Copertina
Autore Daniel C. Dennett
Titolo L'evoluzione della libertà
EdizioneCortina, Milano, 2004, Scienza e idee , pag. 454, cop.fle., dim. 140x225x33 mm , Isbn 978-88-7078-877-8
OriginaleFreedom Evolves [2003]
TraduttoreMassimiliano Pagani
LettoreRenato di Stefano, 2004
Classe filosofia , scienze cognitive , evoluzione
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Indice

Prefazione                                           XI

1. Libertà naturale                                   1

Imparare chi siamo                                    1
Io sono quello che sono                               8
L'aria che respiriamo                                12
La penna magica di Dumbo e il Rischio di Paulina     18

2. Uno strumento per riflettere sul determinismo     33

Alcune utili ipersemplificazioni                     34
Dalla fisica al progetto nel Mondo della Vita
    di Conway                                        47
Possiamo fare noi il Deus ex machina?                62
Dalla fuga al rallentatore alle Guerre Stellari      68
La nascita dell'eluttabilità                         74

3. Riflettere sul determinismo                       85

Mondi possibili                                      85
La causalità                                         95
Il putt di Austin                                   100
Una maratona di scacchi con il computer             104
Eventi privi di cause in un universo deterministico 112
Il futuro sarà come il passato?                     120

4. Stiamo a sentire le regioni dei libertari        131

Il fascino del libertarismo                         131
Dove dovremmo inserire la lacuna di cui si sente
    così il bisogno?                                139
Il modello di Kane del processo decisionale
    indeterministico                                146
"Se vi fate veramente piccoli, potete
    esteriorizzare virtualmente qualsiasi cosa"     163
Attenzione al Primo Mammifero                       169
Come può "dipendere da me"?                         180

5. Da dove viene tutto il progetto?                 187

I primi giorni                                      188
Il dilemma del detenuto                             195
E Pluribus Unum?                                    199
Digressione: la minaccia del determinismo genetico  207
Gradi di libertà e ricerca della verità             215

6. L'evoluzione delle menti aperte                  223

Come i simbionti culturali trasformano i primati
    in persone                                      224
La peculiarità delle spiegazioni darwiniane         239
Begli strumenti, ma devi ancora usarli              246

7. L'evoluzione dell'agire morale                   257

Il benegoismo                                       257
Essere buono per sembrare buono                     270
Imparate a trattare con voi stessi                  276
I nostri costosi badge di merito                    284

8. Siete fuori dal giro?                            295

Fare la morale sbagliata                            295
Ogni volta che lo Spirito vi muove                  302
Il punto di vista dello scrittore di menti          323
Un Sé per sé                                        327

9. Il nostro bootstrapping per esseri liberi        343

Come abbiamo fatto a catturare le ragioni e
    a farle nostre                                  343
L'ingegneria psichica e la corsa agli armamenti
    della razionalità                               353
Con un piccolo aiuto dai miei amici                 360
Autonomia, lavaggio del cervello ed educazione      372

10. Il futuro della libertà umana                   383

Tenere le posizioni contro la discolpa strisciante  384
"Grazie, ne avevo bisogno!"                         394
Siamo più liberi di quanto vorremmo essere?         401
La libertà umana è fragile                          404

Bibliografia                                        411

Indice analitico                                    425
 

 

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Pagina XI

PREFAZIONE



Per quanto tempo ho lavorato a questo libro? Molti mi hanno fatto la domanda mentre ero impegnato nella cura editoriale finale, e non ho saputo cosa rispondere: cinque anni o trenta? Penso che trent'anni sia la risposta che si avvicina di più alla verità, perché è stato più o meno un trentennio fa che ho cominciato a riflettere sul serio sui temi del volume, a consultare la letteratura specializzata, selezionando gli argomenti, compilando elenchi di articoli e libri da leggere, schematizzando strategie e strutture, e confrontandomi in dibattiti e discussioni. All'interno di una prospettiva tanto ampia, il mio libro del 1984, Elbow Room: The Varieties or Free Will Worth Wanting, svolge il compito di progetto pilota. Tale progetto faceva pesantemente assegnamento su un semplice inserto di sole dieci pagine dedicato all'evoluzione della coscienza (pp. 34-43) e accompagnato da due "pagherò": ero in debito con i lettori scettici di una spiegazione dovutamente rigorosa sia della coscienza sia dell'evoluzione. Mi ci è voluta una dozzina di anni per pagare il debito, con Coscienza (1991a) e con L'idea pericolosa di Darwin (1995). Per tutto quel periodo ho continuato ad annotare esempi dello schema che aveva ispirato e modellato Elbow Room: quell'ordine di valori nascosto che tende a influenzare le ricerche teoriche in tutte le scienze sociali e nelle stesse scienze della vita. Ricercatori che lavorano in campi molto diversi, che utilizzano metodologie e scale di valori assai differenti, ciononostante condividono spesso una velata antipatia per due semplici idee, ed evitano comunque di affrontare le implicazioni: le nostre menti sono semplicemente quello che i nostri cervel1i fanno in modo non miracoloso, e il talento del nostro cervello non può che evolvere come ogni altra meraviglia naturale. I loro tentativi di esorcizzare queste due tesi hanno finito coll'impantanare le loro capacità di ragionamento, mentre erano tutti intenti a rivestire assolutismi di dubbia qualità di un fascino che non avevano e a sforzarsi di trattare piccole lacune facilmente colmabili come abissi invalicabili. Obiettivo di questo libro è mettere in luce quanto bizzarri siano gli edifici difensivi che costoro hanno eretto per combattere la loro paura, e poi raderli al suolo per rimpiazzar1i con altri dotati di fondamenta più atte a garantire ciò a cui teniamo veramente.

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Pagina 1

1
LIBERTÀ NATURALE



C'è una tradizione popolare che considera l'essere umano come un agente responsabile, al timone di comando del suo stesso destino, poiché, sostiene, l'uomo è essenzialmente anima, un pezzo immateriale e immortale di materia divina che abita e controlla il suo corpo materiale come farebbe un fantomatico burattinaio. Quest'anima è la fonte di ogni significato e il luogo da cui proviene ogni sofferenza, ogni gioia, ogni gloria o disonore per l'essere umano. Tale idea delle anime immateriali, che sarebbero in grado di eludere le leggi della fisica, però, ha ormai superato ogni livello di credibilità grazie all'evoluzione delle scienze naturali. Sono in molti a credere che le conseguenze dell'abbandono di tali credenze potrebbero rivelarsi disastrose: non possediamo davvero il "libero arbitrio", dicono, e nulla ha più senso. Scopo del libro è mostrare a questa gente quanto abbia torto.


