solo allora possiamo parlare di verità o falsità. Se il tavolo a cui ci riferiamo nell'enunciato è proprio quel tavolo bianco che ci sta davanti e diciamo "Il tavolo è bianco", allora questo è un enunciato vero; se invece diciamo "Il tavolo non è bianco" l'enunciato è falso. Avremo modo di tornare più volte su questo punto. Ciò che conta ora è ribadire che solo gli enunciati possono essere veri o falsi. Quanto detto serve anche a introdurre un'ulteriore distinzione, quella tra enunciato, proposizione e giudizio: – l'enunciato dichiarativo (pronuntiatum, sentence, Aussagen) è l'espressione linguistica, il prodotto linguistico, di cui è possibile parlare in termini di verità o di falsità ("Il tavolo è bianco", "The table is white", "Der Tisch ist weiss" sono tutti enunciati); – la proposizione (propositio, proposition, Satz) è ciò che è invariante rispetto alle varie espressioni linguistiche di un enunciato: equivale a ciò che "Il tavolo è bianco", "The table is white", "Der Tisch ist weiss" vogliono dire; – il giudizio è l'atto mentale del quale la proposizione è espressione. Si tratta di una distinzione non sempre tenuta nel debito conto, al punto che molti autori utilizzano tali termini in modo intercambiabile. Ribadirla però mostra che il nostro ragionare si struttura almeno a tre livelli: quello linguistico, in cui scegliamo un linguaggio determinato per affermare o negare qualcosa, quello logico, in cui strutturiamo proposizioni, indipendentemente dal linguaggio usato, e quello mentale, in cui produciamo giudizi. Come detto, d'ora in poi, per semplicità, quando utilizzeremo il termine 'enunciato' indicheremo sempre l'enunciato dichiarativo, quindi tale da poter essere detto vero o falso. Prima di abbandonare la riflessione specifica sugli enunciati è utile introdurre un'ultima classificazione, dal momento che tra i vari enunciati dichiarativi corrono alcune differenze. Possiamo infatti parlare di: – enunciati affermativi, che affermano una certa situazione; – enunciati negativi, che negano una certa situazione. Ognuno di questi enunciati può essere: – un enunciato singolare, che si riferisce a un soggetto ben preciso ("Mario è un bimbo biondo"); – un enunciato universale, che si riferisce a tutti coloro che sono contraddistinti da una certa caratteristica ("Tutti i conigli sono erbivori" o "Ogni coniglio è un roditore");
– un enunciato particolare (o esistenziale),
che si riferisce a una parte di coloro che sono contraddistinti dall'avere una
certa caratteristica ("Alcuni conigli sono bianchi", o "Esistono [ci sono]
conigli bianchi").
1.4 Il ragionamento Un ragionamento, o processo inferenziale, è una successione di enunciati. Propriamente si tratta di enunciati collegati fra loro da inferenze, cioè da nessi specifici. Gli enunciati, così collegati, si possono suddividere in tre tipi: a. gli enunciati da cui prende le mosse il ragionamento, ossia le premesse del ragionamento (ipotesi, assiomi, postulati, principi); b. l'enunciato con cui il ragionamento si conclude, ossia la conclusione del ragionamento; c. enunciati intermedi che permettono di passare da quelle premesse a quella conclusione. Quindi con ragionamento, o processo inferenziale, intenderemo quel procedimento per cui si passa da date premesse a una certa conclusione, attraverso certi enunciati intermedi. Da questo punto di vista, possiamo anche dire che il ragionamento è finalizzato a giustificare una certa tesi, espressa nella conclusione, a partire da certe premesse: ciò avviene per mezzo di una successione di inferenze o di passi inferenziali. Va poi sottolineato che non è la stessa cosa parlare di verità e di validità. Il termine "verità" si riferisce agli enunciati, il termine "validità" al processo inferenziale. Nel primo caso si analizzano i valori di verità di singoli enunciati; nel secondo si verifica la correttezza dell'inferenza che consente di passare da un enunciato a un altro. Solo gli enunciati sono veri, o falsi, mentre solo l'inferenza può essere valida o invalida, a seconda che segua correttamente o meno le regole che la contraddistinguono come un'inferenza di un certo tipo. In generale, possiamo avere 1) premesse vere e inferenze valide, ma possiamo anche avere 2) premesse false e inferenze valide, o 3) premesse vere e inferenze invalide, o 4) premesse false e inferenze invalide. Solo nel primo caso si parlerà di ragionamento corretto; negli altri tre casi il ragionamento è errato. Riassumendo possiamo affermare che: a. sono dotati o non dotati di senso i termini e ciò che con essi si compone, cioè gli enunciati; b. sono veri o falsi solo gli enunciati; c. sono valide o invalide le singole inferenze;
d. sono corretti o errati i ragionamenti.
