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| << | < | > | >> |Indice1 Premessa 3 Prefazione 4 Parte prima - Arrivare a Lisbona 4 Introduzione 11 Istantanee letterarie 19 Breve storia di Lisbona 21 L'epoca delle esplorazioni 23 Il Grande Terremoto 25 Invasione e dittatura 27 Nazione Europea 28 Rio Tejo 29 Prime impressioni 32 Punto di partenza 33 Via di scampo 35 Terra Firma 36 Mar de palha 39 Cacilhas 41 Parte seconda - Il Centro 41 Baixa 42 Terreiro do Paço 48 Café Martinho da Arcada 49 La griglia della Baixa 52 Rua Augusta 55 Rua dos Douradores 56 Rua da Madalena 57 Gli albori del cinema 58 Mercado da Ribeira 61 Nella città bianca 64 Il British Bar 65 I volti di Pessoa 68 Rua do Alecrim 69 Il Texas Bar 71 Alto de Santa Catarina 73 Le banchine del porto 74 Elevadores 75 Suicidi in art déco 77 Chiado e Bairro Alto 77 Pessoa 84 Café A Brasileira 87 António Ribeiro, Camòes e Eça de Queirós 88 Chiado 92 Bairro Alto 96 Considerazioni estere 98 Mario de Sà-Carneiro 99 Fado e cibo 102 Amália Rodrigues 105 Spionaggio e intrigo internazionale 106 Delizie culinarie 110 Il tram 28 110 Cemitério dos Prazeres 112 Il tram 114 Estrela 114 Dal Bairro Alto alla Baixa 116 Sé Catedral 118 Intorno al Castelo de São Jorge 120 Feira da Ladra 122 Graça, e oltre 123 Castelo de São Jorge 124 Oltre le mura 126 Palácio Belmonte 127 Pessoa e Crowley 129 Intorno al castello 131 Alfama 131 Il miradouro e la luce 134 Il dedalo di viuzze buie 137 Wenders e i Madredeus 141 Oliveira e il cinema portoghese 144 Casa dos Bicos 145 Il Lux 146 Parte terza - L'Est 146 Azulejos 146 Museu Nacional do Azulejo 149 Cemitério do Alto de São Joào 149 Expo 98 151 Estação do Oriente 152 Parque das Nações 154 Parte quarta - Il Nord 154 Rossio 157 Immagini di povertà 158 Sintra 160 Palácio Nacional de Sintra 161 Sistemazione di lusso 163 Palácio Nacional da Pena 166 Monserrate 168 Praia Grande 171 Avenida da Liberdade 172 Illusioni 174 La morna e Cesaria Evora 176 Il jazz e Carlos Paredes 178 Parque Mayer 179 Casa do Alentejo 181 La metropolitana 188 Jardim Botânico 188 Miradouro de São Pedro de Alcântara 189 Praça do Príncipe Real 191 Dentro il giardino 196 Gulbenkian 199 Paula Rego 201 Maria Helena Vieira da Silva 203 Amoreiras 205 Parte quinta - L'Ovest 205 Janelas Verdes 205 Museu Nacional de Arte Antiga 207 Le Tentazioni di sant'Antonio 212 Rua das Janelas Verdes 216 Doca de Santo Amaro 218 Alcântara Mar 219 Belém 219 Torre de Belém 221 Mosteiro dos Jerónimos 223 Padrão dos Descobrimentos e Centro Cultural de Belém 224 Pastéis de Belém 224 Ponte 25 de Abril 227 Fonti 233 Indice dei nomi 241 Indice dei luoghi |
| << | < | > | >> |Pagina 4Parte prima
Arrivare a Lisbona
Il pomeriggio passò e cadde l'oscurità. Lisbona è una città tranquilla su
un largo fiume dalla fama leggendaria.
