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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 7 1° arrondissement 19 2° arrondissement 47 3° arrondissement 69 4° arrondissement 77 5° arrondissement 91 6° arrondissement 135 7° arrondissement 169 8° arrondissement 187 9° arrondissement 195 10° arrondissement 217 11° arrondissement 223 12° arrondissement 227 13° arrondissement 235 14° arrondissement 251 15° arrondissement 273 16° arrondissement 277 17° arrondissement 283 18° arrondissement 293 19° arrondissement 313 20° arrondissement 321 Bibliografia 335 Indice dei nomi 339 Indice dei luoghi 352 Ringraziamenti 359 Cari amici lettori 359 |
| << | < | > | >> |Pagina 7PREFAZIONE
"In fondo è a Parigi che, dopo secoli di conflitti sanguinosi,
è stata inventata la rivolta popolare."
ANDREW HUSSEY
Non tutti lo sanno, ma il termine "barricata", che in decine di lingue sta a indicare una sommossa urbana o rivolta di strada, è parola francese. Più precisamente parigina. Infatti è nel Quartiere latino di Parigi, in place Maubert, che alcuni studenti della Sorbona innalzarono con i loro professori le prime barricate della storia, il 12 maggio 1588. Il vocabolo fu coniato proprio in quell'occasione, a partire da uno degli oggetti più utilizzati in quei giorni dai manifestanti: le botti (in francese barriques), barili riempiti di sabbia e pietre e accatastati per sbarrare le strade. L'ironia della storia sta nel fatto che, nell'atmosfera di odio delle guerre di religione, queste prime barricate non furono erette da ribelli assetati di libertà, ma da integralisti cattolici intolleranti e fanatici. Gli abitanti della capitale, per ragioni in parte ancora misteriose, sono sempre stati pronti a scendere in strada e hanno spesso dato prova di un comune sentimento frondeur, di insubordinazione nei confronti delle autorità. Anche il termine frondeur, ricordiamolo, è parigino. Viene da fronde, una fionda di facile costruzione utilizzata dai ragazzi di strada di Parigi e impiegata dai rivoltosi del Pont-Neuf nel 1648 per protestare contro la politica fiscale di Mazzarino. Questa sommossa si convertì rapidamente in una grande insurrezione popolare con circa un migliaio di barricate a bloccare il centro di Parigi. E si sarebbe presto trasformata in una vera e propria rivolta contro la Corona (quella di Luigi XIV), conosciuta appunto con il nome di Fronda. Ma l'archetipo della rivolta parigina - la madre di tutte le rivolte - è quella del febbraio 1358, quando Étienne Marcel, prevosto dei mercanti (l'equivalente odierno del sindaco di Parigi), guidò un'insurrezione contro il potere reale. Voleva instaurare una monarchia con forme di controllo per ridurre l'assolutismo. La rivolta si inscriveva nella scia della decisiva vittoria politica riportata un secolo e mezzo prima, nel 1215, dai baroni inglesi sulla Corona (quella di Giovanni Senzaterra). I ribelli avevano ottenuto la promulgazione della Magna Charta che limitava, per la prima volta, l'arbitrio regale e stabiliva l' habeas corpus e i diritti delle città. Rappresentante del Terzo Stato, Étienne Marcel incarna quindi in Francia l'ascesa di forze sociali capaci di mettere in crisi la società feudale, in particolare il ruolo del clero e della nobiltà il cui potere, ormai superato, si fonda sui possedimenti terrieri. I borghesi di città invece traggono la loro ricchezza dal commercio, attività economica all'epoca in forte espansione. Cosa che altrove - in Italia, nelle Fiandre o nella Lega anseatica tedesca, per esempio - aveva favorito l'autonomia politica delle città-stato e suggerito che cittadini e commercianti fossero più adatti ad amministrare la società rispetto ai nobili o alla monarchia. In questo senso la ribellione di Étienne Marcel - la cui statua equestre domina oggi la Senna dalla mitica place de Grève (oggi place de l'Hôtel-de-Ville) - segna profondamente l'immaginario dei parigini. Incarna la volontà popolare di abolire un'autorità spesso percepita come illegittima perché elitaria, arbitraria e abusiva. Per questa ragione, la rivolta del leggendario prevosto dei mercanti rappresenta anche un'istanza irrinunciabile di autonomia e di libertà. Sebbene repressa, o proprio a causa del suo fallimento, la sommossa di Étienne Marcel preannuncia in certa misura tutte le future sollevazioni, le proteste e le lotte dei parigini fino alla rivoluzione del 1789, alla Comune del 1871 e alla rivolta del maggio 1968. Parigi non ha, beninteso, il monopolio delle ribellioni popolari. In altri paesi europei, nel corso della storia, ce ne sono state di molto importanti (nelle città-stato italiane del Rinascimento, in Inghilterra o nei Paesi Bassi, per esempio) così come in America (la rivoluzione americana risale al 1776). Ma alla fine del XVIII secolo a Parigi si verifica una congiuntura inedita di fattori intellettuali e politici che impone con forza, e per quasi due secoli, la capitale francese quale epicentro di tutte le rivoluzioni. Anche le più impensabili. E luogo d'incontro di tutti i ribelli. Anche i più utopisti. Tutto ha inizio con l'Illuminismo e l' Enciclopedia. Le tesi di filosofi come Voltaire e Rousseau su religione, morale, politica e tolleranza sconvolgono la mentalità dell'epoca. Questi pensatori propongono un ripensamento radicale del modo di interpretare il mondo. L'umanità aveva vissuto nell'oscurantismo delle superstizioni, questi filosofi invece vogliono rischiararla grazie ai lumi della ragione, della scienza e del progresso. Quanto a usi e costumi, Parigi era già piuttosto disinvolta e molto aperta, in particolare, alle idee libertine. Spingendosi oltre, del resto, il marchese de Sade elabora proprio qui e in questo periodo la sua estremistica rivoluzione sessuale enunciata nelle 120 giornate di Sodoma. In un simile contesto molte idee innovatrici formulate da una generazione di indomiti filosofi - Montesquieu , Diderot , Condorcet , d'Alembert, Helvétius, d'Holbach - si diffondono e mettono radici in seno alla vita parigina, principalmente attraverso i caffè letterari, molto in voga all'epoca, situati soprattutto lungo i viali del Palais-Royal (cafè de Foy) o nel Quartiere latino (Le Procope) e anche tramite le sociétés d'esprit, circoli letterari e salotti organizzati quasi sempre da donne di grande audacia intellettuale (Mme Geoffrin, Mlle de Lespinasse, la marchesa di Deffand). La buona società frequenta i rappresentanti del mondo letterario, legge in anteprima le loro opere e si entusiasma per le loro riflessioni e punti di vista. Poco a poco, grazie a un effetto paragonabile al fenomeno fisico della percolazione, queste idee pionieristiche penetrano negli strati sociali della capitale. Turbano incredibilmente la maniera abituale di guardare le cose. Mettono a soqquadro l'ordine politico dominante che opprime la popolazione ridotta in miseria dall'autorità dei potenti. Sotto questo aspetto, i filosofi aprono gli occhi ai cittadini: "Nessun uomo" afferma Diderot "ha ricevuto dalla natura il diritto di comandare gli altri." Gli animi sono quindi maturi e sussistono le condizioni per l'esplosione politica. Manca solo la scintilla. Scocca il 14 luglio 1789 quando i parigini vessati dalle restrizioni si rivoltano e, in cerca di armi, prendono la Bastiglia, simbolo del dispotismo regale. Crolla l'Ancien Régime. Comincia la Rivoluzione francese. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino viene votata il 26 agosto 1789. Il rosso e il blu, colori di Parigi, con l'aggiunta del bianco tradizionale della monarchia andranno a formare la bandiera tricolore. I parigini scaraventano il mondo in una nuova era. E per esprimere drammaticamente questo ribaltamento, Luigi XVI viene ghigliottinato il 21 gennaio 1793. L'eco di questa esecuzione - che annuncia l'emancipazione di un popolo - è universale. Così come il messaggio della Rivoluzione. L'impresa del popolo dei sobborghi parigini, capace di prendere il potere e abbattere l'aristocrazia, prova che niente è impossibile quando la massa della povera gente mostra la propria forza. Nonostante i suoi eccessi (il Terrore), la Rivoluzione francese provoca un sisma sociale di magnitudo inedita. Irretisce tutti gli uomini innamorati della libertà. A Parigi quindi, ormai mecca dello spirito rivoluzionario, accorrono spontaneamente i giovani ribelli del mondo intero in cerca di ispirazione, di modelli, idee e strutture. Simón Bolívar è uno dei primi. Fin dal 1805, giunto a Roma, sull'Aventino giura solennemente di lottare per la liberazione del suo paese, il Venezuela. Giovane ufficiale, si stabilisce nella Parigi postrivoluzionaria dove frequenta caffè alla moda e club politici, e assiste, nella cattedrale di Notre-Dame, all'incoronazione di Napoleone I. Di ritorno in America, farà parte della giunta di Caracas che nel 1810 sarà la prima tra le colonie spagnole a rivendicare l'indipendenza. In seguito diventerà il grande Libertador dell'America Latina. Anche se dopo la disfatta di Napoleone ebbe luogo una restaurazione monarchica, i parigini dei quartieri più contestatari (faubourg Saint-Antoine, faubourg Saint-Denis, faubourg Saint-Marcel) rimangono ancorati al vento rivoluzionario del 1789. E fin dal 1830, in seguito a una serie di ordinanze che limitavano i diritti, a Parigi spira di nuovo aria di rivoluzione. Il 27 luglio 1830, e per i due giorni successivi (le "tre giornate gloriose") una volta ancora le strade della capitale si riempiono di barricate. Nel suo celebre dipinto La libertà guida il popolo, Delacroix mostra i parigini di nuovo uniti nella rivolta e nella lotta contro un re (Carlo X). Donne e uomini, bambini e adulti, borghesi e proletari, militari e civili, bonapartisti e repubblicani, tutti insieme, con la cattedrale di Notre-Dame sullo sfondo, i parigini si sollevano pronti a morire per la libertà. Risultato: l'ultimo dei Borboni è rovesciato, ma la repubblica non è ristabilita. Nel febbraio 1848, a Parigi si avverte di nuovo "un vento di rivoluzione che è nell'aria", come lo definirà Tocqueville. Gli artigiani della capitale soffrono la concorrenza delle fabbriche, proliferate grazie alla rivoluzione industriale. Una parte della popolazione, quella di Belleville, di Montmartre o delle rive del Bièvre, è ormai proletaria. La libertà di stampa permette alle idee di circolare, anche a quelle contestatarie, e ai critici di esprimersi. La Francia dell'epoca è uno dei paesi più liberi d'Europa e attira a Parigi centinaia di intellettuali, attivisti politici e artisti stranieri in fuga da censura e regimi repressivi. Man mano che nelle fabbriche parigine aumenta il numero di operai e di operaie, le idee socialiste si radicano. Le tesi critiche di Charles Fourier sulla società seducono una parte dei cittadini che si organizza in comunità utopiche (i falansteri). Anche Proudhon, uno dei fondatori del socialismo, abita a Parigi. Nel 1840 pubblica Che cos'è la proprietà? nel quale afferma che "la proprietà è un furto", e nel 1846 Filosofia della miseria, che ha grande risonanza negli ambienti operai. Si moltiplicano nuove proposte (credito gratuito, assicurazioni, sindacati) per costruire una società più giusta. Anche Karl Marx si stabilisce a Parigi, nel 1843. Vi incontra, al café de la Régence, vicino Palais-Royal, Friedrich Engels con il quale scriverà il Manifesto del partito comunista. Entrambi partecipano attivamente al fermento degli ambienti rivoluzionari parigini, frequentati all'epoca da numerosi rifugiati politici. Ci si può imbattere per esempio in Bakunin, venuto dalla Russia, che nei suoi scritti ha posto i fondamenti del socialismo libertario. L'effervescenza è altrettanto intensa negli ambienti artistici. Murger, in Scene della vita di Bohème, descrive questa nuova generazione di scrittori e pittori che conducono una vita agli antipodi dei dettami borghesi. Passano il tempo nei caffè fumosi e abitano nelle mansarde, poiché hanno scelto di vivere unicamente della loro arte, senza concessioni alla censura borghese o alle regole accademiche, anche a costo di sopportare stenti e privazioni. Scelta che, qualche anno più tardi, Rimbaud tradurrà in questi termini: "Giuro, caro maestro, di adorare sempre le due dee, la Musa e la Libertà." Parigi all'epoca è la città che conta il maggior numero di caffè e brasserie letterarie in cui le discussioni sull'arte e la politica infiammano gli animi. Nonostante le modeste tirature, dal momento che buona parte dei parigini è analfabeta, la città pullula di gazzette e giornali che permettono di vivere più o meno bene a centinaia di giornalisti, scrittori, poeti, caricaturisti, disegnatori, incisori, illustratori... In aperto contrasto con la tradizione dominante nascono nuove scuole di estetica e, come in nessun altro luogo, generano dibattiti che talvolta si trasformano in veri e propri conflitti ideologici. Il febbraio 1830 vede la "battaglia di Ernani", a proposito della pièce di Victor Hugo che inaugurò il genere del dramma romantico. E il 1835 la pubblicazione di Papà Goriot di Balzac , modello del romanzo realista. Ben presto, nel 1851, in ambito pittorico ci sarà il manifesto realista di Courbet con il suo potente e provocatorio Funerale a Ornans. Poi, nel 1857, il processo intentato a