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| << | < | > | >> |IndiceLA CHIAMATA "Dove sei? Presentati, agisci!" 3 LA MOBILITAZIONE Come e perché la chiamata ci mobilita? 9 - L'apparecchio: le ARMI, p. 10 - Gli attori: i mobilitati, p. 13 - Il contesto: la militarizzazione, p. 20 L'APPARATO Qual è l'apparato che rende possibile la mobilitazione? 25 - L'apparato è l'assoluto, p. 25 - La risorsa fondamentale: la registrazione, p. 27 - La base sociale: il documento, p. 34 - Il potenziamento tecnologico: la rete, p. 41 - La struttura profonda: l'emersione, p. 51 LA DISPOSIZIONE Chi me lo fa fare? 59 - La motivazione psicologica: l'intenzionalità collettiva, p. 61 - La motivazione economica: il capitale, p. 65 - La motivazione tecnologica: il dispositivo, p. 69 - La motivazione antropologica: la dipendenza, p. 74 LA RISPOSTA Si può non rispondere? Come si risponde? Cosa si risponde? 83 - La decostruzione, p. 84 - Il peccato originale, p. 84 - Il diritto divino, p. 90 - La cultura, p. 95 Parole chiave 103 Ringraziamenti 109 |
| << | < | > | >> |Pagina 3Θ la notte tra il sabato e la domenica, quella tradizionalmente consacrata al riposo. Mi sveglio. Faccio per sapere l'ora e ovviamente guardo il telefonino, che mi dice che sono le tre. Ma, contemporaneamente, vedo che è arrivata una mail. Non resisto alla curiosità o meglio all'ansia (la mail riguarda una questione di lavoro), ed è fatta: leggo e rispondo. Sto lavorando o forse più esattamente sto eseguendo un ordine nella notte tra il sabato e la domenica, ovunque io sia. La chiamata (vibrazione del telefonino, tintinnio molesto, o anche solo, come nel mio caso, notifica di una mail) è una chiamata alle armi nel cuore della notte e nel pieno della vita civile, come nella mobilitazione totale di cui parlava Ernst Jόnger negli anni Trenta. Ma non ci sono, apparentemente, delle guerre in corso, almeno alle latitudini in cui sto combattendo la mia solitaria battaglia armato di telefonino. E ho il sospetto di non essere l'unico in questa condizione. Un messaggio arriva e ci mobilita. Ci mobilita tanto più e tanto meglio in quanto, trovandosi su un supporto mobile, è un Diktat che ci raggiunge dovunque così come può mobilitare altri miliardi di esseri umani. Oggi, infatti, il numero degli abbonamenti ai dispositivi mobili supera quello della popolazione mondiale. Chi lo avrebbe immaginato anche solo vent'anni fa? Ogni giorno tre miliardi e mezzo di utenti della rete, cioè la metà della popolazione mondiale, scrive (e, più gravemente, riceve) sessantaquattro miliardi di e.mail, lancia ventidue milioni di tweet, pubblica un milione di post. Che cosa si chiedono? Che cosa si dicono? Tantissime cose, ovviamente, e in larghissima parte qualcosa come "Sono io, esisto, eccomi qui!". Ma questa per dirla burocraticamente autocertificazione di esistenza in vita sembra già essere la risposta a una domanda fondamentale: "Dove sei? Presentati, agisci!". Cioè alla chiamata che mi mobilita nella notte, e che viene, prima che da un qualunque utente umano, da ciò che analizzerò sotto il nome, minaccioso ma credo appropriato, di "apparato". Nelle ARMI (propongo questo acronimo per il nome generico dei terminali della mobilitazione: Apparecchi di Registrazione e di Mobilitazione dell'Intenzionalità) non è difficile cogliere il tono tra l'indiscreto e l'autoritario della domanda fondamentale che si rivolge quando si chiama qualcuno al telefonino. "Dove sei?" è una apostrofe che si arroga l'autorità di sapere dove siamo, quasi preludendo a una infrazione dell' habeas corpus, e insieme ha il tono che non ammette repliche del "Dov'è tuo fratello?" con cui Dio si rivolge a Caino. Θ il tono di fondo, il basso continuo, che, al di là di qualunque contenuto della comunicazione, conferisce uno stile militare alla chiamata. Nel rispondere, io sono me stesso (o almeno credo di esserlo, ed è quanto basta), eseguo il comandamento di una religione di cui sono, in ultima analisi, un credente, in una situazione che è tutt'altra rispetto a quella vigente in una catena di montaggio. Ovviamente qualcuno potrebbe obiettarmi che l'alienazione è proprio questo: credere di seguire qualcosa di nostro mentre ci si perde in interessi e azioni che sono programmate da altri. Ma, non meno ovviamente, potrei controbattere che, per quello che ne sappiamo lui e io, lui potrebbe essere uno zombie programmato per postare compulsivamente sui social media messaggi di critica dell'ideologia. Una ritorsione inevitabile e non troppo