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| << | < | > | >> |IndicePrefazione, di Luciano Gallino 9 Introduzione 15 Capitolo 1. 1954: Adorno in Italia. L'esordio della teoria critica 31 1.1. L'operazione Solmi-Einaudi 31 1.2. La critica italiana dopo i Minima moralia 59 1.3. Panzieri e il «francofortismo» 71 1.4. Tra filosofia e musicologia 78 Note 93 Capitolo 2. Gli anni '60: dall'élite alla società di massa95 2.1. I «Quaderni Piacentini»: un laboratorio della nuova sinistra 95 2.2. Letture della Scuola di Francoforte prima del '68 109 2.3. Le prime critiche di parte comunista 116 2.4. La posizione dei gesuiti: «Civiltà cattolica» 124 2.5. Letture filosofiche e sociologiche nel 1968 131 Note 141 Capitolo 3. La svolta del '68 143 3.1. L'Istituto negli anni '50 e '60: tra impegno teorico e cautele politiche 143 3.2. Teoria critica e movimento studentesco: vicini o lontani? 147 3.3. Marcuse maestro del '68? 154 3.4. La prima monografia italiana sulla Scuola di Francoforte 163 3.5. Francoforte nel «biennio rosso»; tra mass media e accademia 169 Note 178 Capitolo 4. Il post '68: crisi della contestazione e analisi critica 179 4.1. Intellettuali comunisti e teoria critica 179 4.2. Le prime monografie su Adorno 184 4.3. L'immagine della Scuola di Francoforte nei mass media 192 4.4. Rivoluzione o libertà: la destra in cerca di nuovi mentori 198 4.5. Una rivista utopica e la teoria critica 205 4.6. Grandezza e limiti della ricerca sociale 210 Note 220 Capitolo 5. Dalla passione alla riflessione 221 5.1. La sinistra e la Scuola di Francoforte 221 5.2. Cattolici e teoria critica 234 5.3. Una rivista di letteratura: «Il Verri» 246 Note 252 Capitolo 6. 6.1 Minima moralia censurati? 253 6.1.1 Minima moralia e i «Minima immoralia» 253 6.2. Una polemica mancata 270 Note 274 Capitolo 7. La fine degli anni '70 275 7.1. Il convegno di Trento sul pensiero critico 275 7.2. Una casa editrice extraparlamentare 284 7.3. Marxismo e ricerca sociale 287 7.4. Studi su Adorno 289 7.5. L'edizione completa dei Minima muralia 296 Note 301 Capitolo 8. Il decennio del riflusso: gli anni '80 303 8.1. Gli anni '80 e la crisi della ragione 303 8.2. Adorno e l'ideologia tedesca 306 8.3. Due studi sulla Scuola di Francoforte 309 8.4. Lontano dal'68 313 8.5. Adorno tra letteratura e filosofia 317 8.6. Dialettica dell'illuminismo 320 8.7. Psicoanalisi e teoria critica 324 8.8. Un'introduzione alla Scuola di Francotorte 328 8.9. Gli anniversari dell'Institut für Sozialforschung 332 Note 336 Capitolo 9. Ritorno alla filosofia: gli anni '90 337 9.1. Perché un ritorno alla filosofia 337 9.2. L'eredità di un lontano passato 338 9.3. La filosofia italiana e la teoria critica 343 9.4. Il dibattito sulla Dialektik der Aufklàrung 350 9.5. Un convegno del Goethe Institut 359 9.6. A lezione da Adorno e Horkheimer 365 9.7. La teoria critica alla fine del '900 370 9.8. Un bilancio editoriale 373 Note 381 Conclusione 383 Note 388 Bibliografia 389 |
| << | < | > | >> |Pagina 31L'utilità del vivere non è nella durata ma nell'uso. Michel de Montaigne, Saggi 1.1 L'OPERAZIONE SOLMI-EINAUDI 1.1.1 Una casa editrice, una città: l'Einaudi e Torino A meno di un decennio dalla fine del secondo conflitto mondiale appare in Italia uno strano libro di aforismi a firma di un certo Theodor Wiesengrund Adorno. L'eco non è grande ma alcuni studiosi di filosofia e di letteratura lo notano e lo recensiscono. Si scopre che si tratta di un filosofo, sociologo e musicologo nato in Germania nel 1903; fa parte dell'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, assieme ad altri intellettuali ebrei tedeschi. La traduzione e la prefazione al libro sono opera di un ventiseienne redattore della casa editrice Einaudi, Renato Solmi, figlio del poeta e critico Sergio. Questa pubblicazione ha il carattere di una vera e propria svolta, immettendo nel circuito italiano l'insieme di analisi su capitalismo, totalitarismo, società di massa, industria culturale, musica moderna nota come teoria critica della società. Per