Copertina
Autore Giovanni Casalegno
CoautoreGuido Goffi
Titolo Brutti, fessi e cattivi
SottotitoloLessico della maldicenza italiana
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2005 , pag. 412, cop.fle., dim. 150x210x24 mm , Isbn 978-88-6008-003-5
PrefazioneGiordano Bruno Guerri
LettoreLuca Vita, 2006
Classe linguistica , storia letteraria , umorismo , paesi: Italia
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Indice

 VII Prefazione di Giordano Bruno Guerri

  IX Il codice dell'offesa di Giovanni Casalegno

  XX Abbreviazioni


   1 Brutti, fessi e cattivi


 347 Bibliografia

 

 

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Pagina IX

INTRODUZIONE
Il codice dell'offesa



Jorge Luis Borges nel 1933 scrisse l' Arte di ingiuriare, una breve riflessione sui meccanismi dell'offesa, dove individuava alcune tipologie costanti: la parola ("L'uomo della strada indovina la stessa professione nella madre di ogni passante."), il rumore fatto con la bocca, il gesto ("Mordersi il pollice o tenere la parte del muro furono, intorno al 1592, la moneta legale del provocatore."), l'uso dell'antifrasi e della litote, l'epigramma, l'improvviso scarto linguistico, il discorso argomentato, il falso elogio, l'inversione, l'accostamento di parole. Borges proponeva dunque una vera e propria retorica dell'offesa, a dimostrazione di come questa possieda una tradizione antica nella storia della società umana.

Se le possibilità dell'ingiuria sono molteplici, questo dizionario si occupa di insulti linguistici, quindi di singole parole, per lo più, oppure espressioni utilizzate allo scopo di offendere o di parlar male di qualcuno. L'insulto è un atto linguistico di sintesi: la parola condensa tutto un giudizio, una valutazione, un'argomentazione complessa. È una "calunnia abbreviata", come lo ha definito Schopenhauer. La singola parola identifica una persona o la sua componente caratteriale, comportamentale o fisica più vistosamente negativa, quella che si intende colpire. Insulto va qui inteso in senso lato: non è soltanto l'ingiuria o l'invettiva scagliata contro un interlocutore al fine di offenderlo nel profondo con parole che vogliono porre fine a ogni altro tipo di discorso argomentato, ma è anche la maldicenza, vale a dire il porre in rilievo i difetti, i vizi o le colpe altrui, non necessariamente all'interno di contesti di aggressività verbale. Si tratta comunque di termini (sostantivi o aggettivi) che esprimono un giudizio negativo verso qualcuno, sottolineandone e quindi giudicandone i difetti tisici, il comportamento, l'atteggiamento, i tratti della personalità, le colpe, i vizi, i peccati, le inclinazioni sessuali, la condizione sociale e talvolta la professione stessa. Il dato sorprendente è la grande ricchezza offerta dalla lingua italiana in questo ambito: sono qui registrate circa 2800 voci, a cui si devono aggiungere numerose espressioni, che rivelano una sensibile varietà di registri: ci sono termini triviali e osceni fortemente interdetti, parole dotte, voci dell'uso basso e quotidiano, voci gergali (sia dei gerghi storici sia del parlato giovanile), termini dialettali, invenzioni d'autore, epiteti scherzosi o sarcastici. Gran parte delle voci sono ancora in uso e alcune di queste hanno una storia secolare (di cui si è dato conto con l'offerta di esempi provenienti da epoche diverse e lontane), altre sono antiche e scomparse dal parlato, ma si è volutamente deciso di lasciarle sia per la loro storicità sia per la loro espressività, altre ancora sono di formazione recente.

Le voci del dizionario sono organizzate in ordine alfabetico, da abbaiatore a zuzzerellone. Ognuna è stata definita nel suo preciso significato, fornendo anche eventuali sinonimi e rimandi a voci affini. Si è inoltre fornita l'etimologia là dove si è ritenuto necessario: per spiegare l'origine formale della parole (quando non ovvia), oppure per chiarire il passaggio dal significato proprio a quello ingiurioso o nei non pochi casi in cui la parola presentava una storia curiosa. Talvolta la voce è strutturata in più paragrafi (segnalati dalla numerazione progressiva) o in sottoparagrafi (indicati da un trattino): nel caso in cui essa assume più significati, talvolta piuttosto differenziati. Ogni accezione è seguita da esempi d'uso (per un totale di circa 8000), che ne documentano l'attestazione, il contesto di utilizzo e il registro. Le attestazioni provengono da fonti diverse: per lo più si tratta di testi letterari che coprono tutto l'arco cronologico della letteratura italiana (e l'ampio numero dei titoli citati è documentato nella bibliografia finale), ma sono presenti anche esempi tratti dal linguaggio giornalistico, da testi musicali e da Internet (in particolare dal linguaggio dei forum e dei blog, che si caratterizza per una spiccata informalità e per un'accentuato uso del linguaggio basso e del vituperio senza freni).

