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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 5 DOMANDE LA RICCHEZZA CHI LA CREA, COME E PERCHÉ Per un compendio delle dinamiche economiche del presente 13 RISPOSTE REDDITO MINIMO GARANTITO REDDITO DI BASE UNIVERSALE E INCONDIZIONATO ESPERIENZE Reddito minimo garantito 35 Reddito di base incondizionato e universale 71 I progetti e le sperimentazioni di un reddito di base nel mondo 103 PUNTO DA QUI NON SI TORNA INDIETRO Parole per il tempo che viene 147 A CAPO LA PAGINA NON È BIANCA Il contesto italiano, su che pagina stiamo scrivendo 173 Punto a capo Nessuna conclusione 207 Bibliografia 211 Gli autori 232 |
| << | < | > | >> |Pagina 5IntroduzioneSiamo partiti da un'idea, spesso osteggiata da una certa antipatica sufficienza o sopportata con quella simpatia che si offre osservando gli eccentrici. Per lo più è stata rinchiusa per decenni in spazi stretti, destinati a pochi intimi, dentro il contesto delle utopie impossibili. Interessanti ma impossibili. Eppure proprio negli ultimi venti anni questa proposta ha lasciato gli ormeggi e si è avventurata per il mondo. Questa idea è il reddito di base. Le trasformazioni economiche, la fine della centralità della fabbrica, l'avvento di un modello produttivo nuovo, così come le crisi epocali che abbiamo conosciuto nei primi venti anni del nuovo secolo, con le profonde, enormi diseguaglianze prodotte dalla finanziarizzazione dell'economia, hanno posto la questione delle povertà ben oltre la semplice azione caritatevole e direttamente dentro la lotta alle ingiustizie economiche. Quella idea strana, utopica, eccentrica, di fronte a pressioni continue che hanno segnato e segnano la vita di milioni di persone (lasciando spesso profonde cicatrici sui corpi vivi), è diventata espressione di necessità. Ora che è la «possibilità» che ci interessa guardare, allora il reddito di base è emerso dalla melma del già conosciuto, della scontata normalità, dell'eterno presente, con la forza dirompente della vita che si agita per non essere più agitata. Ed eccoci dunque al perché di questo libro. Dopo venti anni dall'inizio del millennio, il reddito di base si può leggere in molti modi: dentro la sfera delle idee, ma anche attraverso i risultati. Insieme abbiamo cucito, tagliato, incollato, suggerito, ripreso, fantasticato, modificato e sintetizzato molte esperienze, conoscenze, storie, informazioni per provare a offrire una panoramica sufficiente, anche se non esaustiva. Insieme abbiamo voluto organizzare uno scenario entro cui darci dei punti di riferimento e condividerli. I primi venti anni li abbiamo conosciuti, ora prepariamoci a determinare i prossimi. Autorizzarci a pretendere il reddito vuole dire ammettere un salto culturale per uscire dalle secche del presente. Il reddito è uno strumento che in questo orizzonte può esprimere tutto il potenziale di una libertà che eccede i dispositivi apparecchiati dal potere. Questo è il valore politico del reddito. Forse oggi, nella dimensione sperimentata di un controllo perenne che diventa auto-controllo perenne per stare in un contesto dove il lavoro è povero e scarso, questo aspetto ci pare ancora più solido, intuitivo, valido di quello di essere il giusto riconoscimento per un lavoro già svolto. Il reddito consente di scatenare le catene degli obblighi del capitalismo. Ci autorizza a farlo e con ciò ci autorizza a ritornare ad avere desiderio di progettare il domani. In questo testo non affronteremo la questione di come finanziare la misura né proporremo stime di quanto potrebbe costare. Esiste già una letteratura in proposito, a cui si rimanda. Ma non è questo il principale motivo. Esso sta piuttosto nel fatto che le risorse economiche per finanziare un reddito di base incondizionato, tale da poter favorire il diritto all'autodeterminazione della persona, sono oggi del tutto reperibili. Il Quantitative Easing destinato al