Copertina
Autore Fëdor Dostoevskij
Titolo Memorie del sottosuolo
EdizioneVoland, Roma, 2012, Sírin Classica 7 , pag. 182, cop.fle., dim. 10,5x15,3x1,3 cm , Isbn 978-88-6243-109-5
OriginaleZapiski iz podpol'ja [1864]
TraduttorePaolo Nori
LettoreRenato di Stefano, 2012
Classe classici russi
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Indice



I   Il sottosuolo                             7

II  Sulla neve fradicia                      57


Quello che ha scritto di Paolo Nori         171

Note                                        177



 

 

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Pagina 7

I IL SOTTOSUOLO


I

Io sono un uomo malato... Un uomo cattivo, sono. Un brutto uomo, sono io. Credo di esser malato di fegato. Però non capisco una mazza, della mia malattia, e forse non so neanche cos'è che mi fa male. E non mi curo e non mi son mai curato, anche se stimo la medicina e i dottori. Oltretutto, sono superstizioso, moltissimo, be', perlomeno tanto da stimare la medicina (ho studiato abbastanza da non essere, superstizioso, però sono superstizioso). No, ve', io non voglio curarmi per cattiveria. E questo, probabilmente, è quello che non vi degnate di capire. Be', invece io lo capisco. Io, di sicuro, non sarò capace di spiegarvi a chi, in questo caso, faccio dispetto, con la mia cattiveria: so fin troppo bene anche il fatto che non "faccio del male" ai dottori, con il fatto che non mi curo; so, meglio di tutti, che, così, danneggio solo me stesso, e nessun altro. Ma, comunque, se non mi curo, è lo stesso per cattiveria. Il fegato fa male? Be', che faccia male ancor di più.

È già da molto che vivo così, da vent'anni. Adesso ne ho quaranta. Prima avevo un impiego, adesso non ce l'ho più. Ero un cattivo impiegato. Ero maleducato, e ne godevo. Siccome di bustarelle non ne prendevo, mi dovevo almeno ricompensare, si vede, con questo. (Pessima battuta; non la cancello. L'ho scritta pensando che sarebbe uscita molto acuta; ma adesso che mi sono accorto, io stesso, che volevo solo pavoneggiarmi in un modo disgustoso, non la cancello apposta!) Quando un postulante si avvicinava al tavolo al quale sedevo per chiedermi un'informazione, digrignavo i denti e provavo un piacere infinito, se riuscivo ad addolorare qualcuno. Ci riuscivo quasi sempre. La maggior parte era gente timida: si sa come sono i postulanti. Ma, tra gli sfacciati, ce n'era uno, un ufficiale, che non potevo compatire. Non voleva assolutamente sottomettersi e faceva, con la sua sciabola, un rumore disgustoso. Abbiam fatto la guerra per un anno e mezzo, per quella sciabola. Alla fine ho vinto io. Ha smesso di far del rumore. Del resto questa cosa è successa quand'ero ancora giovane. Ma sapete, signori, qual era il tratto principale della mia cattiveria? Sì, la faccenda consisteva proprio in questo, la cosa più schifosa era il fatto che io, continuamente, anche nei momenti di massima bile, mi accorgevo con vergogna non solo di non essere cattivo, ma anche di non essere arrabbiato, e che mi divertivo soltanto, senza alcun profitto, a spaventare i passeri. Ho la schiuma alla bocca, ma portatemi una bambolina, datemi una tazza di tè con lo zucchero, e io, state tranquilli, mi calmo. Mi commuovo, perfino, anche se, probabilmente, poi vi mostro i denti, e per la vergogna soffro poi d'insonnia per qualche mese. Son fatto così.

Ho mentito, prima, quando ho detto che ero un cattivo impiegato. Ho mentito con cattiveria. Con i postulanti e con l'ufficiale facevo l'asino, ma in realtà non son mai riuscito a diventare cattivo. Sentivo, continuamente, dentro di me, moltissimi elementi contrari. Sentivo che brulicavano dentro di me, questi elementi contrari. Sapevo che per tutta la vita avevano brulicato e che chiedevano di venir fuori, ma io non gli davo il permesso, non gli davo il permesso, non gli davo apposta il permesso di venir fuori. Mi tormentavano, mi veniva vergogna: mi facevan venire il nervoso e mi hanno stancato, alla fine, oh, se mi hanno stancato! Non vi sembra, signori, che io mi stia pentendo di qualcosa, di fronte a voi, che io vi chieda perdono di qualcosa?... Sono sicuro che vi sembra così... Eppure, vi assicuro, per me è indifferente, se vi sembra così...