Flaubert per Madame Bovary e la censura dei Fiori del male di Baudelaire "per oltraggio alla morale pubblica e al buon costume". In questa atmosfera di eccitazione artistica e agitazione politica, la povera gente è allo stremo a causa dell'elevato costo della vita. Nel febbraio 1848, infatti, i prezzi dei generi alimentari aumentano. Si formano assembramenti di protesta. Vengono innalzate barricate accanto alla Concorde, vicino alle Tuileries, allora residenza di Luigi Filippo. Niente di davvero grave. Ma un gruppo di contestatori, operai e studenti, saccheggia un deposito di armi e va a provocare, agitando pistole e fucili, le truppe di guardia a un ministero in boulevard des Capucines. I soldati perdono il sangue freddo e sparano. Diciassette morti. Accatastati su una carretta dai manifestanti sopravvissuti, i cadaveri vengono portati in giro per i quartieri popolari di Parigi. Si grida vendetta. E la gente dei sobborghi, una volta ancora, si solleva. I senza classe, i dimenticati dalla storia, quelli di cui George Orwell (che visse da barbone a Parigi) diceva: "Si innalzano statue ai politici, ai poeti, ai vescovi, mai ai cuochi, ai salumieri o agli ortolani." Sono loro che rovesciano Luigi Filippo. La Seconda Repubblica viene proclamata. Questa terza rivoluzione in meno di sessant'anni (che Napoleone III sfrutterà poco dopo a proprio vantaggio) sottolinea ancora una volta il carattere ribelle di Parigi. Questi eventi d'altronde accrescono l'attrazione esercitata dalla capitale francese sui rivoluzionari di tutto il mondo. Appena due decenni più tardi, dal 26 marzo al 28 maggio 1871, ha luogo a Parigi una quarta rivoluzione, la rivoluzione della Comune, la più radicale, la più micidiale per la ferocia della repressione messa in atto da Versailles. Karl Marx l'ha definita "la prima insurrezione spontanea del proletariato". In quest'occasione per la prima volta è la bandiera rossa a simboleggiare il movimento rivoluzionario. Evoca il sangue degli operai in rivolta, morti per l'emancipazione sociale. In materia di educazione, di uguaglianza fra i sessi, di condizioni di lavoro, giustizia, democrazia, organizzazione della società, dei culti e delle libertà, la Comune di Parigi propone innovazioni radicali, progressi immensi in confronto alle esperienze politiche portate avanti in altre parti del mondo. Segnerà profondamente tutti i dirigenti operai. Ispirerà per lungo tempo i movimenti di contestazione in Francia e le grandi rivoluzioni nel resto del pianeta, in particolare la rivoluzione bolscevica del 1917. Come scriverà Marx: "La Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno come la gloriosa precorritrice di una società nuova. Il ricordo dei suoi martiri è conservato rispettosamente nel grande cuore della classe operaia." Del resto Lenin e sua moglie Nadezda Krupskaja si stabiliscono a Parigi (rue Marie-Rose) dal 1909 al 1912 dove, con altri leader rivoluzionari come Kamenev e Zinov'ev, vivono anni molto difficili dal punto di vista finanziario e politico. A quell'epoca Parigi continua ad attrarre giovani rivoluzionari provenienti da paesi talvolta lontani. Zhou Enlai e Deng Xiaoping, per esempio, futuri dirigenti della rivoluzione cinese, si trasferiscono a Parigi nel 1920. Abitano vicino place d'Italie, lavorano nelle fabbriche Renault a Billancourt e si imbevono di tradizione ribelle parigina. Anche il capo dell'insurrezione vietnamita Ho Chi Minh passa da Parigi, dove risiede dal 1919 al 1923. Vive modestamente come ritoccatore di fotografie, continuando i propri studi. Partecipa inoltre al congresso di Tours (1920) che vede la nascita del Partito comunista francese, allora chiamato Sezione francese dell'Internazionale comunista. Decine di artisti stranieri accorrono verso la capitale nella speranza di incontrare quegli autori, francesi o forestieri, che stupiscono il mondo: Rimbaud, Verlaine, Proust, Céline, Berlioz, Bizet, Debussy, Manet, Cézanne, Renoir, Van Gogh, Modigliani, Picasso, Braque, Matisse... Parigi in questo periodo è la capitale indiscussa dell'arte. Tra il 1870 e il 1940, in qualsivoglia ambito artistico, si diventa maestri incontestati su scala mondiale solo se si ha successo a Parigi. Le rivoluzioni artistiche vi si avvicendano in ogni settore: pittura, scultura, musica, balletto, letteratura, cinema, architettura. Una delle più spettacolari, e di risonanza universale, è probabilmente quella del surrealismo, teorizzato dopo il 1918 da André Breton, che mescola lirismo poetico, scrittura automatica, psicanalisi (Freud ha vissuto e studiato a Parigi) e trotskismo. Con la grande crisi economica, gli anni '30 vedono il ritorno a Parigi di rivolte sociali e occupazioni di fabbriche che preannunciano il Fronte popolare e la nuova ondata di innovazioni progressiste, in particolare le ferie pagate e la settimana di 40 ore. Poi, con la disfatta del 1940 e l'occupazione, Parigi resiste e si libera. L'esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Albert Camus fa proseliti. Seguiranno le manifestazioni parigine contro le guerre coloniali. E il grande movimento contestatore parigino del maggio '68, che ancora una volta ha una eco internazionale. Con esiti intellettuali come lo strutturalismo e i suoi maestri (Barthes, Foucault, Lacan, Derrida, Althusser), la cui influenza raggiungerà i campus universitari di tutto il mondo. Ci saranno poi i grandi scioperi del novembre-dicembre 1995. E l'infiammarsi delle banlieue nel novembre 2005. A conferma che a Parigi le ribellioni non finiscono mai. Se sotto il profilo artistico e intellettuale Parigi ha forse smesso di essere il centro del mondo, nell'ambito della contestazione politica la capitale francese rimane in vetta alla classifica delle città più ribelli. È il vanto dei parigini, francesi o stranieri, preferire da sempre i disordini all'ingiustizia. RAMÓN CHAO, IGNACIO RAMONET | << | < | > | >> |Pagina 20(1-4) Place Vendôme (M) PYRAMIDES Di fronte all'Opéra, rue de la Paix conduce verso la piazza più bella e armoniosa di Parigi: place Vendôme. Alla fine del regno di Luigi XIV vi si insediano possessori di grandi capitali, come il banchiere John Law, inventore della carta moneta. Dopo il 1789 i rivoluzionari si impadroniscono di questo luogo di alto valore simbolico. Viene chiamata allora place des Piques, delle picche, a causa delle teste dei nobili brandite dai rivoluzionari. La rivoluzionaria Théroigne de Méricourt vi faceva decapitare gli aristocratici a sciabolate. L'11 agosto 1792, Danton cinse d'assedio la Cancelleria del regno, sita al numero 11, presso l'hôtel de Simiane (o hôtel de la