arguta, ma vera: anche il più implacabile critico del sistema, il blogger più nervoso e intrattabile, l'intellettuale più dissidente, accetterebbe, nella sua dissidenza, il sistema che sta criticando attraverso petulantissimi post e tweet. Ciò che è più inquietante è l'imperio militare che viene esercitato dalla chiamata. L'apparecchio che funge da terminale dell'apparato sembra ordinare qualcosa, diversamente da quello che avrebbe fatto un medium del secolo scorso, una radio o un televisore, dediti all'intrattenimento, all'informazione, e certo alla persuasione. Attività un tempo biasimatissime dalla critica della cultura, e spesso con ottimi motivi, ma tutto sommato bonarie e soprattutto pacifiche rispetto alla chiamata. Certo, io avrei potuto limitarmi a guardare l'ora e a bere un bicchier d'acqua, rimandando all'indomani la risposta. Θ ciò che in effetti avviene tante volte. Ma il fatto che talora possa aver luogo questa reazione compulsiva, che trasforma i dispositivi mobili in apparecchi di mobilitazione, ci porta a delle questioni che non hanno nulla a che fare con le peculiarità dei vecchi o dei nuovi media. Piuttosto, i nuovi media portano alla luce qualcosa di antichissimo, che sta al centro del nostro essere umani, e del nostro essere sociali. Si ha torto a vedere nella tecnica qualcosa di moderno e, soprattutto, di cosciente. La tecnica, proprio come il mito, è una rivelazione in cui progressivamente si fanno avanti pezzi di un inconscio collettivo che non è stato programmato da nessuno. I romantici, due secoli fa, auspicavano l'avvento di una nuova mitologia: eccola qui, nel web. Ed è verosimile che, per la velocità delle innovazioni tecnologiche, negli anni a venire emergeranno molti altri frammenti di questa mitologia, nuovissima nei suoi apparecchi ma, lo vedremo, antichissima nell'apparato che li governa. Il tema di questo libro è proprio questo arcaico, e, in buona parte, questo inconscio. Più precisamente, la domanda a cui vorrei cercare di dare una risposta è una parente povera dei grandi interrogativi kantiani (su che cosa posso sapere, fare, sperare): chi me lo fa fare? Qual è la forza che mi muove con la perentorietà di un imperativo categorico? Non si tratta, credo, di un interrogativo psicologico e puramente individuale, risolvibile magari con una terapia o con una presa di coscienza. La presa di coscienza deve esserci, ma riguarda la natura dell'apparato (diverso dall'apparecchio, sia esso un computer, uno smartphone, un tablet, ma impensabile senza di esso) che ha potuto produrre questa militarizzazione della vita civile. Una precisazione, prima di andare avanti. Diversamente da miei lavori precedenti, in questo libro non descriverò una ontologia sociale, ma una antropologia del nostro essere nel mondo. In parole povere: che cosa è l'uomo nel momento in cui la struttura fondamentale della realtà sociale sembra offerta, in modo crescente, dal web. Questa antropologia si ricollega idealmente alle numerosissime trattazioni che, nel secolo scorso, hanno affrontato il tema dell'incidenza della tecnica sulla natura umana. Rispetto a quegli studi ho solo l'immeritato vantaggio di avere a che fare con una tecnologia molto più vicina al mondo sociale di quanto non avvenisse in precedenza. Il che rende ancora più evidente come non esista un grado zero della natura umana (considerazione che d'altra parte si potrebbe estendere a varie forme di vita animale), e come questa sia costitutivamente determinata (sino al livello più alto, quello della motivazione) da elementi che in senso ampio si possono definire "culturali". Riconoscere queste forme di motivazione (cioè, appunto, rispondere all'interrogativo "Chi me lo fa fare?") è l'obiettivo fondamentale delle pagine che seguono, e a questo fine ho dovuto introdurre un certo numero di termini tecnici, nuovi, seminuovi, o vecchi, anche se spesso li adopero in un senso un po' diverso dall'usuale. Sono, per così dire, una versione aggiornata degli "esistenziali" heideggeriani. Mi scuso anticipatamente per l'abuso di espressioni idiomatiche, non mi è riuscito di fare altrimenti (però avrei potuto far peggio e metterle in maiuscolo: sarebbe stato forse più chiaro, ma insopportabile). Per rendere il tutto, se non più lieve, almeno più chiaro, al fondo del volume ho posto un glossario delle parole chiave, che si potrà anche adoperare come sinossi delle tesi fondamentali che difendo in questo libro. | << | < | > | >> |Pagina 20Il contesto: la militarizzazione
Militare e civile.