Non solo non sono stato capace di diventare cattivo, non sono stato capace di diventare niente: né cattivo, né buono, né disonesto, né onesto, né un eroe, né un insetto. Adesso vivacchio, oramai, nel mio angolino, dicendo che sono cattivo, eccitandomi con una malvagia, inutile idea consolatoria, che un uomo intelligente non può seriamente diventar niente, e che diventan qualcuno soltanto i coglioni. Eh, sì, l'uomo intelligente del diciannovesimo secolo è obbligato, moralmente tenuto, a essere la creatura priva di carattere per eccellenza; e un uomo con del carattere, un uomo d'azione, a essere la creatura limitata per eccellenza. Questa è la mia convinzione di quarantenne. Io adesso ho quarant'anni, e quarant'anni, poi, sono una vita; è la massima età consentita. Vivere più di quarant'anni non sta bene, è di cattivo gusto, è immorale. Chi vive più di quarant'anni, dite la verità, chi vive di più? Ve lo dico io, chi: i coglioni e i delinquenti, vivon di più. Lo dico in faccia a tutti i vecchi, a tutti quei vecchi rispettabili coi capelli d'argento, che profuman di buono! Lo dico in faccia al mondo! Ho diritto di dirlo, perché io vivrò fino a sessant'anni. Fino a settant'anni, vivrò. Fino a ottant'anni, vivrò io... Un attimo. Devo tirare il fiato...


Voi, signori, probabilmente pensate che io vi voglia far ridere. Vi sbagliate ancora. Non sono affatto la persona allegra che vi sembro o che forse vi sembro; però se a voi, irritati da queste chiacchiere (e già sento che siete irritati) venisse in mente di chiedermi chi sono io di preciso, allora vi risponderei: sono un assessore di collegio. Mi sono impiegato per avere qualcosa da mangiare (ma solo per quello), e quando l'anno scorso un mio lontano parente mi ha lasciato seimila rubli d'eredità, ho dato subito le dimissioni e mi son stabilito qui, nel mio angolino. Anche prima vivevo nel mio angolino, ma adesso mi son stabilito, nel mio angolino. La mia stanza è brutta, è schifosa, è ai limiti della città. La mia domestica è una contadina vecchia, cattiva per stupidità, e oltretutto puzza, da far schifo. Mi dicono che il clima di Pietroburgo mi fa male e che con i miei mezzi irrisori Pietroburgo, per me, è troppo cara. Io, queste cose, le so; tutti questi esperti e saggissimi consiglieri e aiutanti, li conosco, io. Ma resto a Pietroburgo; non me ne vado da Pietroburgo. E non me ne vado perché... Tanto! Che me ne vada o non me ne vada è esattamente la stessa cosa.

E, del resto: di cosa può parlare un uomo come si deve con il maggior piacere possibile?

Risposta: di sé stesso.

E allora parlerò di me stesso.

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Pagina 26

[...] Oh, signori, forse io mi credo un uomo intelligente solo per il fatto di non essere mai riuscito a cominciare né a concludere niente. Ammettiamo pure, ammettiamolo, che io sia un chiacchierone, un inconcludente, fastidioso chiacchierone, come tutti noi. Ma cosa posso farci, se la prima e l'unica missione di un uomo intelligente è fare delle chiacchiere, vale a dire, con la testa, travasare il nulla nel vuoto?


VI

Magari non avessi fatto niente solo per pigrizia. Oh, signori, come mi rispetterei, in questo caso. Mi rispetterei proprio per il fatto di essere capace di essere pigro; una qualsiasi capacità sarebbe, in me, in un certo senso, una cosa positiva, qualcosa di cui poter esser sicuro. Domanda: chi è questo? Risposta: un fannullone; sarebbe stato bellissimo sentirselo dire. Avrebbe significato determinare positivamente che c'era, qualcosa da dire, di me. "Fannullone!"; ma è già un titolo, una missione, è una carriera! Non ridete, è così. Io allora sarei stato membro di diritto del più grande dei club, e avrei passato la vita a darmi dell'importanza. Conoscevo un signore che per tutta la vita è andato fiero del fatto che si intendeva di Lafitte. Considerava questo il suo talento migliore, e non ha mai dubitato di sé stesso. È morto con la coscienza non solo tranquilla, è morto con la coscienza in trionfo, e aveva perfettamente ragione. Anch'io avrei intrapreso una carriera: sarei stato un fannullone, e un mangione, non uno basta che sia, ma, per esempio, uno di quelli che si rende conto di tutto quel che c'è di bello e di sublime. Vi piace? È già un po' che ci penso. Questo "bello e sublime" è un fardello un po' pesante, da portare, con i miei quarant'anni; ma questo adesso che ho quarant'anni, allora invece, ooh, allora sarebbe stata un'altra cosa! Mi sarei trovato allora un'attività conveniente, per esempio: bere alla salute di tutto quel che c'è di bello e di sublime.