José Saramago,
Introduzione Il quadro che ci formiamo di Lisbona nelle nostre menti per lo più riprende un numero ristretto di immagini che vediamo nelle guide turistiche e nei film. Sono le immagini di celebri monumenti e scorci urbani, come la Torre de Belém, il Mosteiro dos Jerónimos o le ripide vie del vecchio quartiere dell'Alfama, ma anche del baccalà e delle sardine cotte alla griglia, e dei tram che sferragliano su e giù per i colli. Immagini dei colli di Lisbona. Dicono che Lisbona sia costruita su sette colli. Fra le immagini del nostro quadro mentale non mancano quelle panoramiche, dall'alto di questi colli, e neppure quelle del Tago, il vasto fiume che si stende pigro e ci invita a sognare, anzi a sognarlo, pensando ai tanti viaggi iniziati o terminati su questa distesa di acque. Sogni che non si possono comprare e che resteranno per sempre sogni. Lisbona è tutto questo e molto di più. Non le manca certo la materia della quale sono fatti i sospiri e che suscita la nostalgia. Come se non ve ne fosse abbastanza dalle città donde noi proveniamo. Chi si spinge fino a questa città sull'orlo dell'Europa proviene generalmente da altre parti di questo stesso continente. I visitatori di Lisbona sono di solito tedeschi, olandesi, francesi, britannici e italiani. Distanziati, troviamo statunitensi e giapponesi. Tutti questi visitano la città per turismo. Altri, provenienti dall'Africa e dal Sudamerica, dalle colonie d'un tempo, vi giungono per restare e costruirsi una nuova vita. Speriamo anche per dare forma a una nuova Lisbona. Perché i viaggiatori e gli stranieri arrivano a Lisbona? E perché vi arrivarono in passato? Un tempo Lisbona fu il punto più remoto d'Europa, il luogo dal quale partire per esplorare la vastità del mondo o per farvi perdere le proprie tracce. Poi alcuni vi fecero tappa nel viaggio verso l'America o il Nordafrica. Ma oggi non più. L'aviazione ha reso possibili altre rotte e la ragione — o la scusa — per visitare Lisbona non può più essere quella. Oggi si arriva qui obbedendo a un impulso romantico, con l'intento di sostare fra le vestigia del passato. Lisbona non è più una città di passaggio: è una città di arrivo. Non le mancano i monumenti e le attrattive architettoniche. Conta diversi luoghi di interesse storico, tuttavia non così numerosi da sopraffare il visitatore. Lisbona è bella, costruita com'è sui colli e negli avvallamenti, con strade ripide e vedute suggestive. È bella, e lo sa. Lisbona si ammira e si fa ammirare. Induce a guardarla, a percorrerla, a visitarla tornando sui propri passi. È come una casa di specchi, nei quali le immagini si richiamano e si rinnovano in un gioco che può far perdere la testa. Le case paiono abbarbicate ai ripidi costoni dei colli, formando una schiera di muri bianchi e grigi, ma anche tinteggiati in giallo, verde e rosa, con tetti in tegole rosse. Se ne ricava l'impressione di un luogo mediterraneo, nonostante la vicinanza dell'Atlantico dal clima aspro e variabile, foriero di nebbie e piogge. Ma Lisbona è un po' all'interno ed è riparata quanto basta per permettere alle palme di crescervi. Sette colli: come Roma, o Costantinopoli... A contarli, si arriverebbe a ventidue, ma si annullerebbe il mito. Il Tago, a Lisbona, ha un bacino così ampio da diventare più che un fiume: è uno scenario, un mare del quale si scorge l'altra riva, una cornice nella quale collocare le imbarcazioni che lo solcano. La città è tutta affacciata sull'acqua, su un fronte che si estende fin dove l'immaginazione riesce a spingersi, lontano. Come quando da bambini sognavamo di fuggire con la compagnia del circo. O come nei sogni di Dory Previn che accolgono l'esotico formato da mythical kings and iguanas. Una città che sulla carta pare accessibile e vicina, mentre a percorrerla si rivela