1.5 I diversi tipi di ragionamento Abbiamo detto che il ragionamento consente di passare da alcune premesse a una conclusione tramite una successione d'inferenze; così facendo il ragionamento permette di giustificare razionalmente una tesi, espressa nella sua conclusione, a partire da alcune premesse, grazie a tale serie d'inferenze. Tuttavia non esiste solo un modo di svolgere le inferenze. In altri termini, vi sono vari tipi di ragionamento. Partiamo da alcuni esempi. Es. 1 A implica B, e A, quindi B. Es. 2a Se la ricchezza determina la felicità, e Carlo è ricco, allora Carlo è felice. Es. 2b Poiché in Italia si è introdotta la legge che permette il divorzio, aumenta il numero di matrimoni che falliscono. Es. 3 Se sono a Roma, allora sono nel Lazio. Sono nel Lazio, perciò sono a Roma. L'esempio 1 è tipicamente un ragionamento dimostrativo, o dimostrazione, ed è un ragionamento corretto perché applica in modo valido un'inferenza deduttiva codificata dalla logica, una delle tante che ci permettono di passare, in modo necessario, da premesse assunte come vere ("A implica B", e "A") a conclusioni vere (quindi "B"). Se un ragionamento muove da premesse vere, o presupposte vere, e l'inferenza è un'inferenza deduttiva valida e necessaria codificata dalla logica, il ragionamento è una dimostrazione. L'esempio 2a ci presenta un'altra varietà di ragionamento. Se si accettano le premesse – "La ricchezza rende, felici" e "Carlo è ricco" – si accetta necessariamente anche la conclusione: "Carlo è felice". Ma proprio questo è il punto: una delle premesse ("La ricchezza rende felici") non è vera, o – almeno – non lo è per tutti. Qualcuno può legittimamente sostenere che la ricchezza non renda felici. L'inferenza in questo ragionamento è valida e necessaria, essendo un'inferenza deduttiva codificata dalla logica, ma – ripetiamo – le premesse non sono vere, o presupposte vere: questo ragionamento non è una dimostrazione. Infatti, se fosse vero che la ricchezza rende felici, allora chiunque fosse ricco sarebbe anche felice. Ma questo non accade: esistono persone ricche che non sono felici (come pure persone felici ma non ricche). Insomma, l'inferenza è necessaria, ma le premesse non sono vere. Per questo parliamo di ragionamento argomentativo. Quando manca la verità della premessa, siamo di fronte a un ragionamento argomentativo, non a una dimostrazione. L'esempio 2b ci presenta un'altra varietà di ragionamento. La premessa è vera – infatti in Italia è in vigore, dal 1970, la legge sul divorzio – ma l'inferenza è discutibile: non è una delle inferenze necessarie codificate dalla logica che ci consentono di muovere da premesse vere per approdare a una conclusione vera. Non è detto, infatti, che una legge produca l'effetto che regolamenta. Un fallimento matrimoniale dipende da molte cause e non necessariamente dalla possibilità di divorziare legalmente. Quindi siamo ancora nel caso di un ragionamento argomentativo in cui la conclusione non è raggiunta necessariamente: ciò avviene non perché le premesse non siano vere, come nel caso precedente, ma perché l'inferenza che collega premesse e conclusione non ha carattere di necessità. Il caso dell'esempio 3 è invece quello di un ragionamento errato: chi ragiona così commette una fallacia, nella fattispecie la fallacia cosiddetta di "affermazione del conseguente". Qui si afferma che se A implica B, e si dà B, allora si dà anche A. Ciò è sbagliato, perché la verità di A non dipende solo dal darsi di alcuni casi in cui B è vero. Relativamente all'esempio, possiamo essere nel Lazio senza essere necessariamente a Roma: infatti, potremmo essere a Rieti o a Latina. Concludendo, possiamo affermare che esistono almeno tre tipi di ragionamento: – ragionamento dimostrativo (o dimostrazione), in cui a) le premesse sono assunte come vere, quindi non discutibili, b) le inferenze sono deduttive e rigidamente codificate dalla logica: perciò la conclusione dell'inferenza segue in modo necessario e non discutibile; – ragionamento argomentativo (o argomentazione), in cui le premesse sono opinabili e/o le inferenze sono non sempre validé e per questo la conclusione può essere sempre discutibile. – ragionamento fallace (o fallacia), in cui una o più inferenze sono invalide: perciò va rigettato anche se le premesse sono vere. Questi tre tipi di ragionamento, come si è visto, si caratterizzano tutti per il fatto che la conclusione è sviluppata dalle premesse per mezzo di un procedimento inferenziale. Ma ci sono anche delle differenze. Nel