Ma che cosa fa sì che un telefonino riesca là
dove Goebbels aveva fallito, e senza il sostegno di una forza
politica e militare, anzi, con il pieno consenso degli utenti? Questa condizione
è esclusiva della nostra epoca, ma al
tempo stesso illustra la radice profonda della società. Non è
accidentale che lo sviluppo dei computer abbia ricevuto un
impulso decisivo nella seconda guerra mondiale. E del resto
tutte le tecnologie ricevono forti spinte dalle applicazioni militari, quando
non nascono direttamente con una destinazione bellica. Questo dovrebbe far
riflettere coloro che insistono
sul nesso prioritario fra tecnica ed economia. Le V2 sono le
antenate delle missioni Apollo, e non l'inverso. Così pure,
nessuno pensava a uno sfruttamento economico del nucleare
quando è stata concepita la bomba atomica: l'arma, costosissima, era stata
progettata per fini esclusivamente militari.
Poi si passa agli usi civili, ma le ARMI comportano, se non la
guerra, certo la militarizzazione.
Tecnica e militarizzazione. Θ in questo modo che la vita civile si militarizza. Vent'anni fa si annunciava la pace perpetua: tutti a casa, abbandonati gli uffici e le fabbriche, e i conflitti che naturalmente portano con sé. Tutti dediti a un telelavoro gratificante accompagnati dal calore della famiglia. Non è stato così. Gli uffici continuano a esistere, diventano magari più precari e mobili (possono esserlo anche il tavolino di un baro o una stanza d'albergo), casomai sono le case che scarseggiano. Quanto alle famiglie, sembrano un sogno comunitario d'altri tempi, di cui peraltro non si sente troppo la nostalgia, almeno se vogliamo dar credito alle statistiche secondo cui la maggior parte delle violenze ha luogo in famiglia. Il postmoderno si è liberato del padre, e saremo gli ultimi a rimpiangerlo; però lo ha sostituito con un caporale di giornata. Non solo il web riduce i posti di lavoro, ma si avvale di lavoro sottopagato o addirittura non pagato. Quello che si assolve è più un dovere che un lavoro. Si dice infatti, parlando del web, che la merce in vendita siamo noi stessi. Non è esattamente così: siamo noi in quanto soggetti volontari di un comando, siamo noi che volontariamente ubbidiamo, proprio come nel feticismo della merce, tranne che qui non c'è nemmeno bisogno di merci, basta un comando che ci viene dalle ARMI. La morale è semplice. Per realizzare la mobilitazione totale non occorre (come pure è tecnicamente possibilissimo) disporre di app che dicono dove sei, basta semplicemente la combinazione di un sistema di lavori flessibili con un apparato di responsabilizzazione che ti raggiunga ovunque assegnandoti dei compiti. E di un sistema di obblighi che diventano perentori per il solo motivo di essere tecnicamente possibili. L'imperativo tecnico rovescia così quello morale: "se puoi, devi". Ad esempio, bersagliare di auguri via sms destinatari che si sentiranno obbligati a rispondere; cercare di apparire solerte intervenendo in ogni minuzia d'ufficio dibattuta in prolisse mail circolari; simulare (o, peggio ancora, sentire autenticamente e profondamente), sempre in mail circolari, preoccupazioni politiche o solidarietà umane; postare su un social network la foto della pizza che stiamo mangiando; informare dell'ultimo libro che abbiamo comprato o letto; mettere il link dell'iniziativa a cui abbiamo partecipato o dell'articolo che abbiamo pubblicato. Malgrado le apparenze, tutto questo è lavoro, per futile o inutile o addirittura disonesto che possa apparire. Così come è lavoro mettere online lettere che promettono benefici o eredità, o fingersi giovani vedove bisognose in Russia. La radicalizzazione militare dei tempi di lavoro (in particolare la richiesta di disponibilità a qualunque ora, che fa scomparire il carattere proprio della vita civile) può essere pensata solo alla luce della nuova responsabilità della chiamata. Siamo tutti in movimento, eseguiamo tutti degli ordini, non c'è distinzione tra vita privata e vita pubblica, tra vita civile e vita militare. Quello che vorrei suggerire è che (generalmente) non siamo in guerra, ma siamo militarizzati, e che questo è il carattere originale introdotto dalla chiamata. | << | < | > | >> |Pagina 26Confrontando la filosofia della natura con la fisica moderna, Bacone aveva detto che lo scienziato deve interrogare la natura come un giudice (cioè muovendo da una teoria) e non come uno scolaro, ossia ricevendo passivamente informazioni. La rapidità delle trasformazioni apportate dal web fa sì che siamo ancora nella fase degli scolari. Manca una teoria e si è costretti ad accumulare delle osservazioni. Quel che è peggio, il quadro in cui avviene la raccolta è fuorviante, e vede nel web un mezzo di comunicazione, una specie di televisione evoluta. Trattare il web come la televisione non è diverso dal trattare il capitale come se fosse la terra, come facevano i fisiocrati. Si perde l'essenziale, e cioè la radice del plusvalore che viene prodotto dal web, la possibilità di governarlo e di democratizzarlo. Il punto di partenza per una comprensione della realtà sociale contemporanea è dunque molto semplice e apparentemente eccentrico o laterale: il web è uno strumento di registrazione prima che di comunicazione.