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Pagina 30

[...] Cosa ne pensate, può esistere un caso del genere? Ridete, ridete pure signori, ma rispondete, però: il tornaconto dell'umanità è mai stato considerato in modo esatto? Non è una di quelle cose che non possono essere e non sono mai state classificate in nessuna maniera? Perché voi, signori, per quanto ne so, tutto il vostro inventario dei tornaconti dell'umanità l'avete fatto sulla base di numeri medi, cifre statistiche, formule economico-scientifiche. Perché, per voi, il tornaconto consiste nella prosperità, nella ricchezza, nella libertà, nella pace eccetera eccetera; tanto che un uomo che, per esempio, si dichiarasse chiaramente e coscientemente contrario a questo inventario, sarebbe, secondo voi, e, naturalmente, anche secondo me, un oscurantista, oppure, in fin dei conti, un pazzo, non è vero? Ma ecco cosa c'è di stupefacente: che tutti questi statistici, questi saggi e benefattori del genere umano, quando fanno la lista dei tornaconti dell'umanità ne saltano sempre uno. Anzi, non lo prendono nemmeno in considerazione nel modo in cui andrebbe preso in considerazione, anche se è da lui che dipende tutto il calcolo. Non sarebbe poi un gran male, prendere anche questo tornaconto e metterlo dentro la lista. Ma va sempre a finire che questo benedetto tornaconto non viene mai classificato, non rientra in nessuna lista. Io, per esempio, ho un conoscente... Accidenti, signori, è un conoscente anche vostro; sì, e di chi, di chi non è un conoscente! Quando si mette a fare una cosa, questo signore vi spiega subito, chiaro ed eloquente, come si deve fare quella determinata cosa secondo i principi della ragione e della verità. E non solo: emozionato e appassionato vi parlerà dei reali, dei normali, umani interessi; rimprovererà con un sogghigno gli sciocchi dalla vista limitata che non capiscono né il proprio tornaconto, né il vero significato della virtù, e esattamente un quarto d'ora dopo, senza nessun motivo improvviso o che dipenda da qualcun altro, ma proprio per una spinta interiore più forte di tutti i suoi interessi, ne combinerà una di un genere completamente diverso, andrà cioè chiaramente contro quel che ha appena detto: sia contro le leggi della ragione, che contro il proprio personale tornaconto, cioè, in breve: contro tutto... Vi prevengo: il mio conoscente è un personaggio comune, dar la colpa solo a lui, quindi, sarebbe complicato. Perché, signori, diciamo la verità, non esiste forse davvero qualcosa che, quasi ad ogni uomo, è più caro ancora del più vantaggioso dei suoi tornaconti, o (se non vogliamo violare la logica), non c'è un tornaconto così vantaggioso (proprio quello che si trascura sempre, quello di cui parlavamo poco fa) che è più importante e più vantaggioso di tutti gli altri e per il quale l'uomo, se è necessario, è pronto ad andare contro tutte le regole, vale a dire contro la ragione, l'onore, la pace, la prosperità, in breve: contro tutte quelle cose bellissime e utili a patto di ottenere quell'originario tornaconto, il più vantaggioso di tutti, che gli è più caro di tutti?

"Sarebbe però sempre un tornaconto" mi interrompete voi.