caso della dimostrazione si è soliti dire che il ragionamento avviene in un "ambiente chiuso", nel senso che le sue regole sono fissate strettamente dalla teoria della deduzione, quindi esso non è discutibile una volta accettato. La dimostrazione è il ragionamento tipico delle scienze, specie delle scienze formali come la matematica o la logica. Nel caso dell' argomentazione si dice che il ragionamento avviene in un "ambiente aperto". Le premesse non sono assunte come vere, né le regole inferenziali presentano carattere di necessità stringente: perciò il passaggio dalle premesse alla conclusione non è tale da comportare la necessità assoluta della conclusione, che allora si dice "giustificata argomentativamente" o "argomentata" (ma non dimostrata). Se la dimostrazione è il ragionamento tipico dell'ambito scientifico, l'argomentazione è il ragionamento tipico dell'ambito filosofico, ma anche di quello quotidiano. Il ricorso all'argomentazione è, infatti, enormemente più diffuso di quello della dimostrazione, perché per lo più ci troviamo in situazioni in cui la nostra razionalità si esercita su premesse discutibili, su passaggi controversi, su problemi complessi. Nella filosofia, nei tribunali e nella vita di tutti i giorni, ma anche nelle scienze (soprattutto nelle scienze sociali) si ricorre molto spesso a ragionamenti di tipo argomentativo, dei quali ci proponiamo di studiare le forme, le regole e gli errori. Le fallacie, infine, non sono propriamente dei ragionamenti, dal momento che si basano su inferenze invalide. Sono l'esito di errori nei quali talvolta è facile incorrere quando si ragiona, perciò è bene saperle riconoscere e vagliare.
In sintesi, ecco il quadro dei diversi tipi di ragionamento:
| << | < | > | >> |Pagina 998. Gli argomentiIl ragionamento argomentativo (o argomentazione) è un ragionamento situato. Vive infatti in un contesto, vale relativamente all'uditorio a cui si rivolge e per questo può costantemente essere messo in discussione. Se non si accettano i punti di partenza o se si discutono i passaggi inferenziali che lo costituiscono, la conclusione diventa incerta e viene sottoposta alla critica razionale. Può sembrare un modo insicuro di ragionare ma, nel campo dell'opinabile - il più comune e il più vasto degli ambiti entro cui sviluppiamo i nostri ragionamenti – l'argomentazione è la sola pratica razionale utilizzabile. L'argomentazione è quindi un'inferenza le cui premesse sono opinabili e/o le inferenze sono non sempre necessarie e per questo la conclusione può essere sempre discutibile.
La nostra analisi dell'argomentazione si articolerà in tre settori:
lo studio delle premesse, in particolare dei luoghi comuni, lo studio
delle inferenze argomentative e lo studio degli errori argomentativi,
cioè delle fallacie.
8.1 Tipologia dell'argomentare Se una lunghissima tradizione, che parte dalla Grecia antica e arriva fino a noi, ci ha consegnato una straordinaria competenza argomentativa, tuttavia non ne esiste ancora una codificazione precisa. Qui proponiamo di unire in un unico quadro, suddiviso in cinque classi (cogenza, ideale, esistente, ordine, persona) le premesse dell'argomentare (limitatamente ai luoghi comuni), gli argomenti e le fallacie. In particolare: 1. La cogenza: è l'ambito in cui vige l'effettiva o apparente necessità dell'inferenza. 2. L'ideale: è la sfera in cui si sottolineano i valori, le essenze, gli ideali. 3. L'esistente: è il campo dell'esperienza, della realtà concreta, della pratica vissuta. 4. L'ordine: è il dominio delle relazioni, dei rapporti, della simmetria, delle corrispondenze. 5. La persona: è la sfera dell'uomo e della sua azione. In ognuno di questi ambiti si raccolgono i principi di partenza del nostro ragionare argomentativo, il modo in cui esso si sviluppa (gli argomenti) e il modo in cui si perde (le fallacie). | << | < | > | >> |Pagina 1539. Le fallacieNel sostenere e discutere una tesi spesso si commettono degli errori: consapevolmente o inconsapevolmente si ricorre ad argomenti fallaci (o, semplicemente, a fallacie). Conoscere e saper criticare tali errori argomentativi fa parte della competenza dialettica, tanto più utile in quanto, come avviene oggi in ambito politico, giudiziario, pubblicitario ecc., la quantità di fallacie commesse tende a crescere, piuttosto che a diminuire. Le fallacie sono modi di ragionare errati, perché si parte da premesse false, o perché si adottano delle inferenze scorrette, o perché si producono a sostegno delle proprie tesi argomenti irrilevanti