Chancellerie), dove stabilì il governo provvisorio della Repubblica. Una delle sue prime decisioni, il 12 agosto 1792, è quella di abbattere la statua del re Sole, che dominava la piazza là dove oggi si trova la colonna. Al numero 8, all'hôtel Delpech de Chaumot, abitava anche Louis-Michel Lepeletier de Saint-Fargeau, deputato della nobiltà sostenitrice della rivoluzione, che votò a favore della decapitazione di Luigi XVI. Vi muore dopo essere stato pugnalato in un caffè del Palais-Royal il 20 gennaio 1793, alla vigilia dell'esecuzione del re. La Convenzione organizza un'imponente cerimonia funebre: il corpo di Lepeletier de Saint-Fargeau, nudo e sanguinante, è sistemato in mezzo alla piazza, sul basamento dell'antica statua di Luigi XIV, ricoperto soltanto con un drappo che lascia scoperta la ferita, in un'impressionante allestimento neoclassico firmato Jacques-Louis David. Il 15 agosto 1810, durante il Primo Impero, su questo stesso basamento fu posta una colonna alta 43 metri, simile alla Colonna Traiana di Roma ed eretta in onore della vittoria di Austerlitz. In cima alla colonna troneggiava allora una statua di Napoleone in veste di imperatore romano. L'8 aprile 1814, durante la prima Restaurazione, la statua dell'imperatore viene tirata giù, fusa (fu utilizzata nel 1818 per creare la statua di Enrico IV situata sul Pont-Neuf) e sostituita da una bandiera bianca. Nel 1818, sotto la seconda Restaurazione, la bandiera bianca sarà sostituita a sua volta da un enorme fiore di giglio. Il 28 luglio 1833, durante la Monarchia di Luglio, viene tolto il giglio e messa una nuova statua di Napoleone. Realizzata da Seurre, rappresenta l'imperatore vestito con la sua tradizionale redingote e il bicorno in testa. Il 4 novembre 1863 Napoleone III la fa togliere per sistemarla sulla rotonda della Défense (gettata nella Senna, sarà ripescata e collocata definitivamente nel 1911 all'interno della corte d'onore dell'hôtel des Invalides, dove si trova tuttora). La statua che la sostituisce, commissionata allo scultore Auguste Dumont (autore del Genio della libertà posto in cima alla Colonna di Luglio, in place de la Bastille), rappresenta Napoleone in veste cesarea. Abbattuta dalla Comune parigina nel maggio 1871, la colonna, sormontata da questa stessa statua, è stata restaurata e ricostruita nel maggio 1873. | << | < | > | >> |Pagina 48(1) Boulevard des Capucines 35. Nadar (M) OPÉRA In questo edificio, Nadar (Felix Tournachon, 1820-1910) installò nel 1860 il suo celebre studio di fotografia. Fu anche giornalista, caricaturista, scrittore, aviatore, realizzò ritratti di celebrità della sua epoca e concepì numerosi progetti di navigazione aerea. L'insegna luminosa fu creata da Antoine Lumière, uno degli inventori del cinematografo. Qui furono accolti gli impressionisti per la loro prima esposizione, nel 1874. "Nadar è la più stupefacente espressione della vitalità" scriveva Charles Baudelaire. | << | < | > | >> |Pagina 48(2) Rue de la Michodière. Gracchus Babeuf e gli Eguali (M) QUATRE-SEPTEMBRE Arriviamo in rue de la Michodière dove si trovava, all'angolo di boulevard des Italiens, un celebre stabilimento termale, i Bains chinois, che all'epoca della Rivoluzione francese servì da luogo di cospirazione a un leggendario ribelle: Gracchus Babeuf, ghigliottinato a Vendôme il 27 maggio 1797 in compagnia di Darthé. I due rivoluzionari figuravano tra i quarantasette accusati nel processo per la congiura degli Eguali. Babeuf e i suoi compagni furono tra i primi a rivendicare il nome di "comunisti". Karl Marx affermava che Babeuf era stato "il primo comunista attivo", e secondo Jean Jaurès era "colui che ha fondato nel nostro paese non solo la dottrina socialista, ma soprattutto la politica socialista". Fin dai dodici anni François Noël, futuro Gracchus Babeuf, lavora come sterratore al canale di Piccardia; successivamente si batte contro le imposte indirette, organizzando petizioni e riunioni. Viene imprigionato il 19 maggio 1790. Liberato a luglio, grazie a Marat, Babeuf rompe con il cattolicesimo: "Il cristianesimo e la libertà sono incompatibili" scrive. Ma poiché continua a mobilitarsi a fianco dei contadini e degli operai piccardi, è costretto a fuggire a Parigi. Arriva nella capitale in una torrida serata del luglio 1793, Si sistema in un albergo vicino place de Grève, e comincia a predicare: "Ravviso due partiti diametralmente opposti... Sono abbastanza convinto che vogliano la repubblica; ma ciascuno la vuole a suo modo. Uno la desidera borghese e aristocratica, l'altro sostiene di averla fatta pienamente popolare e democratica e così vuole che rimanga..." Gli operai tendono l'orecchio. Quando a tutti sembra che la rivoluzione si esaurisca nella libertà di coscienza e di parola, Babeuf rettifica: "Non è cosa da poco rovesciare i re ma non è ancora l'uguaglianza. Benessere per tutti, istruzione per tutti... ecco il nostro scopo." Fa propaganda per la distribuzione delle terre. E si burla delle elezioni: "Non si fa la rivoluzione contando i voti ma con la saggezza, il valore civico e il disinteresse." Appoggia le rivendicazioni dei sanculotti e fonda il club del Panthéon. Con "Le tribun du peuple", la cui prima uscita è del 3 settembre 1794, conquista un vasto pubblico e adotta allora il nome Gracchus in omaggio ai Gracchi, iniziatori di una riforma agraria nella Roma antica. È inoltre fautore della necessità di una "insurrezione pacifica". Sciolto nel 1795, il club viene subito rimpiazzato da un comitato clandestino che complotta contro il Direttorio. Babeuf è arrestato e in prigione incontra Filippo Buonarroti. I due uomini diventano inseparabili; insieme saranno l'anima della congiura degli Eguali, che Buonarroti racconterà in un'opera letteraria. Lo scopo è giungere alla collettivizzazione delle terre e dei mezzi di produzione per ottenere la "perfetta uguaglianza" e la "felicità comune". Si riuniscono sia nei giardini delle Tuileries sia nei caffè di proprietà di patrioti fidati. Ma il loro quartier generale, come abbiamo detto, sono i Bains chinois, costruzione stravagante all'angolo di boulevard des Italiens e di rue de la Michodière. Secondo Babeuf i borghesi ingannano il popolo cospirando contro di esso per conservare il loro predominio. Occorre perciò continuare la rivoluzione, rispondere con una sorta di contro-cospirazione affinché il popolo riconquisti la propria libertà e si incammini verso una perfetta uguaglianza. Il 10 maggio 1796 (19 fiorile anno IV), la polizia arresta Babeuf, Buonarroti, Darthé e tutti i principali organizzatori della congiura. Per evitare tentativi di