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| << | < | > | >> |IndicePrefazione di Margarete Durst 9 1. L'autorappresentazione di una madre e di una educatrice. Il "Manualis" di Dhuoda per il figlio, di Carla Roverselli 13 1. Un po' di storia 13 2. Il Manuale 15 3. Come Dhuoda parla di sé nel Manuale 16 2. Padre e figlio: un'armonica dissonanza degli Essais di Carlo Cappa 33 1. Un padre. Quale padre? 33 2. Un amore. Quale amore? 36 3. Un'educazione. Quale educazione? 42 4. Tre risposte insoddisfacenti. La formazione come possibile costruzione di sé 45 5. Il libro. Un figlio che educa il padre 49 3. Educazione di genere e modelli di identità femminile negli scritti di Madame de Lambert di Margarete Durst 53 Premessa 53 1. L'educazione en femme: un diritto da proclamare e un percorso di formazione da attivare 60 2. La scrittura di Madame, ovvero un ardire vestito di prudenza 70 3. Un esempio atipico di educazione materna orientata sul genere 77 Nota biografica 84 Nota bibliografica 85 4. L'immaginario simbolico femminile e l'educazione della donna nel Settecento di Maria Camilla Briganti 87 1. Contributi alla discussione sull'istruzione femminile del XVIII secolo 87 2. Situazioni differenti in Italia: Bologna, Padova, Venezia e Roma 97 3. Lettrici da istruire e letture educative nell'Italia del XVIII secolo 99 4. Pubblicazioni pedagogiche ed editoria per la donna nel Settecento: misogina, cattolica, conservatrice, di reazione al misoginismo 110 5. Da Margaret Cavendish agli studi femministi sulla autobiografia. Narrarsi per ritrovarsi di Heather Gardner 119 Bibliografia dei testi citati 135 6. Il compito sociale dell'educazione nel XIX secolo. Charlotte Perkins Gilman di Laura Moschini 137 Premessa 137 1. Charlotte Perkins Gilman: la donna protagonista del progresso sociale 141 7. Essere ebree/i e tedesche/i: una difficile eredità materna. La narrazione di Viola Roggenkamp di M. Caterina Poznanski 161 8. Scrittura e identità in Among the White Moon Faces di Shirley Geok-lin Lim di Elisabetta Marino 181 Bibliografia 189 |
| << | < | > | >> |Pagina 9Prefazione
di Margarete Durst
Sono qui raccolti i saggi di sette studiose e di uno studioso che da diversi punti di vista affrontano la questione dell'educazione di genere in rapporto alla trasmissione generazionale, quindi anche il dialogo che, in varie forme, intercorre tra genitori e figli. Un dialogo che si conforma di volta in volta in conversazione alla distanza o in confronto serrato, ma che comunque annoda le fila di un rapporto, pur quando si tratta di cambiare dalla radice dei legami che invalidano la comunicazione. La scrittura - che si tratti di narrazione, missiva, o diario - gioca un ruolo di gran rilievo in tutti i saggi, che infatti mettono in campo le scritture di madri ai figli, maschi e femmine, e tra padri e figli, intrecciandole, spesso in contrappunto, con le scritture di quante e quanti hanno sentito di dover scrivere sull'educazione di donne e uomini: i due generi sempre, volenti o nolenti, in rapporto tra loro. Anche se si parla soprattutto delle donne in questo volume gli uomini non sono affatto assenti, e oltre a figurare in un caso come protagonisti, vi compaiono non solo in contrasto ma anche come sostenitori e interlocutori dell'altro sesso. Il tema comune, che come dice il titolo attiene all'educazione di genere, si dipana attraverso i vari saggi prospettandoci linguaggi, stili comunicativi, situazioni di vita, tradizioni formative diverse, che peraltro si delineano su scenari spazio-temporali diversi. Ci si trova così di fronte ad un lungo excursus sull'educazione di genere, in cui il soggetto più focalizzato è la donna, sempre affiancata all'uomo, il quale, nell'avere i propri problemi di formazione, si trova a doversi misurarsi con la crescita culturale femminile. Crescita tanto inaspettata quanto fonte di più o meno esplicite paure, visto il carattere dirompente, a livello privato e pubblico, del sapere delle donne; quel sapere osteggiato proprio perché capace di rovesciare posizioni acquisite nel corso di secoli e date ormai per scontate, come ben si evince dal volume in esame. Questa problematica vi appare declinata in maniera diversa a seconda dei tempi e degli spazi considerati, e in ciascun saggio si fa attenzione a definire l' ubi consistam della questione. Stranamente, data la condizione di vita