dal punto di vista razionale. Ciò non toglie ampiezza alla diffusione delle fallacie: non sempre si vuole far leva sulla razionalità dell'interlocutore. Talvolta è più semplice puntare sulle emozioni o è più efficace ricorrere all'inganno. In questo ambito propriamente retorico si consuma molta parte della comunicazione contemporanea. Analogamente a quanto si è fatto nel capitolo precedente, classificheremo le fallacie seguendo la tipologia già illustrata. Classificheremo, quindi, tali errori nei cinque schemi visti e parleremo di fallacie di definizione, deduttive e pseudo-deduttive (classe della cogenza), a priori (classe dell'ideale), a posteriori (classe dell'esistente), strutturali (classe dell'ordine) e pragmatiche (classe della persona). Anche qui proponiamo la terminologia più usata, facendo riferimento, per quanto possibile, a quella originaria medievale. Di ogni fallacia daremo la descrizione, proporremo almeno un esempio e illustreremo i passi necessari per evidenziarla. | << | < | > | >> |Pagina 1819.6 Della persona: fallacie pragmatiche
Le fallacie pragmatiche nascono per lo più dalla forzatura che si
opera nel collegare l'argomento proposto con il soggetto che lo sostiene, o lo
confuta. In altri termini si eccede nel collegare detto e
atto, eludendo la giustificazione razionale che dovrebbe essere data,
o impedendo che essa si manifesti appieno. In effetti più che di argomenti
errati, si tratta di argomenti razionalmente irrilevanti, poiché
non fanno leva sulla ragione, per quanto distorta in una fallacia, ma
ricorrono alla forza, alla pietà, all'insinuazione, all'opinione dominante ecc.
9.6.1 Argumentum ad baculum L'argomento "del bastone" (baculum) sposta sulla forza fisica, sociale, politica o economica ciò che dovrebbe giustificarsi in base alla ragione. ESEMPIO – La teoria tolemaica è la migliore: ti conviene sostenerla, altrimenti corri il rischio di passare per eretico e di fare la fine di Galilei.
La minaccia è del tutto irrilevante rispetto alla verità o falsità
dell'enunciato che si vuole sostenere, ma può essere estremamente "persuasiva".
9.6.2 Argumentum ad verecundiam Quest'argomento è solo un po' meno persuasivo del precedente ("verecundia" oltre che "vergogna", significa, come in questo caso, "timore reverenziale"). Fare ricorso a un parere autorevole a sostegno di una tesi può anche essere corretto (vedi l'argomento pragmatico di autorità, § 8.85). Non lo è, invece, se l'autorità invocata non è riconosciuta da entrambe le parti che sostengono la disputa, o se l'autorevolezza riguarda un ambito diverso da quello toccato dalla discussione; o se chi è "autorevole" non era nel pieno possesso delle sue facoltà mentali nel momento in cui si è espresso su un certo tema o, semplicemente, scherzava; o, ancora, se il riferimento autorevole non è identificato correttamente (siamo nel caso della diceria). Comunque, mai un enunciato è vero o falso solo perché qualcuno (l'autorità) afferma che è vero o falso, né perché qualcuno si rifà a qualcun altro (l'autorità) che afferma che è vero o falso. ESEMPIO 1 – È vero: questo, infatti, è quel che sostiene Aristotele in proposito. ESEMPIO 2 – La nuova legge sugli stranieri sarà presto ritirata: lo afferma una fonte governativa. ESEMPIO 3 — L'altro giorno un mio amico ha sentito dire che il politico X è un ladro.
Osserviamo che nel primo esempio si fa ricorso all'
argumentum ad verecundiam
propriamente detto; nel secondo e terzo esempio, poiché la fonte autorevole non
è espressa, la strategia argomentativa è quella della diceria.
9.6.3 Argumentum ad misericordiam La verità di un enunciato è accettata sull'onda di uno stato di partecipazione emotiva favorevole all'enunciato o a una sua parte. ESEMPIO – Spero che accetterai il nostro progetto: tanto più che sono tre mesi che vi lavoriamo come pazzi, pur di riuscire a presentarlo in tempo.
Chi merita compassione non afferma necessariamente il vero e non
ha necessariamente un comportamento irreprensibile.
9.6.4 Argumentum ad judicium Si argomenta intorno alla verità o falsità di un enunciato facendo appello al fatto che esso è giudicato tale da un gruppo estremamente vasto di persone, o da settori particolarmente influenti della popolazione. ESEMPIO — I sondaggi suggeriscono che il partito X vincerà le elezioni, quindi faresti meglio a votarlo.
La verità di un enunciato non dipende da chi, e da quanti, lo giudicano
veritiero. È come affermare che "il bene non diventa male se
nessuno lo fa, né il male diventa bene se lo fanno tutti".