mercato finanziario, i finanziamenti del Recovery Plan, gli interventi di Helicopter Money, hanno mostrato che non si tratta di incapacità finanziaria. Il punto dunque non è «se ci sono i soldi», quanto piuttosto un'equa distribuzione di tale ricchezza. «2.153 super ricchi possiedono quanto altri 4,6 miliardi di persone. Mentre il 50% più povero ha meno dell'1%. La ricchezza globale, in crescita tra giugno 2018 e giugno 2019, resta fortemente concentrata al vertice della piramide distributiva: l'1% più ricco, sotto il profilo patrimoniale, deteneva a metà 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone. Il patrimonio delle 22 persone più facoltose era superiore alla ricchezza di tutte le donne africane» ( Oxfam , 2020). Il reddito di base universale e incondizionato ricopre la funzione di garantire questa redistribuzione e permette di soddisfare i bisogni umani e restituisce alle persone la possibilità di scegliere i propri percorsi di vita. Per citare Fromm: «Il reddito garantito farebbe della libertà una realtà anziché un mero slogan, [...] e la transizione da una psicologia della scarsità a quella dell'abbondanza produrrebbe iniziativa e solidarietà» ( Fromm , 1966). Il problema non è quindi di sostenibilità ma di opportunità politica. Un'opportunità che oggi le dirigenze politiche al potere prendono scarsamente o parzialmente in considerazione, in alcuni casi per miopia, ma molto più evidentemente per chiari interessi di parte. Malgrado ciò, l'idea e la proposta del reddito di base si è ormai imposta, tanto sui piani delle rivendicazioni sociali che attraverso sperimentazioni e progetti che interrogano le città, le regioni e alcuni governi nazionali. Con questo libro vogliamo offrire un'introduzione al reddito di base anche per chi non ha mai avuto modo di affrontare il tema, ma soprattutto vogliamo segnare «un punto» per andare «a capo». La questione oggi aperta non è più «se» un reddito di base, ma eventualmente rinnovare i tanti «perché» ricalibrandoli sullo stato di salute del mondo e della comunità umana, immaginare il «come» per costruire esperienze possibili, rivendicare il «fine» della libertà e della giustizia sociale, ma soprattutto imporre il «quando», perché «non possiamo più rimandare l'esistenza a dopo». Per coloro che ricercano e osservano le inquietudini del proprio tempo, il reddito di base oltrepassa la sola soglia della sopravvivenza economica e ci spinge a immaginare una possibilità di riattivazione di processi di soggettivazione autonomi. Può consentire di operare un processo di cura di sé e consapevolezza non sottoposta a dominio. Occorre riportare il pensiero e l'azione nel mezzo della mischia perché solo allora la cura di sé riluce come politica. «Ma perché ci sia mischia è necessario ci sia chi l'accende o l'ha a cuore. Dove questo chi? Chi oggi affronta l'esigenza di dire la verità su questo?» (Putino, 2011).
Ecco, noi abbiamo a cuore la battaglia per il reddito di
base. E l'accendiamo di nuovo, da capo, in mezzo a una
crisi diversa, inedita, che ci spaventa, che scuote tutto ciò
che abbiamo fino a ora conosciuto. E allora è questo più
che mai il momento di disimparare, di disfarsi di cattive
abitudini, di false opinioni ricevute, di immaginari mendaci. Di identità che
non ci appartengono. Questa economia, questo
lavoro
senza senso, senza diritti, non ci appartengono. Lo strumento del reddito può
consentire di ri-concentrarci su noi stessi e sui nostri effettivi bisogni,
è la chiave di volta necessaria per ricominciare a mettere
seriamente a critica un sistema che non può essere riformato. Può favorire la
riscoperta e la ricostruzione del senso della vita (e forse anche del lavoro) e
delle libere attività umane. Processi atti a decodificare, a decostruire e a
distruggere messaggi che hanno cercato di ipnotizzarci per un po'. Processi
propedeutici, anche, ad attrezzarci ad affrontare nuove possibili forme di
conflitto.