chi ha vissuto quel periodo il 1954 riporta alla memoria un'atmosfera ancora abbastanza chiusa alle novità provenienti dall'estero; e soprattutto sono anni in cui ci si interroga sul percorso da compiere per ricostruire un tessuto sociale, una realtà economica, una cultura propria. Un lavoro di analisi sulle letture italiane della Scuola di Francoforte non può che iniziare con l'interrogarsi su come hanno reagito nel clima degli anni '50 i lettori (ancora poco numerosi) di un libro dallo strano titolo, | << | < | > | >> |Pagina 95La libertà del prossimo estende la mia all'infinito Michail Bakunin 2.1 I «QUADERNI PIACENTINI»: UN LABORATORIO DELLA NUOVA SINISTRA 2.1.1. Breve storia della rivista Della nascita della nuova sinistra - con la conseguente attenzione maturata verso nuovi orientamenti di pensiero e linguaggi, e l'interesse crescente per i problemi di una società industriale avanzata e le sue contraddizioni - fa fede una rivista che rappresenta dal 1962 un laboratorio di grande importanza per i contributi che offre e per il livello e l'eterogeneità dei suoi collaboratori: si tratta dei già citati «Quaderni Piacentini». L'atmosfera in cui appare il primo numero nel marzo 1962, edito in una tranquilla città del settentrione italiano immerso nel boom economico — Piacenza — è quella che segna anche la nascita della già ricordata «Quaderni Rossi»; ma a differenza della testata animata dal gruppo raccolto attorno a Raniero Panzieri, programmaticamente marxista ed operaista ante litteram, la rivista piacentina si presenta all'inizio come periodico dedicato ai problemi locali sociali e culturali, estendendo però quasi subito il suo raggio di interessi, tanto a livello geografico che tematico. I fondatori sono Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi, e i numerosi collaboratori, saltuari o fissi, testimoniano nella loro eterogeneità di formazione e interessi l'estrema ricchezza, il grande rigore e ad un tempo l'apertura a tutte le nuove correnti culturali e politiche che mostrino la volontà di superare vecchie mentalità e orizzonti provinciali.
La forza primigenia del periodico è data dal suo essere all'inizio stampato
semplicemente al ciclostile, dalla forte carica polemica - a volte non esente da
moralismi -, dal sarcasmo e dalla capacità di descrivere e denunciare senza
mezzi termini vizi, retoriche, miserie della società dal periodo del boom in poi
(la rivista chiuderà definitivamente i battenti nel 1985), [...]
2.1.2. I «Quaderni Piacentini» e la Scuola di Francoforte negli anni '60 Sulla rivista escono otto saggi su Adorno, Horkheimer e Marcuse (oltre a quelli dedicati a Benjamin e Fromm) tra il 1964 e l'82; analizzeremo, per rispettare per quanto possibile un criterio cronologico, dapprima quelli pubblicati tra il 1964 e il '67, dando conto più avanti di quelli usciti nel '73 e nell'82. In tal modo avremo anche la possibilità di verificare fino a che punto gli anni successivi all'ondata di lotte operaie e studentesche della seconda metà degli anni '60 abbiano permesso un'analisi più teorica e distaccata dagli avvenimenti sociali della teoria critica - soprattutto in un laboratorio così particolare come la rivista di cui ci stiamo occupando. Un'idea del carattere spesso anticipatore che il periodico ha avuto, specialmente negli anni '60 e '70, la si può avere leggendo le note che Augusto Veggezzi scrive su un'opera tra le meno conosciute di Marcuse, Soviet Marxism, pubblicata a New York nel 1958 e tradotta in italiano dieci anni dopo presso Guanda. Vegezzi scrive nel 1964 basandosi sulla traduzione francese (Marxisme sovietique, Paris, Gallimard, 1963} e in tal modo contribuisce a far conoscere un testo marcusiano assai importante quattro anni prima della sua traduzione italiana. Il lavoro di Marcuse viene definito da Vegezzi un importante tentativo di cogliere i più significativi aspetti ideologici che hanno ispirato lo sviluppo dello stato sovietico tra l'ottobre del 1917 e gli anni di Kruscev; più che un'indagine filosofica