oltre che dell'istruzione delle donne, le protagoniste femminili di molti degli studi proposti mostrano di avere una chiara coscienza della loro posizione nello spazio e nel tempo, e, pur variamente impedite nello studio della storia, sanno ben "localizzare" i loro problemi. Dall'epoca carolingia al tardo Novecento, dai castelli medioevali alle case asiatiche di oggi, passando per i salotti dell'Ancien Regime, per i villaggi inglesi del Settecento, per le città di una Germania postbellica in difficoltà ad elaborare il nazismo, per i colleges americani, una serie di figure femminili si racconta e ci parla, mostrandoci alcuni spaccati della "lunga marcia" delle donne per la cultura: propria e di tutti. Una cultura in cui conta molto raccordare le ragioni del cuore e della ragione e imparare a comprendere e a comprendersi, nel mentre si ottemperano i vari compiti che "per natura" dovrebbero competere al genere femminile in ogni luogo del mondo. Il filo della narrazione facilita tale dimensione riflessiva della comprensione, che si riallaccia al modulo materno del colloquio intramoenia per aprirsi al mondo: al vasto mondo dove le donne sono state invitate con una certa fermezza - e per un tempo lunghissimo che si prolunga fino all'oggi - a non avventurarsi nemmeno col pensiero. Quando, si sa, "la libera attività del pensiero", tanto cara ad Arendt, ha pure essa necessità di nutrirsi e di trovare il proprio nutrimento nel mondo. L'apertura della mente, che nel caso delle donne è stata considerata "piccina", ha bisogno di aria, cioè di libertà, che era appunto quanto non s'intendeva concedere al "secondo sesso". I saggi qui proposti rendono conto di alcune significative sfaccettature di questa storia, ancora molto da scrivere, nella quale donne e uomini si fronteggiano in una partita in cui è in gioco il benessere di entrambi e dell'umanità. Tra le varie facce di questa storia della formazione di genere scritta non da storiche e storici di professione, c'è quella, cui ho accennato in apertura, del rapporto generazionale, in particolare tra genitori e figli/e, dove maschile e femminile s'incrociano, s'intrecciano, si mescolano in vari modi, più o meno conflittuali o "garbati", mostrandoci come le trame delle relazioni parentali primarie incidano su quelle di tutti i rapporti successivi. Tale trame possono rivelarsi inibenti fino a diventare soffocanti. come possono dare linfa all'espressione di sé nel mondo sia privato sia pubblico, ed i saggi raccolti in questo volume ce lo mostrano. Ci presentano infatti madri e padri alle prese con l'educazione di figlie e figli, impegnate/i, a loro volta, in un processo di formazione che costringe a rivisitare le figure genitoriali. Da qui nel titolo l'aggiunta Immagini di sé allo specchio, dove lo specchio, che compare anche nella trattatistica dell'Ottocento sull'educazione, è legato da sempre ai processi d'individuazione, ed è occasione di incontro, di conoscenza e di verifica del famigliare/estraneo per eccellenza, cioè se stessi. L'iter del narcisismo è come noto complesso, e al pari di un fiume carsico alimenta l'intera esistenza umana attingendo sempre alla sua radice primaria: l'eros dei due in uno. Questo tipo di eros corre pure, il più della volte senza comparire, nei vari saggi di questo volume, filtra tra le righe di testi di formazione raffinati e colti, come di romanzi e lettere, spesso frenato, o evocato con nostalgia, o, ancora, camuffato. Ogni paideia lo conosce e lo apprezza senza abusarne, sapendo attingervi come a "un capitale emotivo di riserva"; e l'educazione, se attenta alla sua vocazione pedagogica, non può disgiungersene. Richiamare il narcisismo significa evocare la frustrazione, sua componente fondamentale, e di frustrazione si tratta anche in questi saggi, del come dosarla per renderla sopportabile e imparare a superarla. Quello che si propone è dunque un libro sull'educazione, la formazione e la pedagogia che può interessare anche chi non si occupa di tali argomenti e che non si riconosce nell'approccio femminista, cui esplicitamente rimandano varie autrici. Esso si riallaccia a un'opera precedente, che io stessa ho curato, sul tema dell'identità femminile in formazione, cui hanno concorso alcune delle studiose qui presenti, docenti dell'Università di Roma Tor Vergata, con le quali si è creato un sodalizio di ricerca che ha inteso coinvolgere altre e altri studiose/i, anche ampliando i settori disciplinari, nella speranza che dal concorrere di diverse voci, più o meno giovani e anziane, risulti un miglior suono d'insieme. | << | < | > | >> |Pagina 332. Padre e figlio: un'armonica dissonanza degli Essais
