Autore Giulio Giorello
CoautoreElio Sindoni
Titolo Un mondo di mondi
SottotitoloAlla ricerca della vita intelligente nell'Universo
EdizioneCortina, Milano, 2016, Scienza e idee 273 , pag. 142, cop.fle., dim. 14x22,5x1,3 cm , Isbn 978-88-6030-842-9
LettoreCorrado Leonardo, 2017
Classe astronomia , cosmologia , biologia , evoluzione , scienze naturali












 

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Indice


Premessa                                                      9


1. Tra mito e filosofia                                      13

2. I visionari del Rinascimento                              19

3. Leggere il libro del cielo                                27

4. Dal newtonianesimo alla cosmologia di Kant                49

5. Secolo XIX, epoca di controversie                         57

6. Il mondo è per noi?                                       79

7. L'evoluzione del vivente                                  91

8. La ricerca della vita intelligente lontano dalla Terra    99


Conclusioni                                                 129

Riferimenti bibliografici                                   133

Indice dei nomi                                             139


 

 

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Pagina 9

PREMESSA





Orsù, lasciamo degli uomini e della Terra. Considerate, illustrissimo, quel ch'è ragionevole che avvenga degli altri pianeti. Che quando vedranno la Terra fare ogni cosa che fanno essi, e divenuta uno di loro, non vorranno più restarsene così lisci, semplici e disadorni, così deserti e tristi, come sono stati sempre; e che la Terra sola abbia quei tanti ornamenti: ma vorranno ancora essi i lor fiumi, i lor mari, le loro montagne, le piante, e fra le altre cose i loro animali e abitatori: non vedendo ragione alcuna di dovere essere da meno della Terra in nessuna parte.


Così Niccolò Copernico si rivolge con tono di richiamo, ma pieno di rispetto, nientemeno che al Sole, nel dialogo Il Copernico , composto nel 1827 e incluso quindi nelle Operette morali (nel secondo volume delle Opere di Giacomo Leopardi , curate da Antonio Ranieri, 1845). Leopardi, dando la parola a Copernico in persona, gli faceva pronunciare una descrizione dell'invidia delle varie stelle per il Sole, che "vorranno avere i loro pianeti, [...] i quali pianeti nuovi, converrà che siano anche abitati e adorni come è la Terra". Così si insinua il sospetto che siano proprio quelli che oggi chiamiamo pianeti extrasolari a essere sedi di vita e intelligenza, mentre il "povero genere umano" si sentirà sempre più irrilevante di fronte a "tante migliaia di altri mondi".

Non diversamente dal poeta e filosofo di Recanati, anche a noi è capitato, lasciata la città, di soffermarci a contemplare, con un misto di ammirazione e di sgomento, la bellezza del cielo notturno. Se poi la notte è senza Luna (con buona pace di Leopardi), vagando con lo sguardo verso la cupola del cielo ci si sente come al centro di un immenso palcoscenico, in un buio profondo spezzato da migliaia di punti luminosi. Perché sono tanti, perché esistono, e perché esistiamo noi, che li stiamo a osservare? Sono domande che l'uomo si è posto dall'Antichità e che, almeno per la scienza, non hanno ancora trovato risposta, come riconosceva un grande ammiratore della sintesi fisica operata da Newton , il filosofo e cosmologo Immanuel Kant.

Volgendo lo sguardo verso le stelle, non possiamo fare a meno di interrogarci: ci sarà "qualcuno" che, da lassù, ci sta guardando? Ricordate la Via Lattea? All'alba della scienza moderna, nel Sidereus nuncius (1610), Galileo Galilei , sfruttando i nuovi dati forniti dal suo cannocchiale, aveva dichiarato che essa non era un difetto del mondo sublunare, bensì un gigantesco agglomerato di stelle, ed è questo che oggi significa il suo nome, Galassia. Kant avrebbe suggerito come in tale "mondo di mondi" non scarseggiassero forme di vita intelligente! Ma lo scenario si è ora enormemente ampliato: cento miliardi di galassie, da cento a quattrocento miliardi di stelle in ognuna di esse. Tutto questo solo per noi? Siamo davvero gli unici esseri intelligenti in questo grandioso Universo? Nessuno, attualmente, è in grado di dare una risposta, anche se ad alcuni sembra plausibile che la vita sia un fenomeno "piuttosto raro" e ancora di più lo sia la vita "intelligente".

All'inizio degli anni Settanta del Novecento, il filosofo della scienza Imre Lakatos sosteneva che il programma di ricerca della vita intelligente nell'Universo era un tipico programma solo "teoricamente progressivo", cioè un programma che contemplava una miriade di fatti nuovi e interessanti ma, ahimè, nessuno dei quali corroborato. E la scienza "seria" si sarebbe dovuta occupare di programmi "empiricamente progressivi", ove si fosse riscontrato un aumento di fatti nuovi corroborati, mentre si sarebbe dovuta disinteressare di programmi teoricamente "regressivi", che non prevedessero nulla di nuovo. I programmi progressivi solo teoricamente costituiscono una "specie" di confine un po' ibrida; Lakatos non li considerava globalmente; era invece pronto, caso per caso, a esaminare il loro "aumento di contenuto", anche se mancavano quelli che, a suo tempo, l'astuto Sherlock Holmes etichettava come "fatti, fatti, fatti" accertati.