si tratta di un utilizzo degli strumenti della sociologia articolati marxisticamente. La struttura socio-politica dell'Urss viene analizzata alla luce del confronto con il modello marxiano e con quello occidentale. Dalla ricognizione su concetti come classe in sé e classe per sé, soggetto storico della rivoluzione, interesse reale del proletariato - così come erano stati sviluppati da Marx - si passa poi alla teoria dell'imperialismo e alle differenze di elaborazione in Lenin e Eduard Bernstein; se il leninismo rappresenta in maniera ortodossa il pensiero marxiano, il centralismo democratico identifica il partito comunista con il vero soggetto della rivoluzione e il portatore della coscienza del proletariato. Per il francofortese il prevalere dell'industrializzazione sulla liberazione socialista non rappresenta un tradimento del marxismo bensì una reinterpretazione marxista di una realtà «anomala» rispetto al modello costruito da Marx. Il marxismo sovietico si presenta come una riformulazione ortodossa di una situazione storica che, lungi dal verificare una crescita rivoluzionaria del proletariato in seno al capitalismo maturo, consegnava la rivoluzione all'iniziativa demiurgica di una sparuta minoranza, profondamente logorata da una dura guerra civile e costretta a venire a compromessi con i gruppi tecnico-economici capaci di far funzionare la società in crisi e di organizzare uno stato efficiente. L'orientamento politico, sociale ed economico del nuovo stato sovietico è dunque segnato dal passaggio non tanto dal capitalismo al socialismo quanto dalla fase precapitalista a quella del capitalismo di stato (concetto utilizzato costantemente da Horkheimer e Adorno) in cui le forze produttive si trovano subordinate allo stretto controllo del potere amministrativo centralizzato. | << | < | > | >> |Pagina 179Chi faceva allora il suo ingresso nel mondo sentiva già al primo angolo di strada il soffio dello spirito alitargli in viso Robert Musil, L'uomo senza qualità 4.1 INTELLETTUALI COMUNISTI E TEORIA CRITICA Ritorniamo sulla questione delle tre aree ideologiche che intevengono nel dibattito sulla Scuola e specificamente su quella marxista di cui si possono sostanzialmente identificare quattro linee. La prima è rappresentata dallo storicismo comunista che costituisce il nucleo teorico di ispirazione del partito comunista fino agli anni '70 e che detta, come si diceva allora, la linea. Le discussioni all'interno del nucleo dirigente non mancano ma è implicito (e sovente anche esplicitato) un confine rigido oltre il quale scattano le accuse di deviazionismo, estremismo o idealismo piccolo borghese. E non si tratta della preistoria del Pci considerando che tra il caso de «Il Politecnico» di Vittorini alla fine degli anni '40 e quello de «Il Manifesto» nel '69 corre sostanzialmente lo stesso fil rouge di dogmatica intolleranza e granitiche certezze. La seconda linea è quella di Della Volpe, antistoricista e contrario all'orientamento prettamente gramsciano, ma soprattutto togliattiano, del Pci. Della Volpe, che incontra una certa fortuna editoriale negli anni '50 e '60, sviluppa un'analisi della Scuola incentrata molto più sul rifiuto della critica alla tecnologia che sulla preoccupazione di valutare la distanza dei francofortesi da un marxismo che il partito certifica con la rassicurante etichetta di ortodossia. In tal senso si può dire che in rapporto alla teoria critica il filosofo sia più vicino alle argomentazioni del gruppo laico-illuminista, analogamente sconcertato dal modo in cui Adorno e colleghi affrontano i temi del progresso e della tecnologia. È vero che Della Volpe, e ancor più Colletti, equiparano i francofortesi ai vari Huizinga, Jaspers e Ortega y Gasset nella critica conservatrice del moderno; ma come abbiamo visto anche Rossi, Santucci, Casini lasciano spesso intendere che si tratta di un apparentamento plausibile pur se maggiormente sfumato rispetto a quello evidenziato dai due filosofi comunisti. Il terzo filone marxista è