Questi venti anni ci hanno fatto comprendere un fatto eclatante: non c'è più bisogno di motivare il perché dell'esigenza di un reddito di base. La sua necessità, e ancor più la sua possibilità, è oramai entrata nell'ordine delle cose presenti. È tra di noi. | << | < | > | >> |Pagina 35Reddito minimo garantitoIl termine «reddito» è spesso accompagnato da definizioni tra loro diverse, con finalità simili per alcuni tratti e per altri contrapposte, con significati che mostrano approcci filosofici, economici, politici che possono essere in alcuni casi coincidenti e in altri meno. Tuttavia il tema del reddito, di un diritto economico e sociale a garanzia della dignità della persona, è ormai un tema mondiale. Basti pensare che nel pieno del lockdown durante la pandemia da Covid19, nella prima settimana di aprile 2020, sono stati 106 i paesi che hanno introdotto nuove forme di protezione sociale, di sostegno al reddito, sussidi, ecc. Il 26% in più rispetto alla settimana precedente (quando i paesi erano 84), con un aumento dei programmi di protezione sociale del 50%, passando da 283 a 418. Tra le formule di intervento, il trasferimento diretto di denaro alle persone (cash transfer) è stato quello più utilizzato (per un totale di 241 programmi), raggiungendo circa 600 milioni di persone nel mondo (Gentilini, Almenfi, Orton, 2020). A questo si aggiungono le tante sperimentazioni di un reddito di base incondizionato, i già consolidati schemi di reddito minimo garantito in molti paesi europei, le forme di Dividend Fund come in Alaska e via dicendo. Insomma nei primi venti anni del nuovo secolo il tema del reddito, di un diritto economico, sociale, umano, emerge in molte e diverse declinazioni come uno strumento in grado di offrire risposte ma anche il senso di un cambiamento possibile. Per rendere più chiaro ciò di cui stiamo discutendo, divideremo il tema di un diritto al reddito in due macro-famiglie. Da una parte il reddito minimo garantito (di cui parleremo in questo capitolo), uno dei perni principali del modello sociale europeo e presente in numerosi paesi e, dall'altra, il reddito di base universale e incondizionato (di cui parleremo nel prossimo capitolo), oggi al centro di un vivace dibattito mondiale accompagnato da sperimentazioni sul campo e sempre più interessanti studi.
Per introdurre velocemente queste due macro-famiglie possiamo dire che:
Il REDDITO MINIMO GARANTITO è un'erogazione economica in denaro, attribuita da parte di un'autorità pubblica a tutti i cittadini, o residenti in un paese, che versano in uno stato di bisogno (individuale e/o familiare) o che sono a rischio povertà (è dunque una misura ex-post) e per riceverlo bisogna dimostrare il proprio stato di necessità (means test). Questa misura è spesso subordinata alla disponibilità a cercare lavoro, ad accettare impieghi o a seguire percorsi di formazione da parte di chi ne usufruisce. Non ha di regola una scadenza prefissata e viene erogato «fino al miglioramento della propria condizione economica» (BIN Italia, 2012). La finalità generale è quella di garantire una quota economica minima come base per un'esistenza dignitosa, tuttavia, in alcuni schemi, l'intento è quello di avviare le persone all'inserimento lavorativo o sociale. Di questa famiglia possono far parte formule come il REDDITO MINIMO DI INSERIMENTO, IL REDDITO DI INCLUSIONE, IL REDDITO SOCIALE, REDDITO DI ATTIVAZIONE, REDDITO DI ULTIMA ISTANZA, ecc. Il REDDITO DI BASE UNIVERSALE E INCONDIZIONATO è un reddito attribuito da un'autorità pubblica a tutte le persone, indistintamente (è dunque una misura ex-ante), senza alcun condizionamento ad accettare un lavoro, senza la richiesta di un requisito reddituale o patrimoniale. Un «reddito regolare pagato in denaro a ogni singolo membro di una società, indipendentemente da altre entrate e senza vincoli» (Van Parijs, Vanderborght, 2017). Si tratta di un reddito destinato a tutti gli esseri umani in quanto diritto umano e viene erogato per tutta la vita. In questa famiglia fanno parte altre definizioni come REDDITO DI ESISTENZA, REDDITO GARANTITO INCONDIZIONATO, DIVIDEND ecc. | << | < | > | >> |Pagina 71Reddito di base incondizionato e universaleDibattuta da governi nazionali o regionali, da piccole giunte comunali, sperimentata in Africa, in India, in Nord America o in Europa, sostenuta da reti sociali o da economisti di fama mondiale, la proposta del reddito di base supera le frontiere