Se togliamo la registrazione al web non resta che un sistema di cavi
sottomarini che trasportano dati. L'assoluto (e la mobilitazione che produce)
non viene dallo spirito, ma dalla tecnica. L'essenza di un telefonino, di un
computer connesso o di un tablet non è anzitutto (o semplicemente)
la comunicazione, bensì la registrazione. La registrazione,
a sua volta, si presenta come una responsabilizzazione: esige una risposta, e la
esige perché la domanda è registrata,
scritta, fissata, e acquisisce così la perentorietà di un ordine. La risposta
può essere un altro messaggio (un altro atto
nel mondo web) oppure una azione nel mondo fisico. In
entrambi i casi, in una forma burocratizzata o militarizzata,
abbiamo a che fare con un meccanismo di mobilitazione che
non ha precedenti nella storia del mondo, ma solo esempi
locali, nella rapidità delle azioni in borsa o delle operazioni
militari. Un meccanismo nuovo, dunque, più nuovo dell'intero sistema
capitalistico con cui si ritiene di essere in grado
di spiegarlo sebbene, per così dire, sia stato preparato da
tutta la storia dell'uomo.
La risorsa fondamentale: la registrazione Fisica del potere. La fisica del potere è offerta dalla registrazione, una proprietà esistente in natura (si pensi al codice genetico) e che sta alla base della cultura: in assenza di registrazione, infatti, non saremmo in grado di pensare (la perdita della memoria è perdita del pensiero), di fare scienza e cultura (le produzioni scientifiche e culturali sono sempre registrazioni, paradigmaticamente nella forma della scrittura), di costruire oggetti sociali (che, come vedremo, consistono appunto nella registrazione di atti). Ecco perché l'umanità si è munita di buonora di protesi tecniche della memoria, come appunto la scrittura, l'archivio e (nelle società senza scrittura) la ripetizione rituale. La crescita esponenziale di apparati di registrazione che ha caratterizzato la storia umana, con una accelerazione nell'età moderna e una impennata negli ultimi decenni, non è semplicemente un accidente tecnico. Θ a mio parere la rivelazione della struttura profonda della realtà sociale e della sua necessità di disporre di documenti. | << | < | > | >> |Pagina 34Anzitutto correggendo un equivoco di fondo della nozione foucaultiana di potere, quello che lo associava con il sapere, finendo così per gettare nel discredito il sapere e trasformandolo in una semplice manifestazione di potenza. Nella prospettiva che vorrei suggerire, invece, il potere deve essere considerato come dipendente non dal sapere, ma da una funzione più ampia, di cui il sapere non è che una parte, ossia la sfera della registrazione, e la sua articolazione sociale nella scrittura.Scrittura. La scrittura (nelle sue molteplici espressioni: marchiature, pittogrammi, ideogrammi, alfabeti...) è l'insieme di tecnologie che, nella civiltà umana, hanno integrato e rappresentato per millenni la funzione naturale della registrazione quella funzione che, nelle società senza scrittura, si manifesta attraverso altre forme di iterazione, come il mito, il rito, il cerimoniale. E l'esplosione della scrittura che caratterizza la nostra epoca appare tanto più potente in quanto si accompagna a una esplosione della registrazione in generale. Un video o un messaggio vocale che si può riprodurre a piacere (cosa oggi tecnicamente facilissima e che accompagna sistematicamente ogni nostro atto che abbia una minima rilevanza sociale, da un sms e dall'acquisto in un supermercato in su) sono scrittura, esattamente come un file di computer o un passaporto. Questa registrazione è un potenziamento dell'atto. Contrariamente a quanto pensava Platone, la scrittura esterna presenta quattro grandissimi poteri rispetto alla scrittura interna, nell'anima. Primo, l'accessibilità pubblica. Secondo, la possibilità di produrre più esemplari della stessa entità. Terzo, mentre la scrittura interna è destinata a sparire con noi, la scrittura esterna può sopravviverci. Quarto, mentre la scrittura interna può modificarsi senza che ne siamo consapevoli (trasformazione della traccia mnesica), le modificazioni della scrittura esterna sono generalmente palesi. Queste caratteristiche spiegano la centralità della scrittura (nel senso esteso che ho appena precisato) nel pensiero così come nel mondo sociale. Come ricordavo poco fa, se ci può essere memoria senza pensiero, non ci può essere pensiero senza memoria. Per lo stesso motivo, non ci può essere neppure azione, almeno nel senso della azione strutturata e finalistica. Θ per questo che i greci consideravano Mnemosyne "madre di tutte le muse", ma soprattutto è per questo che l'Alzheimer fa così paura. La perdita della memoria, infatti, non appare come il venir meno di una facoltà, bensì come una patologia che investe elementi come l'identità personale, le competenze linguistiche, e ovviamente il pensiero. Non stupisce, da questo punto di vista, che molto precocemente l'umanità si sia dotata di forme di registrazione esterna, per scopi che miravano anzitutto alla registrazione (tipicamente, di debiti e crediti), cioè alla estensione artificiale della memoria. Né risulta sorprendente che, reciprocamente, la memoria naturale sia stata regolarmente pensata sotto la forma della scrittura dal tempo dei greci, che rappresentavano la mente come una tabula scrittoria, sino alle neuroscienze contemporanee, che parlano di "engrammi" cerebrali.