ripida e precipite. Lisbona è diventata negli ultimi tempi un work-in-progress, un poema, un romanzo perennemente riscritto per la prossima generazione. La città cerca in ogni modo di ringiovanirsi, tuttavia non è disposta a rinunciare alla sua fragile aura di mistero, di eccitazione e di tumultuoso godimento. La sua corsa verso il nuovo fa preoccupare alcuni dei suoi abitanti, mentre altri vorrebbero premere ancora di più sull'acceleratore. C'è costernazione per i molti edifici antichi che vengono degradati a ospitare boutiques, bar, discoteche e ristoranti, ma c'è compiacimento per le molte case che sono state restaurate e non demolite per fare posto a condomini di lusso. Per alcuni siamo alla fine di un'epoca, ancora riconoscibile prima che il moderno si affermi troppo. Per altri invece i tempi moderni salveranno Lisbona dalla sua decadenza. Dipende dai punti di vista, che abbondano in città, nella metafora e nella realtà. Persino la saudade, quella nostalgia di un passato che il futuro non potrà mai restituire, quel sentimento che segna nel profondo l'anima portoghese, viene vista da alcuni come un tesoro da preservare, mentre altri vorrebbero liberarsene insieme a tutto il resto della tradizione, per diventare europei in tutto, per avere di più, per contare fra i protagonisti del mondo e non essere più costretti a emigrare per guadagnarsi un futuro migliore. Il mio attaccamento a Lisbona risale ad alcuni anni or sono, poco dopo i rivolgimenti politici del 1974, quando lessi Le Portugal d'Otelo: la révolution dans le labyrinthe, il libro curato da Jean-Perre Faye per la Fondazione Bertrand Russell. L'attaccamento venne poi rafforzato da interessi cinematografici, quando Alain Tanner, Wim Wenders, Raúl Ruiz, Eduardo de Gregorio e altri vi giunsero per ambientarvi i loro film. Seguì la seduzione del fado, resa più intensa dalla conoscenza di alcuni aspetti della vita letteraria cittadina, attraverso Fernando Pessoa, José Saramago e altri. La visita non fece altro che ravvivare un interesse già assai vivace e profondo. Lisbona è stata, per tradizione, luogo di partenza verso altri luoghi. Nel passato si trovano poche espressioni di apprezzamento per la città come luogo di permanenza. Pessoa mi colpì per la sua determinazione a radicarsi nella sua città natale. Lisbona non è una grande città. Anzi è la più piccola delle capitali occidentali. Pare adatta a un soggiorno breve, poco più di un week-end. Non è stipata di monumenti che devono essere assolutamente visti. Lo testimoniano i turisti che arrivano nei suoi alberghi e ripartono "prima di doversi cambiare la biancheria". I turisti frettolosi che la visitano percorrendola a tutta velocità, nei loro bus, o che si aggirano per l'Alfama con l'unico scopo di trovare la via d'uscita dal suo labirinto di viuzze. No, Lisbona non è una città qualunque. È una città dal ritmo lento. La si può godere solo se ci si adatta a quel suo ritmo. È perfettamente in sintonia con il suo spirito starsene seduti al sole per un pomeriggio intero su un miradouro (belvedere), guardando il mare di tegole rosse, e appena più in là, più giù, le imbarcazioni che solcano le acque del Tago. Questo piace molto ai residenti, e non è disdicevole per il visitatore far vedere che se la prende comoda. Come non è disdicevole tornare a passeggiare nelle stradine dell'Alfama già percorse il giorno prima, anche perché vi si troverà sempre qualcosa di nuovo e di sorprendente. Il percorso, tutto in ripido saliscendi, mette a dura prova la resistenza di qualsiasi camminatore: la scalinata di Montmartre a Parigi, al confronto, è un semplice esercizio di riscaldamento. Le gambe indolenzite vanno quindi messe certamente nel conto, all'inizio, ma anche questo è Lisbona. Perché la città va conosciuta con calma, disponendo di un