di Carlo Cappa
Bestemmiavano Iddio e' lor parenti, L'umana specie, il luogo e l'ora Di lor semenza e di lor nascimenti (Divina Commedia, Inferno) 1. Un padre. Quale padre? Il rapporto padre e figlio ha un ruolo piuttosto importante nell'economia dell'opera di Michel de Montaigne e più volte ha attirato l'attenzione dei critici; quello che s'intende porre in luce è quanto sia complesso il nodo di problemi concettuali che l'autore degli Essais aggomitola nella sua riflessione sulla figura del padre, compendiando in ciò sia il ruolo di padre nell'economia - affettiva, educativa e monetaria - della famiglia sia Pierre Eyquem. Si è convinti che per comprendere appieno lo spessore delle pagine di Montaigne, anche nelle loro oscillazioni e nel loro difficile tentativo di trovare nuovi paradigmi con i quali esprimersi, con i quali pensare, sia necessario tener presenti almeno tre vertici di una triangolazione attraverso cui si costruisce il senso di un testo quale gli Essais: l'opera, ovviamente, nella sua interezza e nei suoi molteplici richiami attraverso capitoli differenti; i testi di autori contemporanei, che trattano temi spesso sovrapponibili a quelli di Montaigne; i testi classici che, riguardo lo specifico argomento in analisi, possono aver nutrito o suggestionato l'autore ed i suoi contemporanei. All'interno del panorama costituito da queste coordinate, anche il rapporto di Michel con il padre sarà da trattare sotto prospettive differenti, specie perché, com'era consono nel Rinascimento, Montaigne tratta in diversi capitoli aspetti che, in un modo o in un altro, hanno a che vedere con Pierre Eyquem.
Oramai, si è consci che l'immagine del rapporto idilliaco tra Montaigne e
suo padre è frutto solo d'un abbaglio critico, tendente ad assolutizzare alcuni
passi a discapito di altri, nei quali, anche se il nome del padre non è fatto
apertamente, le allusioni sono più che trasparenti ed ancor di più lo erano per
i contemporanei. Il padre è l'«(a)uomo di ingegno assai fine, per essere uno
che era aiutato solo dall'esperienza e dall'indole»; tale tipo di giudizio,
confermato più volte da Montaigne, affrescando l'immagine di un uomo molto
vitale, molto sanguigno e schietto, nel giudizio e nella parola, seppure molte
delle sue posizioni derivassero quasi da senso comune ed oculatezza tutta innata
e non appresa. Ovviamente Montaigne esagera: il padre aveva rudimenti
d'istruzione, anche classica, come molti studi hanno dimostrato. Subito, dunque,
occorre scegliere se attribuire al figlio la volontà di mentire o il progetto
di fare del padre un preciso obbiettivo di critica culturale; questa seconda
ipotesi è quella che è sposata in questo saggio, cercando di dimostrarla con la
metodologia precedentemente illustrata. D'altronde, tale ipotesi, anche se poi
circoscritta alla questione patrimoniale e con qualche accenno alle
problematiche educative, è posta in campo anche da Fausta Garavini. Dunque i
tratti che Montaigne attribuisce al padre, con un misto di ironia e di forte
distacco, sono un vigore fisico e una semplicità che lui, al contrario, non
ritiene affatto di possedere; fin qui, non vi sono aspetti di particolare
rilievo. Il discorso si
complica, invece, quando si passa all'analisi di altri due importanti versanti
che riguardano Pierre Eyquem nella sua funzione di padre, più che di uomo:
quello educativo e quello patrimoniale. L'educazione ricevuta da Montaigne
fu forgiata, com'è risaputo, attraverso precetti umanistici molto precisi: non
fu mandato a scuola, gli si assegnò un precettore di lingua tedesca, ma gli
insegnò il latino come prima lingua, obbligando tutti coloro che avessero
contatti con il bambino a servirsi solo di questa lingua; non fu mai sottoposto
a costrizioni, ogni atto fu improntato alla dolcezza ed all'assecondare le
inclinazioni di Michel. Tuttavia, il padre non riterrà opportuno perseverare con
tale metodo, mandando il piccolo in collegio. Montaigne, lo si deve ammettere,
né loda né critica questo metodo ed alcuni dei precetti su cui è improntato
rifluiranno nel metodo suggerito dagli
Essais.
