Copertina
Autore Alberto Casadei
Titolo Poetiche della creatività
SottotitoloLetteratura e scienze della mente
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2011, Saggi , pag. 212, cop.fle., dim. 14,4x21x1,5 cm , Isbn 978-88-6159-515-6
LettoreElisabetta Cavalli, 2011
Classe critica letteraria , teoria letteraria
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Indice


VII  Premessa


1    Parte I. Ripensare la letteratura su fondamenti cognitivi

3    1. Tutto il mondo è vedovo

6    2. Letteratura, critica e scienze cognitive:
        dal XX al XXI secolo

22   3. Concezioni dello stile

31   4. L'oscurità in poesia

43   5. Inventio

54   6. Problemi aperti e prime conclusioni


67   Parte II. Saggi e applicazioni

69   1. La cognizione della poesia: Amelia Rosselli

119  2. Poesia, pittura, giudizio di valore
        (a partire dalle opere di Antonella Anedda)

135  3. La distanza e il sistema.
        Forme della creatività in Emilio Tadini

155  4. I circoli di Archimede.
        L'intersezione dei saperi nei testi di Leonardo Sinisgalli

173  5. Scrivere le macchine, raccontare le immagini:
        tecnoestetica dal Futurismo al presente

183  6. Tra poesia e filosofia

205  Indice dei nomi


 

 

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Pagina VII

Premessa


Questo libro nasce dall'esigenza di ipotizzare nuovi metodi per l'analisi letteraria, che non cancellino il patrimonio derivato dalle ricerche prodotte nel Novecento ma consentano di giustificare meglio i dati ricavabili soprattutto dai sondaggi linguistico-stilistici. Dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso, la critica letteraria italiana si è divisa piuttosto nettamente fra coloro che si attengono a ricerche di tipo storico-filologico e coloro che privilegiano il versante interpretativo, impiegando spesso concezioni eclettiche, come si riscontra soprattutto nell'ambito della critica "militante". Manca insomma una spinta innovativa fondata su una riflessione priva di pregiudizi circa le più recenti acquisizioni scientifiche e filosofiche che possono fornire suggerimenti interessanti per affrontare problemi tuttora aperti, come quello dell'ispirazione o inventio oppure quello dello stile, in un'epoca che apparentemente ne ha troppi o nessuno.

Il confronto nient'affatto passivo fra la tradizione della critica letteraria e il vasto campo delle scienze della mente ha già prodotto all'estero una Cognitive poetics, dopo che da vari decenni si parla di una Cognitive linguistics. È opportuno comprendere bene i confini di una "poetica cognitiva" per evitare i rischi di un facile determinismo o quelli di un'esaltazione prematura. Tuttavia è innegabile che l'incontro fra la letteratura e le scienze della mente sia ricco di potenzialità, in primo luogo per un'ermeneutica dei sensi più complessi delle opere, ancora affidata in gran parte all'intuizione del critico, se vogliamo al celebre clic evocato da Leo Spitzer. Addirittura, ampi lavori di ricerca, come quello di una mappatura delle forme dell' inventio, delle finalità di alcune rese stilistiche, oppure delle intersezioni effettive tra letteratura, arti e scienze, risultano adesso meglio pianificabili, grazie alla fondazione di alcuni parametri cognitivi condivisi.

Tutto ciò non cancella ma anzi rimotiva la critica stilistica, in tutte le sue accezioni, e nel contempo rende necessario un diverso inquadramento storico-sociologico delle opere letterarie, e in particolare dei classici, di cui è possibile cominciare a comprendere meglio alcune prerogative intrinseche: proprio una dimensione prospettica sembra adesso indispensabile per evitare un eccessivo appiattimento sul presente e sui suoi "capolavori momentanei". Ma anche la sottolineatura dell'importanza di testi considerati marginali nel Novecento letterario italiano contribuisce a definirne meglio il quadro d'insieme, facendo emergere soprattutto le opere che garantiscono una forte densità cognitiva oltre che (ma forse è più giusto dire: assieme a) una notevole caratura estetica. Una critica all'altezza dei tempi non dovrebbe quindi limitarsi a giustificare i dati, per esempio i valori stabiliti dal successo di massa, ma dovrebbe indicare i testi che, superando le opposizioni rigide, ci consentono ancora di spostare i confini tra il noto e l'ignoto.