e avvia un nuovo dibattito planetario che si interroga sugli effetti, sulle modellizzazioni per la sostenibilità, sulla ricaduta verso i beneficiari e così via. Da questo punto di vista si apre forse un terreno d'azione nuovo attraverso la proposta del reddito di base come una delle chiavi per il XXI secolo (Van Parijs, 2006). Nel mezzo di questa nuova «grande trasformazione», piena di incognite e che rende incerti molti punti di riferimento, non vi è dubbio che è «necessaria una nuova idea di cittadinanza, di un patrimonio di diritti che accompagna la persona in ogni luogo del mondo» ( Rodotà , 2013). La pandemia da Covidl9, ha reso oggi questa necessità, ancora più urgente. Come abbiamo detto il reddito di base (basic income), a differenza del reddito minimo garantito, è un reddito versato indifferentemente a tutti i membri della collettività su base individuale, senza dimostrare lo stato di necessità (no means test) o requisiti connessi al mercato del lavoro. È una erogazione monetaria fornita a intervalli regolari. Come vedremo, ci possono essere diverse formule, per le condizioni d'accesso, l'ammontare economico, l'inclusione di tutti i residenti, o per grado d'età, da destinare solo agli adulti, o al contrario riconosciuto a tutti per il solo fatto di esistere. | << | < | > | >> |Pagina 75Cosa è, come èQuando parliamo di reddito di base, però esattamente di che cosa stiamo parlando? La questione è dirimente. Non è un caso che anche nei diversi paesi si utilizzano diversi termini e schemi per definirlo (citizen income, grundeinkommen, revenu universal, renta basica, freedom dividend, universal and unconditional basic income, attraverso l'acronimo UBI, ecc.). Il basic income, il reddito di base, a differenza di altre forme di sostegno come il reddito minimo garantito, è un pagamento periodico in contanti erogato incondizionatamente a tutti su base individuale, senza dimostrare di averne bisogno. Molte varianti sono state proposte nel corso degli anni e ormai si è raggiunta una certa uniformità su quali siano le caratteristiche principali. Una sintesi ce la offre l'autore più influente sull'argomento, Philippe Van Parijs , che lo definisce come un reddito pagato da un governo, a un livello uniforme e a intervalli regolari, a ogni membro adulto della società. L'ammontare è fisso, indipendentemente dal fatto che la persona sia ricca o povera, che viva da sola o con altri, che sia disposta a lavorare o meno. Nella maggior parte delle versioni - certamente nella mia - è concesso non solo ai cittadini, ma a tutti i residenti permanenti (Van Parijs, 2001). [...] Per sintetizzare, la rete mondiale del Basic Income Earth Network (BIEN), lo definisce come: «un reddito concesso incondizionatamente a tutti su base individuale, senza means test o requisiti connessi al lavoro». Ecco le 5 caratteristiche definite dal BIEN: - PERIODICO. Versato a intervalli regolari (per esempio ogni mese), non come un sussidio una tantum. - IN CONTANTI. Deve permettere a chi lo riceve di decidere come e in cosa spenderlo. Non è, quindi, pagato in natura (come cibo o servizi) o in buoni dedicati a un uso specifico. - INDIVIDUALE. Versato su base individuale e non, ad esempio, al nucleo familiare. - UNIVERSALE. A tutti indistintamente. - INCONDIZIONATO. Versato senza dover dimostrarne la necessità (no means test) e senza alcuna contropartita come ad esempio l'obbligo ad accettare un lavoro. [...] Il tema della universalità pone anche la questione se sia più o meno giusto erogare un basic income anche a chi possiede e gode di grandi patrimoni in denaro. Su questo vale la pena sottolineare come attraverso le aliquote fiscali progressive si recupererebbe non solo il reddito di base versato, ma il pagamento di molti altri redditi. A meno che non siano disponibili risorse naturali abbondanti e pregiate (sulle quali attivare un dividend), secondo Van Parijs il reddito di base deve essere finanziato da una qualche forma di tassazione. Di norma, le imposte sono progressive, dunque i ricchi contribuiranno al finanziamento dei più poveri. Praticamente, chi ha di più pagherà per il proprio reddito di base e per almeno una parte dei redditi di base che vanno ai più poveri. Il reddito di base quindi non renderà i ricchi ancora più ricchi. Al contrario, porterà i poveri più vicino alla soglia di povertà o al di sopra di essa, a seconda del tipo e dell'importo. Un reddito che si riceve senza nulla