9.6.5 Argumentum ad populum Si argomenta intorno alla verità o falsità di un enunciato facendo appello al sentimento popolare. ESEMPIO – Siamo tutti italiani, quindi dobbiamo tifare per la nazionale.
Il valore emotivo in positivo (o in negativo) di un evento, oggetto o
persona non implica un analogo valore di verità (in positivo o in negativo, cioè
vero o falso) per gli enunciati che vi si riferiscono. Anche
qui il numero o la popolarità di una posizione non la rendono, solo
per questo, accettabile né, tantomeno, vera.
9.6.6 Argumentum ad personam
Invece di valutare l'argomento, si critica la persona che l'espone. Ciò
può avvenire in modi diversi.
9.6.6.1 Ad personam 1 (abusivo) – Invece di ribattere un'asserzione, l'argomento attacca la persona che l'ha formulata.
ESEMPIO – Puoi anche giustificare razionalmente che Dio non esiste:
ma io so bene che questo è semplicemente un tuo chiodo fisso.
9.6.6.2 Ad personam 2 (circostanziale) – Invece di attaccare un'affermazione, ci si sofferma sul rapporto tra chi la enuncia e le circostanze in cui egli si trova. ESEMPIO 1 – Il ministro delle Finanze sostiene che questo provvedimento di legge si traduce in un vantaggio per tutti i cittadini: lo dice lui che non è un professionista e non ha niente da perdere.
ESEMPIO 2 – Gli argomenti del sig. Rossi non hanno valore, perché si
basano su dati elaborati dalla sua stessa azienda.
9.6.6.3 Ad personam 3 (tu quoque) – Questa forma di attacco al proponente sottolinea come egli stesso non metta in pratica ciò che sostiene. ESEMPIO – Così io non dovrei bere! E lo dici tu, che mai in vita tua sei stato sobrio più di un giorno.
In tutti questi casi si commette uno degli errori più diffusi
nell'argomentare: anziché criticare la tesi, si attacca chi la sostiene.
9.6.7 Avvelenamento del pozzo L'avvelenamento del pozzo è una variante della fallacia ad personam. È un ragionamento in cui si tenta di sminuire quello che una persona sta per dire, gettando discredito su di essa. Così facendo "si avvelena la sorgente prima che possa dare acqua". ESEMPIO 1 — Non starlo a sentire, è un poco di buono. ESEMPIO 2 – Prima di dare la parola al mio avversario, vi prego di ricordare che quelli che si oppongono ai miei progetti non hanno a cuore il bene del paese.
Si critica la fallacia mostrando che utilizzandola si mira semplicemente al
discredito, presso l'uditorio, di quanto l'interlocutore sta
per dire, indipendentemente dal valore di ciò che verrà detto.
9.6.8 Colpa per associazione Anche questa fallacia è una variante della ad personam. La colpa per associazione, nota anche come cattiva compagnia, viene commessa quando una persona rifiuta un'affermazione semplicemente perché accettata da persone giudicate negativamente. Anche in questo caso si afferma la falsità di una tesi sulla sola base delle caratteristiche (negative) di chi la sostiene. ESEMPIO – Critichi lo scarso contrasto dell'immigrazione clandestina, ma così facendo ti trovi a pensarla come i razzisti che vorrebbero sparare sui barconi in avvicinamento alle nostre coste.
Si può condividere una tesi anche con chi viene giudicato negativamente. Il
fatto che qualcuno non voglia essere associato a persone
indesiderate non giustifica il rifiuto di una tesi collegabile a tali persone:
prova ne sia che la maggior parte delle persone peggiori accettano che la terra
giri attorno al sole, ma questa non è una ragione per diventare tolemaici.
9.6.9 Ridicolo Anche il ridicolo è uno strumento persuasivo, più che un'argomentazione: mostra l'effetto comico che nasce, talvolta, dall'incoerenza tra detti e fatti. In generale, usato contro l'interlocutore, l'argomento del ridicolo ne indebolisce la tesi. Quest'argomento costituisce in ambito dialettico, in qualche modo, l'analogo del procedimento inferenziale di riduzione all'assurdo, utilizzato nell'ambito della logica classica: ovviamente, non ha il carattere di necessità di una dimostrazione. ESEMPIO — Hai ragione. Nonostante tanti secoli di guerre, è sbagliato concludere che gli uomini siano aggressivi: basta che non abbiano un'arma per le mani.
La palese contraddizione del ragionamento (l'aggressività non esiste,
purché l'uomo sia inerme) produce un effetto di ridicolo, che può
essere usato per argomentare la tesi (l'aggressività esiste).