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2. Letteratura, critica e scienze cognitive: dal XX al XXI secolo


2.1 Le opere sperimentali e spesso oscure hanno costituito il primo oggetto d'indagine del filone per lungo tempo fondamentale nella critica novecentesca, quello formalistico-strutturalista-semiotico, che ha mirato a sistematizzare l'interpretazione testuale secondo paradigmi che si volevano rigorosamente scientifici: l'obiettivo di fondo era quello di giustificare tutte le componenti riconoscibili in un'opera grazie a un confronto sistematico e differenziale, volto a (ri)costruire costanti meta-testuali. Tra gli anni dieci e venti del secolo scorso, la connessione tra arti di avanguardia e nuova critica, quella che per consuetudine definiamo Formalismo russo o slavo, non avvenne grazie a una convergenza di tipo tematico-contenutistico, bensì in virtù di una comune volontà di focalizzare i procedimenti compositivi e ricorsivi. L'accantonamento degli aspetti biografici e creativi, stilistici in senso stretto, così come di quelli storico-contestuali, provocò già in questa fase una scissione drastica del nesso uomo-opera, nonché una prima delimitazione dei possibili campi d'indagine letterari. La ricerca preminente di parallelismi riscontrabili a livello linguistico diventò poi un presupposto di alcune correnti fondamentali della critica novecentesca sino alla "svolta ermeneutica" degli anni ottanta.

Se si prendono come cartina di tornasole i saggi dedicati da Roman Jakobson alla poesia, si nota in più casi una forte sottolineatura delle simmetrie che regolano l'intera costruzione poetica, fondata sul principio di equivalenza linguistica tra l'asse della selezione (per similarità) e quello della combinazione (per contiguità). Queste indicazioni vengono integrate con altre che sembrerebbero aprire ulteriori prospettive, per esempio riguardo all'esistenza di strutture subliminali o alla possibilità di comprendere i processi creativi, su cui già dibattevano Goethe e Schiller. Ma per Jakobson resta essenziale rinvenire all'interno del sistema linguistico tutte le potenzialità idonee a generare un testo poetico, anche a costo di ridurre al minimo l'interesse per le implicazioni semantiche, il non-detto e soprattutto l'oscuro, la cui "esplosività" viene alla fine disinnescata.

In generale, gli ideali strutturalisti (e poi semiotici) presupponevano la possibilità di costruire modelli universali per la poesia e per la narrativa andando a toccare, secondo alcuni interpreti, la configurazione stessa dell'inconscio, a sua volta interpretabile come un linguaggio, secondo le riflessioni lacaniane. Ma al di là delle indubbie acquisizioni sistemiche e delle concrete applicazioni (come nel caso della narratologia), un limite progressivamente emerso riguardo ai presupposti strutturalisti è quello di aver assolutizzato le forme di simmetria riconoscibili, sulla scorta di procedimenti logico-formali che non tenevano conto, fra l'altro, delle difficoltà a riconoscere confini netti tra le stesse categorie linguistiche saussuriane, a cominciare dalla dicotomia significante/significato. Più specificamente, la nozione di simmetria non era inquadrata in un contesto cognitivo: il riconoscere forme pure o perfette (come le figure geometriche) all'interno di un'opera letteraria implica una pesante perdita di informazioni connettive che creano non una ridondanza ma una caratterizzazione, decisiva per la potenzialità gnoseologica dell'opera stessa (cfr. par. 5).

Ci si è insomma resi conto che i limiti di applicabilità dei modelli strutturalisti alla letteratura, intesa come un sistema al pari della lingua, sono in gran parte connessi alla propensione a matematizzare o comunque a interpretare come invariabili le modalità dell'elaborazione letteraria, eliminando le differenze di superficie per riconoscere alcune simmetrie o opposizioni fondative, secondo la formula X versus Y. Se si riconsidera l'attività dello strutturalismo e di almeno alcuni filoni della semiotica uscendo dal loro modus operandi all'interno del sistema supposto come chiuso e coeso, ci si accorge appunto di come l'ideale funzionalistico abbia spinto da un lato a ignorare, soprattutto nell'analisi delle opere più complesse e stratificate, gli aspetti individuali (marche di creatività, stili specifici ecc.) e quelli di contestualizzazione (biografia, genesi del testo e sua collocazione storica ecc.); dall'altro a giustificare ogni elemento interno al testo.

Una precisazione va fatta riguardo alle potenzialità dell'indagine di tipo semiotico: la si può ricavare dagli scritti del filosofo Paul Ricoeur sull'opera di uno dei semiologi più impegnati nella formalizzazione della logica testuale e in specie della narrativa, Algirdas J. Greimas. In varie occasioni Ricoeur ha fatto notare che, nella ineliminabile (a suo parere) distinzione tra spiegare e comprendere un testo, la semiotica si colloca decisamente sul primo versante, mentre non offre strumenti adeguati per interpretare le specificità, in particolare (possiamo aggiungere) dei capolavori: anche se riconoscibile, la presenza di funzioni costanti sottese a ogni testo letterario non può essere sufficiente a sostenere un'interpretazione complessiva di una grande opera, per la quale si deve ipotizzare la necessità di un'ermeneutica.