Il programma di ricerca della vita intelligente nell'Universo rientra in tale specie anfibia: non è una definitiva condanna, questa, perché in passato vari programmi, almeno nei periodi iniziali, si sono rivelati solo teoricamente progressivi (tra questi, prima di Galileo e Keplero, la stessa astronomia copernicana). In parecchi casi, però, la stagnazione, a livello empirico, è durata un numero relativamente esiguo di anni; invece, riguardo agli "extraterrestri", è qualche millennio che se ne cantano le imprese, e non ne è stato trovato ancora uno! Lakatos, per altro, osservava che pure un programma di quel tipo può rivelarsi interessante, per i problemi scientifici o tecnologici che suscita nel contesto della sua "cintura protettiva" di ipotesi e congetture ausiliarie ed eventualmente risolve, favorendo così non il nucleo centrale del programma stesso ma le tante discipline che vi sono più o meno coinvolte. Senza contare l'immenso apporto che il problema degli "extraterrestri" ha fornito alla fantasia di tutti i tempi: dalle antiche religioni alle cosmologie dell'Età Moderna, per non dire di tutto l'ambito della narrativa in senso lato: miti, racconti, grandi romanzi e, per arrivare ai nostri giorni, film, video e fumetti.

Quando questo nostro libro era in bozze, abbiamo letto (la Repubblica, 26 settembre 2016) che ora anche la Cina "va a caccia di alieni". Ha inaugurato FAST (Five-hundred-meter Aperture Spherical Telescope), 500 metri di diametro, superficie di trenta campi di calcio e 4450 specchi. Come riporta l'articolo, "capterà le onde radio emesse da stelle, galassie e nebulose. O magari da qualche alieno". Ma non lasciamoci prendere da eccessivo entusiasmo: come ha messo sull'avviso uno scienziato come Stephen Hawking , gli extraterrestri potrebbero essere così intelligenti da "avere per noi la stessa considerazione che noi abbiamo per i microbi". È una versione pessimistica dell'atteggiamento che, nel suo Micromega , Voltaire attribuisce al protagonista, un "grande" e "intelligente" abitatore di "uno dei pianeti che girano intorno alla stella che si chiama Sirio", il quale, giunto sulla nostra Terra, non manca di affettuosa comprensione per quei piccolissimi "atomi" parlanti che sono per lui gli esseri umani.

Due di tali "atomi" hanno cercato di raccontare, senza pretesa di completezza, una vicenda intellettuale che si snoda da millenni e ha preso un aspetto nuovo con la rivoluzione copernicana. Il volume è diviso in otto capitoli. Nel primo si danno brevissimi cenni sulle antiche credenze circa gli extraterrestri, fino al Medioevo. Nel secondo tocca ai grandi visionari del Rinascimento europeo, come Giordano Bruno. Nel terzo al centro dell'interesse è la nuova "filosofia della natura" (si legga "scienza") di Keplero e Galilei, ma vi sono anche le escursioni fantastiche di Cyrano de Bergerac e di Bernard le Bovier de Fontenelle , per terminare con la discussione da parte di Christiaan Huygens delle possibilità di vita intelligente, specie in pianeti extrasolari. Il capitolo 4 è consacrato a quello che avviene con Newton e dopo di lui, con un occhio di riguardo per Immanuel Kant. Alcune cruciali controversie dell'Ottocento sono esaminate nel capitolo 5; da esse emerge il nuovo atteggiamento tecnico-scientifico che caratterizza la ricerca del Novecento e oltre, con il resoconto dell'indagine giunta fino agli estremi confini del Sistema solare e lo studio dei pianeti extrasolari, oggi "esplorati" con preziose strumentazioni matematiche e tecnologiche (capitoli 6, 7 e 8).

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Pagina 99

8
LA RICERCA DELLA VITA INTELLIGENTE
LONTANO DALLA TERRA





    Io guardo là dove biancheggia un denso
    sciame di mondi, quanti atomi a volo
    sono in un raggio: alla Galassia: e penso:
    O Sole, eterno tu non sei – né solo!
                              GIOVANNI PASCOLI



Lo studio dell'origine, dell'evoluzione e della distribuzione della vita nell'Universo è iniziato, a livello scientifico, alcuni decenni fa e prende il nome di bioastronomia. Nel 1982 la International Astronomical Union's Commission cominciò a indagare sulle possibilità di vita extraterrestre e nel 2006 coniò appunto quel termine. Oggi tale tipo di ricerche è anche indicato con il nome di esobiologia. L'innata curiosità di Homo sapiens lo ha portato a sviluppare metodi per cercare sia indizi di forme primordiali di vita extraterrestre sia "contatti" con eventuali alieni intelligenti.