Scusate, adesso mi spiego, non è un gioco di parole, e questo tornaconto è tanto più particolare in quanto fa saltare per aria tutte le nostre classificazioni e distrugge immancabilmente tutti i sistemi elaborati dai benefattori del genere umano per la felicità del genere umano. Cioè: dà fastidio a tutti. Ma prima di nominare questo tornaconto voglio compromettermi personalmente, e perciò ho il coraggio di dirvi che tutti questi sistemi meravigliosi, tutte queste teorie che spiegano all'umanità quali sono i suoi veri, reali interessi, affinché l'umanità si metta senz'altro a provare a raggiungere questi interessi, e diventi d'un tratto buona e nobile, per il momento, secondo me, non sono altro che delle balle. Sì ve', delle balle! Perché affermare la teoria del rinnovamento di tutto il genere umano per mezzo del sistema del di lui tornaconto, per me, è quasi... ma come sostenere, per esempio, con Buckle, che l'uomo, grazie alla civiltà, diventa più buono, e, di conseguenza, meno sanguinario e meno adatto a far la guerra. Sembra anche una cosa logica. Ma l'uomo è talmente appassionato di sistemi e di deduzioni astratte, che è pronto a deformare la realtà, è pronto a non vedere niente e a non sentire niente, pur di dimostrare la propria logica. E faccio questo esempio perché è fin troppo chiaro. Ma guardatevi intorno: il sangue scorre a fiumi, e così, allegramente, come se fosse champagne. Eccovi il vostro diciannovesimo secolo, nel quale ha vissuto anche Buckle. Eccovi Napoleone, quello grande e quello di adesso. Eccovi l'America del nord, l'unione sempiterna. Eccovi, infine, questa caricatura dello Schleswig-Holstein ... E chi è che è diventato più buono, grazie alla civiltà? La civiltà sviluppa nell'uomo una molteplicità di sensazioni e... nient'altro. E, con il suo sviluppo, questo uomo multiforme arriverà forse anche al fatto di provare piacere nello spargere sangue. E una cosa del genere è già successa. Avete notato che tutti i sanguinari più raffinati, erano, quasi tutti, dei signori estremamente civili, al fianco dei quali i vari Attila e Sten'ka Razin farebbero una pessima figura, e se si fanno meno notare, di Attila e Sten'ka Razin, dipende proprio dal fatto che li incontriamo troppo spesso, che sono troppo comuni, ci sono diventati familiari. O almeno l'uomo, grazie alla civiltà, se non è diventato più sanguinario, è diventato già, probabilmente, sanguinario in modo più disgustoso di prima. Prima vedeva nel sangue la giustizia, e sterminava con la coscienza tranquilla quelli che era necessario sterminare; adesso noi forse consideriamo l'esser sanguinari una porcheria, ma facciamo lo stesso questa porcheria, anche più di prima. Cos'è peggio? Decidete voi. Dicono che a Cleopatra (scusate l'esempio dalla storia di Roma) piaceva ficcare delle spille d'oro nel seno delle sue schiave, e che provava piacere alle loro grida e convulsioni. Voi direte che quelli eran tempi, per così dire, barbari: che anche oggi i tempi sono barbari, perché anche oggi si ficcano, per così dire, le spille nella carne; che anche oggi l'uomo, anche se ha imparato a vedere in modo più chiaro, che ai tempi dei barbari, è anche oggi lontano dall'imparare ad agire come gli insegnano la ragione e la scienza. Ma voi siete convinti, ugualmente, che imparerà non appena si sarà liberato di certe vecchie, sciocche abitudini, e non appena il senso comune e la scienza avranno educato e indirizzato come si deve la natura umana. Voi siete convinti che l'uomo, allora, smetterà per conto suo, volontariamente, di commettere errori e, per così dire, non vorrà più tenere separata la propria volontà dai propri interessi reali. Non solo: allora, dite voi, la scienza stessa insegnerà all'uomo (cosa che a me sembra già inverosimile) che lui non ha, a dire il vero, né volontà né capricci, ma che lui altro non è che un tasto di pianoforte, o una canna d'organo e che, soprattutto, al mondo ci sono le leggi della natura, cosicché tutto quello che si fa, in generale, non lo si fa perché si ha voglia di farlo, ma si fa così, per conto suo, per legge di natura. Di conseguenza, bisogna solo scoprire queste leggi della natura e l'uomo non dovrà più rispondere delle proprie azioni e vivere sarà per lui straordinariamente facile. Tutte le azioni, di conseguenza, saranno calcolate da quelle leggi, matematicamente, come in una tabella di logaritmi, fino a 108.000, e inserite in un calendario; anzi, ancora meglio, saranno pubblicati certi volumi benemeriti, sul tipo delle enciclopedie di oggi, nei quali tutto sarà numerato e classificato così esattamente che al mondo non ci saranno più né azioni né avventure.

Allora — siete sempre voi che parlate — si creeranno dei nuovi rapporti economici, anche loro già pronti e calcolati con precisione matematica, e, in un istante, spariranno tutte le domande possibili, proprio perché saranno comparse tutte le possibili risposte. Allora sarà costruito il palazzo di cristallo. E poi... Be, insomma, poi, sarà il paese di Bengodi.

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Pagina 36

VIII

"Ah ah ah! Ma la volontà, in sostanza, se crede, non esiste nemmeno" mi interrompete voi, e ridete. "La scienza è riuscita a sviluppare così bene l'anatomia umana, che adesso sappiamo che la volontà, e il cosiddetto libero arbitrio, altro non sono che..."

"Un attimo, signori, volevo cominciare anch'io da lì. Lo riconosco, mi son spaventato, perfino. Stavo quasi per gridare che la volontà non si capisce bene quello che vuol dire e da cosa dipende e, che, forse, è così per grazia di Dio, poi mi sono ricordato della scienza e... mi son fermato. E lì, vi siete messi a parlare voi. Però, a dir la verità, be', se si dovesse davvero trovare una formula per tutte le nostre voglie e i nostri capricci, vale a dire capire da cosa dipendono, quali sono le leggi che li producono, come si diffondono, dove tendano nel tal caso e nel talaltro eccetera eccetera, vale a dire trovare una vera formula matematica, allora l'uomo, forse, smetterebbe subito di volere, anzi, smetterebbe proprio. Perché che gusto ci sarebbe a volere secondo una tabella? E non solo: da uomo che è diventerebbe una canna d'organo, o qualcosa del genere; perché, cos'è mai un uomo senza desideri, senza voglie e senza volontà, se non una canna d'organo? Cosa dite? Calcoliamo le probabilità. Può succedere o no?"