La forte presenza di esempi letterari è la dimostrazione di come l'insulto e la maldicenza siano atti linguistici appartenenti ad una tradizione forte e consolidata nella lingua e non soltanto espressioni della trivialità del parlato. Molti scrittori hanno utilizzato questo materiale linguistico per farlo diventare alta espressione artistica. In ambito europeo sono da citare almeno due virtuosi dell'ingiuria come Rabelais e Shakespeare. Ci sono molti luoghi del Gargantua e Pantagruele in cui fioccano insulti a raffica, secondo la consueta frenesia elencatoria dell'autore, ma almeno due sono da ricordare per la loro alta efficacia espressiva e per il gran numero di termini utilizzati. Nel capitolo XXV del Gargantua c'è il famoso incontro tra i focacceri di Lerné e gli abitanti del paese di Gargantua. Questi ultimi chiedono di poter acquistare un po' dei loro gustosi prodotti, ma i focacceri rispondono con una sequela di insulti da antologia, "chiamandoli cafoni, senza-denti, pellirossa, ubriaconi, cagaletto, furfanti, lime sorde, fannulloni, buzzoni, mirabolani, buonianiente, zoticoni, rompipalle, scrocconi, accattabrighe, mugherini, buffoni, tangheri, bighelloni, allocchi, balordi, merendoni, gabbadei, sbruffoni, guardiani di stronzi, pastori di merda, e altri epiteti diffamatori." Questo elenco che offre un'ampia casistica verbale allusiva a buona parte degli ambiti privilegiati dell'offesa fa il paio con l'iscrizione posta sulla porta principale dell'Abbazia di Thélème, il luogo dell'utopia fatto costruire da Gargantua, da cui erano escluse tutte le categorie umane che potessero contaminare quell'ambiente dedicato alla felicità, alla giustizia e alla serenità del vivere: "Qui non entrare, ipocriti e bigotti, / vecchie bertucce, tangheri, marpioni, / bachechi, collitorti, mangiamoccoli, / qui non entrate puttanieri in zoccoli, / straccioni incappucciati, schiodacristi, / bindoli, gabbasanti, spigolistri, / picchiapetti, scrocconi, / cattabrighe e stronfioni. / [...] / Qui non entrate, famelici curiali, / che i buoni parrocchiani / mettete alla catena come cani: / dottorelli, scrivani, / togati faccendieri, / succhiasangue del popolo, officiali, / [...] / pitocchi e avari, / usurai, leccapiatti, mangiagatti, / taccagni, lesinai..." Un'altra sequela di ingiurie d'autore è quella rivolta, nel Re Lear, dal conte di Kent al siniscalco Oswald: "Ti conosco per un furfante, una canaglia, un leccapiatti; per un volgare, orgoglioso, stupido, miserabile ribaldo, con tre mute di panni, cento sterline e sudicissime calze di lana; per uno dal fegato sbiancato, e che ricorre al tribunale per un nonnulla, evitando così di battersi, per un figlio di malafemmina, che passa le ore davanti allo specchio a rimirar se stesso, servile e ruffianesco; ti conosco per un manigoldo schizzinoso, per l'erede d'un baule di stracci, per uno che al fin d'aversi il benservito non esiterebbe a farsi ruffiano, e che non è altro se non un composto d'una canaglia, d'uno straccione, d'un vigliacco, d'un tenutario di lupanare e d'un figlio ed erede d'una cagna bastarda." (II, 2).