Bisogna però prestare attenzione ad un aspetto troppo spesso taciuto: a
prescindere dal metodo utilizzato, sono
le finalità dell'educazione affrescata da Montaigne a differire totalmente
dall'obbiettivo che il padre si era posto per Michel. Il padre, presumibilmente,
aveva intenzione di formare un uomo versato per il pubblico, la cui carriera
sarebbe dovuta essere quella politica, come indicano chiaramente gli studi da
giurisconsulto. L'educazione di Montaigne, pur non escludendo
quest'eventualità, forma un uomo a tutto tondo, aperto al mondo, ma senza
certezze, nutrito d'uno scetticismo che poco s'accorda con lo spirito pratico
paterno.
2. Un amore. Quale amore? Tenute presenti queste coordinate, avviciniamoci alla tematica del capitolo che, a prima vista, tratta maggiormente del rapporto tra padre e figlio, Dell'affetto dei padri per i figli (II, VIII): l'inizio, sorprendentemente, ma non del tutto fuori tradizione, è dedicato alla sua opera: «a)E poi, trovandomi del tutto sprovvisto e vuoto di ogni altra materia, ho presentato me a me stesso, come argomento e soggetto. È c) il solo libro al mondo della sua specie, di a) un disegno rozzo e stravagante». Il testo che Montaigne poteva avere presente è quello di Tasso, il discorso Dell'amore vicendevole tra 'l padre e 'l figliuolo, che, ricalcato per alcuni passi che si vedranno, si conclude con un paragone tra figli naturali ed opere. Subito dopo, l'autore richiama la naturalità del sentimento che lega i genitori ai loro figli, giudicandolo un moto rintracciabile anche in tutti gli animali: a) Se c'è qualche legge veramente naturale (...) l'affetto che il genitore porta a ciò che ha generato occupa il secondo posto in quest'ordine. E poiché sembra che la natura ce l'abbia raccomandato, nell'intento di diffondere e fa progredire le parti successive di questa sua macchia, non c'è da meravigliarsi se, all'inverso, dai figli ai padri, esso non è così grande. Dunque l'amore per ciò che è da noi generato possiede alcune precise caratteristiche: è istillato in noi dalla natura, senza la mediazione del nostro giudizio, è volto alla conservazione della specie. Diversamente, risulta meno marcato e scontato il sentimento di supposta reciprocità tra generato e generatore, cioè ciò che è creato ha per il suo fautore un amore meno forte e schietto. Anche in questo caso, Tasso funge da importante testo di confronto: «Perciò che, benché l'uno e l'altro amore sia per natura, e possa essere per elezione, nondimeno è più naturale l'amor del padre. Ma l'amor del figliuolo dipende più da elezione che quello del padre non fa, e per questo anco degno di maggior lode». Tasso, cercando di indagare la natura dell'amore dei padri verso i figli, muove dalla definizione generale dell'amore, di cui quello paterno e filiale sarebbero solo delle declinazioni: per l'autore tutti i tipi d'amore derivano dall'amore per sé. Montaigne, meno sensibile al fascino della riduzione del molteplice ad un singolo principio, non cede alla tentazione di far sottendere l'amore in generale, e quindi anche quello paterno, da un solo sentimento; nonostante questo, l'amore di sé permetterà a Tasso, nella parte conclusiva del suo discorso, di recuperare il confronto tra la generazione corporea e quella intellettuale, anche se in modo differente rispetto a Montaigne. | << | < | > | >> |Pagina 1376. Il compito sociale dell'educazione nel XIX secolo. Charlotte Perkins Gilman
di Laura Moschini
Premessa La storiografia ufficiale generalmente non riporta informazioni sulle condizioni di vita, di lavoro, di godimento o meno dei diritti sociali o politici delle donne, lasciando intendere che non fossero poi molto differenti da quelle degli uomini. Conseguentemente, quando la storia ufficiale si occupa del diritto all'istruzione sottolinea raramente che l'educazione delle bambine e delle donne e la loro istruzione (quando permessa) siano state sempre molto diverse da quelle maschili. Il risultato è che poco viene detto sul fatto che l'istruzione delle bambine per lungo tempo non sia stata considerata necessaria né tanto meno opportuna per la loro educazione. Leggendo i libri di storia si ha la netta impressione che il diritto all'istruzione, come ogni altro diritto civile e politico, sia stato reclamato solo dagli uomini e che alle donne non sia mai interessato istruirsi o partecipare attivamente alla vita pubblica. L'immagine di donna che s'interiorizza è quindi sfocata, defilata tanto che non si ritiene necessario parlarne. Più che altro si nota l'assenza delle donne dagli avvenimenti storici, tranne le rare eccezioni di donne di potere spesso presentate come figure negative, piene