certo tempo, senza pretendere di imporle il nostro passo, ma adattandoci invece al suo e ai modi tranquilli dei suoi abitanti. Qui c'è sempre tempo sufficiente per sorbire al bar uma bica, la tradizionale tazzina di caffè espresso. Quel tempo, e quei momenti, sono il motivo ispiratore di questo libro. Assodato questo principio fondamentale, potrete anche accostarvi alle altre parti di Lisbona, alla vita quotidiana della città moderna, e visitarne i nuovi centri commerciali, raffrontarli a quelli della vostra capitale e delle altre città da voi visitate, e scoprirvi le medesime marche, i medesimi nomi, negozi e stili d'arredamento: quell'omogeneizzato che è l'Europa. Una volta erano i grandi alberghi a fornire lo stesso ambiente in qualsiasi parte del mondo. Erano gli uomini d'affari a non rendersi quasi conto di quale fosse la città nella quale si trovavano per questo o quell'incontro, perché tutte le camere di tutti gli Sheraton si assomigliavano. E di proposito. Quella era la dimensione internazionale. Quella, e McDonald's. Oggi la dimensione internazionale è fatta anche di una moltitudine di catene commerciali. A Lisbona si nota, in modo particolare, l'onnipresenza dei negozi di moda Zara, provenienti dalla vicina Spagna. Quasi ogni strada, nelle principali aree commerciali, pare avere uno di questi negozi. E la notte vi giungono i grandi autoarticolati per ripristinare le scorte di magazzino che verranno certamente assorbite il giorno seguente, visto il grande numero di giovani che nel passeggio ostentano le borse con il logo Zara colme di acquisti. Le antiche rivalità fra i due paesi e le loro alleanze dinastiche con matrimoni così male assortiti sono cose del passato, dimenticate e rimosse, oppure forse solamente meno evidenti. Perché può ancora capitare di raccogliere un commento tagliente, o un silenzio molto eloquente, o di constatare con quanta indifferenza venga accolto il nostro riferimento a questo o quell'aspetto della Spagna. Ma chi li può rimproverare per questo, se anche l'Unione europea ha omesso per un'imperdonabile trascuratezza il confine fra i due paesi, in una sua carta geografica del 1998, come se il Portogallo fosse stato assorbito dallo stato confinante? No, per chi non sa il portoghese, meglio esprimersi in francese, in tedesco, in italiano o in altre lingue, più che in spagnolo. Mi accosto alla città da visitatore, da viaggiatore, e non da residente. Inutile ricordare che l'impressione di una città è diversa secondo la prospettiva e il punto di vista. A Lisbona le prospettive abbondano, dai suoi innumerevoli miradouros, e da ognuna se ne può trarre un'impressione che vale la pena descrivere. Dato un soggetto qualsiasi, proprio non ci aspettiamo che ciascun pittore ne dipinga il medesimo quadro: ciascuno ne dipingerà la propria impressione e non punterà alla "somiglianza" gratia sui, lasciando questo genere di intento, semmai, alla fotografia. Per non dire dei molti fotografi che si considerano pittori da camera oscura e condividono l'intento della reinvenzione artistica con altri mezzi. Oggi, poi, con la tecnologia digitale e le sue innumerevoli possibilità di manipolazione, è pressoché impossibile sapere che cosa sia mai il "vero aspetto" del soggetto. Ma quando il soggetto è una città, tanto con il pennello quanto con la macchina fotografia, la possibilità di variazione e di sorpresa si moltiplicano. Queste considerazioni valgono anche per chi scrive. E valgono anche per me. Il mio ritratto di Lisbona è selettivo e non esaustivo. Ne presento le angolazioni che preferisco. Uno dei registi di Lisbona, Paulo Rocha, ebbe a criticare il regista svizzero Alain Tanner (e Wim Wenders) che in città ha girato scene di due film, prima Nella città bianca (1983) e poi Requiem (1998): «Quella è gente che non si trova