In ambito italiano i frequentatori e i virtuosi dell'ingiuria non sono da meno e non sono pochi. L'uso dell'insulto e della maldicenza è naturalmente più diffuso all'interno di testi di carattere comico, satirico, polemico o accusatorio. Che l'utilizzo dell'insulto e della maldicenza siano una componente fondamentale del genere comico lo dichiara esplicitamente Machiavelli nel Prologo della Clizia, quando afferma che "le parole che fanno ridere sono o sciocche, o iniuriose, o amorose." Tra gli autori più antichi troviamo la violenta sequela del maestro di retorica del primo Duecento Guido Fava, più volte citata: "Tu sai bene che noi conosemo le tue opere, e le tue iniquità sono a noi maniffeste; ché tu se' fello e latro, ruffiano, putanero, glotto, lopo, ingordo e leccatore, biscaçero, tavernero, çogatore, baratero, adultero, fornicatore, omicida, periuro, fallace, traditore, inganatore, mençonero, amico de morte e pleno de multa çuçura." Naturalmente un posto di rilievo spetta a Dante, che ricorre con circa una cinquantina di esempi tratti dalle sue opere, soprattutto dall' Inferno, specie là dove la forza dell'invettiva politica e religiosa si accompagna ad un linguaggio duro. Altrettanto naturalmente ricorre Boccaccio con un numero pressoché analogo di citazioni. Il suo ampio utilizzo del linguaggio basso, così ricco di metafore sessuali, non poteva essere privo delle parole ingiuriose. Non mancano i poeti cavallereschi (Ariosto, Pulci e in misura minore Boiardo), proprio per la tipologia di queste opere basate sullo scontro tra religioni (cristiani contro musulmani) e sul frequente scambio di ingiurie tra i vari guerrieri. Ma il maldicente per eccellenza è Pietro Aretino, che ha sempre una buona parola per tutti. Per gli sciocchi, gli stupidi, i creduloni, gli imbroglioni, gli avari, i gradassi, i pedanti, gli ipocriti e i falsi, i bugiardi, i vanesi, i rompiscatole, i viziosi, i bigotti, i malvagi in genere, i lussuriosi, i sodomiti, e su tutti le puttane di professione e le donne di facili costumi, per le quali utilizza praticamente tutto il vocabolario che la lingua e alcuni dialetti potevano offrirgli. Un altro autore importante per l'ambito comico che attinge con frequenza al registro del parlato, scendendo raramente nel triviale ma comunque ricorrendo al vasto repertorio della maldicenza, è Goldoni, rivolgendosi ad alcuni bersagli preferiti, quali il servo sciocco, la serva intrigante e pettegola, il padrone avaro e stupido, il ricco ignorante e i tanti mariti con tutta la loro varietà di difetti secondo i caustici giudizi delle rispettive mogli. Un fustigatore di personaggi del suo tempo come Baretti non poteva non essere citato a supporto di numerosi termini. E uno scrittore ancora in parte da scoprire come campione della maldicenza è Carducci. Dietro l'immagine vulgata del vate, del retore del valor patrio, c'è un finissimo maestro dell'invettiva, soprattutto rivolta ai rappresentanti del mondo culturale e accademico, che, senza mai, o quasi, ricorrere all'insulto volgare trancia giudizi con una sorprendente sventagliata di epiteti spesso efficaci e originali. Un posto di assoluto rilievo merita poi sicuramente Gadda. Nella complessità della sua opera il linguaggio ingiurioso è una componente fondamentale e necessaria. Il livore che caratterizza buona parte dei suoi scritti, accompagnato da un originale funambolismo linguistico, fa sì che gli insulti e le maldicenze si propaghino incessantemente nelle sue pagine. Gadda usa tutti i registri dell'ingiuria: dall'osceno al dotto, dal termine raro al neologismo, dalla ripresa di parole letterarie al regionalismo. L'invettiva è la cifra del suo rapporto con il mondo e con la società e trova il suo apice nella caterva di improperi che traboccano in Eros e Priapo. Tra gli scrittori novecenteschi e contemporanei si distinguono quelli più attenti e polemici nei confronti della società contemporanea, come Pasolini (interessante ovviamente anche per gli apporti dal romanesco di strada) e Arbasino, che ha unito alla sua vena di polemista un sensibile utilizzo del linguaggio parlato, senza remore nel ricorrere anche a livelli espressivi bassi e osceni. Il suo modello, in tal senso, è stato seguito da scrittori più giovani, come Tondelli e Ammaniti. Quest'ultimo è un autore che esprime la sua prolificità nel territorio dell'insulto ricorrendo soprattutto al gergo giovanile e alle forme dialettali e popolari particolarmente grevi. E poi c'è Aldo Busi, che non mostra alcuna reticenza nell'utilizzare con disinvoltura, a fini sia espressivi sia polemici e provocatori, anche repertori linguistici interdetti, soprattutto quelli connessi con l'ambito della sessualità e dell'omosessualità in particolare.

Le parole diventano insulti seguendo due strade. Da una parte vanno a colpire determinate caratteristiche umane negative. Dall'altra non nascono casualmente, ma spesso derivano da ambiti omogenei e aggregabili analogicamente.

Le caratteristiche umane più colpite, come esemplifica sinteticamente, pur nella sua parziale incompletezza, il titolo scelto per questo repertorio - Brutti, fessi e cattivi - sono la bruttezza fisica, la deformità, l'accentuazione di alcuni tratti, lo scarto da una normalità estetica socialmente condivisa; la stupidità con tutte le sue sfumature e il concetto di cattiveria estendibile a tutto ciò che viene ritenuto moralmente riprovevole.