[...]
Potere e registrazione. Dalla dimensione psicologica e scientifica veniamo alla dimensione politica, e in particolare al potere e alla sua microfisica. Ci può benissimo essere sapere senza potere (essere capaci di decodificare la corsiva carolingia non rappresenta di per sé una forma di potere), così come ci può essere potere senza sapere (bisogna stiracchiare di molto i confini del sapere per affermare che è la base dell'autorità di un consiglio dei ministri). Quello che viceversa si può affermare con certezza è che, essendo la registrazione la condizione di possibilità del pensiero e dell'azione, non può esserci potere senza registrazione. | << | < | > | >> |Pagina 41Il potenziamento tecnologico: la reteL'assoluto del potere. Riconoscere i caratteri della mobilitazione totale significa proporre una ontologia politica del web il quale poi, come fenomeno emergente della contemporaneità, si candida alla spiegazione delle dinamiche della società nel suo insieme, esattamente come il capitale nel XIX secolo. Ciò che si rivela nel web è insieme contemporaneo e antichissimo, ed è per l'appunto l'apparato, che costituisce un sistema tecnico, un sistema sociale, una struttura di potere caratteristica del nostro tempo, ma le cui origini sono ben più remote e precedono lo stesso strutturarsi delle comunità umane. Del resto, questa molteplicità di aspetti caratterizza anche il capitale, che precede il XIX secolo, ha rilevanza sociale, comporta un dispiegamento tecnico e conferisce un potere politico, configurandosi dunque come una delle molte manifestazioni storiche e geografiche dell'apparato. Prima di essere un assoluto del sapere, il web è un assoluto del potere, un apparato che rende possibile la mobilitazione di cui ho parlato nel capitolo precedente. | << | < | > | >> |Pagina 59Essere a disposizione. Un fatto è certo. Il panopticon esiste, ed è il web: un panopticon singolare, cieco, e con al posto di controllo non un essere umano bensì una memoria infinita, e con un sapere che è essenzialmente burocratico. Tutto questo urta frontalmente con quanto ci era stato detto all'apparire del web, e cioè che i nuovi media avrebbero portato emancipazione, e tendenzialmente una riduzione del lavoro. Per quello che abbiamo visto sin qui, il web non è emancipazione ma mobilitazione. Non si limita a fornire ai suoi utenti nuove possibilità informative ed espressive; diviene lo strumento di trasmissione di responsabilità e ordini finalizzati al compimento di azioni. Trasformando ogni contatto in una richiesta che esige una risposta individuale, il web è un grande apparato in cui si lavora senza neppure sapere di stare lavorando. La risposta fondamentale che vuole il web è quella suggerita dallo smartphone quando si digita la s: "Sto arrivando!". Di fronte al web, siamo a disposizione. La parola "disposizione" è molto ricca, dal momento che sembra rendere il nocciolo del rapporto tra il singolo e la realtà sociale. Quest'ultima emette delle norme, cioè appunto delle disposizioni, rispetto alle quali siamo tenuti in linea di principio a essere passivi ("a disposizione"), ma che insieme strutturano la nostra intenzionalità attiva, configurandosi appunto come delle "disposizioni" nel senso aristotelico di hexis, di "inclinazione" o "predisposizione". Attraverso la disposizione non intendo fornire un meccanismo monocausale. Mi propongo piuttosto di indicare una serie di fattori convergenti che stanno alla base della efficacia della disposizione, muovendo da una ipotesi di fondo. Questa: come è stato ampiamente rilevato, il web (e, nella mia prospettiva, il complesso che definisco "apparato") è una struttura sopraordinata rispetto alla politica e al capitale. Non è che l' homo oeconomicus possa essere occasionalmente mobilitato da istanze non economiche; proprio al contrario, l' homo mobilitatus può talora rispondere anche a istanze economiche, ma questo avviene meno frequentemente di quanto non si pensi. Da questo punto di vista, il fatto che un documento particolarmente importante il denaro e la sua capacità di produrre capitale sia stato assunto come movente principale quando non esclusivo dell'azione sociale, ha causato non poche confusioni. Qui, piuttosto che cercare una spiegazione monocausale, vorrei proporre una serie di motivazioni che, nel loro insieme, dovrebbero rispondere alla domanda fondamentale: chi me lo fa fare? | << | < | > | >> |Pagina 65Il capitale del XXI secolo. Per spiegare la mobilitazione sociale, il vantaggio incalcolabile della ipotesi del capitale