in cambio è meglio di una rete di sussidi con dei buchi attraverso i quali si può cadere. Oppure che genera delle trappole (Ferrera, Van Parijs, 2017). | << | < | > | >> |Pagina 84Finanziare il basic incomeSono molte le ipotesi e gli studi su come finanziare un reddito di base ed è qui impossibile dare conto del ricco dibattito in merito. Un reddito di base può essere finanziato con tasse di scopo, attraverso la tassazione generale o dividendi. Alcune tasse specifiche possono essere: sullo sfruttamento delle risorse naturali, un'imposta sul valore aggiunto, un'imposta sui consumi, sull'inquinamento, sugli investimenti speculativi, tassazione delle transazioni finanziarie, una digital tax, sui grandi patrimoni oppure la riduzione del gettito fiscale destinato ad altre spese, come quelle militari, ecc. [...] Vi sono poi altre proposte di finanziamento: attraverso un'imposta delle rendite, sui movimenti del capitale speculativo come la Tobin Tax (Block, Manza, 2013) o attraverso la tassazione dei grandi profitti delle grandi imprese tecnologiche, dal controllo sui Big Data, fino alla tassazione delle forme di inquinamento o estrazione dei beni della terra come la Carbon Tax o Carbon Dividend. Inoltre vi è la così detta imposta negativa sul reddito (Negative Income Tax), un credito d'imposta uniforme e rimborsabile, come proposto negli Stati Uniti dal premio Nobel Milton Friedman per «ri-regolare» il modello di welfare del paese (Friedman, 1966). Si tratta di una sorta di rimborso fiscale accompagnato a un sostegno, e chiunque guadagni più dell'importo stabilito paga le tasse. Friedman sostenne che la NIT avrebbe potuto aiutare gli individui fornendo loro direttamente del denaro (Friedman, 1962). Malgrado le diverse opzioni di finanziamento, l'idea generale rimane però quella di un'imposta progressiva attraverso la fiscalità generale. A conclusione possiamo dire che spesso si cade nell'errore di moltiplicare l'importo del reddito per il numero della popolazione interessata, così da poter calcolare l'ammontare dell'imposta necessaria a finanziarlo. Questo ragionamento rende quasi impraticabile la fattibilità del reddito di base. Il risultato sarebbe un evidente aumento della tassazione generalizzato. Si potrebbe obiettare che gran parte del costo del reddito di base sarebbe finanziato, ad esempio, grazie alle risorse pubbliche già stanziate per i diversi aiuti statali delle politiche assistenziali, esenzioni fiscali o misure previdenziali inferiori all'importo del reddito. [...] Infine, come ulteriore riflessione, al costo del reddito di base, va tolto l'alto costo che la povertà genera in un paese. Perché il problema non è tanto quanto costa un reddito di base, ma quanto costa la povertà. Non a caso i paesi dove il sistema di welfare è più generoso e vi è un minor tasso di povertà, si genera un circolo virtuoso che alimenta tutta l'economia. [...] Così come esiste un ampio dibattito sulle forme di finanziamento, anche sul piano politico emergono approcci diversi, soluzioni a volte simili altre discordanti, sia negli schemi ma ancor più nelle ragioni. Per orientarsi in questa matassa di approcci è necessario scomporre le varie posizioni in due grandi famiglie (Fumagalli, 2020), oltre a quella, già ricordata, tra reddito minimo garantito e reddito di base universale e incondizionato: da un lato, il REDDITO COME AMMORTIZZATORE E PROTEZIONE SOCIALE, per coloro che non possono (perché non hanno i requisiti o per la limitatezza delle risorse) attingere agli usuali strumenti di sicurezza sociale (sussidi di disoccupazione, ecc.); dall'altro, il REDDITO COME REMUNERAZIONE, (alla luce dell'analisi dei nuovi meccanismi di valorizzazione che vedono la vita alla base dei processi di accumulazione), detto anche REDDITO PRIMARIO. Il reddito come ammortizzatore e protezione sociale entra nella re-distribuzione del reddito, una volta che la ricchezza prodotta è stata distribuita tra i fattori produttivi che hanno contribuito a crearla. Il reddito di base incondizionato come reddito primario entra, invece, nel processo di distribuzione della ricchezza, al pari del salario e affini (remunerazione del lavoro), profitto (remunerazione dell'attività imprenditoriale), rendita (remunerazione della proprietà, qualunque essa sia). Da questo punto di vista, essendo il reddito di base remunerazione di quel tempo di vita produttivo che non viene riconosciuto come tale (tempo di formazione