9.6.10 Uomo di paglia (falsa pista) Si attacca un soggetto diverso, o più debole, di quello che si dovrebbe attaccare, allo scopo di fuorviare l'attenzione dal problema originale. ESEMPIO – Dobbiamo ridurre il debito pubblico e quindi tagliare su alcuni servizi pubblici. Siamo infatti in un paese in cui l'evasione fiscale è una piaga che va curata con tutti i mezzi.
Per argomentare contro questa fallacia si mostra che il tema originario
della discussione è stato travisato, nel senso che è stato affrontato
un soggetto diverso, più debole o comunque più facilmente sostenibile di quanto
affermato nella tesi principale.
9.6.11 Due torti fanno una ragione L'errore sta nel fatto che qualcuno giustifica un'azione contro qualcun altro sostenendo che questi farebbe la stessa cosa al proprio posto. ESEMPIO – All'uscita dal negozio scopro che il commesso si è sbagliato dandomi 20 euro di resto anziché 10. Me li tengo, perché se lui si fosse accorto che avevo sbagliato io a dargli 10 euro in più, non me li avrebbe restituiti! Si contrasta questa fallacia mostrando che due torti non fanno una ragione, semmai raddoppiano l'errore. Un'azione è sbagliata anche se viene commessa ai danni di qualcuno che non riteniamo onesto o meritevole di rispetto. La fallacia può essere intesa come una cattiva applicazione dell'argomento di compensazione: cattiva perché trascura la negatività della ragione per cui si cerca unilateralmente di compensare un torto non subito. | << | < | > | >> |Pagina 18910. Come si argomenta e come si discuteArrivati a questo punto, sappiamo quali sono gli strumenti necessari per argomentare, cioè per stendere la giustificazione razionale di una tesi, o per discutere, cioè per scambiare ragionamenti a sostegno di una tesi o, al contrario, per contrastarla. Sappiamo anche quali errori vanno evitati e come criticarli. Ma come si costruisce un'argomentazione? Come la si utilizza all'interno di una discussione razionale? Se è facile dire quali sono i ragionamenti corretti e quali errati, molto più difficile è saperli disporre per costruire una tesi ben argomentata o per allestire una critica ben condotta. Serve conoscere il tema in discussione, il contesto culturale a cui ci si rivolge, gli assunti condivisi con l'interlocutore o con il proprio uditorio. Serve anche una certa sapienza del discutere, una capacità creativa che spinge a focalizzare il proprio ragionamento utilizzando certi percorsi piuttosto che altri. Serve cioè una sensibilità argomentativa, che coglie gli errori e li porta alla luce, che spinge l'interlocutore a chiarire o a correggere le proprie posizioni, che individua la linea migliore per sostenere la propria tesi, se è il caso fino a correggerla. E infine serve un'etica, fatta di regole precise e di dirittura morale sia nell'argomentare che nel discutere. Non ogni mossa è corretta, non ogni strategia è innocente. In questo senso, alla base di tutto, per una buona discussione razionale serve un presupposto, non sempre facile da assumere: quello di non credere di possedere la verità. La discussione razionale, infatti, è ricerca in comune di una conclusione condivisa. Senza questa premessa si scade in monologhi fra dogmatici sordi alle ragione dell'altro. Si scade nel semplice tentativo di prevalere sull'avversario. Non esistono quindi regole precise per argomentare e per discutere, ma una serie di condizioni che qui cercheremo di riassumere ed esemplificare. A tali condizioni bisognerebbe attenersi ogni volta che si vuole argomentare in modo valido una tesi, sia in presenza che in assenza di un interlocutore. Queste condizioni possono essere raggruppate in relazione alle quattro fasi della discussione razionale: 1. studio e presentazione dello status quaestionis, cioè di quanto è conosciuto sulla tesi in questione; 2. giustificazione argomentativa vera e propria, corrispondente all'impiego di uno o più argomenti; 3. contro-argomentazione, cioè confronto con una tesi diversa dalla propria, al fine di criticarla, ma anche di migliorare e di correggere la propria posizione;
4. dibattito, nel caso in cui la discussione sia pubblica e preveda
l'interazione dialogica con uno o più interlocutori.