rispetto a quella della intenzionalità sta nel richiamarsi a strutture e non a intenzioni. Il problema è tuttavia che il capitale di cui parla Marx è fatto di lavoratori, macchine e capitalisti. Il che era forse problematico già nell'Ottocento, ma oggi lo è più che mai.Ciò che vorrei suggerire è che il capitale del XXI secolo è la documentalità. Affrontiamo questo punto incominciando con una citazione dall'economista peruviano Hernando de Soto: "Il capitale nasce rappresentando per iscritto in un titolo, in una garanzia, in un contratto o in altri record di questo tipo le qualità più utili dal punto di vista economico e sociale. Nel momento in cui rivolgete la vostra attenzione al documento di proprietà di una casa, per esempio, e non alla casa in se stessa, avete fatto automaticamente un passo dal mondo materiale verso il mondo concettuale in cui vivono i capitali". E non si tratta affatto di una esagerazione. | << | < | > | >> |PaginaIl plusvalore assoluto. Le operazioni svolte a titolo gratuito generano un plusvalore assoluto. I mobilitati mettono il lavoro (spesso inconsapevole, oltre che non retribuito) e i mezzi di produzione (computer, contratti con i gestori telefonici, energia elettrica); mentre l'apparato trae i vantaggi economici: pubblicità sui social media ma anche, e anzitutto, l'enorme accumulo archiviale, che fornisce una base di conoscenza senza comune misura, come è dimostrato dal fatto che appare ormai in larga parte risolto il problema di strumenti efficaci di traduzione.Non bisogna sottovalutare questa produzione della ricchezza che non si limita a distribuire e a organizzare. Gli utenti sono al tempo stesso i destinatari delle pubblicità e i produttori dei contenuti, senza che questo rappresenti un costo per le compagnie che gestiscono i social media. Queste ottengono í proventi pubblicitari mentre per l'appunto i mezzi di produzione (dispositivi di connessione alla rete) e la forza-lavoro sono offerti gratuitamente dagli utenti. Spesso si chiama "disoccupazione" ciò che potrebbe essere più pianamente definito "lavoro gratuito", ossia svolto in completa assenza di qualsiasi motivazione economica. Si può ovviamente vedere in questo processo una forma sublime di astuzia del capitale: ma solo a patto di trascurare la vera natura della mobilitazione in corso. Una natura che certo non pare benigna. Un web-proletariato precario, sfruttato, sottopagato o non pagato affatto e senza tutele sindacali si applica a lavori formalmente prestigiosi come web-editor, ricercatore, programmatore, designer, traduttore, copy-editor. Le ore di lavoro aumentano indefinitamente, e per tutte le categorie professionali (vecchissimo nome, oggi inattuale più del console Buddenbrook) vien meno la distinzione tra lavoro e riposo. Di qui si genera un senso di fondamentale inadeguatezza: ognuno si sente in debito o in difetto quanto alle proprie funzioni professionali e alle proprie relazioni umane, ormai non distinte dalle funzioni professionali. Una volta di più si rivela falsa la tesi secondo cui il web sarebbe un meccanismo di trasparenza; può magari esserlo, occasionalmente, ma non essenzialmente. Di fatto, la caratteristica essenziale del web non è la trasparenza ma l' asimmetria tra ciò che sa l'utente e ciò che sanno le compagnie di gestione. La registrazione assicura un sapere su tutte le operazioni compiute in rete, di qui la situazione asimmetrica: l'utente sa molto poco, l'apparato sa tantissimo. | << | < | > | >> |Pagina 72Come ho appena detto, le ARMI non sono alienazione, ma sono piuttosto emersione, nel senso specificato nel capitolo precedente. Molto prima che le ARMI acquisissero il potere attuale, si era imposta una considerazione difficile da aggirare: i media non sono una estensione dell'uomo, ma l'uomo è il risultato dei media. Questo non ci rende in alcun modo irresponsabili (come vuole Heidegger), ma indica il carattere strutturalmente dipendente e condizionato della natura umana, su cui tornerò tra poco. Ogni sistema di emancipazione è al tempo stesso un sistema di controllo. Le macchine emancipano le persone dalla fatica fisica più dura ma le consegnano al lavoro industriale. Il web si presentava, al suo apparire, come la liberazione dal lavoro e come un contropotere. In realtà, come era del tutto immaginabile, ha introdotto un nuovo lavoro e un nuovo potere. Ecco il volto oscuro e profondo del web, che si tratta di rendere palese, e a mio parere i grandi interpreti del potere del web sono anche più di Karl Marx teorico dell'economia