La ricerca di vita nello spazio può avvalersi di diversi approcci: uno diretto consiste nell'inviare, all'interno del Sistema solare, delle sonde che, o in orbita intorno ad altri pianeti o posate sulla loro superficie, raccolgano e inviino sulla Terra informazioni sulla loro conformazione. Gli esseri umani, finora, hanno visitato direttamente solo la Luna; ma alcuni vivono su stazioni orbitali, divenute veri e propri laboratori di ricerca. Notizie dallo spazio ci provengono anche dallo studio di meteoriti, in alcuni dei quali sembra che vi siano tracce fossili di vita a livello batterico. Un altro metodo si avvale di osservazioni tramite telescopi: il progresso di tali strumenti, dal primo cannocchiale di Galileo a Hubble, il telescopio che orbita a 600 chilometri dalla Terra, è stato notevole! Oggi, grazie anche a tecniche sofisticatissime, come quelle di satelliti-telescopio, quale Kepler, è possibile rilevare l'esistenza di pianeti extra-solari e studiarne le caratteristiche. Un altro approccio consiste nel cercare tramite radiotelescopi se da qualche punto del cielo provengano segnali "non naturali", che denotino cioè la presenza di alieni intelligenti, forse ansiosi di palesare la loro presenza e cercare amici con cui comunicare.




Un Sistema solare privo di vita extraterrestre?


L'esplorazione dello spazio, iniziata da oltre mezzo secolo, ha permesso di constatare che attualmente non sembra esistere, a parte la nostra, alcuna forma di vita intelligente nel Sistema solare, e che è estremamente improbabile (con buona pace di Flammarion ) che sia esistita anche in passato. Le varie missioni progettate per il futuro ci diranno se qualche forma di chimica prebiotica si nasconda nel sottosuolo di Marte, sotto lo strato di ghiaccio di Europa, satellite di Giove, o su Encelado o Titano, satelliti di Saturno, o sull'elusivo Tritone, satellite di Nettuno. Un altro approccio, sempre entro i confini del Sistema solare, consiste nella ricerca di molecole organiche nei meteoriti, nelle comete e sugli asteroidi. In particolare, nel 2010 alcuni ricercatori della Johns Hopkins University avrebbero individuato sull'asteroide 24 Themis, situato fra Marte e Giove, la presenza di molecole organiche.

Il 20 luglio 1969 Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, camminò, primo essere umano a farlo (a prescindere da Astolfo e da Cyrano! ), sulla superficie lunare. L'equipaggio lasciò una targa d'acciaio, sia per commemorare lo sbarco sia come segnale per altri eventuali visitatori: HERE MEN FROM THE PLANET EARTH FIRST SET FOOT UPON THE MOON, JULY 1969, A.D. WE CAME IN PEACE FOR ALL MANKIND. L'allunaggio era stato preceduto da una serie di missioni con veicoli spaziali privi di equipaggio a bordo, allo scopo di scattare fotografie che dessero utili informazioni sul luogo più adatto per l'impresa. Era abbastanza chiaro, dalle osservazioni ravvicinate della superficie lunare, iniziate da Galileo grazie al suo cannocchiale, che era difficile ipotizzare la presenza di esseri viventi; le rocce raccolte da questa e dalle missioni seguenti hanno confermato, soprattutto per l'assenza degli elementi chimici necessari, che sulla Luna non c'è stato alcun tipo di vita. Nel 1959 il veicolo Luna 3, lanciato nell'ambito dei programmi spaziali dell'Unione Sovietica, fu il primo a scattare fotografie del lato nascosto della Luna, rivelando che era simile a quello volto verso la Terra. Niente "seleniti", niente misteriose civiltà celate negli anfratti del nostro satellite. L'ultima missione sulla Luna con astronauti è stata nel dicembre 1972: Apollo 17. Da allora l'esplorazione del Sistema solare è avvenuta esclusivamente con sonde prive di equipaggi umani, anche perché il costo di una missione che preveda il rientro degli astronauti si è rivelato troppo elevato, laddove le stesse informazioni si possono ottenere con sonde radiocomandate che inviano fotografie, esami di rocce ecc.

Non per questo si sono arrestati i progetti di esplorazione spaziale con equipaggi umani: la prossima meta dovrebbe essere Marte, il solo pianeta del Sistema solare che potrebbe avere, oltre alla Terra, condizioni adatte alla nascita di una qualche forma di vita, anche per la sua distanza abbastanza vicina alla zona di vivibilità intorno al Sole. (Marte ha due piccoli satelliti scoperti da Asaph Hall nell'agosto 1877, Deimos e Fobos. La loro esistenza era stata ipotizzata circa un secolo e mezzo prima dallo scrittore irlandese Jonathan Swift , in I viaggi di Gulliver , e poi da Voltaire, in Micromega: si tratta, scrive quest'ultimo, di "due Lune che fanno da satelliti a questo pianeta e che sono sfuggite agli sguardi degli astronomi". I telescopi, nella prima metà del Settecento, non permettevano l'osservazione di corpi così piccoli.) Si pensa di intraprendere l'esplorazione di Marte partendo da una base lunare, che comunque andrebbe prima realizzata, con costi enormi. L'ESA, l'Agenzia Spaziale Europea, ipotizzerebbe lo sbarco di esseri umani su Marte verso il 2030.