"Hmm," dite voi "i nostri desideri sono sbagliati, per la maggior parte, per via della considerazione, sbagliata, del nostro tornaconto. Se vogliamo, delle volte, una sciocchezza qualsiasi, è perché in questa sciocchezza vediamo, a causa della nostra stupidità, la via più breve per un tornaconto che abbiamo supposto. Ebbene, quando tutto ciò sarà spiegato, calcolato nero su bianco (il che è più che possibile, dal momento che sarebbe avvilente e insensato credere in anticipo che l'uomo non potrà mai conoscere determinate leggi della natura), allora, si capisce, i cosiddetti desideri non ci saranno più. Quindi se i desideri faranno, un domani, tutt'uno con la ragione, allora noi ragioneremo, e non vorremo, proprio perché sarà impossibile, conservando l'uso della ragione, volere un'assurdità e andare così volontariamente contro la ragione e desiderare, per sé, qualcosa di dannoso... E dal momento che tutti i desideri e i pensieri possono essere effettivamente calcolati, perché prima o poi saranno scoperte le leggi del nostro cosiddetto libero arbitrio, allora, di conseguenza, senza scherzare, sarà possibile anche costruire qualcosa come una tabella, e alla fine noi effettivamente desidereremo secondo questa tabella.

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Pagina 45

Le rispettabilissime formiche han cominciato dal formicaio, col formicaio, probabilmente, finiranno, cosa che fa onore alla loro costanza e alla loro positività. Ma l'uomo è una creatura superficiale e censurabile e, forse, come un giocatore di scacchi, gli piace solo il processo, non lo scopo. E chissà (nessuno può dirlo), forse, dopotutto, lo scopo a cui l'umanità tende consiste in questo unico, infinito processo, vale a dire nella vita stessa, e non in uno scopo preciso, che, si intende, dovrebbe essere simile a due più due quattro, vale a dire a una formula, e però due più due quattro non è già più la vita, signori, ma l'inizio della morte. Perlomeno l'uomo ha sempre avuto in qualche modo paura di questo due più due quattro, io ne ho paura anche adesso.

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Pagina 50

XI

Alla fin fine, signori, è meglio non fare niente! È meglio un'inerzia consapevole. Di conseguenza, viva il sottosuolo! Anche se ho detto che invidio l'uomo normale con tutto il mio livore, alle condizioni attuali, non voglio essere come lui (benché, a dire il vero, non smetta di invidiarlo). No, no, il sottosuolo è comunque più vantaggioso. Lì, per lo meno si può... Accidenti! Però adesso sto mentendo! Mento, perché so benissimo, come due più due, che non è il sottosuolo il meglio, ma qualcos'altro, completamente diverso, qualcosa di cui sono assetato e che non troverò mai! Al diavolo il sottosuolo!

Ecco cosa sarebbe meglio, per esempio: se io potessi credere almeno a qualcosa di tutto quello che ho scritto. Vi giuro, signori, che io non credo a una sola parola, una sola di quelle che ho messo in fila. Cioè, ci credo, magari, ma nello stesso tempo, non si sa perché, sento e sospetto che sto mentendo come un barbiere.