apprendimento, tempo di relazione, tempo di cura, tempo di svago, tempo di gioco, tempo di ozio per sé e gli altri, ecc.), risulta complementare e non sostitutivo del salario come remunerazione del tempo certificato di lavoro. Reddito e salario tendono quindi a convergere in un'unica rivendicazione sociale. All'interno della prima famiglia, si collocano, come abbiamo visto, posizione assai diverse e inconciliabili tra loro. Il nodo ruota intorno alla complementarietà del reddito di base con il mantenimento di un welfare state adeguato (posizione left) o, all'opposto, se il reddito di base può essere inteso come un sostituto del sistema di welfare, in funzione di un intervento statale minimo (posizione right). | << | < | > | >> |Pagina 96[...] Per alcuni il reddito di base, grazie alla sua universalità e incondizionalità, è una sorta di capitalistic road to communism (Van derVeen, Van Parijs, 1986) partendo dall'assunzione che è
possibile passare dal capitalismo al comunismo, inteso come società in cui
la distribuzione della ricchezza sociale avviene tramite il principio «a
ciascuno secondo i propri bisogni», senza dover transitare per la fase
socialista di distribuzione «a ciascuno secondo il proprio lavoro». Questo salto
è reso possibile dalla capacità produttiva e innovativa del capitalismo che
genera una ricchezza sociale di beni più che sufficiente al soddisfacimento
dei bisogni dell'umanità, ma è priva di una equa distribuzione di tale
ricchezza. In tal modo il reddito di base universale e incondizionato nell'epoca
dell'abbondanza ricopre la funzione di garantire una redistribuzione della
ricchezza che in un'ottica comunistica permette di soddisfare i bisogni umani e
- al contempo - in una prospettiva socialista, restituisce al lavoratore
qualcosa in più in proporzione alla quantità di lavoro svolto, lavoro che a
questo punto diviene un'attività liberamente scelta e indipendente, fuori dal
dominio e dalla subordinazione, dentro il parziale incremento della propria
condizione economica e il soddisfacimento delle proprie aspirazioni (
Allegri
, 2018).
L'argomentazione cruciale a favore del reddito di base incondizionato, dunque, si poggia sulla visione ampiamente condivisa che la giustizia sociale non è solo una questione di diritto a un reddito, o di un diritto al lavoro qualunque esso sia, o della partecipazione alla società solo attraverso un lavoro formalmente inteso, ma significa valorizzare le libere attività umane, avviare una nuova politica economica redistributiva, ripensare il mondo, garantire l'autodeterminazione e l'autonomia delle persone grazie a una più compiuta «riappropriazione» del tempo di vita. | << | < | > | >> |Pagina 122Stati Uniti
Alaska, l'esempio più citato al mondo
Nel 1967, lo Stato dell'Alaska si ritrovò ad avere la più grande riserva di petrolio del Nord America su un terreno di proprietà statale. Nel 1976, il governo introdusse, in costituzione, la norma che obbligava a depositare almeno il 25% delle entrate delle risorse naturali di ogni anno in un fondo permanente. Parte degli interessi di questo fondo dovevano essere divisi in egual misura, annualmente, tra tutti i residenti del paese. Dal 1982, ogni anno, coloro che vivono nel paese (uomini, donne, bambini, anziani) hanno diritto a una quota parte di questo Permanent Dividend Fund erogato dallo Stato. I cittadini devono fare domanda ogni anno, soddisfare i criteri di residenza e non avere nessuna grave condanna penale recente. Più del 90% della popolazione riceve ogni anno questo dividend come un reddito di base universale e incondizionato. La differenza con un basic income classico è che l'importo non è né stabile (cambia a seconda degli interessi maturati ogni anno) né sufficientemente alto da soddisfare tutte le esigenze di base. Per fare alcuni esempi: l'importo del Permanent Dividend Fund nel 2019 è stato di 1.606 dollari (circa 134 dollari al mese) per ognuno dei 633.243 richiedenti. Nel 2019 una famiglia di 4 persone ha dunque ricevuto oltre 6.400 dollari. Il Permanent Dividend Fund ha un significativo sostegno dell'opinione pubblica che è favorevole ad aumentare le tasse piuttosto che a porre fine al programma (Isenberg, 2017). Da quando è stato introdotto, gli studi hanno evidenziato una forte riduzione dei livelli di povertà, un maggiore stimolo all'economia, si sono generati nuovi posti di lavoro e un aumento generale di oltre 1 miliardo di dollari di