L'individuo particolarmente brutto può essere chiamato aborto, botta (una bella voce antica che propriamente significa rospo), brutto (usato anche come rafforzativo di molte altre ingiurie, associando una qualsiasi caratteristica negativa alla bruttezza fisica), caricatura, cassonetto, cesso, chiavica, ciospo, buco di culo, faccia da cazzo, faccia di cane, imbratto, loffio, malfatto, mostro, mostruoso, obbrobrio, orco, orribile, orripilante, racchio, ripugnante, rospo, scarabocchio, scaracchio, scarafaggio, scarpantibus, scherzo della natura, scontorto, scontraffatto, scorfano, scrauso, sformato, sghimbescio, sgorbio, spauracchio, spaventapassere, spaventapasseri, stomachevole, vespasiano, vomitoso, water, ecc. In particolare se si tratta di donna abbiamo arpia, befana, bertuccia, bruttafiga, cefalo, ciofeca, coria, foca, irravanabile, megera, papero, rafano, ragana, coito, rospa, scarpa vecchia. Ci sono poi epiteti designanti specifiche deformità, quali: bagonghi, gnomo, lilliputo e lillipuziano, nachero, nano, ometto, omiciattolo, omunculo, pigmeo, puffo, pulce, ranocchio, tombolotto (per la bassa statura, specie se accompagnata ad una generale deformità e goffaggine); gobbo, sbilenco, scrignuto; goffo, fagotto, grottesco; rachitico; rincagnato; sciancato, ecc.

Anche la stupidità è una qualità umana che genera una ricca terminologia. Se è vero, come è stato detto, che essa è la componente più diffusa dell'universo, non stupisce quindi trovare un ampio ventaglio di possibilità linguistiche, con diversi gradi di intensità ingiuriosa. Ecco che abbiamo, per ricordare i più consueti, babbeo e tutta la sua famiglia di derivati (babbaccio, babbaccione, babbaleo, babbano, babbazzo, babbione, babbo), baccello, baccellone, bamba, bambo, citrullo, cretino, deficiente, ebete, farlocco, fesso, gaggio, giuggiolone, grullo, imbecille, intronato, locco, minchione, picio, pisellone, pisquano, scemo, sciocco, sempliciotto, stolido, tonno, ecc. Se la stupidità è associata a ottusità, chi ha tali caratteristiche può essere apostrofato come addormentato, beota, cervello di gallina, idiota, insulso, microcefalo, minorato, minus habens, mongoloide (e a questo proposito si può anticipare che nel linguaggio odierno l'insulto e il "politicamente corretto" raramente coesistono), ottuso, ritardato, stordito, tonto.

Ma sono i colpevoli a livello morale (autori di peccati per la religione e di reati per la società) a calamitare il maggior numero di epiteti ingiuriosi, sia per la varietà dei comportamenti peccaminosi e disdicevoli, sia soprattutto per la forte condanna sociale, etica e religiosa che questi subiscono.

L'avaro è detto anche accattone, arpagone, cacastecchi, ebreo, esoso, genovese, gretto, lesina, meschino, micragnoso, mignella, misero, miserone, pelagrilli, piattola, pidocchio, pidocchioso, pillacchera, pitocco, pittima, pulce, rabbino, rabboso, ragno, scorticapidocchi, sordido, spaccatornese, sparagnino, spilorcio, stitico, taccagno, tignoso, tirato, tirchio, ecc.

Il goloso è detto anche abbuffone, acquaio, betoniera, botte, budellone, cesso, chiavica, cloaca, fogna, ghiotto (che anticamente significava anche malvagio, scellerato, a dimostrazione della dimostrazione della gravità del peccato di gola, mentre nell'uso attuale il termine ha perso le sue valenze negative), ghiottone, ingordo, lavandino, leccapiatti, leccardo, leccascodelle, leccataglieri, leccatore, leccone, lupo, lurco, mangione, otre, pappacchione, pappalardo, pappardo, pappolone, pappone, pattumiera, sbafatore, scorticapane, senzafondo, trogolo, trogolone, ventraccio. Così come chi è dedito al vizio del bere può essere chiamato alcolizzato, avvinazzato, beone, bevuto, ebbro, etilico, fracicone, imbriacone, sbornione, schiccherone, spugna, trincatore, trincone, ubriacone...

L'individuo cattivo, crudele, poco raccomandabile, disonesto (raggruppando in un solo gruppo caratteristiche non sempre simili e registri ampiamente divaricati) è definibile con un ampio ventaglio di termini, come: assassino, barabba, barone, belva, bieco, birba, birbante, birbone, boia, briccone, canaglia, cane, carnefice, cervellaccio, delinquente, diabolico, diavolo, dispietato, disumano, duro, efferato, empio, erinni, facimale, farabutto, farinello, feroce, fiero, furfante, furia, furioso, gaglioffo, galeone, galeotto, ghiottone, guidone, iena, impunito, infernale, impestato, ingiusto, ingrato, insensibile, inumano, ladrone, lazzaro, lazzarone, lucifero, macellaio, malandrino, malefico, malerba, maligno, malintenzionato, malvagio, manfano, manigoldo, mariolo, mascalzone, mastino, mostro, mostruoso, orribile, orrido, orso, pelamantelli, pellaccia, pendaglio da forca, perfido, perverso, peste, poltrone, ribaldo, rospo, scampaforche, cattivo soggetto, scellerato, spietato, terribile, terrore, tremendo, villanfottuto, ecc.