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La Terra è continuamente bombardata da questi messaggeri provenienti dallo spazio, molti dei quali sembrano trasportare i mattoni della chimica che preludono alla vita. Queste scoperte, anche se richiedono ulteriori studi e conferme, aprono all'ipotesi che la vita sulla Terra sia giunta dallo spazio, tramite qualche meteorite o qualche cometa, e che quindi la stessa cosa possa essere successa anche su altri pianeti o satelliti. Si tratta della cosiddetta panspermia, una concezione secondo la quale i "semi della vita" sarebbero disseminati in tutto l'Universo e la vita sulla Terra sarebbe iniziata con l'arrivo e lo sviluppo di questi semi. Una simile idea era stata avanzata dal citato Svante Arrhenius, secondo il quale la pressione della luce proveniente dalle stelle avrebbe potuto trasportare sulla Terra microrganismi talmente resistenti da sopportare lunghi viaggi nel gelo dello spazio cosmico; una volta approdati sul nostro Pianeta, vi avrebbero trovato le condizioni necessarie per svilupparsi. Anche il fisico Hermann von Helmholtz credeva alla panspermia, giacché dichiarò in un suo scritto:

Una volta che tutti i nostri tentativi di ottenere materia vivente da materia inanimata risultino vani, a me pare rientri in una procedura scientifica pienamente corretta il domandarsi se la vita abbia in realtà mai avuto un'origine, se non sia vecchia quanto la materia stessa e se le spore non possano essere state trasportate da un pianeta all'altro e abbiano attecchito laddove abbiano trovato terreno fertile.


Argomenti non troppo diversi sono stati sostenuti dal premio Nobel Francis Crick , biologo, e dall'astronomo Fred Hoyle. Una conferma è stata ottenuta grazie alla sonda spaziale Stardust, che ha raccolto frammenti provenienti dalla cometa Wild 2. I campioni, inviati a terra nel 2006, hanno mostrato la presenza di molecole organiche. Del resto, anche nel gas interstellare, mediante microonde e spettroscopia nell'infrarosso, è stata rilevata la presenza di molecole organiche.

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Oltre il Sistema solare. Gli esopianeti


La caccia alla vita extraterrestre si è spostata al di fuori del Sistema solare, con la ricerca di pianeti che orbitino intorno ad altre stelle. Vi ricordate di Giordano Bruno e di Christiaan Huygens? Avevano intuito giusto, anche se il primo pianeta extrasolare è stato individuato con sicurezza solo nel 1995: i due astronomi Michel Mayor e Didier Queloz, dell'Osservatorio di Ginevra, ne hanno annunciato la scoperta il 5 ottobre. Si tratta di un pianeta di massa paragonabile a quella di Giove: esso ruota intorno alla stella 51Pegasi alla distanza di sette-otto milioni di chilometri e si trova a quarant'anni luce dalla Terra. Poiché la sua massa equivale a due millesimi della massa solare, non può trattarsi di una stella!

Dopo le prime conferme, la ricerca di quei pianeti lontani è divenuta sempre più fruttuosa. Nel settembre 2015, grazie soprattutto al satellite Kepler, si contavano 1957 pianeti extrasolari. Al 3 aprile 2016 risultavano conosciuti 2107 pianeti extrasolari in 1300 sistemi planetari diversi e circa duecento altri pianeti sono in attesa di conferma. La lista va continuamente aggiornata. Ciò che ne ostacola l'individuazione è il fatto che i pianeti, contrariamente alle stelle, emettono flebili luci nel cosmo, per cui la loro visione diretta risulta estremamente difficile: normalmente, la loro luminosità è un milione di volte inferiore a quella di una stella. I pianeti che, attualmente, si possono osservare con maggiore facilità sono pianeti gassosi, di tipo gioviano, che orbitano a grande distanza dalla stella madre. Si pensi che, nel campo delle lunghezze d'onda della luce visibile, la radiazione emessa dal Sole è un miliardo di volte superiore a quella riflessa da Giove e dieci miliardi superiore a quella riflessa dalla Terra. Nel campo dell'infrarosso le cose vanno meglio, perché l'intensità della luce solare supera quella riflessa dai pianeti di un fattore compreso tra diecimila e un milione; ma è sempre una differenza enorme. Nonostante tale difficoltà, sono stati ideati metodi di osservazione indiretti, grazie ai quali quasi ogni giorno si individuano nuovi pianeti extrasolari.

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L'unica via per esplorare sistemi stellari distanti decine, centinaia o migliaia di anni luce è quella di utilizzare sonde guidate da robot e non da esseri umani. I progressi nel campo dell'intelligenza artificiale e della robotica potrebbero indurre a pensare che, in futuro, sia possibile realizzare automi in grado di eseguire le operazioni necessarie per gestire le attività di velivoli spaziali, quali la guida, la correzione di orbita, l'atterraggio, l'esplorazione di nuovi mondi. La colonizzazione della nostra Galassia sarebbe quindi fatta da "macchine pensanti"! Si è talvolta tentati di concludere che, in un futuro (quanto lontano?), l'intelligenza artificiale conquisterà l'Universo! Anzi, c'è chi sostiene che la conquista sia già in corso da parte di qualche altra lontana specie "umana extraterrestre" che abbia raggiunto avanzatissimi livelli di tecnologia. I cosiddetti UFO sarebbero congegni guidati da robot "alieni" e inviati sulla Terra in missione esplorativa. A commento di quest'ultima congettura consigliamo a coloro che la propongono di moderarsi al pub: non abbiamo nulla contro il consumo degli alcolici (anzi), ma sarebbe opportuna una certa misura.