rappresentato dall'operaismo di Panzieri, Mario Tronti, Antonio Negri, Alberto Asor Rosa, gruppo in origine raccolto attorno alla rivista «Quaderni Rossi». Restando sul piano della necessaria sintesi basta ricordare che dai primi anni '60 alla fine dei 70 la galassia operaista vive una diaspora che porta alcuni ad iscriversi al partito comunista (o a rientrarvi), altri a fondare il gruppo Potere Operaio, altri ancora dopo lo scioglimento di quest'ultimo a gravitare nell'area dell'Autonomia. Le due letture operaiste che analizziamo nel nostro studio sono differenti fra loro: se Panzieri — come abbiamo visto - sviluppa una critica di Adorno che non manca di identificarne i punti comuni, Giangiorgio Pasqualotto - come vedremo - muove da un'ottica pregiudizialmente incentrata sulla prassi che lo porta ad un'analisi della Scuola altrettanto disturbata da pregiudizi. Infine, il marxismo della nuova sinistra ci sembra tanto quello maggiormente influenzato dalla teoria critica quanto quello che riesce ad elaborare le letture più disinteressate da un punto di vista ideologico. Come avremo modo di osservare in seguito è piuttosto la finalità rivoluzionaria a creare la fondamentale distanza critica dai francofortesi, nel senso che gli studiosi alla sinistra del partito comunista si pongono in un'ottica di marxismo come strumento teorico per il cambiamento radicale della società tardocapitalista. Ma anche in questo filone critico si riscontrano delle differenze a volte notevoli. Se gli studi, per esempio, di Rutigliano, Pretti, Meriggi impiegano delle coordinate ancora più o meno rigorosamente marxiane perdendo di vista una parte della ricchezza di riferimenti e della complessità delle opere dell'Istituto, quelli di Pedini e Petrucciani ne riescono invece a cogliere assai bene l'orizzonte interdisciplinare, il lucido disincanto e l'humus utopico. | << | < | > | >> |Pagina 1924.3 L'IMMAGINE DELLA SCUOLA DI FRANCOFORTE NEI MASS MEDIA[...] Proprio su «Utopia» compare nel numero di settembre/ottobre 1968 un contributo di Gian Enrico Rusconi dedicato ai rapporti tra Horkheimer e la politica (tema estremamente attuale se si pensa all'involuzione subita dal pensiero dell'ultimo periodo di vita del direttore dell'IFS. Il francofortese negli anni '30 si presenta fermo e deciso in una posizione chiaramente anticapitalista ma rifiuta già allora il coinvolgimento politico diretto avviandosi verso una sempre più marcata spoliticizzazione. La stessa figura dell'intellettuale viene vista da Horkheimer come distaccata dalle organizzazioni della sinistra storica; tale concezione dimostra come il proletariato, a giudizio della Scuola, abbia cessato fin dagli anni '30 di costituire il soggetto garante della nuova società da costruire sulle rovine di quella capitalista. A differenza di Lukacs e Korsch - che mantengono ferma una coscienza di classe almeno teorica - i membri dell'Istituto spostano completamente il baricentro della soggettività antagonista verso l'intellettuale; ma è uno spostamento, osserva Rusconi, tutto giocato sul filo della negatività, cioè sul versante di ciò che lo studioso, il critico, il docente, non può fare per intervenire su di una realtà che aliena e paralizza le forze di chiunque. La teoria critica, afferma Horkheimer, lungi dal confondersi con la sociologia tradizionale deve porsi come teoria della società antagonista, modello ancora tutto da costruire. E in tale visione matura già tanto la spoliticizzazione stricto sensu quanto l'avanzare verso il terreno filosofico del pensiero. Il breve saggio di Rusconi è incentrato su questa regressione dell'analisi politica verso la speculazione filosofica maturata definitivamente ai tempi di Eclissi della ragione, ovvero nella seconda metà degli anni '40, nel pieno dell'esilio statunitense. La deriva totalitaria europea del terzo decennio del secolo è già presente interamente nel modello di sviluppo capitalistico; ed è proprio l'analisi horkheimeriana delle tappe di questo processo economico e politico ad essere