bene in patria e si mette a sognare altri luoghi. Non è Lisbona, quella che vedono, bensì una loro immagine decorativa, molto meno varia del reale. Non parlano che di Pessoa, che ormai è diventato multinazionale, e riguarda appena cinquant'anni della storia della città. Lisbona è più dinamica, più disperata, più ricca di ipotesi di quanto non appaia da come la presentano questi cineasti». Tanner schivò l'accusa di "decorativismo" dichiarandosi d'accordo: «Forse anch'io avrei parlato così, se fossi un lisboeta. L'intento di Nella città bianca non era però quello di esplorare l'aspetto sociale di Lisbona. Il protagonista non conosce nulla della cultura della città [...] alcuni portoghesi mi hanno rimproverato di fare turismo, di presentare luoghi comuni che loro preferirebbero lasciar perdere. Ne hanno abbastanza di chi parla loro di Pessoa e di saudade, e vogliono sentirsi americani». A mio parere una città, se vale, può sostenere più film, libri e dipinti di quanti se ne potrebbero mai realizzare, anche se non tutti saranno di mio gusto. Ho scelto le citazioni da riportare in questo libro da due tipi di fonti: i visitatori da altri paesi e i portoghesi. Devo osservare che nel XX secolo molti scrittori e artisti portoghesi lasciarono il loro paese per motivi politici, o per il desiderio di diventare parte di un mondo culturale più vasto che essi ritrovavano per lo più a Parigi. Alcuni non tornarono più, tuttavia la loro opera restò improntata dal loro paese natale e dalla sua capitale, Lisbona. Altri decisero di tornare, avendo preso parte al festino straniero, e ne recarono ricchezze da mostrare ai loro compatrioti. Fra questi non solamente gli artisti, ma anche gli individui senza doti speciali di ingegno o di fantasia, per i quali l'emigrazione era l'unica opportunità di sopravvivenza e di guadagno da spedire ai familiari rimasti in patria. I portoghesi non sono i soli ad avere preso questa strada per sopravvivere. Fra loro tuttavia è prevalente la tendenza a scegliere Parigi come destinazione. Ancora oggi è la capitale francese il luogo di di residenza della maggiore comunità portoghese all'estero. Da qui discende il grande numero di testi portoghesi tradotti in francese, mentre sono pochi quelli tradotti in inglese e in altre lingue. Gli scrittori francesi hanno quindi dimostrato maggiore interesse verso la cultura portoghese che non gli scrittori di altri paesi. Chi visita Lisbona troverà molte più persone mature o anziane in grado di comprendere il francese che l'inglese, mentre i giovani sono stati tutti attratti anche qui, come quasi ovunque nel mondo, da quest'ultima lingua: o forse l'hanno accettata come lo strumento necessario per chi desidera percorrere le vie del mondo, oppure per chi, più banalmente, vuole trovarsi a proprio agio con la produzione televisiva internazionale e con la cultura popolare di maggiore diffusione. Scrivo di questo perché il libro prende le mosse dai portoghesi. José Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998, è un bell'esempio di fantasia letteraria. Nel suo libro d'esordio, Manuale di pittura e calligrafia (1977), egli ci descrive il mondo di un ritrattista che vive a Lisbona: «"Ho deciso di scrivere dei racconti di viaggio finché non compare qualche altro lavoro"», dice alla sua amante. Le porge un testo. La donna lo legge, ma resta perplessa: «"Non capisco perché hai chiamato questo articolo [...] primo esercizio di biografia. Come può, un racconto di viaggio, essere una autobiografia?". "Non so se possa esserlo, non ne sono sicuro, ma non ho trovato niente d'interessante da raccontare". "O è un racconto di viaggio, o un'autobiografia'». Le confida di essere convinto che in tutto ciò che facciamo, noi riveliamo qualcosa di noi stessi. E insiste, osservando che un libro di