Per il vigliacco, il vile e il pauroso gli epiteti più usati sono cagone, codardo, coniglio, fellone, fifone, gallina, imbelle, mezzasega, pavido, pisciasotto, poltrone, pusillanime, strizzone. Il traditore è detto fegatello, fellone, giuda, infido, marrano, rinnegato. L'iroso: furioso, incazzereccio, incazzoso.

I comportamenti legati alla sfera della sessualità sono tradizionalmente stati oggetto di condanna morale e conseguentemente di produzione linguistica denigratoria, particolarmente nei confronti delle donne. Il lussurioso è detto: adultero, affamato, allupato, assatanato, carnalaccio, corrotto, degenerato, depravato, disonesto, disonorato, dissoluto, dragatore, fornicario, fornicatore, impudico, immondo, ingordo, insatirito, lascivo, libertino, libidinoso, lubrico, maiale, osceno, mandrillo, perverso, pervertito, porcaccione, porcello, porcellone, porco, procace, pruriginoso, puttaniere, rattuso, salace, satiro, schifoso, sfacciato, sfrenato, sfrontato, sozzo, sporcaccione, sporco, spudorato, svergognato, tristo, trombone, vizioso, zozzo.

La donna impudica, dal comportamento sessuale dissoluto, dai facili costumi o dedita a specifiche pratiche erotiche, è definita con un ampio repertorio di termini, che vanno dall'eufemismo all'ingiuria pesante (e spesso indicano anche la specifica professione meretricia): androcchia, asina, bagascia, baldracca, bardassa, bocchinara, bravadonna, bucaiola, busona, cagna, chiavicona, ciarpa, ciccantona, cioncola, ciucciacazzi, ciucciapiselli, ciutazza, cloaca, cocotte, corpivendola, donna allegra, donna a pagamento, donna di malaffare, donna di marciapiede, donna di strada, donna pubblica (solo per citare alcuni di questi composti), donnaccia, donnaccola, donnina, fellatrice, femmina (e anche in questo caso sono numerosi gli aggettivi e le specificazioni), femminetta, gaglioffa, gigoletta, graziosa, grima, gugiolona, landra, libertina, locusta, lordarella, ludria, luia, lurida, lustracappelle, madonnina, magalda, magherona, maiala, malafemmina, mammaccia, mandracchia, mandragola, mangiacazzi, marchetta, marchettara, merdaiola, meretrice, miccia, mignotta, mignottone, mingarda, mondana, mungitrice, ninfa, ninfomane, ornitologa, pagliarda, picia, pippaiola, poltra, poltracchia, poltrona, pompinara, porca, puppacarote, puppacazzi, putta, puttana, puttanella, ribalda, roia, rozza, ruffalda, scagnarda, scandalosa, sciacquetta, sciupacazzi, scrofa, sguaiata, sgualdrina, slandra, sozza, sparapompe, sparapompini, spompinatrice, stracciacazzi, stracciafiletti, strappafiletti, strappona, strizzacazzi, succhiacazzi, succhiascroti, sudicia, toppona, trecca, tritacazzi, troia, troione, tromberta, trombetta, vacca, vaiassa, zambracca, zoccola. Da questa categoria deriva un'altra famiglia di insulti, quelli che mirano all'offesa di qualcuno marcandone l'infamante discendenza materna (figlio di androcchia, di baldracca, di bocchinara, di buonadonna, di malafemmina, di puttana, di troia, di zoccola, e così via).

Anche molti termini indicanti l'omosessuale sono fortemente ingiuriosi, come anormale, bucaiolo, buco, busone, checca, cula, culana, culano, culattina, culattino, culattone, culo, culorotto, cupio, deretanaio, diverso, fellatore, finocchio, finocchio, frocia, frodo, frufrù, invertito, marchetta, marchettaro, mettinculo, orecchione, pederasta, pigliainculo, prendinculo, puttano, recchia, ricchione, sfasciatinculo, succhiacazzi.

In opposizione agli insulti di condanna morale connessa con la religione, meritano di essere citati quelli che qualificano negativamente i fanatici della devozione. Ecco che come sinonimi di bigotto abbiamo: bacchettone, baciapile, baciapolvere, baciasanti, beghino, biascicarosari, bizzocco, collotorto, infilzapaternostri, ipocrita, leccasanti, madonna infilzata, mangiamoccoli, oscurantista, paolotto, pinzochero, santocchio, spazzabussole, spigolistro.

Da dove nascono le parole per colpire tali categorie? È possibile individuare alcuni gruppi maggiormente frequentati, comuni anche ad altre lingue, che confermano quanto la categoria linguistica dell'insulto possa considerarsi un vero e proprio sistema.