L'equazione di Drake


Un approccio alla valutazione delle possibilità di vita extraterrestre intelligente è stato ideato nel 1960 e proposto nel 1961 dall'astrofisico americano Frank Drake. Quello che gli interessava discutere non era solo la possibilità di qualche forma di vita al di fuori della Terra, ma la probabilità che vi fossero altre civiltà nell'Universo. Questo approccio è stato riportato dall'astrofisico russo Iosif Samuilovic Sklovskij e dall'astrofisico americano Carl Sagan nell'interessante volume La vita intelligente nell'Universo, pubblicato originariamente nel 1966. Il calcolo di Drake mirava a determinare il numero N di civiltà della nostra Galassia che abbiano sia l'interesse sia la capacità di intraprendere comunicazioni interstellari. In una delle varie formulazioni, ormai conosciuta come equazione di Drake, si tenta di dare una valutazione dei vari fattori da cui può dipendere N, esprimendolo come un prodotto di vari termini significativi.

                    N = R f1 f2 ne f3 f4 f5 L

Niente, in sé, di troppo complicato.

R è il tasso medio di formazione di stelle nella Via Lattea;

f1 è la frazione di stelle con i requisiti di grandezza, luminosità e durata ritenuti indispensabili per consentire su un pianeta lo sviluppo della vita, cioè le stelle tipo il Sole;

f2 è la frazione di stelle con un sistema planetario;

ne è il numero medio di pianeti attorno a una stella con sistema planetario che presentano un ambiente favorevole alla comparsa della vita;

f3 è la frazione di pianeti in cui la vita è effettivamente nata;

f4 è la frazione di questi pianeti in cui, durante la durata media della stella madre, la vita ha avuto il tempo di evolversi fino al livello di individui in grado di utilizzare manufatti;

f5 è la frazione di specie intelligenti che hanno raggiunto un livello tecnologico abbastanza avanzato, in grado e con la volontà di comunicare con altri abitanti della Via Lattea;

L, infine, è la vita media di una civiltà evoluta, che tiene conto del fatto che, raggiunto qualcosa di simile all'Età atomica, potrebbe anche autodistruggersi.


La vera questione è che la determinazione di ciascuno dei fattori del prodotto che esprime N pare piuttosto ardua, ad alcuni quasi impossibile.

[...]


Nessuno quindi, Drake incluso, le ha mai attribuito valore predittivo. È ovvio, comunque, N >= 1, perché noi ci siamo.

È passato ormai mezzo secolo dalla prima formulazione dell'equazione di Drake e nuove scoperte hanno permesso di conoscere sempre di più come è fatto l'Universo. Di grande importanza è quella dei pianeti extrasolari o esopianeti, e quindi la ricerca di eventuali "gemelli" della nostra Terra. Sara Seager, scienziata specializzata nello studio dei pianeti, che opera presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology), a Boston, negli Stati Uniti, ha di recente sviluppato quella che si può chiamare una "versione parallela" dell'equazione di Drake, allo scopo di stimare il numero di pianeti abitabili nella Via Lattea. Non si tratta, come nell'equazione di Drake, di valutare quante civiltà aliene si possano mettere in contatto con noi, bensì di stimare la probabilità di rilevare, entro la Galassia, segnali di vita negli esopianeti via via individuati, studiando spettroscopicamente, mediante telescopi spaziali, la loro atmosfera, dove potrebbero essersi accumulati gas prodotti dalla presenza di forme di vita. L'atmosfera della Terra contiene il 20% di ossigeno, ma se non ci fosse la vita, non ve ne sarebbe.

                    N = N* Fq Fr Fo Fl Fg
dove

N è il numero di pianeti in cui si rilevano gas che indicano presenza di vita;

N* il numero di stelle abbastanza luminose per poter essere osservate dal telescopio spaziale James Webb (che sostituirà il telescopio Hubble dal 2018);

Fq la frazione di stelle "quiete", cioè che non presentano forte attività;

Fr la frazione di stelle con pianeti rocciosi nella zona abitabile;

Fo la frazione osservabile di questi pianeti;

Fl la frazione di quelli che hanno qualche tipo di vita;

Fg la frazione di quelli in cui la vita produce gas rilevabili.

Sara Seager calcola con una certa sicurezza N*, cui assegna il valore di 30.000, ed è ottimista per Fl, assumendo il valore 1. Per gli altri parametri, avvalendosi anche di quanto fin qui sappiamo – grazie soprattutto al satellite Kepler – dei pianeti extrasolari, ipotizza valori molto inferiori a 1. Infine, Seager conclude con un valore assai basso.