evasione, sono trasferiti a Vendôme e imprigionati in gabbie in attesa del processo, iniziato il 20 febbraio 1797. Il 26 maggio 1797 (7 pratile anno V) Buonarroti e altri sei accusati vengono condannati alla deportazione. Babeuf, al quale si imputa l'iniziativa del complotto, e Darthé sono destinati alla ghigliottina. Tentano entrambi il suicidio; il giorno successivo vengono trasportati sanguinanti al patibolo. | << | < | > | >> |Pagina 59(7) Rue Saint-Joseph 10. Émile Zola (M) SENTIER Partendo da place des Victoires, prendete rue du Mail fino a rue du Sentier. La prima a sinistra è rue Saint-Joseph. Al numero 10, al quarto piano, è nato l'autore del "J'accuse". La famiglia Zola si stabilisce ad Aix-en-Provence nel 1843, poiché il pater familias, un ingegnere italiano, doveva costruirvi un canale. La sua morte, avvenuta quando Émile ha solo sette anni, impone al resto della famiglia la necessità di trasferirsi: "Essere poveri a Parigi" dirà "significa essere poveri due volte." Émile prosegue alla meno peggio gli studi al liceo Saint-Louis, ma viene bocciato alla maturità (a causa del suo francese). Nel 1862 si procura un impiego alla libreria Hachette, dove frequenta numerose personalità del mondo letterario. Il lavoro gli permette di trasferirsi al numero 7 di impasse Saint-Dominique (in una casa ormai demolita), mettendo fine ad anni di tribolazioni. Poi il futuro scrittore va a vivere da solo in rue Neuve-Saint-Étienne-du-Mont 4 (diventata rue Rollin), in un sottotetto dove si dice abbia abitato Bernardin de Saint-Pierre. I traslochi tuttavia proseguono in rue de la Pepinière 62, in un edificio le cui finestre danno sul cimitero di Montparnasse (attuale rue Daguerre). Successivamente, con la madre, si sposta al civico 7 di impasse des Feuillantines (fine 1863), poi in rue Saint-Jacques 278 (1864), e infine in boulevard du Montparnasse 142 (1865). All'inizio del 1866 lascia Hachette per consacrarsi alla scrittura, per far entrare nei suoi romanzi la Parigi del barone Haussmann, i suoi boulevard, le sue stazioni, le sue halles e i suoi grandi magazzini. Si accosta rapidamente al realismo e a quello che è stato chiamato naturalismo: "Il nostro eroe" scrive Zola "non è più il puro spirito, l'uomo astratto del XVIII secolo. È il soggetto psicologico della nostra scienza attuale, un essere composto di organi che si tempra in un ambiente dal quale è penetrato in ogni momento." Nietzsche gli risponde in modo violento: l'intento di Zola consiste nella "gioia di puzzare". E non si può certo contare su Dostoevskij per venirgli in aiuto: "Ho preso in mano Zola, e solo con immane fatica ho potuto leggere una tale bruttura..." Come scrive Jean d'Ormesson: "Al di là di queste critiche, la grandezza di Zola consiste nell'inserire nella sua monumentale opera e nell'apportare a questo lavoro titanico i frutti di una straordinaria esperienza politica e sociale acquisita con il giornalismo, ma anche e soprattutto il contributo decisivo di un impulso romantico e di un temperamento epico." Zola ottiene l'indipendenza economica a cui aspirava assicurandosi la pubblicazione della sua opera sia a puntate che in volume (cosa che non era riuscita a Balzac), e approfittando abilmente degli "scandali" con cui vengono accolti alcuni suoi scritti. Ma la sua vita personale sarà sconvolta dall'affare Dreyfus. Nel 1894 il capitano Alfred Dreyfus (1859-1935), ebreo dell'Alsazia, fu accusato di spionaggio e condannato da un tribunale militare alla destituzione e alla deportazione nell'Isola del Diavolo. Due anni più tardi si provò che il giudizio era fondato su documenti falsificati, e si ebbero seri motivi per pensare che il vero colpevole fosse un ufficiale sommerso dai debiti, il comandante Walsin Esterhazy (1874-1923). Quest'ultimo, dopo un processo farsa, fu tuttavia assolto. In occasione del processo Dreyfus, Zola lancia un attacco rimasto celebre. Ha impiegato diversi anni per formarsi un'opinione su questo processo. Poi passa dall'indignazione alla rivolta. Dal momento in cui si convince dell'innocenza del capitano, l'11 gennaio 1898 pubblica nella rivista "L'Aurore" un'altisonante lettera al presidente della Repubblica: "J'accuse". L'affare Dreyfus spacca la Francia in due fazioni e per poco non fa vacillare la Repubblica. L'impegno a sostegno di Dreyfus porta in pochi giorni un'immensa fama a Zola, ma soprattutto gli attira nemici spietati. Detestato, calunniato (in parte per le sue origini straniere), deve lasciare la Francia per qualche tempo. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1902 Émile Zola è vittima di un'asfissia da ossido di carbonio. La procura della repubblica del dipartimento della Senna apre un'inchiesta corredata da denuncia contro ignoti. È risaputo come dopo il "J'accuse" Zola fosse stato costantemente minacciato di morte dagli avversari di Dreyfus. Ma parlare di omicidio significherebbe dividere di nuovo la Francia in due schieramenti ostili, mentre il governo cerca al contrario di placare gli animi. I poliziotti incaricati delle indagini concludono in fretta che si è trattato di un'intossicazione dovuta al cattivo tiraggio del camino. E il procuratore sporge querela contro ignoti. Questa tesi ufficiale della morte accidentale è accettata da tutti fino al giorno in cui un imprenditore di nome Henri Buronfosse, in punto di morte, rivela a un parente di essere l'assassino di Zola. L'omicida, al servizio degli ultranazionalisti, ha fatto morire lo scrittore ostruendo il camino della sua camera. Riaprendolo il mattino stesso del decesso, ha messo gli inquirenti su una falsa pista. Questa confessione sarà tenuta segreta per venticinque anni. | << | < | > | >> |Pagina 205(5) Boulevard des Italiens 22. Café Tortoni (M) OPÉRA All'angolo di rue Taitbout, a lato del Théâtre des Italiens, divenuto salle Favart e poi Opéra-Comique, si trovava la gelateria Tortoni, il più celebre caffè letterario di Parigi. L'immenso successo delle opere di Rossini rappresentate in questo teatro attirava al Tortoni una folla enorme. Un successo simile si ripeté con i concerti di Liszt e di Chopin. Con la sua bella terrazza, il café Tortoni fu il luogo di appuntamento più elegante dell'epoca romantica. Honoré de Balzac, Théophile Gautier, Anthony Trollope, Alfred de Musset, Jules Janin ed Édouard Manet ai loto esordi venivano qui a rivaleggiare in eleganza e ingegno. È al Tortoni che dobbiamo la tranche napolitaine, un gelato formato da tre strati di gusti differenti. Il café Tortoni fu fiorente anche sotto Luigi Filippo e Napoleone III. All'epoca era frequentato soprattutto da esponenti della borghesia