10.1 Come si prepara un'argomentazione L'argomentazione si prepara delineando lo status quaestionis. Con questo termine si intende il quadro generale del problema affrontato. Ambito, termini, dati, ricerche sono la materia prima della discussione, accanto al modo di presentarli per costruire il sostegno razionale di una tesi. Non si discute per conoscere, ma si conosce per discutere, nel senso che una discussione in assenza di un'accettabile conoscenza dell'argomento diventa superficiale e spesso, proprio per difetto di informazione, incorre in fallacie. La presentazione dello status quaestionis va così articolata: 1. enunciazione concisa del problema da affrontare; 2. delucidazione del significato di alcuni termini, laddove vi sia ambiguità; 3. presentazione della rilevanza del problema e delle possibili conseguenze teorico-pratiche della sua soluzione; 4. enunciazione delle soluzioni alternative e loro critica; 5. enunciazione della soluzione che s'intende sostenere. Si notino due punti. 1. La presentazione dello status quaestionis non esaurisce affatto l'argomentazione, ma la prepara. Una volta finita tale presentazione, infatti, comincia il vero e proprio momento argomentativo in quanto solo ora si avanzano quegli argomenti e quelle ragioni, che si pensa possano giustificare e sostenere la soluzione che si era presentata.
2. La presentazione della propria soluzione al problema in questione
con l'enunciazione della tesi che si intende sostenere è solo l'ultimo
passo dello
status quaestionis.
Questo significa che prima di manifestare la propria opinione conviene
riflettere intorno alla natura del problema, ai possibili equivoci derivanti da
un uso improprio dei termini, all'esistenza di proposte alternative alla
propria.
10.2 Come costruire un'argomentazione La tesi presentata va giustificata attraverso un argomento o una combinazione di argomenti: quindi, rispettivamente, con un ragionamento semplice o un ragionamento complesso. Si possono usare argomenti diversi a seconda della situazione, del contesto, del tipo di interlocutore, del tipo di tesi che si vuole sostenere. Va ricordato che la scelta degli argomenti a sostegno della propria tesi rappresenta il passaggio più delicato. Perciò, anche se non è possibile prescrivere quali argomenti usare, è bene conoscere effetti e limiti dei diversi tipi di argomenti utilizzati. 1. Gli argomenti deduttivi e pseudo-deduttivi mirano a un tipo di argomentazione basata sulla validità dei principi logici, dei connettivi, dei rapporti di inclusione parte-tutto ecc. Sono argomenti costruiti sul valore della logica, intesa come forma di ragionamento non bisognosa di ulteriore giustificazione. Possono essere usati in ogni circostanza, posto che il valore della necessità è un "luogo" riconosciuto da ogni interlocutore. 2. Gli argomenti a priori si basano su una struttura ontologica che si ritiene conosciuta indipendentemente dall'esperienza. Questi argomenti sono utilizzati dal discorso metafisico e in generale filosofico e permettono di ragionare per essenze, valori, ideali ritenuti validi universalmente. Tuttavia, sono spesso oggetto di critica proprio per la loro pretesa universalizzante. Non sempre, infatti, è condiviso l' a priori da cui prende le mosse un argomento di questo tipo. La cautela è d'obbligo, poiché diventa controproducente, cioè dialetticamente inefficace, pensare condivisi dall'interlocutore degli elementi a priori che non lo sono. 3. Gli argomenti a posteriori privilegiano l'esperienza, e quindi l'osservazione, i dati disponibili, le serie statistiche, il passato relativo a casi simili ecc. Sono il campo di applicazione del pensiero empirico e rappresentano un'argomentazione usata per lo più all'interno di un discorso che si vuole fondato su osservazioni ed esperimenti. Ma, come paradigmaticamente esemplificato dal caso degli argomenti induttivi, quelli a posteriori sono argomenti probabili e si prestano a smentite, a precisazioni, a distinguo. Tuttavia, nel nostro contesto culturale, sono particolarmente efficaci. 4. Gli argomenti strutturali mostrano l'importanza di alcune relazioni che possono essere trasferite da un ambito a un altro, per certi versi assimilabile al primo. L'argomento strutturale ricorre alla simmetria, all'individuazione del simile, alla proiezione del già noto, ove si tratti di relazioni esplicative nel rapporto tra elementi. È un argomento utile per estendere ad altri ambiti il valore di certe conclusioni ed è certamente produttivo di nuove prospettive. Si presta, tuttavia, al rischio della falsa analogia: proprio la diversità degli ambiti è indice di debolezza. È sempre facile mostrare che la struttura che si vuole trasferire appartiene a domini diversi, e quando ciò avviene si indebolisce fortemente l'efficacia dell'argomento strutturale.
5. Gli argomenti pragmatici, infine, sono da utilizzare soprattutto in
riferimento al rapporto tra dire e fare. Basati sull'uomo, nel senso
di testimone, sull'interlocutore, sul suo essere persona dotata di
credibilità, essi ruotano attorno all'azione umana come fondamento dell'autorità
e della testimonianza. Tuttavia, è sottile il confine
che separa un argomento pragmatico da una fallacia pragmatica:
nell'usare un argomento pragmatico si rischia spesso di violare la
regola d'oro della discussione razionale: "Si critica la tesi, non
l'avversario".