reddito personale. Inoltre non sono stati segnalati particolari aumenti dell'inflazione, non si è notata una riduzione dell'occupazione connessa al PFD e studi recenti mostrano un aumento del lavoro part-time (Jones, Marinescu, 2018). I ricercatori inoltre hanno mostrato che il dividend ha aumentato i consumi, stimolando la domanda interna e di conseguenza l'aumento dei salari (Goldsmith, 2012). Il caso dell'Alaska è molto particolare perché è una formula legata a un dividendo economico generato dallo sfruttamento di una risorsa naturale. Tuttavia, rispetto ad altre formule simili ha mostrato che può funzionare, su larga scala e per molto tempo, e che gli effetti negativi sono limitati mentre quelli positivi sono di gran lunga più evidenti. È un modello relativamente facile da amministrare, incontra meno resistenza dall'opinione pubblica, perché in linea di principio, l'universalità della misura permette a «tutti di essere dei vincitori» (Widerquist, Howard, 2012). | << | < | > | >> |Pagina 147Parole per il tempo che vieneIl tempo è giunto, non si può più, come diceva Bataille «rimandare l'esistenza a dopo» (Gorz, 2008), a dopo che avremo riformato le politiche fiscali, a dopo aver trovato un lavoro ai giovani, a dopo aver raggiunto la parità retributiva tra uomini e donne, a dopo che... Il tempo per affrontare concretamente ciò che si deve fare per arrivare a una misura di reddito di base, è ora. Il filo delle diverse esperienze pilota fin qui descritte, traccia trame solide con ampi margini di riflessione e decisionalità. Se l'impianto etico alla base, in paesi e realtà eterogenee, con finanziatori e promotori diversi, non è sempre chiaro (che idea di redistribuzione, che idea di capacità, opportunità o di libertà), i risultati invece sono molto trasversali e trasferibili: empowerment, salute, attività, autonomia. Provando a osservare una per volta queste parole cercheremo di leggere la portata innovativa e trasformativa delle ricadute da cui emergono.
[...]
Non si è ritenuto possibile il reddito perché, benché le tecnologie negli ultimi decenni abbiano aperto sconfinate praterie all'immaginazione, si è accettato di pensare solo in termini di ciò che era compatibile con il capitalismo: lavoro, responsabilità individuale, merito, contesa con altri, valutazione perenne, occupabilità. Siamo rimasti sedotti da una finzione di onnipotenza dell' homo sapiens predisposta dal capitalismo mentre nella realtà divenivamo «precari-impresa», figure antropologiche centrali dell'era precaria, costruite e allenate per badare, solitariamente, soltanto a sé stesse. Il fragilissimo, organismo unipersonale, eppure convinto di potere molto nel «verdetto del successo» (Dardot, Laval, 2013). Non abbiamo pensato in termini di un'ontologia umana che si dà a partire dalla vulnerabilità del vivente di cui il capitalismo ha approfittato fin troppo. Per tali ragioni il reddito è parte fondamentale di un erotic welfare laddove welfare comprende sia la sfera del valore che la sfera etica. Nel nome, crediamo, di una giustizia sociale non più rimandabile a un domani nel quale non ci saremo più ( in the long term we are all dead ). Ora lo sappiamo. Non si vuole suggerire di introdurre un'ennesima definizione, ma sottolineare che il reddito di base schiude a una dimensione larga del piacere della relazione, tra esseri umani non più concorrenziali tra loro. Apre a un'etica della benevolenza e dell'utilità sociale. | << | < | > | >> |Pagina 169Sostenibilità dell'UBI e impatti sul sistema sanitario, sociale, fiscaleCome scrivevamo poco sopra ci sono esperienze, pratiche politiche, esempi vari nel mondo che possono condurci a individuare l'essenza del messaggio che stiamo cercando di consegnare ai lettori e alle lettrici di questo libro e che consiste nel sottolineare che l'introduzione del reddito di base consente, in estrema sintesi, la restituzione alle persone della loro capacità creativa e la riattivazione del loro potenziale di intervento nel mondo.
Non sono tempi per visioni lineari della trasformazione, né per un'ansiosa
fiducia in esiti finali, basati sui rapporti causa/effetto, che hanno
accompagnato i movimenti novecenteschi. Ci ispiriamo piuttosto, pensando alle
tante sperimentazioni sul reddito di base che abbiamo raccontato e che neppure
sono esaustive di tutto ciò che si muove su questo terreno, a una nota frase di
Rebecca Solnit: bisogna
cambiare l'immaginario del cambiamento.