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Pagina 61

Noi, russi, in generale, non abbiamo mai avuto quegli stupidi acchiappanuvole romantici che hanno avuto i tedeschi e soprattutto i francesi, ai quali non fa effetto niente: tremi la terra, perisca tutta la Francia sulle barricate, loro son sempre gli stessi, non cambiano neanche per educazione, e continuano a cantare le loro canzoni siderali, per così dire, fino alla tomba, perché sono stupidi. Da noi, in terra russa, di stupidi non ce n'è più, è una cosa che si sa. È in questo, appunto, che i russi sono diversi da tutti i tedeschi possibili e immaginabili. È per quello, che di acchiappanuvole allo stato puro, in Russia, non se ne incontrano. Sono stati i nostri critici e pubblicisti "positivi", un po' di tempo fa, che hanno cominciato a andare a caccia di questi Kostanžoglu, di questi zietti Pëtr Ivanovič e, per stupidità, li hanno presi per il nostro ideale, si son messi a fantasticare sui nostri romantici, considerandoli altrettanto siderali di quelli della Germania e della Francia. Al contrario, le qualità del nostro romantico sono assolutamente e perfettamente opposte a quelle del romantico-siderale di tipo tedesco, e nessuna misura europea gli si adatta. (Permettetemi di usare questa parola: "romantico", parola antica, rispettabile, benemerita, che tutti conoscono.) Le caratteristiche del nostro romantico sono: capire tutto, vedere tutto e vedere incomparabilmente più chiaro di come vedono le nostre intelligenze più positive; non adattarsi a niente e a nessuno, ma, nello stesso tempo, di niente avere ribrezzo; aggirare tutte le difficoltà, cedere in tutte le occasioni, comportarsi con tutti diplomaticamente; non perdere mai di vista uno scopo utile e pratico (qualche cosiddetto appartamento, una piccola pensione, una piccola decorazione), perseguire questo scopo con tutto l'entusiasmo possibile e con dei volumetti di versi lirici e nello stesso tempo conservare in sé, fino alla tomba, anche "il bello e il sublime", e conservare perfettamente, tra l'altro, anche sé stessi, come nel cotone, come un braccialettino, anche solo, per esempio, per il bene "del bello e del sublime". Il nostro romantico è di larghe vedute, e il più grande imbroglione di tutti i nostri imbroglioni, ve lo posso assicurare... anche per esperienza. Si intende che tutto questo vale se il romantico è intelligente. Ma cosa dico! Un romantico è sempre intelligente, volevo solo notare che, se per caso sono esistiti, da noi, i romantici stupidi, non vanno considerati per il semplice motivo che, quando erano ancora nel fiore degli anni, si sono trasformati definitivamente in romantici tedeschi e, per conservare meglio il proprio braccialettino, si sono trasferiti là da qualche parte, più che altro a Weimar, o nella foresta nera. Io, per esempio, disprezzavo sinceramente la mia attività di impiegato, non ci sputavo su solo per necessità, perché, per passarci del tempo, mi davan dei soldi. In conclusione, notatelo, comunque, non ci sputavo su. Il nostro romantico è più facile che diventi pazzo (cosa che, però, succede rarissimamente) piuttosto che sputare sulla propria carriera, se non ne ha un'altra in vista, e non lo buttano fuori neanche a pedate, piuttosto lo portano al manicomio come "re di Spagna", e questo solo se è impazzito molto. Ma da noi impazziscono solo i debolucci e i biondini. Moltissimi sono i romantici che, dopo, diventano funzionari importanti. Una poliedricità stupefacente. E che disposizione per le sensazioni più contraddittorie. Già allora queste eran cose che trovavo consolanti, e anche adesso la penso nello stesso modo. Per questo da noi ci sono talmente tante nature "di larghe vedute" che, per quanto possano cadere in basso, non perdono mai il loro ideale; e benché non muovano un dito, per l'ideale, sebbene siano dei delinquenti e dei ladri matricolati, rispettano lo stesso, fino alle lacrime, il loro ideale originario e, nell'anima, sono straordinariamente onesti. Sì ve', solo da noi il più accanito mascalzone può essere perfettamente, e nobilmente, perfino, onesto nell'anima, senza per questo smettere di essere un mascalzone.

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Pagina 64

A casa più che altro leggevo. Volevo soffocare con delle impressioni esterne tutto quello che continuamente ribolliva dentro di me. Ma, tra le impressioni esterne, l'unica che mi era accessibile era la lettura. La lettura, sicuramente, mi aiutava molto, mi agitava, mi deliziava e mi torturava. E, di tanto in tanto, mi annoiava a morte. Allora mi veniva voglia di darmi da fare e, d'un tratto, sprofondavo in una oscura, sotterranea, schifosa... non dico depravazione; depravazioncella. Le mie, come dire, passioni, erano acute, brucianti, per via della mia eterna, morbosa irritabilità. Avevo delle crisi isteriche, con lacrime e convulsioni. Lettura a parte non c'era niente da fare, cioè non c'era niente, tra quello che mi circondava, che meritasse il mio rispetto e che mi attraesse. Soprattutto, ribollivo d'angoscia; era comparsa una sete isterica di contraddizioni e contrasti, e allora mi lasciavo andare alla mia depravazioncella. Queste cose non le dico affatto con l'intento di giustificarmi... Anzi, no. Ho mentito. Volevo proprio giustificarmi. Questa osservazione, signori miei, l'ho fatta per me stesso. Non voglio mentire. Ho promesso.

Mi lasciavo andare alla depravazione di nascosto, di notte, in segreto, avevo paura, avevo il vomito, avevo vergogna, una vergogna che non mi lasciava neanche nei momenti più ripugnanti e diventava, in quei momenti, una maledizione. Avevo, già allora, il sottosuolo nell'anima. Avevo una paura terribile che qualcuno mi vedesse, mi incontrasse, mi riconoscesse. Sceglievo i posti più bui.

Una volta, passando davanti a una piccola trattoria, avevo visto a una finestra illuminata certi signori che si picchiavano con le stecche da biliardo e uno di loro l'avevan buttato fuori dalla finestra. In un'altra occasione questa cosa mi sarebbe sembrata rivoltante; ma allora, in quel momento, mi era capitato di pensare che quel signore gettato fuori dalla finestra io l'invidiavo, e lo invidiavo talmente tanto che ero entrato nella trattoria, nella sala da biliardo, e avevo pensato "Forse, chissà, adesso ci picchiamo e buttano fuori anche me dalla finestra."