I presupposti strutturalisti, insomma, sono stati decisivi nel tentativo di fondare un metodo critico universalmente applicabile, ma è progressivamente emersa una sostanziale difficoltà a ricondurre a un unico sistema segnico di tipo linguistico-formale le varie componenti in cui si possono suddividere i testi, e soprattutto le loro implicazioni referenziali ovvero extratestuali. Certo, numerosi sono stati i correttivi introdotti sul versante dello strutturalismo e della semiotica letterari, spesso di notevole efficacia; nell'economia di questo rapido panorama però è più importante ricordare le critiche che hanno cominciato a toccare, con gli anni settanta, il presupposto di una leggibilità condivisibile: è quanto ha voluto affermare, soprattutto sulla scorta delle idee di Derrida , il decostruzionismo statunitense, che ha messo a nudo, nonostante l'insostenibilità ermeneutica e pragmatica di molte sue teorie, il circolo vizioso insito nel ritrovare nei testi caratteri presenti nel codice fondativo del procedimento euristico (simmetrie, opposizioni ecc.).

Più ampiamente diffusa è stata, dagli anni ottanta, la reazione all'eccesso formalistico che ha mirato a far riconsiderare il ruolo dell'interprete, non mero lettore implicito bensì ermeneuta e "traduttore" dei testi, capace di integrare l'orizzonte storico-culturale della creazione con quello, temporalmente anche di molto successivo, della fruizione. La storia e l'estetica della ricezione si sono spesso coniugate con processi interpretativi attenti ai "contenuti formati": da questo tipo di approccio ai testi deriva un'ulteriore, ma in sostanza coesistente, fase della critica, cominciata con il tardo Novecento, quella dei Cultural studies, che tendono a ridurre fortemente l'importanza degli aspetti stilistici individuali e ad esaltare quelli contenutistici o documentari. In questo modo, da un lato si giustifica l'impegno nell'analisi di opere letterarie in quanto manifestazioni di temi antropologicamente e socialmente rilevanti, specie nell'ambito della difesa delle minoranze represse; dall'altro vengono esaminate solo parti più o meno significative dei testi, trascurando la loro compatibilità con un sistema interpretativo più generale.


2.2 L'analisi svolta nel paragrafo precedente mirava, proprio in virtù della sua schematicità, a segnalare con la massima evidenza i principali problemi che la critica letteraria del XXI secolo si trova davanti. Se ne possono enucleare soprattutto tre:

a. la ricaduta nell'empiricità delle analisi, non sostenute da metodi interpretativi condivisi;

b. la difficoltà a percorrere nella sua interezza il "circolo ermeneutico" autore-testo-lettore;

c. l'incapacità di assegnare un valore alle opere sulla scorta di paradigmi stilistici largamente accettati o comunque di un riconoscimento della loro portata gnoseologica.

In questo contesto sembra interessante valutare con attenzione le nuove potenzialità offerte da un'intersezione fra letteratura, critica e scienze cognitive. Il più forte e innovativo sviluppo di queste ultime, sino agli anni ottanta, pareva interessare solo l'ambito neurologico e percettivo: i risultati derivanti dagli esperimenti sulle varie funzioni cerebrali riguardavano in primo luogo la questione del rapporto mente/cervello , e semmai la definizione di coscienza. Ma il passo successivo è stato quello di ridiscutere alcuni fondamenti filosofici, per esempio le categorie spaziotemporali; linguistici, come il rapporto pensiero-linguaggio; e finalmente artistici, con specifico riferimento alle questioni della genesi e della percezione delle opere dipinte.

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6.2 La forma di conoscenza del mondo offerta dalla letteratura non è antirazionale (nonostante i proclami di molte poetiche) bensì extrarazionale: non nasce dalla ratio, in quanto capacità logico-combinatoria; semmai dall' intellectum, che poteva fondere, già secondo le filosofie classiche e medievali, aspetti percettivi, emotivi e specificamente cognitivi. Si potrebbe ipotizzare che quest'opera di fusione tra vari tipi di esperienze parta dall'inconscio cognitivo, emerga nell'ambito dell' inventio, che coinvolge elementi consci e culturalmente elaborati, e si concretizzi poi nello stile (cfr. par. 3).

Sarà comunque indispensabile verificare i legami che esistono tra inventio, realizzazione stilistica e tradizione delle forme di lunga durata. Il periodo attuale è propizio, dato che il critico non deve adottare una prospettiva interna alle poetiche dominanti (come avveniva a Friedrich esaminando il problema dell'oscurità in poesia), ma può considerare i presupposti e gli effetti tanto delle idee classiciste quanto di quelle romantico-avanguardiste. In una prospettiva storica, si può senz'altro affermare che l'arte del Novecento ha introdotto il disordine dentro la classicità, ovvero la dimensione dell'inconscio pre-razionale contro gli schemi percettivo-cognitivi sclerotizzati: in generale, lo straniamento prodotto rispetto al classico in quanto istituzione ha comportato la possibilità storica di riappropriarsene in maniera selettiva e al limite ludico-piacevole, come è avvenuto nella fase del postmodernismo degli anni ottanta. Ma adesso è di nuovo possibile, proprio per questa «mobilità del classicismo» (per citare Valéry ), impiegare forme canoniche dotandole di un senso condivisibile, non dovuto alla loro autorevolezza bensì alla loro rinnovata rappresentatività nell'oceano di forme anticlassiche ormai disponibili.