Imparare chi siamo

        Sì, abbiamo un'anima. Ma è fatta di tanti piccoli robot.
        GIULIO GIORELLO

Non abbiamo bisogno di ricorrere alle care vecchie anime immateriali per mantenere vive le nostre speranze; le nostre aspirazioni di esseri morali, i cui atti e le cui vite hanno un senso, non dipendono affatto dalla presenza di una mente che obbedisca a una fisica differente da quella che governa il resto della natura. La comprensione di noi stessi che possiamo trarre dalla scienza può aiutarci a poggiare le nostre vite morali su fondamenta nuove e migliori; e una volta capito in che cosa consista la nostra libertà, saremo ben più preparati a difenderla dalle minacce reali che sfuggono normalmente ai nostri tentativi di identificarle.

Uno dei miei studenti, che si era arruolato nei Peace Corps per evitare di essere chiamato in Vietnam, mi raccontò, in seguito, del suo lavoro presso una tribù che viveva nel profondo della foresta brasiliana. Gli chiesi se gli fosse stato richiesto di parlare a quelle persone del conflitto in corso tra USA e URSS. Per niente, rispose. Non avrebbe avuto senso. Non avevano mai sentito parlare né dell'America né dell'Unione Sovietica. Anzi, non avevano mai sentito parlare nemmeno del Brasile! Negli anni Sessanta del Novecento era ancora possibile che un essere umano vivesse in una nazione, e fosse soggetto alle sue leggi, senza averne la minima conoscenza. Se troviamo incredibile tutto ciò, è perché gli esseri umani, al contrario di tutte le altre specie del nostro pianeta, sono esseri che bramano la conoscenza (knowers). Siamo i soli ad aver raggiunto la piena consapevolezza della nostra natura e del nostro posto entro questo immenso universo, e stiamo persino incominciando a farci un'idea di quale sia stato il cammino che ci ha permesso di giungere fino a qui.

Le scoperte più recenti su chi siamo e su come siamo pervenuti al nostro stato attuale sono, a dir poco, terrificanti. Quello che siete, ci dicono, è un assemblaggio di più o meno un migliaio di miliardi di cellule, appartenenti a migliaia di generi differenti. Il grosso di questo ammasso di cellule è composto da "figlie" della cellula uovo e dello spermatozoo, la cui unione ha dato vita a voi; ma, in realtà, queste sono superate numericamente da trilioni di batteri, autostoppisti provenienti da migliaia di ceppi diversi stipati nel vostro corpo (Hooper et al., 1998). Ognuna delle vostre cellule ospiti è un meccanismo non pensante, un piccolo robot piuttosto autonomo. Non è più cosciente dei batteri che ospitate. Nessuna delle cellule che contribuiscono a comporvi sa chi siete, né le importa saperlo.

Ogni squadra composta da trilioni di questi robot è organizzata in una struttura sociale la cui efficienza lascia esterrefatti, un regime senza un condottiero ma capace di mantenere una struttura così ben organizzata da respingere gli estranei, espellere i deboli, e rafforzare le regole ferree della disciplina - e fungere da quartier generale di un unico sé cosciente, di una sola mente. Queste comunità di cellule sono fasciste all'estremo; ma i vostri interessi o i vostri valori hanno poco o nulla da spartire con le mire limitate delle cellule che vi compongono - per fortuna! Un individuo può essere gentile e generoso, un altro può essere spietato; c'è chi fa il pornografo e chi invece dedica la propria vita a servire Dio. Una delle tentazioni a cui l'uomo, nel tempo, ha ceduto è stata quella di immaginare che queste fondamentali differenze potessero essere ricondotte a caratteristiche speciali di un qualche elemento extra (un'anima), posizionato da qualche parte nel quartier generale del corpo. Ormai sappiamo che, per quanto sia ancora molto seducente, l'idea non è minimamente supportata da ciò che abbiamo imparato sulla nostra biologia in generale e sul nostro cervello in particolare. Più comprendiamo come ci siamo evoluti e come funziona il nostro cervello, più ci convinciamo che non può esistere alcun ingrediente extra di questo tipo. Ognuno di noi è composto di robot non pensanti e da nient'altro; non abbiamo alcun ingrediente non-fisico o non-robotico. Le differenze che distinguono una persona dalle altre sono tutte riconducibili al modo in cui, durante una vita di crescita ed esperienza, le squadre dei loro personali robot si sono assemblate. La differenza tra saper parlare francese o saper parlare cinese è una differenza nell'organizzazione di queste parti mobili; lo stesso vale per tutte le altre differenze di cultura e personalità.

Dal momento che io sono cosciente e voi lo siete altrettanto, noi tutti dobbiamo avere sé coscienti che sono in qualche modo composti di questi strani piccoli elementi. In che modo? Per riuscire a capire come si possa ottenere un lavoro di assemblaggio così straordinario, dobbiamo osservare la storia dei processi di progettazione (design) che hanno svolto tutto il lavoro, l'evoluzione della coscienza umana. Dobbiamo anche capire in che modo queste anime, composte da robot cellulari, riescano effettivamente a fornirci tutti quei poteri importanti e tutti i conseguenti doveri che le anime immateriali tradizionali abitualmente ci concedono (grazie a una magia non precisata). Scambiare un'anima soprannaturale con un'anima naturale - ma è un buon affare? Che cosa ci perdiamo e che cosa ci guadagniamo? C'è chi, a proposito di questo scambio, salta a conclusioni spaventose che sono, però, ampiamente errate. Intendo dimostrare proprio questo, ricostruendo la storia della crescita della libertà sul nostro pianeta fin dalla sua primissima apparizione, all'alba della vita. Che genere di libertà? Ne appariranno diverse forme, man mano che proseguirò nella mia storia.