Come per l'equazione di Drake, la cosa più rilevante è soprattutto aver selezionato i parametri fondamentali della nostra valutazione.

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Il progetto SETI


Sempre per impulso di Drake, la ricerca della vita extraterrestre intelligente ha preso anche un'altra strada, che mira direttamente a individuare la presenza di civiltà sviluppate su pianeti orbitanti intorno ad alcune stelle della nostra Galassia. Nel 1959 i fisici Philip Morrison, del MIT, e Giuseppe Cocconi, esperto italiano di raggi cosmici, proposero di cercare segnali radio provenienti da eventuali civiltà extraterrestri. Se qualche alieno volesse veramente palesare la sua presenza per richiamare la nostra attenzione, dovrebbe realizzare tale segnale in modo da renderne inequivocabile la natura artificiale, perché esso sia distinto dal fondo naturale che proviene dal cosmo. Una frequenza su cui pareva conveniente cercare era quella di 1420 GHz, corrispondente a una lunghezza d'onda nel vuoto di ventuno centimetri: si tratta, infatti, di una frequenza che potrebbe denotare un mittente intelligente, perché corrisponde alla frequenza di una riga di emissione dell'atomo di idrogeno, un'emissione familiare per ogni astrofisico. Folgorato da questa idea, nel 1960 lo stesso Drake, alla Cornell University (negli Stati Uniti), aveva lanciato il progetto SETI (Searcb for Extraterrestrial Intelligence), consistente nello scandagliare zone dello spazio con grandi radiotelescopi utilizzando determinati campi di frequenze.

Nel suo primo esperimento, chiamato Project Ozma, dal nome della principessa Ozma, personaggio di Il meraviglioso mago di Oz, celebre romanzo per ragazzi di Lyman Frank Baum, puntò un radiotelescopio di ventisei metri di diametro situato a Green Bank, in West Virginia, in direzione di due stelle abbastanza vicine, su scala interstellare, alla Terra e dello stesso tipo del Sole – Tau Ceti, a dodici anni luce da noi e Epsilon Eridani, a 10,5 anni luce –, utilizzando onde con lunghezza d'onda di ventuno centimetri. Dopo quattro mesi di osservazioni, non vennero captati segnali interpretabili come artificiali, e le ricerche furono almeno temporaneamente sospese. Tramite lo stesso radiotelescopio, dal 1973 al 1976 gli astronomi Benjamin Zuckerman e Patrick Palmer condussero l'esperimento Ozma II monitorando 650 stelle (relativamente vicine al Sole), ma anch'esso non produsse risultati. Vi furono parecchi falsi allarmi: fece scalpore la rivelazione di un segnale intelligente di origine sconosciuta, che poi risultò essere emesso dagli aerei spia americani U2, top secret negli anni Sessanta del secolo scorso. Nel 1967 l'astrofisica Susan Jocelyn Bell, nota per aver scoperto la prima pulsar con il suo professore di tesi Antony Hewish, lavorando a un radiotelescopio trovò un segnale che pulsava in modo regolare, più o meno una volta al secondo. La sorgente venne chiamata all'inizio LGM, acronimo di Little Green Men, "Omini verdi"; Beli e Hewish subito pensarono che il segnale, per la sua regolarità, avesse origine non naturale e che fosse trasmesso da extraterrestri. In seguito si capì che si trattava, invece, di segnali provenienti da stelle di neutroni, rotanti ad altissima velocità: le stelle che poi furono chiamate pulsar. Per la scoperta, Hewish, inizialmente convintissimo dell'esistenza degli extraterrestri, ricevette il Nobel nel 1974, ma Susan Bell, che pure aveva collaborato in modo fondamentale alla scoperta, dando prova (anche) di maggior senso critico, venne "dimenticata" dal premio!