viaggi è altrettanto rivelatore di un'autobiografia: «"Si tratta di saperla leggere". "Ma chi legge un racconto di viaggio, legge proprio questo, e non gli passa neppure per la testa di cercare qualcos'altro." "Forse si dovrebbe fare una premessa generale. Se la gente non ha bisogno che le venga detto che in un quadro ci sono due dimensioni e non tre, non ci dovrebbe essere bisogno neppure di avvisarla che tutto è biografia o, meglio, autobiografia"». Una delle qualità che rende attuale Saramago è la sua incessante riflessione sulle forme dello scrivere, che ha contribuito a incoraggiare alla sperimentazione le giovani generazioni di Lisbona. | << | < | > | >> |Pagina 35Terra FirmaLa persona che attraversa per intero questo libro e che più lascia la sua impronta in numerosi quartieri di Lisbona è Fernando Pessoa. Non c'è proprio da scusarsi per la sua presenza così frequente in queste pagine. In un modo o nell'altro, egli ha qualcosa da offrire in tanti punti del nostro percorso. Nel Libro dell inquietudine, Pessoa scrive del Tago: «Quando i sensi sono eccitati il Tago è un Atlantico sconosciuto, e Cacilhas un altro continente, perfino un altro universo». In altre parole non lo attraversò regolarmente. «Molto spesso mi è venuto in mente di attraversare il fiume, un tragitto di dieci minuti tra Terreiro do Paço e Cacilhas, e quasi sempre sono rimasto intimidito da tutta quella gente, da me stesso e dalla mia stessa idea. Una o due volte ho compiuto l'attraversamento, sempre sentendomi oppresso, calpestando la terra ferma al mio ritorno.» Questo s'accorda bene con una guida di Lisbona, trovata poi non ancora terminata fra le sue carte. Scritta per lo più in stile piano, in lingua inglese, si apre tuttavia con un tocco di poesia: «Al viaggiatore che vi giunge per mare, Lisbona già da lontano si presenta come una visione di sogno, stagliandosi contro l'azzurro intenso del cielo che il Sole allieta coi suoi raggi d'oro. Le cupole, i monumenti e l'antico castello si ergono al di sopra della massa delle case, come araldi che da lontano annunciano questo soglio di delizie, questa regione benedetta». Pessoa può ben viaggiare insieme a noi attraverso questo libro, toccando terra in questo o quel punto, ma nella vita reale il viaggio via mare, e persino via terra, non era cosa per lui. Non che il viaggio sia stato estraneo alla sua vita, sin dai primi anni. Aveva appena sette anni quando la madre lo portò con sé a Durban, in Sudafrica. Tornò in Portogallo da solo, quando aveva diciassette anni, per proseguirvi gli studi. Tuttavia non scrisse niente di Durban. Tutto ciò che gli restò del Sudafrica fu un'istruzione che gli fece amare la letteratura inglese. È di Lisbona che scrisse. Ed è a Lisbona che ritornò. La sua città, il centro dei suoi interessi, fu Lisbona. Per lui non c'era nessun luogo verso il quale valesse la pena di viaggiare: «Che cos'è viaggiare, e quale utilità ci porta? Tutti i tramonti sono tramonti; non c'è bisogno di recarsi a Costantinopoli per apprezzarli. Viaggiare fa provare una sensazione di libertà? Ma posso provarla anche nel tragitto da Lisbona a Benfica, anzi più intensamente di chi viaggia da Lisbona fino in Cina. La sensazione di libertà non potrebbe esistere per me in nessun luogo, se non la trovassi anzitutto in me stesso». | << | < | > | >> |Pagina 134Il dedalo di viuzze buieE ci tuffiamo nell'Alfama, aspettandoci ormai qualcosa di simile a ciò che viene descritto in Alice nel paese delle meraviglie, a proposito della «conigliera» e del «pozzo straordinariamente profondo». Sì, è un altro mondo, ma non in quel modo. A meno che non viviate nel quartiere, non è il caso di cercare una via precisa. Meglio procedere senza meta, sperando di trovare prima o poi, svoltando per l'ennesima volta, un nome familiare o un punto