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Pagina 7

Che cosa faremo, ora, della nostra conoscenza? I dolori del parto delle nostre scoperte non si sono ancora placati. Sono in molti a pensare che imparare troppo su ciò che siamo - barattare il mistero con dei meccanismi - impoverirà la nostra concezione delle possibilità umane. Questo timore è comprensibile, ma se stessimo veramente correndo il pericolo di sapere troppo, coloro che lavorano in prima linea in questa attività di ricerca non dovrebbero mostrare segni di sconforto? Guardate, invece, chi sta partecipando a questa avventura per accrescere la conoscenza scientifica e sta assimilando con impazienza le nuove scoperte; non sono certo a corto di ottimismo, hanno convinzioni morali, dimostrano impegno nella vita e nella società. Piuttosto, se volete trovare ansia, disperazione e anomia tra le fila degli intellettuali di oggi, date un'occhiata alla tribù, tanto alla moda ultimamente, dei postmodernisti, che si compiacciono di affermare che la scienza attuale non è altro che l'ultimo di una lunga serie di miti, che le sue istituzioni e i suoi costosi apparati non sono altro che rituali ed equipaggiamenti dell'ennesima religione. Che persone intelligenti possano prendere sul serio tesi di questo tipo è una riprova della potenza che a tutt'oggi continuano ad avere i ragionamenti catastrofistici, malgrado i progressi fatti nella conoscenza di noi stessi. I pensatori del postmodernismo hanno ragione, quando dicono che la scienza è solo uno dei modi che abbiamo di consumare il nostro surplus di calorie. Che sia stata una delle fonti principali di queste calorie in più non conferisce alla scienza alcun diritto di reclamare particolari quote del benessere che ha creato. Dovrebbe però risultare ovvio che le innovazioni della scienza - non solo i microscopi, i telescopi o i computer, ma i suoi legami con la ragione e i dati - sono i nuovi organi di senso della nostra specie, organi che ci permettono di rispondere a domande, risolvere misteri e prevedere il futuro con risultati che non possono essere paragonati a nessuna istituzione umana emersa precedentemente.

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Pagina 20

Dopo anni e anni di lavoro sul problema, ho imparato a riconoscere uno schema. La mia prospettiva fondamentale è il naturalismo, la concezione per cui le investigazioni filosofiche non sono superiori a, o a priori rispetto a, indagini svolte nel campo delle scienze naturali, ma collaborano con queste attività di ricerca della verità, la concezione che sostiene che, in questo caso, il lavoro tipico di un filosofo sia chiarire e unificare prospettive spesso in conflitto entro un'unica visione dell'universo. Ciò significa accettare di buon grado il dono di scoperte scientifiche comprovate ma anche di teorie speculative, considerandole come materiale grezzo utile alla riflessione filosofica, in modo che sia possibile un informato e costruttivo scetticismo scientifico o filosofico. Non appena presentati i frutti del mio naturalismo, la mia teoria materialistica della coscienza (per esempio, in Coscienza [Dennett, 1991a]), e il mio resoconto degli algoritmi darwinisti stupidi e privi di scopo che hanno creato la biosfera e tutti i suoi prodotti derivati - sia i nostri cervelli sia i frutti della nostra immagmazione - (per esempio, in L'idea pericolosa di Darwin [Dennett, 1995]), ho incontrato sacche di inquietudine, un'aria predominante di disapprovazione o di ansia, ben diversa dal puro scetticismo. Di solito, questa sensazione di fastidio è ovattata, come il debole rombo di un tuono lontano, una flebile trama di pii desideri che quasi subliminalmente stravolge l'ordine del giorno di un dibattito. Spesso, terminate le provviste di obiezioni, qualcuno dei miei interlocutori svelava il vero ordine del giorno che era alla base di tanto scetticismo: "È tutto molto interessante, ma allora che ne è del libero arbitrio? Caro Signore, la Sua visione non distrugge la possibilità stessa del libero arbitrio?". Questa è sempre una replica benvenuta, in quanto rafforza la mia convinzione che la preoccupazione per il libero arbitrio sia la forza trainante della maggior parte delle resistenze incontrate dal materialismo in generale, dal neodarwinismo in particolare. Tom Wolfe, che è sintonizzato sullo Zeitgeist come tutti gli altri, ha compendiato il punto in un articolo dal titolo non a caso delirante: "Scusate, ma la vostra anima è appena morta" ("Sorry, but your soul just died"). L'articolo parla dell'ascesa di ciò che l'autore con una certa confusione etichetta come "neuroscienze", di cui identifica il padre ideologo in E.O. Wilson (che, tra l'altro, non è un neuroscienziato, ma un entomologo e un sociobiologo) insieme ai suoi scagnozzi, Richard Dawkins e me. Wolfe pensa di aver colto il presagio funesto:

Dato che la coscienza e il pensiero sono prodotti interamente fisici del tuo cervello e del tuo sistema nervoso, e dato che il tuo cervello arriva alla nascita con un imprinting completo, che cosa ti fa pensare di avere un libero arbitrio? Da dove dovrebbe venire? (Wolfe, 2000, p. 117)

Ho la risposta. Wolfe è semplicemente in errore. Per un qualche motivo, il vostro cervello non arriva "alla nascita con un imprinting completo", ma questo è il minore dei fraintendimenti a cui ricondurre la diffusa resistenza al naturalismo. Il naturalismo non è nemico del libero arbitrio; anzi, esso ci consente una spiegazione positiva del libero arbitrio, un approccio che, di fatto, consente di trattare i rompicapi meglio di quanto riescano a fare quelli che cercano di proteggere il libero arbitrio dalle grinfie della scienza ricorrendo a una "metafisica oscura e paurosa come un coniglio" (per dirla con la bella espressione di P.F. Strawson). Ne ho presentato una versione nel mio libro del 1984, Elbow Room: the Varieties of Free Will Worth Wanting. Ma mi sono reso conto che la gente spesso dubita che io voglia dire esattamente quello che affermo.

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Pagina 33

2
UNO STRUMENTO PER RIFLETTERE
SUL DETERMINISMO



Il determinismo è la tesi che afferma che "per ogni istante c'è solamente un futuro fisicamente possibile" (Van Inwagen, 1983, p. 3). Può sembrare che questo concetto non sia particolarmente ostico da comprendere, ma è incredibile quanto spesso anche pensatori molto sofisticati riescano a farsene un'idea completamente sbagliata. In primo luogo, vari studiosi partono dal presupposto che il determinismo implichi l'ineluttabilità. Ma non è così. In secondo luogo, molti arrivano a pensare che sia una cosa ovvia che l' indeterminismo - la negazione del determinismo - possa concedere ad agenti come noi quella libertà, quella manovrabilità, quello spazio di azione, che semplicemente non potremmo avere in un universo deterministico. Ma non è così. E, terzo, è una credenza diffusa che in un mondo deterministico non ci siano possibilità di scelta reali, ma solo apparenti. Questo è falso. Veramente? Ho appena contraddetto tre argomenti tanto centrali nelle discussioni sul libero arbitrio e così raramente messi in discussione, che molti lettori potrebbero pensare che stia scherzando, o stia rivestendo le mie parole di qualche significato esoterico. No, sto affermando che il compiacimento che consente a queste argomentazioni di venir tanto placidamente accettate è in sé un grave errore.