Un ambito semantico particolarmente ricco per la produzione di epiteti ingiuriosi è quello riferito al corpo. Attraverso una forma di sineddoche degradante la persona viene associata ad una sua singola parte per individuarne qualità negative. Partendo dall'alto, una persona di scarse capacità intellettuali o di lento comprendonio può essere definito testone, zuccone, capone, capoccione o, per usare un termine scomparso dall'uso, capocchio. Anche caparbio (nel suo significato negativo di testardo) appartiene alla stessa famiglia, così come cocciuto, gnuccone, sbroccato (tutti derivanti da termini popolari indicanti la testa). L'apoteosi in questo ambito è raggiunta dal gran numero di espressioni composte da testa (con allusione a forme di deficienza mentale: testa bacata, testa quadra, testa vuota) e soprattutto quando la sede delle facoltà intellettive si incrocia con altri termini che anche individualmente possono essere usati a scopo ingiurioso: ecco quindi i vari testa di cazzo, di minchia, di merda, testa di cavolo, di rapa, ecc.

Ma è particolarmente dall'apparato genitale che provengono tantissimi termini ingiuriosi. Gli organi sessuali maschili per antonomasia sono stati associati al concetto di stupidità, secondo un percorso (che va al di là del puro aspetto linguistico ma diventa antropologico) che vede la sessualità come una dimensione negativa. I sinonimi del pene per indicare la persona stolida e stupida sono innumerevoli e coinvolgono sia la lingua sia i dialetti, a dimostrazione di un meccanismo profondamente radicato. Ecco quindi i più noti minchione, cazzone, faccia di cazzo, faccia di minchia, che si accompagnano a termini di origine regionale quali, ad esempio, abelinato e belinone (genovese), bischero e zugo (toscano), ciula (piemontese-lombardo), picio (piemontese). Ci sono anche casi di passaggi doppi, vale a dire termini che in una prima fase sono metaforicamente diventati sinonimi di pene e quindi, secondo il procedimento di cui sopra, sono giunti a designare l'individuo stupido. Il riferimento può essere a banana, bietolone, bigolo, citrullo (in cui l'origine sessuale non pare evidente da parte del parlante, ma è indubbia la discendenza dalla metaforicità del cetriolo), giuggiolone, moccolone, pincione, pirillo, pirla (anche se in quest'ultimo caso il significato fallico forse è successivo a quello ingiurioso), pisellone e tutta la famiglia delle leguminose (baccello, baccellone, fagiolo), pistola, rapa. Anche i testicoli nell'ambito ingiurioso forniscono materiale linguistico: uno degli insulti di più vasto utilizzo attuale e attestato fin dal Cinquecento è coglione (insieme al suo derivato rincoglionito), ma incontriamo anche il più raro corbello. Molti sono anche gli insulti che per designare la persona fastidiosa, insistente, noiosa, ricorrono a parole composte da un termine indicante il concetto di rottura e da un sinonimo, per lo più di registro basso, di testicoli. Ecco rompicoglioni (anche nella forma contratta rompiglioni), rompimarroni, rompipalle e rompiballe, rompiscatole, scassamarroni, scassapalle, schiaccialimoni, spaccacoglioni, spaccamarroni, spaccapalle, stracciapalle, i rari e recenti, ma verosimili e trasparenti, frantumatesticoli e trifolapalle.

Decisamente minore l'apporto dato dai nomi degli organi sessuali femminili alla categoria dell'insulto. Ma un termine merita di essere segnalato proprio per questa origine, anche se non viene percepito immediatamente come tale. Si tratta di fesso, una parola di uso moderno (attestata non prima del 1898) che deriva dalla voce meridionale fessa, che indica la vulva. Se cazzo ha prodotto, come appena visto, gli ingiuriosi cazzone, faccia di cazzo e testa di cazzo, fica per diventare ingiuria ha bisogno di aggettivi o di specificazioni, e così abbiamo fica di legno o di amianto (per indicare una ragazza altezzosa e poco disponibile), fica di polistirolo (quella che si mostra sdegnosa ma che si concede subito), oppure fica rotta (donna dalla consumata esperienza sessuale), fica secca (donna magra e poco sensuale), mezza figa (ragazza poco attraente). Altre parole derivanti dal significato di vulva e passati a designare l'individuo sciocco e babbeo possono essere bernardone, fregnone, forse gnocco, patacca, e il diffuso termine veneto mona.

Dal sedere derivano anzitutto alcuni termini indicanti spregiativamente l'omosessuale: culo e cula, culana, culano, culattina, culattino, culattone, culorotto, e ancora, con un passaggio indiretto: bucaiolo, buco, busone e poi mettinculo, piglianculo, prendinculo, rottinculo, sfasciatinculo. Ma alcuni di questi termini hanno assunto un significato estensivo rispetto a quello originario connesso all'omosessualità e alle pratiche anali per diventare insulti generici o indicanti altre caratteristiche negative. Ecco che buco di culo è la persona brutta o spregevole; culo pesante indica il pigro e l'apatico; faccia da culo è la persona sfacciata e impertinente; leccaculo è l'adulatore eccessivamente servile; il mettinculo è anche la persona senza scrupoli che non esita a ingannare gli altri; pigliainculo (termine reso famoso da Sciascia) è l'individuo spregevole e privo di personalità; il prendinculo è anche la persona sprovveduta che si fa raggirare o dominare; il rompiculo e lo stracciaculo sono individui fastidiosi e assillanti; rottinculo è spesso usato come ingiuria generica spesso in contesti di linguaggio basso.