cospicuo. I due principali edifici sono la Igreja de São Miguel e la Igreja de Santo Estevão. Intorno a loro è un dedalo di viuzze, talune chiamate impropriamente ruas. Quasi mai più larghe di quattro metri, al massimo sono idonee alla circolazione dei motorini e non certo delle automobili. Vi si inoltrano anche rari furgoni per il trasporto di materiale da costruzione bloccando anche i pedoni. Altri nomi molto diffusi nel quartiere sono beco (vicolo), travessa (traversa), calçada (via lastricata), escadinha (scalinatella), largo (piazzetta), boqueiro (corte, passaggio), e calçadinha (viuzza lastricata). Ma il nome non aiuta certo a trovarli. Alcuni sono talmente minuti da far dubitare che siano indicati su una mappa. E se mai ve ne è una che li rappresenta tutti, sarà riposta in chissà quale cassetto di un qualche ufficio comunale. Molte delle case sono talmente vicine che i loro tetti quasi si toccano. E non è un effetto ottico. Remarque le ha descritte «come appoggiate l'una sulle spalle dell'altra». In certi vicoli si può facilmente saltare da una casa all'altra, oppure chiedere al vicino, prima di uscire, il favore di ritirarci la biancheria (stesa alla finestra) in caso di pioggia. Alcuni sostengono che sia pericoloso avventurarsi nel quartiere, specialmente di notte, perché si rischia di essere rapinati. Sarà vero, ma anche di giorno c'è da fare attenzione, in quanto si può finire in casa di qualcuno, credendo che sia un baretto aperto al pubblico, o scivolare e ritrovarsi direttamente nell'entrata di una casa privata. L'Alfama è un intricato reticolo di passaggi «che si arrampicano e si torcono alla ricerca di uno sbocco verso l'aria aperta», come ha scritto Aubrey Bell. Con gli edifici così addossati l'uno all'altro in alcuni vicoli c'è poca luce, tranne che a mezzogiorno, quando il sole può penetrare dalla fenditura fra i tetti per una breve tregua dall'assedio del buio. E per bere, o per mangiare? Ci sono le tascas (piccole taverne spesso ricavate in un'unica stanza). Vi troverete gli abitanti del quartiere intenti a guardare la televisione che presenta due soli generi di spettacolo: telenovelas e calcio (ma le mie informazioni segnalano che c'è anche la TV via cavo, o via satellite, che a notte fonda trasmette scene pornografiche "per prova"). L'abitudine di lasciare accesa la TV nei bar e nei ristoranti è diffusa in tutta Lisbona, almeno nei locali frequentati dai residenti. La popolarità delle telenovelas, quasi tutte importate dal Brasile, fa pensare a un caso di colonialismo culturale all'inverso, e all'affermazione di modi di dire brasiliani nella lingua portoghese. Già oggi il brasiliano tudo bem? (tutto bene?) sta soppiantando il più tradizionale come está? quale forma di saluto. Il portoghese è la quinta lingua più diffusa al mondo, secondo il numero delle persone che la parlano, ma la versione più attiva è quella brasiliana, un po' come accade con la lingua inglese e con la sua versione americana, non solo in settori specialistici (per esempio quello informatico) ma anche nel parlare comune. La sera, gli uomini si riuniscono per guardare le telecronache di calcio. Se non vi disturba la voce del telecronista, non dovete temere altro fastidio, perché solitamente gli spettatori se ne stanno tranquilli, senza dare in escandescenze per le vicende sul campo di gioco. Oltre a quelli televisivi, gli altri suoni che si odono sono quelli musicali, giorno e notte, che filtrano dalle porte o dalle finestre: talvolta una radio, o un registratore, a volte invece una donna che canta in casa propria. Nonostante quanto si potrebbe pensare, il genere musicale più diffuso è ancora il fado. La notte, quando la musica è terminata, gli unici suoni che si odono percorrendo le viuzze sono quelli del respiro e del russare dei