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Pagina 125

Viviamo in un mondo che è soggettivamente aperto; e noi siamo stati progettati dall'evoluzione per essere degli esseri "informivori" (informavores), dei cercatori di informazioni epistemicamente affamati, sempre a caccia di miglioramenti della nostra posizione di forza nel mondo, esseri che sanno prendere nel modo migliore le decisioni sul proprio futuro soggettivamente aperto. La Luna è composta della nostra stessa materia, obbedisce alle stesse leggi della fisica, ma la sua natura, al contrario della nostra, è fissata. Inoltre, al contrario del nostro caso, la sua natura non dipende da lei. Non è equipaggiata affatto per prendersi cura di se stessa. La differenza tra noi e la Luna non è una differenza riconducibile al livello fisico; è una differenza di progettazione a livello superioer. Noi siamo il prodotto di un processo di progettazione massiccio e basato sulla competizione; la Luna no. Questo processo di progettazione, la selezione naturale, notoriamente utilizza, come generatore finale di diversità, delle mutazioni "casuali". Abbiamo visto come i programmi dei computer - e gli esperimenti controllati in senso più generale - facciano uso di analoghi generatori di diversità, quasi con gli stessi risultati: per guidare i processi di esplorazione entro nuove configurazioni, e fuori da quelle vecchie. Ma abbiamo anche visto come questa felice sorgente di diversità non debba essere necessariamente casuale, nel senso di indeterministica.

Sostenere che, se il determinismo fosse vero, allora il vostro futuro sarebbe fissato, significa dire... niente di interessante. Sostenere che, se il determinismo fosse vero, allora la vostra natura sarebbe fissata, è dire qualcosa di falso. La nostra natura non è fissata, perché noi ci siamo evoluti fino a essere entità progettate per cambiare la nostra natura in risposta alle nostre interazioni con il resto del mondo. È la confusione tra natura fissata e futuro fissato che alimenta il sentimento di angoscia nei confronti del determinismo. La confusione nasce quando si cerca di mantenere contemporaneamente due diversi punti di vista sull'universo; la prospettiva dell' "occhio di Dio" che vede il passato e il futuro tutto spiegato davanti a sé, e la prospettiva coinvolta di un agente all'interno dell'universo. Dal punto di vista atemporale dell'occhio di Dio nulla cambia mai - tutta la storia dell'universo si svolge "in un attimo" - e persino un universo indeterministico verrebbe rappresentato solamente dalla ramificazione di uno statico albero di traiettorie. Dal punto di vista dell'agente coinvolto le cose cambiano nel tempo e gli agenti stessi cambiano per affrontare quei cambiamenti. Ma ovviamente, non tutti i cambiamenti sono possibili. Ci sono cose che possono cambiare e cose che non possono cambiare, e tra queste ultime alcune sono deplorevoli. Ci sono molte cose sbagliate nel nostro mondo; ma il determinismo non è una di quelle, anche se il nostro mondo fosse determinato.

Quindi, messa da parte la paura del determinismo fisico, possiamo concentrare la nostra attenzione sul livello biologico, nel quale potremmo realmente essere in grado di spiegare il motivo per cui noi siamo liberi, mentre altre entità del nostro mondo, formate dallo stesso genere di sostanza, non sono libere affatto, E come sempre, quando si tratta di biologia, scopriremo che ci sono diverse libertà, distinte per genere e grado.

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Pagina 189

La libertà che ha un uccello di volare dove più ne ha voglia è, senza alcun dubbio, un tipo di libertà, un miglioramento decisivo della libertà che aveva già la medusa di lasciarsi portare dalla corrente ovunque questa la conducesse; ma è una parente povera della libertà umana. Fate un paragone tra il canto degli uccelli e il linguaggio degli esseri umani. Entrambi sono due magnifici prodotti della selezione naturale, e nessuno dei due è un miracolo; ma il linguaggio umano rivoluziona la vita, aprendo al mondo biologico dimensioni decisamente inaccessibili agli uccelli. La libertà umana, che è in parte un prodotto della rivoluzione generata dal linguaggio e dalla cultura, è tanto differente dalla libertà degli uccelli quanto il linguaggio umano lo è dal loro canto. Ma per poter capire il fenomeno più complesso, è necessario prima intendere le sue più semplici componenti, e i suoi precedenti. Quello che dobbiamo fare per poter comprendere la natura della libertà umana è seguire lo "strano capovolgimento del ragionamento" operato da Darwin e ripensare ai primi tempi della vita sul nostro globo, quando non c'era libertà, non c'era intelligenza, non c'era possibilità di scelta, ma solamente protolibertà, protoscelta e protointelligenza. Abbiamo visto, a grandi linee, quello che successe: cellule semplici che alla fine generarono cellule complesse, che alla fine generarono organismi pluricellulari, che poi generarono il mondo macroscopico complesso in cui viviamo e agiamo oggi. Ora, dobbiamo ritornare sui nostri passi e analizzare alcuni dei dettagli del racconto di questo processo.