di difetti come e più degli uomini, e in fondo contro natura. Nulla o quasi si conosce delle donne "normali" o di quelle artiste, scienziate, pensatrici, letterate, e si ricava l'impressione che le donne si siano disinteressate del loro destino e che abbiano delegato agli uomini ogni decisione riguardante se stesse e i figli. Una rinuncia all'autodeterminazione personale e sociale che non desta sorpresa né negli uomini né nelle donne, abituate da secoli di educazione diversa a sentirsi estranee perché non idonee ad agire nello spazio pubblico. Ciò che la storiografia ufficiale trasmette senza spiegarne le ragioni dagli anni '80 può essere rivelato attraverso gli studi di Genere, che consentono di comprendere in che modo l'organizzazione sociale del rapporto tra i sessi abbia originato i ruoli ed i compiti più adatti agli uomini e alle donne. In particolare la storia di Genere dell'istruzione femminile mostra in che modo, nel corso dei secoli, l'istruzione sia stata usata per perpetuare nelle donne la convinzione che il ruolo di moglie e di madre potesse essere l'unico loro destino. Per ottenere tale risultato l'educazione delle giovani, anche attraverso l'istruzione a loro riservata, doveva necessariamente essere centrata sul valorizzare l'immagine di donna sottomessa e obbediente, disposta ad ogni sacrificio in nome di un ruolo naturale assegnatole direttamente da Dio. Una donna bisognosa di essere protetta e difesa soprattutto da se stessa e dalle sue ambizioni, tenendola lontana da quei saperi e pratiche che l'avrebbero distolta dai compiti domestici, determinanti per l'equilibrio della famiglia e della società patriarcali. Per educare le giovani in tal senso per lungo tempo le uniche letture loro concesse sono state le vite di santi e sante e i testi delle Scritture, con particolare riguardo a quelli in cui si descriveva il peccato originale. I danni provocati da Eva all'umanità erano infatti attribuiti proprio alla sua "natura curiosa" e alle sue arti seduttive, considerate "malefiche" perché in grado di convincere l'uomo ad andare contro il volere di Dio. Una natura femminile, quella di Eva, ritenuta pericolosamente autonoma e istintivamente portata alla conoscenza, che doveva essere forzatamente ricondizionata a vantaggio dell'ordine sociale esistente, convincendo le donne a divenire consapevoli di quale fosse la loro vera natura, la più confacente al loro sesso. Avveniva così che le poche donne celebri della storia, ad eccezione delle sante, fossero presentate come pessimi esempi per tutte le altre, mentre chi cercava di ribellarsi pagava duramente, anche con la vita, la sua disobbedienza. Secondo la storica Joan W. Scott, la condizione della donna riportata dalla storia ufficiale appare come uno strano fenomeno, al pari delle teorie e leggi che la riguardano: frutto di paradossi determinati a loro volta da logiche circolari, basate su "fatti". Per fatti, la Scott intende gli atteggiamenti sociali secondo i quali, appellandosi a leggi naturali o divine, la donna viene considerata naturalmente disposta a svolgere determinati compiti e ad essere naturalmente sottomessa, rendendo in questo modo di fatto femminili tali prerogative. Di modo che il fatto che la natura della donna fosse di essere sottomessa all'uomo era dimostrato dal fatto che così avveniva! I fatti sono divenuti così le uniche certezze di una natura dalla quale non era consentito sottrarsi se non a rischio di gravi conseguenze. La storia delle donne mostra invece che in tutte le epoche esse hanno cercato di sfuggire al controllo e al condizionamento sociale che le voleva umili e sottomesse ed hanno cercato di istruirsi e di aver voce in capitolo. Ma, come emerge dai documenti, non è stata mai un'impresa semplice, il più delle volte consentita solo a coloro che avevano avuto la fortuna di essere nate in una famiglia benestante, di disporre di una biblioteca ben fornita e di un padre o di un marito generoso e di aperte vedute. Dagli anni '80 la storia rivista attraverso la categoria del Genere, nel mettere in luce i rapporti di potere tra i sessi che hanno originato i ruoli sessuali, evidenzia il compito sociale affidato all'educazione nel corso dei secoli per consolidare e trasmettere immagini sessuali stereotipate e socialmente determinate. Non più quindi ragioni di carattere biologico, psicologico o religioso nella definizione dei ruoli, ma rapporti di potere che hanno determinato le gerarchie sessuali e le condizioni di subordinazione delle donne. Subordinazione giustificata dalle logiche circolari basate sul fatto della naturale inferiorità della donna e della naturale superiorità dell'uomo.