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Ma sarà davvero possibile stabilire un dialogo del genere? Il Sistema solare ha circa cinque miliardi di anni, e vi sono stelle che si stima abbiano oltre tredici miliardi di anni. Può anche darsi che intorno a qualche stella lontana si sia sviluppata una civiltà tecnologica ancora prima della nascita del nostro Sole e che essa abbia spedito qualche messaggio nello spazio. Riceverlo resterebbe comunque un fatto straordinario; ma sarebbe impossibile un dialogo vero e proprio. Diverso sarebbe il problema se il messaggio provenisse da stelle distanti solo qualche anno luce da noi, anche se è poco probabile che si sia sviluppata vicino a noi una civiltà tecnologica più o meno nella nostra stessa finestra temporale. Se questo fosse possibile, oltre a intraprendere discorsi che, tra domanda e risposta, richiederebbero solo alcuni anni, si potrebbe ipotizzare una missione umana? Con l'attuale tecnologia, no. Tuttavia, chi potrebbe prevedere lo sviluppo che gli esseri umani raggiungeranno tra qualche migliaio o qualche decina di migliaia di anni (sempre che non si autoannientino prima)? Le distanze interstellari, se ragioniamo in base alla durata della nostra vita, ci paiono enormi: ciò nonostante, se si trovassero tecniche per ibernare i cosmonauti per la durata del viaggio e se si fosse in grado di realizzare astronavi capaci di velocità ben superiori a quelle oggi possibili, forse si potrebbe pensare a un'esplorazione umana di eventuali pianeti extrasolari di tipo terrestre, come quelli individuati di recente. C'è anche l'opzione, come dicevamo, di inviare astronavi guidate da robot. Anche se la ricerca di vita extraterrestre intelligente è stata sinora infruttuosa, le potenti astronavi progettate per andare a esplorare altri corpi del Sistema solare, i grandi telescopi, che hanno permesso di spingere la ricerca fino a pianeti extrasolari, i potentissimi computer realizzati allo scopo di decodificare qualche eventuale segnale di vita intelligente dalle profondità del cosmo... tutto ciò ha senza alcun dubbio contribuito ad accrescere le nostre potenzialità tecnologiche, con importanti ricadute anche per la vita di tutti i giorni. Alludiamo ai vantaggi economici nel campo delle telecomunicazioni e della navigazione satellitare, e a quelli, nell'uso comune, derivati da nuovi materiali prodotti per le missioni del programma Apollo, che ha portato l'uomo sulla Luna: solo per fare alcuni esempi, nei laboratori della NASA si sono realizzati il velcro, che utilizziamo come chiusura di molti oggetti e indumenti, e il Gore-Tex, attualmente impiegato per giacche a vento di tessuto impermeabile.

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Un Universo tutto nostro?


Alla base della vita, si è detto, c'è il carbonio, prodotto nei nuclei delle stelle mediante reazioni di fusione nucleare e diffuso nell'Universo dalle esplosioni delle supernovae. L'astrofisico e romanziere Fred Hoyle ha sviluppato la teoria sulla formazione di questo elemento, osservando che la reazione che lo produce è un evento rarissimo e che altre coincidenze piuttosto eccezionali gli permettono di permanere all'interno delle stelle. Hoyle, colpito da questa serie di accidentalità, cominciò a pensare che le leggi della fisica fossero "calibrate intenzionalmente" per portare alla formazione del carbonio. Così scrisse nell'articolo "Religion and the Scientist", pubblicato nel 1959 e poi ripreso in altri interventi:

Credo che nessuno scienziato che esaminasse queste evidenze potrebbe evitare di concludere che le leggi della fisica nucleare siano state deliberatamente progettate per le conseguenze che producono all'interno delle stelle. Se è così, allora il mio apparente vagare è diventato parte di uno schema tessuto in profondità. Altrimenti saremmo di nuovo di fronte a una mostruosa sequenza accidentale.


Sulla stessa linea delle considerazioni di Hoyle, gli astrofisici Brandon Carter, Bernard Carr e Martin Rees hanno compilato un elenco di coincidenze grazie alle quali si è potuta sviluppare la vita sulla Terra: le leggi della fisica hanno generato un Universo le cui condizioni sembrano le sole adatte allo sviluppo di esseri intelligenti. Nel 1973 Brandon Carter, durante il simposio "Confronto delle teorie cosmologiche con i dati delle osservazioni", organizzato a Cracovia nel 500° anniversario della nascita di Copernico, coniò l'espressione principio antropico. Nel suo contributo Large Number Coincidences and the Anthropic Principle in Cosmology notava: "Anche se la nostra situazione non è necessariamente centrale, è inevitabilmente per certi versi privilegiata". Il principio antropico dichiara che noi viviamo in un Universo che, di fatto, permette l'esistenza della vita come noi la conosciamo. Per esempio, se una o più delle costanti fisiche fondamentali avessero avuto un valore differente alla nascita dell'Universo, allora non si sarebbero formate né le galassie né le stelle con i loro pianeti; e la vita come la conosciamo non sarebbe stata possibile.

Il principio antropico enunciato da Carter ha una versione debole e una versione forte. Versione debole: "Dobbiamo tenere presente il fatto che la nostra posizione [nello spazio e nel tempo] è necessariamente privilegiata, in quanto compatibile con la nostra esistenza di osservatori". Versione forte: "L'Universo (e, di conseguenza, i parametri fondamentali che lo caratterizzano) deve essere tale da permettere la creazione di osservatori all'interno di esso a un dato stadio [della sua esistenza]".

John D. Barrow e Frank J. Tipler , nel libro del 1986 The Anthropic Cosmological Principle, hanno reinterpretato gli enunciati di Carter introducendo persino un "principio antropico ultimo". Esso suona così: "Deve necessariamente svilupparsi una elaborazione intelligente dell'informazione nell'Universo, e una volta apparsa, questa non si estinguerà mai".