Supponiamo che vi basti solo sopravvivere sul pianeta Terra. Che cosa vi servirebbe? Partendo dal livello molecolare, non vi basterebbe il DNA, ma avreste bisogno di tutte le attrezzature molecolari - le proteine - per completare i tanti passi della replicazione del DNA. Avreste bisogno di una proteina che dia inizio al processo, di una per svolgere l'elica, un'altra per legare il filamento singolo di DNA, per distendere i superavvolgimenti, per segmentare/impacchettare i cromosomi, e così via. Nessuna di queste operazioni è facoltativa; sono tutte obbligate. Se doveste perdere una qualunque di queste proteine, sareste eliminati. È stato necessario progettare anche queste stesse componenti elementari, nel corso del tempo. Il kit completo, che noi oggi condividiamo con tutte le altre forme di vita del pianeta, è stato assemblato e perfezionato nel corso di alcum miliardi di anni, e ha sostituito kit più semplici utilizzati dai nostri predecessori meno complessi. Noi dipendiamo dal nostro kit di montaggio come i nostri predecessori dipendevano dal loro; ma noi abbiamo più possibilità di quelle che avevano loro, perché le migliorie apportate al nostro kit hanno reso possibili forme di aggregazione più sofisticate, e queste a loro volta hanno reso possibili modi ancora più indiretti per entrare in collisione con le altre cose del mondo, nonché lo sfruttamento dei risultati delle collisioni stesse. Quando la vita ha avuto inizio, c'era un solo modo di rimanere vivi. Ed era fai A o muori. Ora ci sono diverse opzioni: fai A o B o C o D o... muori.

Per vivere avete bisogno di energia. È stato il Sole a fornire la prima energia utile alla vita o sono state le sorgenti termali situate nelle viscere della Terra? Questa è, al momento, una questione aperta, con un allettante spettro di ipotesi sull'origine della vita, tutte in competizione tra loro e in attesa di conferma. Comunque abbia avuto inizio, la vita - o comunque la maggior parte di essa - è alla fine diventata dipendente dall'energia proveniente dal Sole. Per rimanere in vita e per riprodurvi avreste dovuto galleggiare nelle prossimità o sulla superficie delle acque, crogiolandovi alla luce solare. Si è prodotta un'innovazione rilevante quando alcuni di questi esseri mutarono, "scoprendo" in tal modo che, invece di fare tutto da soli, potevano ottenere di meglio ingoiando e scomponendo alcuni degli esseri vicini a loro, utilizzandoli come comoda scorta di pezzi di ricambio già costruiti. L'invasione è ciò che rende la vita interessante. Invasori e invasi hanno così inaugurato una corsa agli armamenti che ha condotto entrambi gli schieramenti a sviluppare nuove varietà. In poco tempo - più o meno in un miliardo di anni - sono emersi molti e vari "modi per guadagnarsi da vivere" (come Richard Dawkins ha sottolineato); ma questi modi non saranno mai nulla più di una trama "evanescente" di condizioni reali nell'"enorme" spazio delle possibilità logiche. Quasi tutte le combinazioni di queste componenti elementari rappresentano un modo di non essere vivi.

Una delle più importanti innovazioni in questa corsa agli armamenti della progettazione competitiva è stata la mutazione accidentale conosciuta come rivoluzione eucariotica, che è avvenuta più di un miliardo di anni fa. I primi esseri viventi, le cellule relativamente semplici note come procarioti, hanno avuto tutto il pianeta a loro disposizione per tre miliardi di anni, fino a quando uno di loro non è stato invaso da un vicino e la coppia risultante si è rivelata più adatta dei suoi parenti non modificati, quindi ha prosperato e si è moltiplicata passando tale predisposizione al lavoro di squadra alla propria progenie. Ecco un primo esempio di una sorta di cooperazione: la simbiosi, un caso in cui X e Y si scontrano, ma invece di avere una situazione in cui X distrugge Y, o quella opposta o, anche peggio, invece di avere la mutua distruzione - il risultato abituale degli scontri in questo mondo difficile -, X e Y uniscono le loro forze, creando Z, un essere nuovo, più grande e più versatile, con maggiori possibilità di scelta. Questo potrebbe essere accaduto molte volte nel mondo dei procarioti, ovviamente; ma quando successe la prima volta, il pianeta cambiò a beneficio delle forme di vita successive. Queste super-cellule, gli eucarioti, vivevano a fianco dei loro cugini procarioti ma, grazie ai loro "autostoppisti", erano enormemente più complessi, versatili e competenti. Questa era una cooperazione involontaria, ovviamente. I membri delle squadre eucarioti erano all'oscuro del lavoro di équipe nel quale erano impegnati! Non avevano - e non avevano bisogno di avere - alcuna comprensione della razionalità fluttuante (free-floating rationale) che era alla base del loro vantaggio nella competizione. I primi eucarioti non erano nemmeno pluricellulari; ma dovevano aprire lo spazio dei progetti agli organismi pluricellulari, poiché si erano ritrovati con un sufficiente numero di pezzi di ricambio sì da specializzarsi in differenti modi. (Siamo ancora molto lontani dai violinisti o dagli oboisti, cioè dal lavoro di squadra della BSO, ma siamo sulla strada giusta.)

La rivoluzione eucariotica porta alla nostra attenzione il fatto che anche nell'evoluzione biologica, che Darwin molto a proposito chiamava "generazione con mutazione", c'è un sacco di spazio concesso alla trasmissione orizzontale del progetto (design). Gli ospiti procarioti che vennero "infettati" per primi dai loro visitatori simbiotici ricevettero un grande dono di competenza progettata altrove. Cioè, non ricevettero tutte le loro competenze per discendenza verticale dai loro antenati, attraverso i loro genitori e i loro nonni, e così via. In altre parole, non ricevettero tutte le loro competenze dai loro geni. Essi, comunque, passarono questo dono a tutta la loro prole e alla prole della prole attraverso i loro geni, dato che i geni degli invasori vennero a condividere il destino dei geni del nucleo dei loro ospiti, viaggiando a fianco a fianco, di generazione in generazione, ognuna delle quali, si può dire, veniva infettata nel momento stesso della sua nascita dalla sua controparte simbionte. La traccia chiara di questo percorso duale è ancora oggi piuttosto saliente, in tutti gli organismi pluricellulari, noi compresi. I mitocondri, i minuscoli organelli che trasformano l'energia in ognuna delle nostre cellule, sono i discendenti di questi invasori simbionti, e hanno il loro genoma, un loro proprio DNA. Il vostro DNA mitocondriale, che ricevete solamente da vostra madre, è presente in ognuna delle vostre cellule, a fianco del vostro DNA nucleare - del vostro genoma. (La riproduzione sessuale arriverà in seguito; lo sperma di vostro padre non ha contribuito con alcun mitocondrio durante il processo di fertilizzazione.)