In stretta connessione, in quanto ad accostamenti avvilenti, con la sfera sessuale troviamo quella relativa agli escrementi. Anche in questo caso il registro d'uso è basso anche se molto diffuso nel parlato quotidiano, nonostante l'interdizione che colpisce l'ambito coprolalico. L'insulto di tale categoria che subito viene in mente, per la sua altissima frequenza d'uso, è naturalmente stronzo, una voce di origine germanica diffusasi come ingiuria a partire dal romanesco. Il termine ha avuto una larga circolazione soprattutto nel Novecento, ma abbiamo individuato attestazioni addirittura cinquecentesche. Particolamente interessante è una battuta della commedia rinascimentale Gli ingannati degli Intronati di Siena in cui il termine viene personificato, insieme ad altri suoi sinonimi, a voler identificare la persona colpita dall'offesa con la parte più vile di sé, i suoi escrementi. L'individuo spregevole e degno di disprezzo o quanto meno odioso e antipatico è definibile anche merda, pezzo di merda, di merda, merdaccia (di fantozziana memoria), merdone, merdoso, mangiamerda, cagata, faccia di merda, testa di merda, fagotto di merda, palata di merda, palla di merda, sacco di merda, escremento, o nei sinonimi più attenuati cacca, cacherello, cacheronzolo. Sempre in ambito scatologico troviamo alcuni termini composti sull'atto della deiezione, che designano la persona noiosa e fastidiosa: cacacazzo, cacaminchia, oppure la persona incerta (cacadubbi), quella saccente (cacasenno, cacasentenze), quella pavida (cacasotto), l'avara (cacastecchi). E sempre in questo settore fondato su accostamenti molto avvilenti incontriamo un termine d'ampio uso attuale per indicare un individuo particolarmente brutto o repellente per quanto è sporco, vale a dire cesso. Anche l'atto della minzione concorre a produrre termini offensivi, come piscialletto (l'individuo inesperto o imbranato), pisciasotto (il pavido e il vigliacco), piscione (chi minge con abbondanza ma anche lo stupido). Si può aggiungere che anche la flatulenza produce alcuni termini fortemente offensivi: peto e scorreggia indicano una persona degna solo di disprezzo; un individuo particolarmente brutto è loffio (da loffa, cioè peto); scorreggione e spetezzatore non sono certo complimenti. Altre emissioni corporee vengono utilizzate a scopo ingiurioso: una persona brutta o di nessun valore è anche detta sputo o scaracchio. Il diffuso termine milanese bauscia (sbruffone, fanfarone) propriamente è la bava (di chi parla senza sosta vantandosi di continuo). In napoletano sfaccimma è lo sperma e viene usato anche per nominare una persona spregevole.

Un'altra diffusa forma di abbassamento è quella che ricorre all'utilizzo di nomi di animali per designare varie tipologie umane negative. In molti casi si tratta di associazioni immediatamente percepibili: il comportamento o la forma dell'animale vengono accostate a caratteristiche umane. Ma in altre occasioni ci sono connessioni simboliche profonde. Asino già con Giordano Bruno indica la persona ignorante; il termine ha avuto una larga fortuna in ambito scolastico, così come ciuccio, ciuco e somaro (anch'esso in uso da secoli). Ma asino, così come mulo (che allude anche alla cocciutaggine o può essere anche ingiuria generica come sinonimo di bastardo) è anche l'individuo rozzo e grossolano (già in Dante), come i generici animale, bestia, bestione, quadrupede o i più specifici (che talvolta indicano anche la persona molto corpulenta) balena, bisonte, bue, bufalo, caprone, cinghiale, elefante, facocero, gorilla, ippopotamo, lupo mannaro, maiale, orango, orangotango, orso, pachiderma, rinoceronte, scimmione, suino, tapiro, ecc. Alcuni di questi assumono anche altri significati ingiuriosi, come nel caso, notissimo, di maiale, associato all'idea di persona sporca o sessualmente dissoluta oppure maleducata e volgare. Come anche nel caso, altrettanto d'ampio uso, di porco, di suino e soprattutto dei femminili maiala, scrofa e troia. Un altro animale che ha una simile caratteristica di polisemicità è cane. Con tale epiteto si indica una persona genericamente malvagia e spregevole, oppure la persona maldestra e incapace in una determinata attività professionale. Oppure può essere un'ingiuria generica (specie nell'espressione figlio di un cane). Ma cane è anche un insulto storico, rivolto, a partire dalle Crociate, dai cristiani agli ebrei e ai musulmani (e reciprocamente), come già nel famoso passo di Petrarca: "'L sepolcro di Cristo è in man di cani." Al femminile assume un significato per lo più sessuale, riferendosi alla donna impudica e lussuriosa. Un altro insulto d'origine animale di lunga e costante diffusione è cornuto, la cui spiegazione definitiva ancora non è stata offerta. Appare strano che un simbolo, le corna, associato tradizionalmente ai concetti di virilità, di coraggio e di forza sia passato a quello del tradimento coniugale. La possibile spiegazione è da connettersi a quella di becco (il maschio della capra), che indica il marito tradito fin dal Quattrocento. L'associazione caprone-uomo tradito potrebbe derivare dal fatto che capre e pecore siano femmine che non si accoppiano con un solo maschio, quindi il passaggio potrebbe essere da becco per sineddoche a cornuto. Ma perché il termine caprone non presenti nessuna attestazione nel significato di marito tradito è tuttora inspiegabile (mentre invece abbiamo usi antichi di pecoro e pecorone con tale senso, come in Batacchi: "Io son pecoro, signori! / Ramiro chiava la mia moglie.").