dormienti. Nel quartiere si ricostruisce e si restaura, tuttavia l'aspetto è ancora cadente, con muri scrostati e tubazioni a vista. Forse si lasciano di proposito i tubi allo scoperto, perché questo limita il danneggiamento dei muri in caso di perdita d'acqua (molto frequente). Richard Zimler, lo scrittore statunitense che vive in Portogallo, ha ambientato in queste viuzze il suo romanzo Il cabalista di Lisbona (1998), durante le persecuzioni degli ebrei nel 1506: ne vennero massacrati più di 2000 in una serie di disordini e di autos da fé nel Rossio, poco lontano. L'ambientazione principale è nel settore ebraico dell'Alfama, sull'angolo della Rua da São Pedro con la Rua da Sinagoga. Non è propriamente un romanzo, ma un tentativo di ripetere per Lisbona ciò che Umberto Eco ha ottenuto con Il nome della rosa. Lo si può considerare un'opera storica, che offre dettagli altrimenti introvabili, in quanto non è ancora stato pubblicato alcun saggio storico sull'ebraismo portoghese nel XVI secolo. La vicenda è incentrata su un giovane miniaturista di manoscritti, Berekiah, che si impegna a risolvere il mistero della morte dello zio, famoso cabalista, trovato privo di vita nella cantina della sua casa, adibita segretamente a sinagoga. Il cadavere era stato trovato nudo, accanto a una giovane donna, e con evidenti tracce di attività sessuale. La ricerca della verità su quella morte misteriosa porta il protagonista lungo le viuzze dell'Alfama, ma anche sotto il loro attuale tracciato, seguendo a ritroso nel tempo il mutare della destinazione d'uso degli edifici. L'Alfama è citato solo di passaggio da Pessoa nella sua guida. Altri lo ritengono un luogo sgradevole e osservano che vi si trovano solo aspetti di vita comune tali da non suscitare le stesse emozioni che si provano davanti agli edifici e nei luoghi storici di altre parti della città. Il quartiere non ha subito cambiamenti di rilievo nel corso dei secoli e offre ancora l'aspetto di una volta a chi lo percorre nelle sue strettoie e nei suoi innumerevoli saliscendi. Molte città non sono in grado di offrire questa esperienza di ritorno al passato remoto, in quanto, nel corso dei secoli, i loro vecchi edifici sono generalmente stati sostituiti da edifici nuovi. L'Alfama fu abitato già dai visigoti nel V secolo, come testimoniano i resti della loro cinta muraria, tuttavia furono gli arabi a dargli la fisionomia che ancora conserva. Anche il nome di Alfama deriva dall'arabo: al hamma, sorgente calda (nei pressi dell'attuale Largo das Alcaçarias). Anticamente, in alcuni grandi palazzi dimoravano ricche famiglie che però abbandonarono il quartiere dopo il terremoto. Da allora vi abitarono quasi esclusivamente i pescatori. Rua de São Pedro, che potremmo considerare la via principale, corre lungo la parte bassa dell'Alfama: la mattina vi si allineano i banchi dove le mogli dei pescatori vendono ciò che i loro uomini hanno pescato. I gatti poi sono lesti a ripulire. Prima di sbucare nel Largo do Chafariz de Dentro (fontana pubblica entro le mura) possiamo ammirare un cortile che si apre lungo il Beco do Mexias con un lavatoio pubblico ancora frequentato.
Il quadro che ci resta impresso è quello dei panni stesi ad asciugare in
alto, nei vicoli, dei canarini che cantano dalle loro gabbie,
dei bambini che giocano sui gradini, dei balconi adornati di fiori e
dei lampioni di ghisa che rischiarano gli stretti anditi, la notte. Dubravka
Ugresic aggiunge: «Il ronzio che mi raggiungeva ovunque, i
nugoli di mosche e la calda caligine mi facevano sentire fiacca e
confusa. Mi pareva di trovarmi nel cuore stesso del Mediterraneo,
benché esteso alle coste dell'Atlantico. Ed era come se annaspassi,
stordita, per farmi strada attraverso uno dei suoi ventricoli».
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