analizzata da Rusconi, dal liberalismo classico di mercato al capitalismo monopolistico che sostituisce il mercato come cuore e legislatore dei rapporti produttivi con il totalitarismo esteso ad ogni branca della società. II fascismo come teoria e prassi politiche reca in sé l'essenza stessa del capitalismo, ovvero la forza che esercita economicamente e politicamente una minoranza sulla maggioranza priva dei mezzi di produzione. Dunque la corsa al profitto spinge inevitabilmente a detenere anche il potere politico come garanzia prima degli interessi economici. E quando il panorama delle forze sociali in lotta tra loro mette in pericolo il sistema di appropriazione privata delle ricchezze il volto del potere diventa, come direbbe il politologo Gerhard Ritter, demoniaco. Ma per la teoria critica nemmeno quello che nel secondo dopoguerra si sarebbe chiamato il sistema di socialismo reale, incarnato dall'Unione Sovietica, sfugge a questo processo di totalitarismo, presentandosi anch'esso come statalismo integrale. Ma quali saranno - ammesso che ve ne potranno essere - i soggetti del cambiamento? Il movimento portatore dell'alternativa al capitalismo potrà essere composto solo da individui isolati che pensano una teoria lucida, non compromessa dal contatto falsificante con la prassi; ma in realtà tutti i soggetti sono isolati in un mondo che della spersonalizzazione ed atomizzazione ha tratto una componente fondamentale per il proprio funzionamento. Rusconi evidenzia quanto pesi l'eredità del fallimento della sinistra europea tra le due guerre sia nel costruire un'alternativa credibile al capitalismo, che nell'impedire l'affermarsi del fascismo. Il cuore dei saggi di fine anni '30 di Horkheimer è l'analisi dell'inquietante capacità di penetrazione del potere nella vita quotidiana (una sorta di anticipazione delle indagini di Foucault di 40 anni dopo sul potere e la sua microfisica). | << | < | > | >> |Pagina 278La prassi, scrive Horkheimer, non ha confutato bensì interpretato la teoria con un'operazione puramente dottrinaria; e proprio qui, osserva Pretti, la teoria si mostra in tutta la sua impotenza rispetto alla prassi. Vi è un ripiegarsi sugli spazi privati intesi come luoghi nei quali si potrebbe attuare la riflessione che precede la prassi stessa. Storicamente il socialismo di stato rappresenta la seconda variante dello stato autoritario, di cui il capitalismo è la prima; ma se il socialismo reale fa da puro pendant al sistema occidentale non si scorge alcuna possibilità concreta di attuare la vera alternativa e si fa strada definitivamente l'utopia.Fintanto che il modello del partito rivoluzionario prosegue nel suo tatticismo, nell'incensamento della dittatura come soluzione al problema del capitalismo, sarà solo l'individuo isolato ma cosciente ad essere il possibile depositario di un mondo migliore. Ma si tratta di un soggetto che oggi, oltre che isolato, è prigioniero di una falsa coscienza, preda del tentacolare mondo amministrato, sedotto dalle mille luci delle vetrine consumistiche. Ritorniamo così al vero problema che sta al cuore dell'impotenza della teoria critica: l'incapacità di delineare e rintracciare nella realtà un soggetto portatore del cambiamento spinge la teoria verso lidi sempre più rarefatti in un improduttivo ripiegamento su sé stessa. Il lungo saggio di Tito Perlini, dedicato alla funzione critica esercitata dalla filosofia nel pensiero adorniano identifica tre ordini di problemi: il carattere di paradossalità che assume il filosofare del francofortese, la sua critica del sistema e la concezione della razionalità all'interno del pensiero critico. Adorno ha ben presente che la filosofia è uno dei tanti settori del pensiero nell'ambito della divisione del lavoro; fa dunque piazza pulita delle residue illusioni metafisiche di chi ancora si ostina a porre il filosofare come attività privilegiata rispetto ad altre. Ma allo stesso tempo non può e non deve nemmeno ridursi al livello delle scienze, pena lo smarrimento delle