In altre parole, Barrow e Tipler sostengono che non ha senso che un Universo con la capacità di produrre la vita intelligente non duri a sufficienza per svilupparla. Abbiamo visto come la posizione della Terra nella Galassia sia essenziale per la vivibilità sul nostro Pianeta. È possibile approfondire questo concetto mediante alcuni esempi tratti dalla concezione antropica. Negli anni Trenta del Novecento, l'astronomo Arthur Eddington e il fisico Dirac osservarono che l'età dell'Universo espressa in una particolare unità di misura (unità atomica, ovvero il tempo impiegato dalla luce per attraversare un nucleo atomico) e íl rapporto tra la forza elettromagnetica e quella gravitazionale nell'atomo hanno circa lo stesso valore, 1040. E l'americano Robert Dicke, in un intervento del 1961 pubblicato sulla rivista Nature, dichiarò che questa non era una semplice coincidenza, fornendo una spiegazione piuttosto articolata: la comparsa della nostra vita è stata resa possibile dalla formazione di carbonio, ossigeno e azoto (che non erano presenti al Big Bang) all'interno delle stelle, poi diffusi nell'Universo dalle esplosioni delle supernovae: gli elementi essenziali per la vita sulla Terra si sono così prodotti dopo la nascita e la morte di almeno tre generazioni di stelle, dal che si può intuire la connessione tra età dell'Universo e rapporto delle grandezze sopra citate; la durata del ciclo vitale di una stella dipende dalla velocità con cui brucia il carburante che la tiene accesa, tramite reazioni nucleari, e questa velocità è legata appunto al rapporto tra forza elettromagnetica e forza gravitazionale. È come se la vita avesse scelto quell'epoca dell'evoluzione dell'Universo per apparire in accordo con il valore del rapporto delle due costanti atomiche.

Un'altra coincidenza indicata da Brandon Carter è legata al fatto che sono stati necessari quattro miliardi di anni perché sulla Terra comparisse vita intelligente; ma il Sole è una stella che può durare al massimo dieci miliardi di anni: essendosi formata circa cinque miliardi di anni fa, permetterà l'esistenza della Terra solo per altri tre o quattro miliardi di anni. Ciò significa che la durata della fase di stabilità del Sole è dello stesso ordine di grandezza del tempo che è stato necessario per l'evoluzione della vita sulla Terra dalle prime forme a noi. Poiché i due fatti – cioè l'evoluzione biologica e quella stellare – sono indipendenti, secondo Carter l'unica spiegazione va cercata nel principio antropico. Precisiamo: lo sviluppo dai procarioti a Homo sapiens è stato un evento estremamente improbabile, anche se calcolato sulla durata di alcuni miliardi di anni, quale è il ciclo vitale di una stella come il Sole. La probabilità maggiore si ha in corrispondenza del tempo maggiore, cioè verso la fine dell'esistenza di un pianeta, nell'ultimo periodo della stella madre. Per comparire sulla Terra, la vita ha quindi impiegato il tempo massimo consentito, e ciò vorrebbe dire che essa è qualcosa di così improbabile da farla ritenere un fatto rarissimo nell'Universo.

Al principio antropico si contrappone la teoria del Multiverso, cioè l'esistenza di molti o anche di un numero infinito di universi, nati come bolle dal cosiddetto vuoto quantistico. Secondo questa ipotesi, il principio antropico affermerebbe che la vita sarebbe comparsa in quell' Universo in cui le condizioni erano tali da poterla ospitare. Come dichiara il fisico Andrej Linde , uno dei maggiori sostenitori di questa teoria, "noi viviamo in questa parte dell'Universo perché possiamo viverci, non perché l'intero Universo sia costruito per il nostro bene". Il Multiverso è senza dubbio un'ipotesi affascinante, benché assai difficile da confermare sperimentalmente.


In ogni libro giallo, alla fine, l'ispettore mette insieme tutti i pezzi del puzzle e trova l'assassino. Invece, per rispondere alla domanda se siamo gli unici abitanti intelligenti dell'Universo, non basta riprendere tutte le considerazioni che abbiamo fatto: le condizioni particolari del pianeta Terra, l'improbabilità della comparsa della vita, le ricerche finora senza esito di vita extraterrestre, specie se intelligente. Ci pare pressoché certo che le comete abbiano diffuso in tutto l'Universo i mattoni della vita, cioè le molecole organiche; ma il grande balzo è passare da questi pezzi inerti a un organismo vivente. È successo solo sulla Terra, grazie a un'incredibile successione di eventi, oppure l'Universo "brulica" di esseri dotati di intelligenza, capaci di "studiare" l'Universo stesso e in possesso di avanzatissima tecnologia?

Quando, tuttavia, sentiamo citare troppo i ragionamenti antropici, ci torna in mente l'irritazione del protagonista di Micromega per gli esseri umani "infinitamente piccoli" ma pervasi da "un orgoglio infinitamente grande". Se Voltaire a qualcuno non piace, consigliamo un altro passo leopardiano, questa volta dal Dialogo di un folletto e di uno gnomo (1824). Le due fantastiche creature un bel giorno si accorgono che l'intero genere umano si è estinto: eppure, era composto di tanti poveri "monelli" che "credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli"! E il dialogo, però, prosegue:


FOLLETTO E non volevano intendere che egli è fatto e mantenuto per li folletti.

GNOMO Tu folleggi veramente, se parli sul sodo.

FOLLETTO Perché? Io parlo bene sul sodo.

GNOMO Eh, buffoncello, va via. Chi non sa che il mondo è fatto per gli gnomi?

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