Dunque i confini della letteratura, ovvero di ciò che è dicibile in opere letterarie, si modificano costantemente. Ciò implica una variabilità in primo luogo di quanto risulta interessante, cognitivamente significativo ecc. e di quanto resta delimitato in uno spazio ristretto sia per inventio che per stilizzazione. È per questo che le indagini critiche sulla letteratura non possono costituire un sistema chiuso. Lungi dal subordinare metodi e fini a quelli tipici delle scienze, si deve ipotizzare una "nuovissima alleanza" interdisciplinare che riconosca la validità di concetti- carrefour in grado di indicare modalità percettive e creative analoghe. I termini, già più volte impiegati, sono per esempio quelli di attrattore, campo concettuale, etimo, gradazione, prototipi e stereotipi ecc., che possono riconfigurare numerosi aspetti dell' inventio e della stilistica.

Proviamo a ricapitolare, a titolo esemplificativo, quanto potremmo attualmente affermare riguardo alla creatività poetica nel suo insieme. La poiesis, così come la intendiamo dopo la svolta romantica, sembra in grado di fondere numerose potenzialità cerebro-mentali, senza essere riducibile a categorie logico-linguistiche precostituite, prima fra tutte la sintassi. Nella prospettiva qui seguita, peraltro, gli sconvolgimenti (il rimbaudiano dérèglement) e anche le successive ricomposizioni, ovvero le ricostruzioni di norme su nuove basi, non possono essere considerati come fenomeni assoluti e caratterizzanti di ogni poesia: la nostra attuale (post)modernità è in grado di accettare discorsi poetici che non mirano a costituire un'identità monolitica, un "io" rigidamente definito attraverso le sue parole. Ma i testi lirici che vogliono mantenere le prerogative di una ricerca che coinvolge l'inconscio cognitivo devono comunque tentare vie che mettano in contatto i vari strati psichici riconoscibili, per «ricomporre poeticamente» ( Wittgenstein ) il rapporto individuo-mondo.

La poiesis attuale potrebbe quindi aprirsi a una nuova comprensione del reale non contro ma in parallelo alla conoscenza razionale. Il lavorio profondo, sulla scorta e non al di fuori dei saperi condivisi, può riuscire a incidere sulla configurazione dei nostri parametri disciplinari, le gabbie delle specializzazioni ormai inevitabili in campo socio-economico, e introiettate pure in quello scientifico. Non che sia la poesia a dover "rifare il mondo": la sua utopia può forse diventare ideologica, e tuttavia deve mantenere un fondamento esistenziale libero, per far sì che la varietà di elementi assunti attraverso ogni tipo di esperienza biologica e culturale sia adatta a creare una fusione ricca e originale.

Con questo non si vuole sostenere che forme di poesia classica o comunque non eversiva siano ormai poco significative: del resto, ancora Eliot auspicava un ritorno della poesia al linguaggio quotidiano, cercando in quell'ambito la sua specificità ritmica e semantica. In quest'ottica si può certo affermare che molti stili semplici sono risultati importanti nella poesia del XX e dell'inizio del XXI secolo. Tuttavia, il distanziamento rispetto all'individualismo lirico fonte di voluto obscurisme assumeva un ruolo di rilievo, nel campo di forze letterario, soprattutto quando era quello il codice dominante; viceversa, la tendenza desublimante ha condotto negli ultimi decenni a una sovrapposizione quasi totale fra discorso in versi e discorso in prosa, distinti soltanto da una "musica del senso" spesso ipotetica più che percepibile.

Non si tratta allora di negare l'importanza dell'elaborazione formale di un'opera poetica, quanto di ribadire che i presupposti di tale elaborazione non nascono in un ambito esclusivamente logico-razionale: in effetti, come sosteneva Alfred E. Housman, la poesia sembra davvero più impura e fisica che pura e intellettuale, quasi una "secrezione" addirittura morbosa, ma «come la perla nell'ostrica»; ovvero, diremmo parafrasando il Wallace Stevens dell' Angelo necessario, gli effetti dell'analogia e dell'immaginazione sono variegati, ma la meditazione può condurre il poeta a creare opere che si collochino «in the very center of (un)consciousness».

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