Non ero ubriaco, ma cosa volete fare, si può essere isterici fino a questo punto. Non era successo niente. Non ero neanche degno di esser buttato fuori dalla finestra, e ero uscito senza che ci picchiassimo.

Un ufficiale mi aveva fatto abbassare la cresta subito.

Ero in piedi vicino al biliardo e, non sapendo come ci si deve comportare, avevo ostruito il passo, e lui invece doveva passare; mi aveva preso per le spalle e, in silenzio, senza avvisare e senza spiegare, mi aveva messo, dal posto dov'ero, in un altro, e lui poi era passato facendo finta di niente. Gli avrei perdonato anche le botte, ma non potevo in nessun modo perdonargli di cambiarmi di posto e di far finta di niente in quel modo lì.

Il diavolo sa cosa avrei dato allora per una vera e propria lite, più corretta, più decente, più, per così dire, letteraria! Mi avevano trattato come una mosca! L'ufficiale era alto quasi due metri, io sono bassino e deperito. La lite, comunque, dipendeva solo da me; bastava protestare e, di sicuro, mi avrebbero buttato fuori dalla finestra. Ma ci ripensai e preferii... andarmene pieno di rabbia.

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Pagina 77

Ma quanto amore, signori, quanto amore ho provato, io, nei miei sogni, in questa "salvezza in quel che è bello e sublime": anche se era un amore fantastico, anche se non si sarebbe potuto applicare a nessuno, nella realtà, ce n'era così tanto, di questo amore, che poi, di applicarlo a qualcuno, nella realtà, non se ne sentiva neanche il bisogno. Sarebbe stato un lusso, sarebbe stato superfluo. Tutto, del resto, finiva sempre nel migliore dei modi, con un pigro e inebriante passaggio all'arte, cioè alle splendide forme dell'essere, già pronte, rubate ai poeti e ai romanzieri e adatte a servire tutti gli scopi e tutte le esigenze. Io, per esempio, trionfavo su tutti: tutti, si capisce, andavano in malora ed erano spontaneamente costretti ad ammettere le mie perfezioni, e io li perdonavo tutti. Mi piaceva essere un poeta famoso e un dignitario; quindi venivo in possesso di diversi milioni e subito li sacrificavo a favore del genere umano e poi confessavo al popolo le mie colpe, che, sia ben chiaro, non erano colpe, ma avevano in sé tantissimo di "bello e sublime", una cosa alla Manfredi. Allora tutti si mettevano a piangere e mi baciavano (altrimenti sarebbero stati degli imbecilli), e io andavo scalzo e affamato a predicare le nuove idee e sconfiggevo i reazionari vicino ad Austerlitz. Poi suonava una marcia, c'era l'amnistia, il papa accettava di trasferirsi da Roma in Brasile; poi c'era un ballo per tutta l'Italia a Villa Borghese, da qualche parte sulle rive del lago di Como, tanto che il lago di Como veniva trasferito apposta per questa occasione a Roma; poi c'era una scena tra gli arbusti eccetera eccetera, lo sapete no? Voi direte che è volgare, che è da vigliacchi, esibire tutte queste cose, dopo tanto trasporto e tante lacrime che ho confessato io stesso. Perché sarebbe da vigliacchi? Non crederete, signori, che io mi vergogni, di queste cose, e che queste cose siano più stupide di tutto quello che ci può essere stato nella vostra vita? Crediate pure che in questi miei sogni c'era qualcosa che non era studiato affatto male... Non succedeva tutto sulle rive del lago di Como.