reazionaria, come Talleyrand, Thiers, Lacretelle, il conte d'Orsay, celebre per la sua raffinatezza, il conte di Montrond, uno dei re della moda, il dottor Véron, direttore dell'Opéra e del giornale "Le Constitutionnel"; Alphonse Royer, uno dei successori dell'autore delle Mémoires d'un Bourgeois de Paris alla direzione dell'Opéra, lord Seymour, famoso per le sue stravaganze, Khalil-Bey, poi divenuto Khalil-Pascià, ministro a Costantinopoli e ambasciatore turco a Parigi, il conte Otto von Bismarck. Ci si possono incontrare anche artisti come Édouard Manet e letterati quali Aurélien Scholl. Durante il suo soggiorno a Parigi nel 1894, anche il rivoluzionario cubano José Martí (1853-1895), apostolo dell'indipendenza di Cuba, frequentò il café Tortoni, che considerava il quartier generale del conservatorismo reazionario parigino. | << | < | > | >> |Pagina 206(6) Rue Le Peletier. Felice Orsini. Attentato contro Napoleone III (M) LE PELETIER Felice Orsini era nato nel 1819 nell'appassionata Romagna, inclusa da mille anni nello stato della chiesa, culla di tanti rivoluzionari esasperati da un'amministrazione papale esigente e inquisitrice. All'età di diciotto anni aderisce alla Giovine Italia, società segreta repubblicana che aspira a unificare l'Italia. Condannato all'ergastolo per aver partecipato ai moti in Romagna del 1844, è uno dei principali collaboratori di Mazzini e fa parte della temporanea Assemblea repubblicana di Roma del 1848. Condannato a morte nel 1855 a seguito di nuovi tentativi d'insurrezione, evade e si rifugia a Londra. Convinto della necessità di realizzare una grande rivoluzione democratica in Europa, identifica quale nemico di questo progetto Napoleone III, l'antico carbonaro divenuto imperatore che non ha esitato a schiacciare la Repubblica romana. Giunto a Parigi insieme ad altri tre italiani, Gomez, Pieri e Di Rudio, Orsini decide di attentare alla vita dell'imperatore in occasione di uno spettacolo all'Opéra, allora situata in rue Le Peletier 12. Il 14 gennaio 1858, alle 20.35, la coppia imperiale arriva per assistere alla rappresentazione di Maria Stuarda. I carbonari lanciano tre bombe sul corteo. Napoleone III e l'imperatrice Eugenia ne escono illesi. Il corteo reale raggiunge il proprio palco, e il pubblico può vedere l'imperatore che di tanto in tanto asciuga, non senza ostentazione, una goccia di sangue che cola da un taglio sulla fronte. Le bombe, però, hanno ucciso 12 persone e ne hanno ferite 156 tra la folla. Gli autori dell'attentato sono giudicati dalla Corte d'assise in due udienze, il 25 e 26 febbraio 1858. Vengono difesi dall'avvocato e uomo politico Jules Favre. Condannati a morte, Orsini e Pieri salgono al patibolo il 13 marzo 1858 gridando: "Viva l'Italia! Viva la Francia!" L'attentato serve da pretesto per una legge severa, la Legge di sicurezza generale promulgata dal governo il 27 febbraio 1858, che regolamenta la repressione contro i repubblicani francesi - considerati complici - alcuni dei quali sono deportati in Algeria. Per altri versi, questo episodio fa sì che venga indetto un concorso per un nuovo teatro dell'Opéra con accessi più sicuri, che sarà chiamato Palais Garnier. | << | < | > | >> |Pagina 230(2) Bois de Vincennes. Noam Chomsky (M) PORTE DORÉE Proprio nel bel mezzo del Bois de Vincennes, dietro il Théâtre du Soleil di Ariane Mnouchkine, si trovavano i locali dell'Università Paris 8, fondata alla fine del 1968. All'epoca stuoli di giovani divoravano i libri dei grandi pensatori rivoluzionari, mentre il paese si riprendeva alla meno peggio dal terremoto del maggio '68. In quest'atmosfera di fermento un ministro di destra, Edgar Faure, istituì due università. A ovest della città l'Università Paris-Dauphine, vicino al Bois de Boulogne e ai quartieri bene, a est un "centro sperimentale" nel cuore del Bois de Vincennes, con un programma inedito e poco ortodosso. Bene o male, a Vincennes prese piede un modello originale, nel quale le scienze (matematica e informatica), le lettere e le arti erano a stretto contatto. Nuovi insegnamenti vi faranno la loro comparsa. E ben presto questa università diverrà per la destra il simbolo di un detestabile sinistrismo. In realtà molti salariati iscritti ai corsi serali desiderano acquisire piuttosto una preparazione supplementare che consenta loro di cambiare vita. Allo stesso modo gli stranieri, così come quanti non hanno avuto la possibilità di completare gli studi fino al diploma, sentono la necessità di superare un esame per inserirsi nella vita attiva. Quanto agli insegnanti, la loro dedizione a volte sfiora l'apostolato: nel 1969 un professore propose di dividere il suo compenso con gli studenti, con la motivazione che non è giusto pagare uno solo quando lavorano tutti. A Vincennes, ricordano alcuni ex studenti, tutto si svolgeva in modo intenso e tumultuoso. L'atmosfera di gioiosa agitazione del maggio-giugno '68 persisteva, caratterizzando questa istituzione universitaria creata proprio con la partecipazione di molti "sessantottini", sia insegnanti che allievi. Vi regnava un'aria di festa. Alle porte dell'università c'era una specie di mercato africano, un suk. Sui muri iscrizioni di ogni tipo, dipinti e disegni variopinti. Sempre musica in sottofondo. Assemblee generali infinite. Giovani che si baciavano nei corridoi. Gruppi omosessuali pronti a farsi valere. Paris 8-Vincennes alimentava una subcultura contestatrice in cui si fondevano gioco, desiderio e spirito critico. Questo aspetto ludico del rapporto con l'autorità permane come il suo tratto più peculiare. Era molto difficile imporre qualcosa, perché immediatamente studenti e insegnanti vi si opponevano. Funzionava un po' come un groupe en fusion sartriano. Durante le lezioni dello psicanalista Lacan si faceva baccano in Aula magna. Una volta durante una sua conferenza uno studente iniziò a spogliarsi completamente. Il preside di facoltà ogni tanto veniva "sequestrato" per qualche ora. I poliziotti non entravano nelle aule. L'autorità professorale non aveva alcuna vera base istituzionale. Per fare lezione ogni insegnante doveva conquistarsi la propria autorità morale e intellettuale. Le discussioni, talvolta molto violente, farebbero impallidire di rabbia certi insegnanti di oggi. Gli studenti discutevano le modalità di valutazione. C'era il rischio di degenerazioni, ma nel complesso si realizzava un'effettiva trasmissione delle conoscenze. Negli anni '70 l'Università Paris 8 era come "fuoco sotto la cenere" grazie al quale si andava ricostituendo la forza della dissidenza nei confronti dell'ordine stabilito. Parallelamente