10.3 Come contro-argomentare La contro-argomentazione è la fase di contrasto razionale di una tesi non condivisa. Il primo passaggio di una buona contro-argomentazione è la riformulazione della tesi che s'intende avversare, in modo da mostrare che è stata ben compresa. | << | < | > | >> |Pagina 19510.4 Regole per discutere razionalmenteAvendo considerato le regole per stendere una buona argomentazione e i passi per criticare una tesi, vediamo più nel dettaglio quali sono i modi di conduzione della discussione razionale. Una delle più accreditate formulazioni è stata messa a punto da due studiosi della scuola di Amsterdam, Frans Eemeren e Rob Grootendorst. Il loro approccio, definito pragma-dialettico, consiste nel concepire l'argomentazione come il tentativo di risolvere le divergenze d'opinione mediante una discussione critica tra due interlocutori; questo scambio è regolamentato e metodico e i due interlocutori interagiscono tra di loro con mosse che si configurano come atti linguistici. Infine, a ogni violazione delle regole corrispondono una o più fallacie.
Partendo da questa impostazione, pur con alcune varianti, proponiamo una
sorta di decalogo della discussione razionale. Le regole che si propongono
riprendono, integrano e rielaborano quanto detto finora, per produrre un sistema
di norme da seguire quando, come accade quasi sempre, la ricerca della verità è
impresa collettiva, fatta di discussione ma anche di ascolto, di confronto ma
anche di dialogo.
Preliminari alla discussione 1. Anche se ogni tesi può essere argomentata, non ogni tesi può essere argomentata in qualunque contesto: ogni argomentazione deve avere una sua sede opportuna. Per esempio, non serve argomentare contro una legge del codice della strada con un vigile che deve applicarla; la legge, eventualmente, va contro-argomentata in sede opportuna.
2. Bisogna scegliere per ogni tesi da sostenere o da avversare
un'argomentazione che abbia il peso argomentativo giusto nel contesto in cui
viene proposta. Per esempio, non ha senso argomentare ricorrendo al valore
supremo dell'umanità quando ci si trova davanti a un gruppo di religiosi che
attribuiscono solo a Dio un valore supremo.
Apertura della discussione 3. Il contributo alla discussione sia, allo stadio in cui questa avviene, tale quale è richiesto dallo scopo, o orientamento, accettato dello scambio linguistico in cui si è impegnati (principio di cooperazione).
4. Ognuna delle parti deve interpretare le espressioni dell'altra nel
modo più accurato e pertinente possibile (principio di carità interpretativa).
Discussione 5. Le parti non devono utilizzare formulazioni non sufficientemente chiare, o così oscure da generare confusione; se richiesta, la definizione dei termini e delle premesse deve essere esplicitata e sottoposta alla discussione critica. 6. Ognuna delle parti non deve ostacolare l'espressione o la critica di punti di vista. 7. La parte che ha esposto una tesi è obbligata a difenderla se l'altra parte lo richiede. 8. La critica deve vertere sulla tesi esposta dall'altra parte, non su chi la sostiene. 9. Una parte può difendere la propria tesi solo adducendo un'argomentazione a essa relativa. 10. Una parte deve utilizzare solo argomenti logicamente validi, o tali da essere resi validi mediante l'esplicitazione di una o più premesse.
11. Schemi argomentativi accettati e correttamente applicati non
possono essere disattesi.
Chiusura della discussione
12. Se un punto di vista non è stato difeso in modo conclusivo, allora
chi lo propone deve ritirarlo. Se un punto di vista è stato difeso
in modo conclusivo, allora chi vi si oppone non deve più metterlo in dubbio.
In conclusione... Si può insegnare a discutere? È una domanda a cui non si può rispondere facilmente, perché argomentare e discutere non sono una tecnica, ma un'arte che, come tutte le arti, abbisogna di una tecnica. Nella discussione razionale servono la conoscenza degli strumenti logici e argomentativi, delle fallacie, del retroterra culturale dell'uditorio o del proprio interlocutore, una buona competenza linguistica e, all'occorrenza, anche la capacità retorica di presentare bene i propri argomenti. Tutto questo si impara, eppure non basta. Come ogni arte, prima se ne impara la tecnica di base e poi la si affina attraverso l'applicazione paziente, la pratica costante, l'umiltà di fronte ai propri errori, l'osservazione di chi è più esperto. E, infine, serve quel tanto di inventiva e fantasia che nessuno insegna e che, pure, è presente in ognuno.
Ma, soprattutto, una buona discussione sarà il frutto di un atteggiamento
mentale e morale: quello di chi sa che, in un mondo così
variopinto e complesso, la verità non è mai il possesso di qualcuno,
ma il frutto provvisorio e parziale di una ricerca in comune.
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