Per altre categorie zoologiche il passaggio semantico è immediato, come per alcuni rettili, che per lo più vengono associati all'idea di falsità, di malvagità, di tradimento: aspide, cobra, rettile, serpe, serpente, o come nel caso di certi pesci che indicano persone ingenue e credulone, che "abboccano" facilmente (come i diffusi epiteti boccalone, merluzzo, pesce, nuovo pesce, tonno e i più rari o antichi avanotto, dentice, granchio). Altri pesci, per diverse specificità, vengono diventano sinonimi di persona dallo sguardo spento e dalla scarsa personalità (pesce lesso), oppure stupida (ghiozzo, salacca), o spregiudicata negli affari (pescecane), o ancora molto vorace (piranha), o estremamente brutta (scorfano). Alcuni uccelli notturni o rapaci sono diventati allusivi alla stupidità (allocco, barbagianni), al sopraggiungere di disgrazie (gufo, uccello del malaugurio), all'avidità (falco, nibbiaccio, sparviero). Anche dalle scimmie provengono alcuni nomi offensivi: babbuino macaco, mammone (per definire lo sciocco), bertuccia, scimmia, scimmiottatore, scimmiottesco, scimmiotto (per indicare chi, privo di personalità, tende a imitare le idee e i comportamenti altrui), mandrillo (l'uomo libidinoso), cercopiteco, scimmiesco (designanti l'individuo dai tratti o dalle proporzioni che ricordano quelli delle scimmie o anche quello dai modi rozzi), gorilla, orangotango (chi ha una corporatura massiccia e modi grossolani).

Una categoria importante è anche quella dell'ingiuria etnica, che nel corso dei secoli si è sedimentata in forme stereotipate che in parte continuano a durare. Ebreo, rabbino, come prima detto, sono stati sinonimi di avaro e di usuraio, così come genovese e raguseo; zingaro è passato ad indicare la persona sporca e trasandata e, più in generale, degna di ogni disprezzo; baluba, beduino, ottentotto e zulù sono diventati epiteti indirizzati alla persona grossolana, stupida o dai modi rozzi; talebano definisce chi ha atteggiamenti di intolleranza e di oltranzismo.

L'interdizione storicamente ha colpito soprattutto le ingiurie e le maldicenze di carattere sessuale e scatologico, escludendole dalla civile conversazione. Oggi nella società occidentale il "politicamente corretto" ha posto il veto soprattutto nei confronti degli epiteti razziali, di quelli relativi alle menomazioni fisiche e di alcune professioni ritenute degradanti. Esemplare il caso del professor Coleman Silk, il protagonista della Macchia umana di Philip Roth, sospeso dall'insegnamento universitario, nonostante una carriera brillantissima, per aver inconsapevolmente pronunciato in aula il termine "spook", riferendosi a due studenti che non si erano mai presentati al suo corso. Tale parola ha come significato primario quello di "fantasma", ed è in tal senso che è stato usato riferendosi alla latitanza dei due allievi, ma in gergo significa anche spregiativamente "negraccio". Ecco quindi scattare la denuncia e la conseguente punizione.

Insulti, ingiurie, maldicenze, invettive, improperi, epiteti, contumelie, dunque, non sono soltanto semplici "parolacce" o strumenti di aggressione verbale ma lo specchio profondo di una intera civiltà, della sua mentalità, della sua cultura, del suo sistema di valori, dei suoi codici di giudizio, delle sue paure e delle sue difese. E il tentativo di Brutti, fessi e cattivi è quello di rendere conto di questa complessità.

Giovanni Casalegno

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