vi si ricercava una fonte di ispirazione in grado di rischiarare il mondo e dargli senso. A Paris 8 era d'obbligo interessarsi alle teorie più originali. I pensatori di maggior prestigio vi tenevano conferenze. Ogni giorno era una festa per l'intelletto! Nel ribollire di idee, dibattiti e contestazioni che caratterizzava questa università all'inizio degli anni '70, Noam Chomsky venne a tenere alcuni corsi di linguistica. Insegnante al Massachussets Institute of Technology e autore di molte opere di linguistica destinate a rinnovare la disciplina, Chomsky era già famoso in tutto il mondo. Inizialmente era stato un convinto sostenitore dell'approccio scientifico. Ma negli anni '60 aveva messo in atto un'autentica rivoluzione negli studi sul linguaggio e sulla grammatica, al punto da sconvolgere con i suoi lavori le neuroscienze cognitive. Nel periodo in cui insegna a Vincennes Chomsky si impegna apertamente in politica e diventa uno dei principali oppositori della guerra del Vietnam con la pubblicazione del saggio Responsibility of the intellectuals, apparso sulla "New York Review of Books". Successivamente Noam Chomsky si è distinto per le sue posizioni contro l'imperialismo americano e le opinioni politiche di carattere libertario, esposte nei suoi numerosi libri e nelle conferenze tenute in giro per il mondo. Le sue critiche acute alla politica estera americana e all'illegittimità del potere americano ne fanno una figura assai apprezzata a sinistra, su scala planetaria. La sua costante preoccupazione è analizzare in modo rigoroso e oggettivo la politica americana così come quella delle democrazie occidentali, il loro funzionamento e i rapporti che instaurano con media e intellettuali... In un libro di fondamentale importanza - La fabbrica del consenso, del 1988 - scritto con Edward Herman, Chomsky esamina i fattori giornalistici, economici e sociologici che permettono quello che lui chiama il "lavaggio del cervello in regime di libertà". Inaugura così un nuovo filone di studi sui mass media destinato a fare scuola ma anche a procurargli attacchi di eccezionale ferocia. L'intento principale di Chomsky è restituire agli individui la voglia di essere critici, di guardare al di là delle apparenze, di respingere le idee preconfezionate proposte dai media, in particolare le tesi ultraliberali che vogliono trasformarci in consumatori passivi: "La folla deve essere sviata verso obiettivi inoffensivi grazie alla gigantesca propaganda orchestrata e animata dagli ambienti affaristici (per metà americani) che impegna capitali ed energie enormi per trasformare le persone in consumatori atomizzati e in docili strumenti di produzione (quando hanno abbastanza fortuna da trovare un lavoro). È di importanza cruciale che i normali sentimenti umani siano schiacciati; non sono compatibili con un'ideologia al servizio dei privilegi e del potere, che celebra il profitto individuale come supremo valore umano." Nel 2005 Noam Chomsky è stato eletto dai lettori della rivista britannica "Prospect" il "più grande intellettuale vivente". Questo straordinario ribelle contemporaneo è divenuto ciò che Jean-Paul Sartre fu nella Francia degli anni '50 e '60: un punto di riferimento in materia di pensiero critico, di consapevolezza impegnata e di militanza politica. | << | < | > | >> |Pagina 278(1) Rue de l'Alboni. Cornelius Castoriadis (M) PASSY La ribellione è merce rara nel triste e pomposo 16° arrondissement. È qui che la gente vota più a destra, ai margini di Neuilly. Nelle elezioni presidenziali del 2007 Sarkozy ottenne a Neuilly l'80,81%, mentre i suoi opulenti vicini lo portarono al potere con l'86,81%. Però possiamo dire che si tratta anche dell'arrondissement più trotskista, dato che concesse 449 voti (0,63%) a Olivier Besancenot, candidato della Lega comunista rivoluzionaria, mentre a Neuilly raccolse appena 158 voti (0,47%). Queste cifre non devono scoraggiare i turisti delle Parigi ribelle. Al contrario, quando il dissenso è sporadico è ancora più necessario. Cerchiamone qualche traccia: in primo luogo Cornelius Castoriadis. Ai piedi della stazione sopraelevata del metrò Passy visse uno dei pensatori più ribelli del XX secolo. Psicanalista, economista, filosofo "enorme, fuori della norma", si faceva beffe della crescente insignificanza, della falsa impertinenza, della falsa sinistra prona davanti agli orrori dell'economia. Castoriadis nacque a Costantinopoli nel 1922, sotto la dittatura di Metaxas. A quindici anni s'iscrisse contemporaneamente al liceo e alla Gioventù comunista (allora illegale). Più tardi seguì studi di filosofia, diritto ed economia, poi ruppe col comunismo, che trovava nazionalista e burocratico, per militare nel movimento trotskista. Convinto che lo vogliano liquidare sia i fascisti che i comunisti, nel 1945 decide di venire in Francia per portare a termine la sua tesi di filosofia. Entra allora in una nuova fase: si allontana dal trotskismo, elabora un comunismo molto sui generis con compromessi ideologici di stampo bolscevico. Tutte le critiche allo stalinismo gli appaiono infondate, ragione per cui decide di dare vita con Claude Lafont alla rivista "Socialisme ou Barbarie". Pur continuando a criticare il mondo capitalista, denunciano "i regimi che trasformano il pensiero marxista in ideologie reazionarie". In pratica: il marxismo autoritario dell'URSS produce lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e porta ai gulag e alle purghe staliniane. Se alcuni suoi libri richiedono un alto livello di erudizione, la sua opera comprende anche testi accessibili ai ribelli autentici, che troveranno in essi le chiavi necessarie per cambiare il mondo. Il posto migliore per leggere Castoriadis è l'Île des Cygnes all'inizio della primavera. Andando verso il ponte di Bir-Hakeim, quest'isola si trova alla nostra sinistra. Sediamoci su una panchina, tra i rami degli alberi possiamo scorgere le anatre selvatiche; sulla punta dell'isola si innalza la Statua della Libertà. | << | < | > | >> |Pagina 284(1) Boulevard Malesherbes 157. La Bella Otero (M) MALESHERBES Prima di ospitare il consolato di Spagna questo edificio apparteneva ai fratelli Émile e Isaac Pereire, ricchissimi nipoti di Jacob Rodrigues Pereira, ebreo portoghese arrivato in Francia nel 1741 e divenuto interprete di Luigi XV. Uno dei discendenti di Émile lo regalò alla Bella Otero, la più appariscente, maliarda, impietosa cortigiana della Belle Époque. Chi era Carolina Otero? La giornalista Laure Adler ci scuserà se riprendiamo la sua descrizione: "Da piccola, osservava il gallo con le sue galline. Ancora ragazzina, in un