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Non è forse vero che qualsiasi cosa non sia determinata dal nostri geni debba essere determinata dal nostro ambiente? Che altro c'è? O c'è la natura (nature) o c'è la cultura (nurture). C'è anche qualche X, qualche altra cosa che contribuisca a ciò che siamo? C'è il caso. La fortuna. Abbiamo visto nei capitoli 3 e 4 quanto sia importante tale ingrediente extra, ma sappiamo che non deve per forza provenire dalle viscere quantistiche dei nostri atomi o da qualche stella lontana. È tutto intorno a noi, nei lanci casuali delle monete nel nostro mondo così ricco di rumori, eventi che tappano automaticamente tutte le falle o lacune presenti nelle specifiche lasciate indefinite sia dai nostri geni sia dalle cause salienti dell'ambiente in cui viviamo. Tutto ciò è particolarmente evidente nel modo in cui si formano i trilioni di connessioni tra le cellule del nostro cervello. È un fatto ormai riconosciuto da anni che il nostro genoma, per quanto sia grande, è troppo piccolo per poter specificare (nelle sue ricette geniche) tutte le connessioni che si formano tra i neuroni. Ciò che succede è che i geni forniscono le specifiche per i procedimenti che mettono in moto la crescita di immense popolazioni di neuroni - un numero di neuroni di molto superiore a quello che effettivamente verrà usato dal nostro cervello - e questi neuroni emettono rami esploratori, a caso (uno pseudocaso, ovviamente); e capita che molti di questi si connettano ad altri neuroni in modi ritenuti utili (ritenuti utili dai procedimenti non intenzionali della potatura cerebrale). Queste connessioni riuscite tendono a sopravvivere, mentre le connessioni mancate muoiono, sì da essere smantellate in modo che le loro parti possano venire riciclate, qualche giorno dopo, dalla generazione successiva di sviluppo neurale promettente. Questo ambiente selettivo entro il cervello (specialmente all'interno del cervello del feto, molto prima di incontrare l'ambiente esterno) non è più in grado di specificare le connessioni finali di quanto lo siano i geni; salienze tanto nel patrimonio genetico quanto nell'ambiente dello sviluppo influenzano e sfrondano la crescita, ma rimane molto spazio all'azione del caso.

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Sia la corsa agli armamenti intrapresa da prede e predatori sia la competizione per l'accoppiamento che coinvolge individui della stessa specie, e quella per gli strumenti utili all'accoppiamento - cibo, riparo, territorio, rango sociale, ecc. - ha dato alla nostra biosfera centinaia di milioni di anni di attività di R&S grazie a un'ampia gamma di processi paralleli attivati su milioni di specie contemporaneamente. In questo stesso momento, trilioni di organismi stanno giocando a rimpiattino. Ma per loro non è solamente un gioco; è questione di vita o di morte. Muoversi bene, non commettere errori, per loro è importante - anzi, non c'è niente di più importante -, ma essi non si rendono conto, di regola, di questo "gioco". Sono i beneficiari di un equipaggiamento squisitamente progettato per fare in modo che si muovano bene, ma quando il loro equipaggiamento ha un difetto di funzionamento, non hanno alcun espediente, di regola, per rendersene conto, per non dire criticarlo. Essi persistono, involontariamente. La differenza tra l'apparenza delle cose e la loro reale consistenza è una lacuna a volte tanto fatale per loro quanto lo può essere per noi; ma loro ne sono molto più inconsapevoli. Il riconoscimento della differenza tra apparenza e realtà è una scoperta umana. Poche altre specie - alcuni primati, qualche cetaceo e forse anche qualche uccello mostrano segni di comprensione del fenomeno della "falsa credenza" - il muoversi male. Mostrano sensibilità per gli errori degli altri, e forse anche sensibilità per i propri errori riconosciuti come tali, ma manca loro la capacità di riflessione necessaria per soffermarsi adeguatamente su questa possobolità, e così non sono in grado di utilizzare tale sensibilità con il deliberato intento di apportare riparazioni o migliorie ai loro stessi meccanismi di caccia o di evitamento. Siffatta capacità di ricucire lo scarto tra apparenza e realtà è un espediente che noi esseri umani abbiamo padroneggiato da soli.

Noi siamo la specie che ha scoperto il dubbio. Abbiamo accumulato abbastanza cibo per l'inverno? Ho sbagliato i calcoli? Il mio compagno mi è forse infedele? Avremmo dovuto migrare a sud? Questa caverna è sicura? Altre creature sembrano spesso visibilmente agitate dalle loro incertezze su questioni simili a queste, ma, dato che non sono in grado di porsi realmente queste domande, non possono articolare chiaramente i loro guai da sole o fare dei passi per migliorare la loro presa sulla verità. Esse sono bloccate nel mondo delle apparenze, interpretando quanto meglio possono le cose che loro si mostrano, e raramente, se mai succede, sono turbate dal dubbio che le cose che appaiono possano veramente non essere come appaiono. Solamente noi siamo torturati da dubbi, e solamente noi siamo stati provocati da quel "prurito" epistemico da cercare di parvi rimedio: migliori metodi di ricerca della verità. Volendoci tenere in contatto con i nostri fornitori di cibo, con i nostri territori, con le nostre famiglie, con i nostri nemici in modo migliore, abbiamo scoperto i vantaggi dovuti al parlarne con altri, facendo domande, trasmettendo tradizioni orali. Abbiamo inventato la cultura.

È la cultura che trova il fulcro grazie al quale ci possiamo librare su nuovi territori. La cultura ci fornisce il punto di vista privilegiato dal quale possiamo scorgere come cambiare le traiettorie che ci sono state imposte dalla cieca attività di esplorazione dei nostri geni. Come ha detto Richard Dawkins: "Il punto cruciale è che non vi è ragione alcuna per credere che gli eventi genetici siano più irreversibili di quanto non siano quelli ambientali" (1982, p. 20). Ma per poter ribaltare ogni influenza siffatta, dobbiamo essere in grado di riconoscerla e di capirla. Possediamo solo noi, esseri umani, la conoscenza a lungo raggio sufficiente per identificare e per eludere le trappole disseminate lungo il percorso proiettato dai nostri geni poco lungimiranti. La conoscenza condivisa è la chiave per la nostra maggior libertà dal "determinismo genetico".

Non siamo ancora arrivati alla Symphony Hall, ma ci stiamo avvicinando.