Carl Schmitt teorico della burocrazia, Cari von Clausewitz teorico della guerra, e soprattutto Jacques Derrida teorico della scrittura. Ciò a cui stiamo assistendo con l'apparire delle ARMI è il dispiegarsi su scala mondiale di un potere il cui antenato più prossimo è appunto l'alleanza tra burocrazia e potere militare che si manifesta nelle esperienze storiche della mobilitazione totale.La militarizzazione. Se Marx vedeva nel militarismo prussiano la sovrastruttura del capitalismo renano, io sarei portato a guardare la cosa dal punto di vista inverso: il carattere fondamentale delle società moderne non è il primato dell'economia, ma quello della guerra. Il capitalismo (quello che conserva questo nome, pur potendosi coniugare con strutture che non hanno nulla di liberale, come in Cina), e a maggior ragione il capitalismo finanziario, questo enorme produttore di documenti, è in effetti un sistema di mobilitazione militare. Tuttavia, la mia analisi condivide con Marx due ipotesi di fondo. La prima è che gli attori sociali non operano in una condizione di trasparenza, e anzi sono il più delle volte portatori di ordini che ignorano. La seconda è che la società presenta storicamente dei tratti salienti, che permettono di riconoscerne di volta in volta il carattere. All'epoca di Marx era l'industria; nella nostra, sono le ARMI, il regime dell'assoluta disponibilità, in tutti i sensi del termine. Per quanto parziali, in apparenza, queste forme di organizzazione ci permettono di cogliere la totalità. Quello che ha luogo nel mondo del web non è (come talora genericamente si sostiene) un trionfo incondizionato del capitale (affermazione a cui corrisponde ben poco), bensì per l'appunto una militarizzazione. Il soggetto che subisce la disposizione delle ARMI non diventa affatto "stupido", come talora si è asserito: è piuttosto d'accordo con la tesi di fondo di questo libro mobilitato. Il che del resto è ovvio: nel momento in cui hai un sistema organizzato di trasmissione di documenti, hai l'essenza di un apparato militare. Il lavoro che viene svolto ha, caratteristicamente, la qualità della prestazione doverosa e gratuita propria delle mansioni militari. E il plusvalore che viene accumulato è anzitutto un accumulo automatico di potere. | << | < | > | >> |Pagina 86Tutto questo non significa in alcun modo che si debba "diventare natura", accettare la natura, seguire l'istinto di morte. Significa comprendere l'imprescindibilità della cultura che non è fatta solo per potenziare tecnicamente il mondo, ma anche per spingere la morte un po' più in là, come nei racconti di Shahrazād. Comprendere non è molto, e non sempre significa trasformare, ma è la più grande possibilità che ci è data come esseri umani. Questa visione è naturalmente antipatica. Ma, ripeto, è ciò che di più grande abbiamo, e comunque è davvero qualcosa che abbiamo, non qualcosa che sogniamo, promettiamo, scommettiamo.| << | < | > | >> |Pagina 93Il caso delle società animali manifesta con chiarezza la prevalenza dell'emergenza sulla costruzione. Nei branchi di lupi non si seppelliscono i cadaveri, non si amministra la giustizia, non si celebrano matrimoni, non si hanno tabù né nei confronti dell'incesto né del cannibalismo. Tuttavia, ci sono dei rapporti di supremazia e di subordinazione la cui continuità è osservabile in un qualunque consiglio di facoltà di una università contemporanea. E a loro volta la sepoltura dei morti, le varie forme di unione tra sessi, l'amministrazione della giustizia e i tabù, più che essere "socialmente costruiti", segnano, prima che il passaggio dalla natura alla cultura, la divisione di due sfere che sono originariamente indistinte, ma che sin dall'inizio sono dotate di spirito, e che sino alla fine saranno fatte di materia.
Una volta che si sia formata una società, in base a un processo graduale
tanto quanto è graduale il passaggio dalle grotte di Altamira al salotto
Guermantes, si arriva a costruzioni
sociali (la monarchia assoluta, l'interesse bancario) e a giustificazioni o
delegittimazioni sociali di fatti naturali. Una cultura illuminata biasimerà il
maschio alfa, i fan di Clint Eastwood lo esalteranno; ma il maschio alfa non è
né socialmente costruito, né socialmente dipendente, né mente-dipendente.
Il maschio alfa è natura, dal momento che la natura ammette
strutturazioni gerarchiche, anzi, è intrinsecamente gerarchica, e tutto lo
sforzo della cultura consiste nel decostruire questa gerarchia, e nel ridurre
con la tecnica lo svantaggio fisico rispetto alla natura.