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Perfino adesso, che sono passati tanti anni, è ancora, in un certo senso, per me, troppo spiacevole, ricordare. Ci sono tante cose, che per me è spiacevole ricordare ma... non è il caso di finirla, con queste "Memorie"? Mi sembra di aver fatto uno sbaglio, cominciando a scriverle. Per lo meno, ho avuto vergogna per tutto il tempo che ho passato a scrivere questo racconto: vuol dire che questa non è letteratura, ma una pena rieducativa. Mettersi a scrivere, per esempio, un lungo racconto sul modo in cui ho sprecato la mia vita, sul modo in cui mi sono corrotto moralmente, nel mio angolino, per insufficienza di frequentazioni, per mancanza di abitudine alla vita e per la vanitosa cattiveria che ho coltivato nel sottosuolo, Dio santo, non è interessante; in un romanzo ci vuole un eroe, e qui son raccolti, apposta, tutti i tratti di un antieroe, e il peggio è che tutte queste cose producono un'impressione spiacevolissima, perché noi, tutti noi, non siamo più abituati alla vita, siamo tutti zoppi, chi più chi meno. Siamo così poco abituati che sentiamo adesso, per la "vita vera", una specie di repulsione, e non sopportiamo che ce la ricordino. Siamo arrivati al punto che la vera "vita vera" la consideriamo quasi una fatica, quasi come un lavoro, e siamo tutti d'accordo che è meglio se ci viene presentata nei libri. Ma perché ci agitiamo, a volte, perché facciamo i capricci, che cosa vogliamo? Non lo sappiamo neanche noi. E se i nostri desideri stravaganti venissero esauditi, staremmo peggio. Su, provate, su, dateci, per esempio, più indipendenza, sciogliete le mani a uno di noi, allargate il cerchio della nostra attività, allentate il controllo e noi... vi assicuro, noi chiederemo subito di tornare sotto il vostro controllo. So benissimo che forse voi vi arrabbierete con me, per quello che sto dicendo, griderete, picchierete i piedi, "Parli per lei," direte "e per le sue miserie nel sottosuolo, e non osi dire tutti noi." Chiedo scusa, signori, ma non sono io a giustificarmi con questo tutti. Per quel che mi riguarda, io non ho fatto altro, nella mia vita, che portare all'estremo quel che voi vi siete degnati di portare fino a metà, prendendo poi la vostra viltà per buonsenso, e consolandovi, così, e imbrogliandovi da soli. Sicché io, se non vi dispiace, sono ancora "più vivo" di voi. Ma state più attenti! Noi non sappiamo neanche dove si trova, quello che è vivo, e che cos'è, e come si chiama. Lasciateci soli, senza libri, e noi ci imbrogliamo e ci perdiamo subito, non sappiamo più a cosa attaccarci, a cosa appoggiarci, cosa dobbiamo amare e cosa dobbiamo odiare, cosa dobbiamo rispettare e cosa dobbiamo disprezzare. Facciamo fatica anche ad essere degli uomini, ad essere uomini con un corpo vero, nostro, con il sangue nelle vene; ce ne vergogniamo, lo consideriamo offensivo, e cerchiamo di essere una specie di uomo universale che non è mai esistito. Noi nati morti, già da un pezzo non siamo più messi al mondo da dei padri vivi, e questo ci piace sempre di più. Ci abbiamo preso gusto. Presto inventeremo il modo di nascere da un'idea. Ma basta; non voglio più scrivere "dal sottosuolo".

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QUELLO CHE HA SCRITTO



Succede, a chi traduce dei romanzi, di dover dire poi delle cose su questi romanzi che ha tradotto e di accorgersi, a me succede abbastanza spesso, che di questi romanzi che ha tradotto non sa dire niente.

Ecco, in questo caso, nel caso delle Memorie del sottosuolo, è proprio così: delle Memorie del sottosuolo io non so dire niente.

Mi ricordo tanti anni fa, forse venti anni fa, che la moglie di un amico di mio babbo che c'era venuta a trovare in campagna, una signora che di mestiere faceva la psicologa, parlando aveva citato Dostoevskij, I dèmoni, con l'accento sulla e, I dèmoni, e io le avevo detto, un po' pignolo, che secondo me era un romanzo bellissimo che però in italiano si diceva I demòni, e le avevo raccontato la cosa che mi aveva raccontato la mia professoressa, che dèmone è qualcosa di astratto, come il dèmone del gioco, e che quelli lì, Stavrogin e quegli altri, invece, eran della gente concreta, in carne e ossa, cioè dei demòni.

Allora mi ricordo che lei, quella signora, mi aveva guardato e mi aveva detto "Ma tu, sei un esperto di Dostoevskij?".

E io l'avevo guardata le avevo detto "No. Io non sono, un esperto di Dostoevskij".


In questi giorni, siamo nel gennaio del 2012, è morto da poco Carlo Fruttero, e l'altro giorno, il 16 gennaio del 2012, ho visto, sul computer, un'intervista a Carlo Fruttero in cui l'intervistatore, parlando del lavoro di Fruttero all'Einaudi, aveva detto "Lei era un esperto di letteratura inglese e francese", e Fruttero l'aveva interrotto aveva detto "Io non ero un esperto di niente".


Non ero stato a dirle, a quella signora, che l'idea che probabilmente c'era sotto, ai Demòni, il tentativo di dimostrare che i rivoluzionari sono, banalizzo, dei demòni, dei maledetti, delle canaglie, e che i rappresentanti della società civile che li guardano con favore e con curiosità sono peggio di loro, ecco questo tentativo, secondo me, era una porcheria.

Non ero stato lì a dirglielo perché altrimenti sarei sembrato ancora più pignolo e ancora più esperto.

E anche perché il romanzo, anche se le idee politiche che l'avevano probabilmente generato a me sembravano delle porcherie, il romanzo, in sé, a me sembrava, e sembra, un capolavoro.

Ma questo riguarda i Demòni, non Le memorie del sottosuolo, e se lo dico è soltanto perché, delle Memorie del sottosuolo, non so cosa dire. Solo una cosa, potrei dire, che ha a che fare con la musica.

[...]

P.N.

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