pensionato femminile scopriva le delizie dell'amore a tre. All'età in cui si destano i desideri, si faceva violentare da un vecchio depravato. Galiziana era e galiziana resterà fino alla morte: dura con sé stessa quanto con gli uomini che seduceva, coraggiosa, tenace, ostinata, incapace di venire a patti con la verità. Credeva alla forza del sesso come modalità di appartenenza al mondo. Dagli uomini ricevette nel migliore dei casi sgarberie, nel peggiore violenze a ripetizione. Dalle donne seppe farsi amare e seppe amare il loro corpo ma anche la loro anima. Solitaria, selvaggia, scontrosa, la sua vita si intreccia con le convulse passioni del secolo. I vagabondaggi amorosi e le emozioni sessuali di quella che i nemici chiamavano 'la bella Utero' hanno disgustato i borghesi. Persa nel mondo del vizio, si poneva sempre al di là del bene e del male, e per la sua intransigenza e il gusto della libertà incarnò uno dei destini più scandalosi del secolo passato." Semplice ballerina e prostituta, non avrebbe mai dovuto passare alla storia, per grandi che fossero le sue attrattive. È lecito quindi chiedersi come faccia a suscitare ancora tanto interesse. Se ne analizziamo la vita nel contesto della società del suo tempo, dimenticando l'aspetto aneddotico, constatiamo che visse quasi un secolo e incarnò lo spirito di un paese e di un'epoca. Nata nel 1868 e morta nel 1965 (si dice si sia suicidata per non diventare centenaria), stava quasi per conoscere il maggio 1968, e si fatica a credere che sia stata testimone delle prime avvisaglie di questo mese, come gli incidenti al festival di Cannes. La sua vita è la testimonianza di una società arretrata, borghese e oppressiva, controllata dalla chiesa e dalla piccola borghesia rurale e volgare. Testimonianza di una dominazione maschilista nelle città mentre in campagna sussiste la società matriarcale. Testimonianza insomma della condizione femminile dell'epoca. Violentata ancora prima dell'adolescenza, lavorò come serva in varie case — dove i padroni avevano senza dubbio il diritto di abusare delle loro domestiche — e si prostituì in una casa d'appuntamento. Il personaggio di Carolina Otero ci mostra una prospettiva ulteriore: l'altra faccia della società borghese. La borghesia nasce in questo periodo e si radica durante la seconda metà del XIX secolo. In Francia, sotto il Secondo Impero, porta il nome di borghesia liberale. Nascono poi la seconda e la terza generazione della borghesia, che traggono profitto dall'arricchimento prodotto dalla società industriale che ha avuto origine alla fine del XVIII secolo: l'invenzione della macchina a vapore nel 1776, la Rivoluzione francese nel 1789. Le generazioni che adottano lo stile di vita borghese appaiono nella seconda metà del XIX secolo e sono quindi contemporanee della Bella Otero. Dietro le quinte, Carolina Otero ci svela la faccia nascosta della borghesia trionfante. Ne rappresenta il lato oscuro ma anche quello libertino: il piacere, la lussuria, il vizio. Dà corpo ai desideri proibiti di una società dove prevalgono l'ambiguità e il bigottismo: "La fortuna vien dormendo, ma non se dormi sola" diceva. Era diretta: "Un uomo che ha un conto aperto da Cartier non può essere considerato brutto." I gusti degli arricchiti sono semplici: si riassumono nel divertimento e nei piaceri della carne. Tuttavia il buon borghese non se ne assume la responsabilità. Ha quindi l'abitudine di sistemare l'amante in un appartamento - questo fu il caso della giovane Carolina, prima a Lisbona, poi a Barcellona, poi ancora in Francia a bordo di yacht e negli hôtel particulier - oppure di rinchiuderla in case d'appuntamento o in alloggi ammobiliati, spesso nascosti all'ombra delle cattedrali. A Parigi Carolina conoscerà il periodo d'oro della borghesia, con i suoi bordelli e i lupanari dipinti da Toulouse-Lautrec. Frequenta gli ambienti artistici dell'epoca dove è considerata la reincarnazione di uno dei più celebri personaggi della letteratura del XIX secolo, La signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio. Quando, trent'anni dopo la pubblicazione di questo romanzo, si stabilisce nella capitale, è lei stessa una Margherita, che tuttavia non muore di tisi grazie alla salute di ferro che le ha dato la terra di Galizia. E incarna anche la Traviata di Verdi, per i suoi drammi e per l'inutile ardore con cui si impegna a diventare una cantante d'opera.
Il suo arrivo coincide inoltre con l'apogeo della letteratura erotica. Già
un secolo prima il marchese de Sade aveva praticato questo genere letterario,
ma si trattava di un erotismo militante, il sesso al servizio della sovversione.
L'epoca di Carolina vedrà invece emergere un erotismo clandestino e scandaloso,
con i grandi romanzi anonimi della fine del XIX secolo come le
Memorie di una cantante tedesca,
una delle narrazioni più scabrose dell'800. Una
storia che avrebbe potuto essere scritta dalla Bella Otero: oggi è d'obbligo
constatare, dopo aver letto i testi scritti da lei, che sono simili e forse di
migliore qualità. Carolina Otero fu al tempo stesso donna, serva, ballerina e
prostituta. Rappresenta insomma il rovescio di quel mondo, il riposo del
guerriero. È corteggiata dai militari, dai grandi generali delle due guerre,
quella del 1870 e quella del 1914. È il passatempo del principe, il piacere del
re, il divertimento del borghese. Anche l'espressionismo degli anni '20 e '30
vuole che la prostituta cristallizzi tutta la volgarità di questa classe. Si pensi
all'
Angelo azzurro,
adattamento del romanzo
Professor Unrat,
realizzato da Josef von Sternberg per Marlene Dietrich, dove compare la celebre
Lulu; ma anche a tutte le caustiche incisioni di Grosz, dove la Bella si oppone
alla Bestia, che altro non è se non la personificazione del borghese. La Bella
Otero è la trasgressione incarnata, l'ignominioso segreto della borghesia, le
sue notti folli, il suo giocattolo, tutto quanto essa non osa vivere alla luce del
sole. È l'opposto dei valori familiari borghesi, dell'abnegazione e del
principio cristiano della salvezza tramite il lavoro. La chiesa, la famiglia, la
società la condanneranno perché vedono in lei la personificazione diabolica
della "cosa", uno dei concetti più torbidi della psicoanalisi. Se si considera
Carolina Otero nel contesto della letteratura spagnola, il personaggio acquista
una dimensione universale come la Celestina o la Lozana andalusa.
Ma ancora più che a queste, io penso a Don Giovanni. Lei è l'incarnazione
spagnola del Don Giovanni al femminile, ruolo difficile da sostenere.
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