Trasformazione. Riconoscere la dipendenza significa rifiutare la trasformazione? Θ vero il contrario. Bisogna mettersi in relazione con il mondo sociale e con la consapevolezza che le sue strutture sono molto più solide e meno trasparenti di quanto non appaia se si segue la via troppo semplice della costruzione sociale, e che dunque la lotta, necessaria, sarà molto più dura di quella che ha luogo in una assemblea condominiale.
Questo ci permette di affrontare un punto decisivo. Se
pensassimo che la società è l'esito di contratti umani, allora davvero sarebbe
difficile spiegarsi perché sia così difficile
cambiarla, e si scatenerebbe (come in effetti si scatena, e sul
web più che mai) una conflittualità che ha per causa primaria l'idea che le
ingiustizie sociali siano il semplice portato
della malvagità umana. Non è così. Le ingiustizie sociali ci
sono, ma non sono, generalmente, causate da un cuore duro
e incapace di ravvedimento. Proprio questo fa sì che siano
tanto difficili da riparare ma una riparazione e una trasformazione saranno
possibili solo a condizione che si guardi la
società con l'occhio dell'emersione e non con quello della
costruzione. Creare entità mitologiche come la malvagità del
capitale o la volontà di potenza significa semplicemente trovare capri espiatori
per l'odio sociale (o, più facilmente, per
poter condurre critiche a basso costo). Tuttavia, dire che il
capitale vuole che noi agiamo in un certo modo (quando non
sa nemmeno lui che cosa vuole) non è in linea di principio diverso dal
prendersela con i contadini di Pizzo Calabro che nel
1815 accolsero lo sbarco di Murat in modo diverso (cioè, denunciandolo alla
polizia) da come gli abitanti di Golfe-Juan accolsero quello di Napoleone.
La cultura Un terzo e ultimo elemento da tener presente per la prospettiva emancipativa che propongo poggia invece sull'idea di cultura, ossia di ciò che, se dobbiamo credere al mito biblico, non si sarebbe mai sviluppato se l'uomo fosse rimasto nella condizione edenica. Una condizione di cui i discendenti di Adamo ed Eva non hanno troppa ragione di essere nostalgici, se non altro perché in paradiso non c'è niente da leggere e il desiderio di sapere è scoraggiato al punto che il suo unico avvocato è il diavolo. E avere cultura significa sapere che cosa rispondere alla mobilitazione, non assecondarla ciecamente. In altri termini, le ARMI si possono usare in tanti modi, la loro potenza, in sé neutra, può essere destinata, per così dire, a fini civili. | << | < | > | >> |Pagina 98Ora, non è la realizzazione del sogno di Marx? O, più precisamente, non è forse un passo in avanti nella realizzazione degli ideali umani, piuttosto che una nuova vittoria dell'alienazione? Si tratta di rilanciare, contro il discredito postmoderno del sapere, l'ideale della cultura, che proprio nell'età del web può disporre di risorse in precedenza inimmaginabili. So bene che questo è poco, ma è tutto quello che può venire da un professore che non si è rassegnato all'idea che ormai solo un dio ci può salvare.| << | < | > | >> |Pagina 103Apparato è la struttura che determina la mobilitazione, attraverso il terminale offerto dalle ARMI (-->). La sua base fisica è la registrazione (-->), ossia la capacità di tenere traccia di una trasformazione fisica; la sua articolazione sociale è la documentalità (-->, ossia la produzione di documenti che registrano azioni e ne determinano altre; il suo potenziamento tecnologico è il web, che incrementa con una forza precedentemente inimmaginabile le possibilità di registrazione e di documentazione. Nella versione contemporanea l'apparato non dorme mai, continua la sua azione di mobilitazione anche quando non ce ne rendiamo conto. Essere necessariamente connessi all'apparato è la condizione che ci definisce come "animali sociali" ("animali razionali in quanto sociali").
ARMI
(Apparecchi di Registrazione e di Mobilitazione della Intenzionalità) sono i
terminali fisici della mobilitazione. Attualmente
sono in prevalenza strumenti di connessione al web (smartphone,
tablet, ecc.). In precedenza erano strumenti di vario tipo: denaro, titoli,
documenti di identità, ordinanze, distintivi di grado o
di funzione. In questo senso, le ARMI sono imparentate con quello
che Foucault e, più tardi, Agamben, hanno definito come "dispositivo", cioè sono
la causa tecnologica della mobilitazione. Rispetto
alle nozioni precedenti di "dispositivo" preciserei però che, in primo luogo, il
dispositivo (diversamente da quanto asserito da Foucault) non è costruttivo del
reale, ma ne emerge. E, diversamente da Agamben, non bisogna vedere il
dispositivo come una via di alienazione, ma come una forma di realizzazione.
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