Significa proporre una visione davvero
realistica e immanente
del modo in cui avvengono le trasformazioni. Un'immaginazione adeguata alle
opportunità e alle singolarità e alle minacce che sono su questa terra
in questo momento. Le pratiche, i progetti pilota che abbiamo descritto
consentono il ridefinirsi di forme democratiche della politica, in un mondo
incompiuto «in cui uomini e donne sono produttori in possesso di potere
e immaginazione» (
Rebecca Solnit
, 2005).
Ciascuna delle sperimentazioni relative al reddito condotte sul pianeta, che siano dedicate ai freelance della Finlandia o ai quartieri marginali della città di Barcellona, si tratti di lotterie autorganizzate in Germania o di esperienze introdotte tra gli homeless di Vancouver, mettono in luce innanzitutto una rivoluzione cha avviene nell'immaginazione delle persone, le quali cominciano, in misura, modalità e secondo ordini di problemi diversi, a riappropriarsi di quella azione sulla propria vita che rischia di venir svuotata dalla pervasività del capitale. La possibilità di sottrarsi alla povertà o al ricatto del lavoro povero si riverbera sulla salute psicofisica, sulla socialità, sull'affettività, sull'istruzione, sui miglioramenti professionali dei soggetti coinvolti nei progetti pilota. In senso più generale, le sperimentazioni sortiscono, in molti casi, il risultato di spingere le comunità a interrogarsi sempre più profondamente, radicalmente, criticamente sulle modalità del vivere nel presente. E anche l'opportunità di riflettere su possibilità autorganizzative che schiudono nuove prospettive, individuali e collettive. | << | < | > | >> |Pagina 207Punto a capo
Nessuna conclusione
Nell'era della quarta rivoluzione industriale (Schwab, 2016) del post-work in cui pare emergere un lavoro senza fine (Aronowitz, 2006) e una forza lavoro costretta dentro nuovi meccanismi di sfruttamento ( Ciccarelli , 2018), tra capitalismo digitale e nuova economia del web ( Srnicek , 2017) il cittadino globale, di fronte alle grandi sfide e alle contraddizioni della contemporaneità, sembra essere sempre più solo ( Bauman , 2000). In un'epoca dettata da un solo modello economico planetario, in cui sembra che non si riescano a trovare strade alternative alla «facilità con cui il neoliberismo si è imposto nella società dal punto di vista anche culturale» ( Gorz , 1998) emerge con forza la proposta del reddito di base. Ovviamente questo, non può essere considerato come la panacea per tutti i mali del mondo. Tuttavia, la forza di questa proposta sta nell'essere «una chiave» in grado di aprire molte porte, uno strumento del possibile in grado di rispondere alle contraddizioni della nostra contemporaneità per immaginare e organizzare un futuro migliore per tutti gli esseri umani. Disuguaglianza, insicurezza, debito, stress, precarietà, automazione, rischio di estinzione, populismo neofascista, inquinamento, corruzione, ecc., indeboliscono enormemente gli attuali sistemi sociali. La pandemia ha scatenato una crisi sanitaria ed economica di dimensioni terribili. La situazione è molto fragile e la cosa peggiore sarebbe tornare a una idea di mondo dove tutto sia governato solo da un'economia in cui il mercato detta le leggi della vita umana. Bisognerà ricostruire le società su basi più solide. [...] Il reddito di base può essere pensato come uno dei pilastri per il XXI secolo, come una triplice forza da agire subito: «quella del salvataggio, quella della resistenza e quella della rinascita» ( Standing , 2020a), prefigurando così un processo verso un tempo, una umanità e un mondo nuovo e libero da ogni schiavitù. Aggiungiamo, proprio sul finale, un piccolo invito alla cautela perché le tante e diverse formulazioni, come abbiamo cercato anche di riportare, sottendono visioni sociali e politiche a volte distanti. Ecco perché interrogarsi su quale sia la natura del cambiamento che vogliamo è cruciale. Proprio oggi che il reddito di base diventa, apparentemente, «discorso comune» a tutti i livelli, oggi che la discussione sul «come», sul «quanto» e sul «fine» si dilata, si aprono nuove sfide da affrontare.
Siamo a un punto di svolta, dunque? Che reddito vogliamo? Consapevoli che la
risposta può spalancare nuovi orizzonti, nuovi anche per noi, queste pagine
vogliono offrire uno sguardo verso il possibile, sta a noi alimentarlo.
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