L'ottica di Genere permette dunque di integrare la storia ufficiale con la
storia delle donne, dimostrando finalmente le vere ragioni della loro assenza,
ed anche i
modi
della loro presenza; essa ci mostra come le donne abbiano
sempre cercato di studiare e di far valere le loro capacità, anche in situazioni
che sono state presentate di assoluta assenza femminile. Scopriamo così che
sono esistite in tutte le epoche donne scienziate, filosofe, politiche, e donne
che hanno cercato di sfuggire al loro destino, anche ricorrendo a misure
estreme, come ad esempio la scelta del convento, che pure nel Medioevo
consentiva in alcuni casi alle più abbienti, di viaggiare o studiare evitando il
matrimonio. Varie sono le tipologie di donne diverse dallo stereotipo femminile
disinteressato al diritto all'istruzione: si scoprono infatti donne curiose,
desiderose di apprendere e di trasmettere il loro pensiero: sicuramente una
minoranza privilegiata a cui si aggiungeva una maggioranza di donne che
semplicemente desiderava solo imparare a svolgere al meglio il proprio compito
nella famiglia e nella società. L'ottica di genere ha reso evidente che
l'anelito ad istruirsi e a partecipare alle attività sociali, politiche ed
economiche si è trasmesso di madre in figlia, provocando un desiderio
d'emancipazione e liberazione dai ruoli sessuali spesso inconsapevole, ma
insopprimibile.
L'insegnamento materno nella storia appare come un filo che unisce le
generazioni, attraverso il quale sono state trasmesse competenze, conoscenze,
speranze, delusioni, sentimenti, valori etici e principi morali; filo che ha
portato nell'800 al movimento femminista che si è battuto per il diritto, oltre
che all'istruzione femminile (perché le donne potessero svolgere al meglio i
loro compiti "naturali"), per il diritto allo studio quale premessa per
l'autoaffermazione e l'accesso allo spazio pubblico.
1. Charlotte Perkins Gilman: la donna protagonista del progresso sociale
Nel vasto panorama delle femministe del XIX secolo che si occuparono di
educazione e di istruzione spicca l'americana Charlotte Perkins Gilman
(1860-1935), una delle figure che più favorirono l'emancipazione e la
liberazione delle donne dai ruoli sessuali tradizionali, in quanto s'impegnò per
tutta la vita perché le donne potessero diventare a pieno titolo cittadine e
potessero partecipare attivamente alle attività sociali, politiche ed economiche
necessarie per lo sviluppo della specie umana e per il progresso sociale.
Basandosi sui suoi studi e sulle sue esperienze di vita l'autrice, profondamente
convinta che il progresso della specie umana e della società non potesse più
fare a meno della partecipazione delle donne, ha contribuito a ridefinire il
concetto di femminilità, dimostrando che con un'educazione ed un'istruzione
adeguata le donne avrebbero potuto svolgere qualsiasi attività in qualsiasi
ambito. Per la Perkins premesse indispensabili per l'ingresso a pieno titolo
delle donne nella società civile e per la conquista della vera libertà erano
l'indipendenza economica e una buona istruzione, che garantendo loro una
valida formazione per svolgere un lavoro con competenza le avrebbero rese
consapevoli del valore del loro contributo alla società.
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