tensioni e delle speranze in essa riposte. Il pensiero non può rinunciare al rapporto con la totalità, che resta però una relazione negativa - in quanto rifiuta il possesso dell'oggetto a cui riportarsi. | << | < | > | >> |Pagina 3709.7. LA TEORIA CRITICA ALLA FINE DEL '900Rino Genovese, ricercatore di filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, propone in un testo del 1995 una nuova idea di teoria critica che riesca a superare il vuoto tra l'ottimismo della società della comunicazione e il pessimismo dell'omologazione dominante. Ripartendo dalla critica di Nietzsche e di Adorno e Horkheimer all'illuminismo, ma al di là di essa, l'autore cerca di prospettare un pensiero scettico che rinunci all'idea di ragione oggettiva ma che al contempo rilanci un impegno che si contrapponga alle correnti ideologie «deboli». Chiariamo che non è tanto l'originale proposta di Genovese ad interessarci quanto la possibilità di analizzare la lettura che egli fa della teoria critica, e nello stesso tempo cogliere la forza della Scuola come punto di riferimento ancora negli anni '90, così lontani dal dibattito dei decenni precedenti. A giudizio di Genovese lo scetticismo e l'illuminismo partono da una finalità comune: portare la critica nel cuore del Tutto, dissolvere la nozione classica di verità, e costruire una sociologia della conoscenza che metta in discussione tutte le credenze e le teorie. L'autocritica dell'illuminismo mette al centro della propria indagine lo stesso soggetto conoscente percepito anzitutto come soggetto concreto. Prima ancora dei due francofortesi, è già l'autore di Also sprach Zarathustra a porre in questione la dialettica identità/non-identità. A giudizio di Genovese i francofortesi sono criticabili in quanto non abbastanza scettici nei riguardi di una razionalità che fa degenerare l'illuminismo in mito non consentendo di prendere in esame l'universalità; si dimentica così che proprio l'universalità è parte integrante dell'illuminismo prima ancora della sua trasformazione in mito. La cattiva totalità appare informare di sé il cammino della storia umana fino alla magia; è contro questa immagine che i due filosofi muovono guerra con l'arma della loro critica onnicomprensiva. La cultura occidentale, il western way of life non si è estesa alle altre culture del pianeta, risultando statisticamente in minoranza. Una tale affermazione ci appare francamente smentita se non altro da due elementi di riflessione: da un lato Genovese trascura del tutto di considerare la componente del modo dominante di produzione, il capitalismo, che, se è occidentale come provenienza storico-geografica, tuttavia si estende ormai - grazie alla transnazionalità del mercato e delle imprese - a tutto il pianeta; e dall'altro gli avvenimenti del 1989/90 - il crollo dei regimi dell'Est europeo - ripropongono all'ordine del giorno proprio il concetto francofortese di «mondo amministrato» senza alternative storiche ipotizzabili. Ci troviamo di fronte ad un'unica lingua, senza peraltro negare l'esistenza di «dialetti locali» che non possiedono però la capacità di mutare il sistema dominante di comunicazione. |
| << | < | > | >> |RiferimentiLa scrittura fa del sapere una festa Roland Barthes A) OPERE DELLA SCUOLA DI FRANCOFORTE TRADOTTE IN ITALIANO ADORNO THEODOR WIESENGRUND, Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa, Torino, Einaudi, 1954. -, Dissonanze, Feltrinelli, Milano 1959. -, Filosofia della musica moderna, Einaudi, Torino 1959. -, Kierkegaard. La costruzione dell'estetico, Longanesi, Milano 1963. -, Sulla metacritica della gnoseologia, Sugar, Milano 1964. -, Wagner, Mahler. Due studi, Einaudi, Torino 1966. ADORNO T. W., HORKHEIMER M, Dialettica dell'illuminismo, Einaudi, Torino 1966. -, Lezioni di sociologia, Einaudi, Torino 1966. ADORNO T. W., Il fido maestro sostituto, Einaudi, Torino 1969. -, Dialettica negativa, Einaudi, Torino 1970. -, Tre studi su Hegel, Il Mulino, Bologna 1971. -, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino 1971. -, Prismi. Saggi sulla critica della cultura, Einaudi, Torino 1972. ADORNO T. W., FRENKEL BRUNSWIK E., LEVINSON D., NEVITT SANFORD R., La personalità autoritaria, Vol. I, Edizioni di Comunità, Milano 1973. -, La personalità autoritaria, Vol. II, Edizioni di Comunità, Milano 1973. ADORNO T. W., Impromptus. Saggi musicali 1928/68, Feltrinelli, Milano 1973. -, Parole chiave. Modelli critici, Sugar, Milano 1974. -, Teoria estetica, Einaudi, Torino 1975. -, Terminologia filosofica Vol. I, Einaudi, Torino 1975. -, Terminologia filosofica, Vol. II, Einaudi, Torino 1975. [...] B) LA CRITICA ITALIANA SULLA SCUOLA DI FRANCOFORTE, 1. VOLUMI AGAZZI EMILIO, Linee fondamentali della ricezione della teoria critica in Italia, in CINGOLI MARIO, GALLONI MARINA, FERRARO ANTONIO (a cura di), L'impegno della ragione. Per Emilia Agazzi, Unicopli, Milano 1994. ANGELINI AURELIO, PUGLISI GIANNI, RIZZO FRANCO (a cura di), Adorno in Italia. Rivelazioni bibliografiche 1955/80, Palumbo, Palermo 1982. APERGI FRANCESCO, Marxismo e ricerca sociale nella Scuola di Francoforte, La Nuova Italia, Firenze 1977. BEDESCHI GIUSEPPE, La Scuola di Francoforte, Laterza, Bari 1987. BUTTIGLIONE Rocco, Dialettica e nostalgia, Jaca Book, Milano 1978. CANTIMORI DELIO, MICCOLI GIOVANNI, La ricerca di una critica storiografica, Einaudi, Torino 1970. CASINI LEONARDO, Marcuse maestro del '68, Roma 1981. COLLETTI LUCIO, Ideologia e società, Laterza, Bari 1975. DEL NOCE AUGUSTO, Tramonto o eclissi dei valori tradizionali , Milano 1971. [...] C) LA CRITICA ITALIANA SULLA SCUOLA DI FRANCOFORTE, 2. SAGGI E ARTICOLI ABBIATI FRANCO, Il fido Adorno, Milano, «Corriere della sera», 08.05.1969. AMODIO LUCIANO, Recensione ai «Minima moralia», «Ragionamenti», I, 1, 1955. ARBASINO ALBERTO, Th. W. Adorno, «Tempi moderni», 4, 1970. ARGAN GIULIO CARLO, Cultura di massa maschera della cultura borghese, «Cinema nuovo», 217, 1972. BOLAFFI ANGELO, Addio Marx, viva Max, «L'Espresso», 3.06.1990. BOLAFFI A., Riabilitare Marcuse?, «L'Espresso», 30.07.1989. [...] D) VOLUMI DI RIFERIMENTO GENERALE AA. VV., Western Marxism. A critical reader, London, New Left Review, 1977. -, Cinquant'anni di un editore. Le edizioni Einaudi negli anni 1933-1983, Einaudi, Torino 1983. -, Il marxismo italiano degli anni sessanta e la formazione teorico-politica delle nuove generazioni, Istituto Gramsci e Editori Riuniti, Roma 1972. BREUER STEFAN, La rivoluzione conservatrice. Il pensiero di destra nella Germania di Weimar, Donzelli, Roma 1995. CALIMANI RICCARDO, Destini e avventure dell'intellettuale ebreo. Freud, Kafka, Svevo, Marx, Einstein e altre storie europee, Mondadori, Milano 2002. CANETTTERI ENNIO, Il movimento studentesco (1966-1968). Germania, Italia, Francia, Messina, D'Anna, Firenze 1974 CANTIMORI DELIO, Politica e storia contemporanea. Scritti 1927/42, Einaudi, Torino 1991. CESARI SEVERINO, Colloqui con Giulio Einaudi, Theoria, Roma-Napoli 1991. CRESPI FRANCO, Le vie della sociologia. Problemi, teorie, metodi, Il Mulino, Bologna 1985. D'ALESSANDRO VITTORIO, Il problema delle abitudini nell'educazione, La Nuova Italia, Firenze 1961. [...] E) SAGGI E ARTICOLI DI RIFERIMENTO GENERALE ARDIGO ACHILLE, Evoluzione, crisi e prospettive della presenza politico-sociale dei cattolici in Italia, «Aggiornamenti sociali», 9/10, Settembre-ottobre 1974. FACHINELLI ELVIO, La casa editrice L'Erba Voglio, «La Repubblica», 03.12.1976. FACHINELLI E., Minima (im)moralia, «L'Erba Voglio», 26, giugno-luglio 1976. FILIPPINI ENRICO, Sui «Minima immoralia», «La Repubblica», 21.11.1976. -, Ancora sui «Minima immoralia», «La Repubblica», 03.12.1976. [...] F) MATERIALE AUDIOVISIVO, INTERVISTE E COLLOQUI CASES CESARE, Colloquio con Ruggero D'Alessandro, Firenze, 29.11.1997. CAMBI FRANCO, Colloquio con Ruggero D'Alessandro a Lugano, 7/8.05.1998. HERBERT MARCUSE, Intervista di Giovanni Lisi all'Università della California - La Jolla (Los Angeles), Documentario del 1° canale della Rai-Radiotelevisione italiana, Roma, in onda il 30.05.1968. | << | < | |