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Ma c'è una specie, l' Homo sapiens, che ha fatto della trasmissione culturale la sua autostrada dell'informazione, generando un enorme numero di ramificazioni di famiglie di famiglie di famiglie di entità culturali, e trasformando i suoi membri attraverso la tendenza, trasmessa culturalmente, a installare vigorosamente quanta più cultura possibile nei piccoli, non appena questi siano pronti ad assorbirla. Questa innovazione della trasmissione orizzontale dell'informazione è così rivoluzionaria che i primati che ne fanno uso meritano un nome totalmente nuovo. Potremmo chiamarli euprimati - superprimati - se volessimo usare un termine tecnico. O potremmo utilizzare una parola più familiare, e chiamarli persone. Una persona è un ominide con un cervello "infettato" che ospita milioni di simbionti culturali, e i canali principali attraverso i quali questi ospiti si trasmettono fanno parte dei sistemi simbionti conosciuti come linguaggi.

Che cosa è nato prima, il linguaggio o la cultura? Come molti dei quesiti del tipo "l'uovo o la gallina", anche questo sembra paradossale solo se lo si studia in modo superficiale. È vero che un linguaggio pienamente articolato non può diventare un'istituzione per i membri di una specie fino a quando non si formi una comunità di qualche tipo, con norme, tradizioni, riconoscimento degli individui e ruoli mutualmente compresi. Quindi, ci sono alcune ragioni a sostegno dell'affermazione che una qualche sorta di cultura preceda - e non possa che precedere - il linguaggio. Le comunità degli scimpanzé hanno un (certo genere di) sistema di norme e tradizioni, riconoscono al loro interno la presenza di individui, e presentano una (specie di) scala sociale comunemente accettata, senza che per questo ci sia la presenza di un linguaggio; e queste comunità danno anche prova di una modesta forma di trasmissione culturale: tradizioni o "tecnologie" per rompere le noci, per prendere le termiti, per estrarre l'acqua da fonti non direttamente accessibili. Fanno addirittura uso di protosimboli; in almeno una comunità di scimpanzé, il battere maliziosamente impudico di un filo d'erba strappato da parte di un maschio può venire interpretato, da una femmina spettatrice, come qualcosa di simile a un "Yabba-dabba-doo!" ovvero "Ti andrebbe di salire da me e vedere la mia collezione di stampe cinesi?". Ci sono differenze nelle strette di mano durante i rituali di grooming che sembrano trasmesse per via culturale e non genetica. Volgendo lo sguardo indietro alla storia evolutiva della nostra stessa specie, troviamo evidenze (pur se aspramente contestate) di un controllo del fuoco da parte degli ominidi che risalirebbe a un milione di anni fa, e questa deve essere stata una pratica trasmessa sicuramente per via culturale (non per via genetica, come le tecniche adottate dagli Sfecidi per scavare i loro nidi), nonostante che il linguaggio si possa ritenere un'innovazione decisamente più recente, con stime che vanno dalle centinaia di migliaia a solo decine di migliaia di anni fa.

La cultura e la trasmissione culturale possono esistere senza il linguaggio, e ciò vale non solo per noi, ominidi, o per gli scimpanzé, i nostri parenti sopravvissuti più stretti. Ma è il linguaggio che apre le porte alla trasmissione culturale che ci differenzia da tutte le altre specie. Sembra che culture linguistiche elaborate siano emerse una volta sola su questo pianeta - finora. (I Neanderthal, probabilmente, possedevano anche loro un linguaggio; ma, pur se questo significa che c'è stato un periodo della storia del pianeta in cui erano presenti due specie dotate di una qualche forma di linguaggio, entrambe probabilmente lo avevano ereditato dai loro antenati comuni.) Perché nessun'altra specie ha mai scoperto questa magnifica suite dell'adattamento? La lista delle caratteristiche esclusive dell' Homo sapiens la conosciamo bene: controllo del fuoco, agricoltura (ma non dimentichiamoci delle formiche coltivatrici di funghi), costruzione di attrezzi sofisticati, linguaggio, religione, guerra (ma ricordiamoci delle formiche!), arte, musica, pianto, riso, ecc. In quale ordine sono emerse queste singolarità, e perché? I fatti storici risalgono a tempi remoti, ma non sono affatto inerti; hanno lasciato tracce fossili che possono essere studiate oggi da antropologi, archeologi, genetisti evolutivi, linguisti, e altri. Ciò che tiene assieme tutte le interpretazioni dei dati e governa l'avanzare del dibattito è il pensiero darwiniano - e questo non chiama in causa solamente i geni. Talvolta, i geni non c'entrano per niente. Il linguaggio si è evoluto una volta sola; ma le lingue si evolvono da quando il primo gruppo che utilizzava un linguaggio si è diviso in due sottogruppi, e sebbene sia indubbio che ci siano state delle risposte genetiche all'avvento del linguaggio (i cervelli si sono evoluti anatomicamente per diventare dei migliori elaboratori di testi), è molto improbabile che ognuna delle differenze che si sono evolute tra, diciamo, il finnico e il cinese, o il navajo e il tagalog, sia dovuta a ognuna delle sottili differenze genetiche che si possono riscontrare (per mezzo di sofisticate analisi statistiche) tra le popolazioni umane che usano una lingua madre piuttosto che un'altra. Qualsiasi cucciolo d'uomo può imparare qualunque lingua umana a cui venga esposto e, per quanto ne sappiamo, riesce a farlo con la stessa facilità. Quindi, l'evoluzione delle lingue non è direttamente correlata all'evoluzione dei geni, ma è stata ugualmente governata da condizionamenti darwiniani: ogni attività di R&S è costosa, e ogni nuovo progetto si deve ripagare da solo in un modo o in un altro. Se la complessità della grammatica di un tipo o di un altro resiste, per esempio, lo fa per una ragione, dal momento che ogni cosa presente nella biosfera è continuamente suscettibile di rinnovi, revisioni o cancellazioni. Abitudini e tradizioni si possono estinguere con la stessa facilità delle specie, a meno che qualcosa non le mantenga in vita. Innovazioni elaborate - del linguaggio o di qualche altra pratica umana - non accadono, e basta: accadono, sempre, per qualche ragione.

La domanda, allora, è: ragioni di chi? Gli avvocati chiedono "Cui bono?" - a chi (o a che) giova? Per rispondere in modo appropriato al quesito, dobbiamo spingere la nostra immaginazione a un salto audace - senza l'ausilio di nessuna penna magica. Quando salterete, sentirete una folla rumorosa di astanti isterici urlarvi di non farlo, implorarvi di voltare le spalle a quest'idea pericolosa. L'argomento che siamo in procinto di affrontare ha il potere impareggiabile di infastidire i guardiani della tradizione e di far aumentare il volume ma non l'accuratezza delle loro obiezioni. Siamo in procinto di prendere in considerazione la prospettiva dei memi, i replicatori della cultura analoghi ai geni, e molti di quelli che hanno avuto modo di considerare questa prospettiva, la odiano, punto e basta. Proviamo prima a capirla, e cerchiamo anche di capire se è veramente così insopportabile. Farò del mio meglio, a partire da adesso, per presentare nel modo più chiaro possibile la prospettiva del partito dell'odio, in modo da non essere accusato di indorare la pillola velenosa.

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La libertà umana è fragile


Le balene vagano per gli oceani, gli uccelli si librano in volo nel cielo e, secondo una vecchia barzelletta, un gorilla di 250 chili può sedersi dove vuole; ma nessuna di queste creature è libera nel modo in cui può esserlo un essere umano. La libertà umana non è un'illusione; è un fenomeno oggettivo, distinto da tutte le altre condizioni biologiche e presente in una sola specie, noi. Le differenze tra gli agenti umani autonomi e gli altri assemblaggi della natura sono visibili non solo da una prospettiva antropocentrica, ma anche dalla maggior parte dei punti di vista oggettivi (il plurale è importante) raggiungibili. La libertà umana è reale - reale quanto il linguaggio, la musica e il denaro - e come tale la si può studiare oggettivamente, utilizzando un approccio scientifico, impresa che non è affatto assurda. Ma come il linguaggio, la musica, il denaro e altri prodotti della società, la sua persistenza è influenzata da quello che noi crediamo di essa. Perciò, non è sorprendente che i nostri sforzi di studiarla imparzialmente vengano distorti dalla preoccupazione che noi potremmo goffamente uccidere l'esemplare sotto il microscopio.

La libertà umana è più giovane della nostra specie. Le sue caratteristiche più importanti hanno solo qualche migliaio di anni - un battito di ciglia nella storia dell'evoluzione - ma in quel breve periodo ha trasformato il nostro pianeta in modi che sono paragonabili, per salienza, a grandi transizioni biologiche, come la creazione di un'atmosfera ricca di ossigeno e la creazione della vita pluricellulare. La libertà deve evolvere come ogni altra caratteristica della biosfera, e continua a evolvere anche oggi. La libertà è reale adesso, in alcune parti felici del mondo, e coloro che l'amano lo fanno saggiamente, ma è ben lungi dall'essere ineluttabile, dall'essere universale. Più capiamo come si è sviluppata, e meglio riusciamo a lavorare per preservarla nel futuro, e per proteggerla dai suoi molti nemici naturali.

I nostri cervelli sono stati progettati dalla selezione naturale, così come sono stati progettati anche tutti i prodotti del nostro cervello, solo che questi ultimi sono stati realizzati a una scala temporale decisamente più veloce, da processi fisici in cui non si può riconoscere alcuna esenzione dalla causalità. Come fanno, allora, le nostre invenzioni, le nostre decisioni, i nostri peccati e i nostri trionfi a essere differenti dalle meravigliose ma amorali tele dei ragni? Come fa una torta di mele, amorevolmente cucinata come dono di riconciliazione, a essere differente, moralmente, da una mela "brillantemente" progettata dall'evoluzione per attirare un frugivoro con l'allettante prospettiva di uno scambio di fruttosio in cambio di una distribuzione dei suoi semi? Se queste domande vengono trattate come se fossero semplicemente retoriche, implicando con ciò che solo un miracolo potrebbe distinguere le nostre creazioni dalle cieche creazioni prive di scopo di meccanismi materiali, allora continueremo a girare a vuoto intorno ai tradizionali problemi del libero arbitrio e del determinismo, in un vortice di mistero insondabile. Gli atti umani - atti di amore e di genio, ma anche atti criminali e peccaminosi - sono semplicemente troppo diversi, ai nostri occhi, da ciò che accade agli atomi, che si muovano guidati dal caso o meno, da permetterci di capire a prima vista come fare a inserire le due categorie di oggetti entro un'unica costruzione coerente. I filosofi hanno provato per migliaia di anni a colmare la lacuna con un colpo spavaldo o due, sia dando un posto privilegiato alla scienza sia esaltando l'orgoglio umano - o dichiarando (correttamente, ma in modo poco convincente) che l'incompatibilità era solamente apparente, senza però entrare nei dettagli. Nel cercare di rispondere alla questione, nell'abbozzare il percorso non miracoloso che ci conduce per mano dal dominio degli atomi insensibili a quello delle azioni scelte liberamente, noi forniamo appigli all'immaginazione. La compatibilità tra libero arbitrio e scienza (deterministica o indeterministica: non fa differenza) non è così inconcepibile come sembrava una volta.

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Pagina 408

Il mio scopo in questo libro era quello di dimostrare che, se siamo pronti ad accettare la "strana inversione di ragionamento" di Darwin, allora possiamo sviluppare dal principio alla fine il migliore e più profondo ragionamento umano su argomenti come la morale e il significato, l'etica e la libertà. Lungi dall'essere nemica di queste indagini tradizionali, la prospettiva evoluzionistica è un alleato indispensabile. Non ho cercato di rimpiazzare il voluminoso edificio dell'etica con qualche alternativa darwiniana, ma di porre quell'edificio sulle fondamenta che merita: una visione realistica, naturalistica, potenzialmente unificata del nostro posto nella natura. Riconoscere la nostra unicità di animali riflessivi e comunicativi non richiede alcuna "straordinarietà" umana che debba lanciare il guanto di sfida a Dannn ed evitare le intuizioni che val la pena cogliere da quel sistema di pensiero magnificamenté articolato ed empiricamente ancorato. Possiamo capire come la nostra libertà sia maggiore di quella delle altre creature, e vedere come questa accresciuta capacità porti con sé implicazioni morali: noblesse oblige. Siamo nella migliore posizione per scegliere la mossa successiva, perché abbiamo tutta la conoscenza possibile, e quindi la migliore prospettiva sul futuro. Ciò che il futuro tiene in serbo per il nostro pianeta dipende da tutti noi, dal nostro ragionare assieme.

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