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| << | < | > | >> |IndiceIntervista a Wu Ming 2 VII Pre-testo di Girolamo Grammatico XV Poco per nulla Mauro Pettorruso 3 Anti-creazione Mauro Pettorruso 4 C'è bisogno di una fede per scrivere... Mauro Pettorruso 6 In civiltà nostra, forse... Mauro Pettorruso 7 I trecento boscaioli dell'Imperatore Wu Ming 9 Eugenio Maurizio Semplice 17 Il colombo ed io Drazan Gunjaca 23 Neanche di carta Paolo Papotti 27 Il Bignami dell'alleanza Dio-Uomo-Donna Francesco Pacifico 41 Dice il Togliatti Girolamo de Michele 49 La notte della visione Giuseppe Casa 55 Piccoli presepi Alessandro Pucci 59 Lasciatemi perdere (Balcone) Fabrizio Pizzuto 65 La Lapa Mauro Mirci 75 Blacking out Andrea Piras 95 In carcere le notti passavano lente Saverio Fattori e Monica Mazzitelli 103 About:blank Girolamo Grammatico 133 La geologia e l'arte della manutenzione della motocicletta Michele Governatori 147 Luneur Claudio Morici 153 Centrosocialisti Paola Guagliumi 163 Con-testo Fabrizio Pizzuto 181 Gli Autori 185 Ringraziamenti 191 |
| << | < | > | >> |Pagina IV| << | < | > | >> |Pagina VIINove serate di letteratura sembrano quasi un progetto cabalistico che vede nel nove un oracolo di buon auspicio per la riuscita di un evento. In realtà, come dimostrano i fatti, solo la creatività e la buona volontà strette in un abbraccio fraterno possono partorire momenti d'inestimabile valore. Questo è uno dei motivi per cui il libro che tenete tra le mani porta un nome che è un messaggio, è un movimento, è una meta da raggiungere e oltrepassare. Durante una delle suddette serate, Giovanni Cattabriga, componente dei Wu Ming (Wu Ming 2, per l'esattezza) non solo ha partecipato regalandoci un magico reading di Guerra agli Umani, ma ha contribuito rilasciando una intervista che spiega il motivo per cui ho scelto, come titolo di quest'antologia, la parola Copyleft. Cinque domande, quindi, ovvie, per certi versi, ma che attendono risposte non altrettanto ovvie, ma destrutturalizzanti. Risposte necessarie a capire quale abito mentale dobbiamo indossare per cominciare a ricostruire la società in cui viviamo.
Questo è un altro motivo per cui il libro si apre con un
racconto dei Wu Ming sulla ecosostenibilità e la mitologia legata all'albero, in
stretto rapporto col narrare, e si
conclude con un fumetto ispirato a tale racconto. Un
omaggio, se volete, a chi ha avuto il coraggio di farsi carico di una grossa
responsabilità tentando di contagiare, come il veleno di Paracelso, tutto il
nostro organismo sociale.
1. Cosa significa copyleft? Il termine copyleft nasce a metà anni Ottanta, nell'ambito del Free Software Movement di Richard Stallman. È un gioco di parole multiplo e quasi intraducibile: da una parte, poiché left (sinistra) è il contrario di right (destra), il termine comunica l'idea di un rovesciamento del copyright, cioè il diritto di copiare, riprodurre e diffondere un'opera dell'ingegno; ma left è anche il participio passato di leave (concedere, permettere), e ha quindi un sapore di "copia permessa"; infine, left significa sinistra anche in senso politico, e pertanto lascia intendere che il copyleft sarebbe una sorta di versione "comunista" del copyright. Tutto questo, in una sola parola e senza eccessive forzature. Infatti: — Il copyleft "rovescia" la logica del copyright, non la cancella. È una vera e propria mossa di ju jitsu, dove la potenza dell'avversario finisce per ritorcesi contro lui stesso. Sta proprio qui la differenza tra copyleft e no copyright: il copyleft non elimina il diritto esclusivo di riproduzione dell'opera, al contrario, lo rivendica. È come dire: la legge stabilisce che soltanto io, in quanto autore o editore o simili, posso fare copie di questo testo, software, brano musicale. Benissimo. Se questo è un mio diritto esclusivo, io posso sospenderlo in determinate condizioni. Per esempio, decido che se qualcuno vuole riprodurre il testo senza scopo di lucro, può farlo senza bisogno del mio permesso. — Questa "sospensione" del copyright ci porta al secondo significato, perché il copyleft prevede proprio una serie di concessioni, di permessi, rilasciati da colui che detiene legalmente i diritti di riproduzione dell'opera dell'ingegno. Solo facendo così ci si mette al riparo dai rischi paradossali del no copyright. Se nessuno rivendicasse i diritti di copia, allora CHIUNQUE potrebbe alzarsi una mattina e decidere di rivendicarli per sé, decidere di sfruttarli economicamente, decidere di non permettere a nessuno di riprodurre l'opera, decidere di farne pagare l'utilizzo a caro prezzo.
— Il copyleft può essere considerato un "copyright di
sinistra", proprio perché indebolisce la proprietà privata delle idee, tutelando
sia il
fair use
gratuito che il diritto degli autori a un giusto compenso.
2. Quando si può applicare il copyleft?
Quando si ha a che fare con un'opera dell'ingegno che
può essere duplicata, diffusa e riprodotta: brani musicali, brevetti, progetti,
testi, software, immagini, video,
grafica... Negli Stati Uniti, i sostenitori del copyleft hanno speso molto
energie per trovare una licenza "unica",
spesso con decine di clausole, che possa andare bene
per qualunque situazione. È innegabile l'importanza "filosofica" di una formula
così polivalente, ma resto convinto che sia più utile e pratico trattare i
diversi problemi in maniera separata. Nel caso della musica – dove le
tecniche di masterizzazione permettono di realizzare
copie "quasi identiche" all'originale – la tutela degli autori può servirsi di
strategie diverse rispetto all'editoria, dove nessuna macchina
personal
è ancora in grado di produrre un libro vero e proprio a partire da un testo
copyleft. Mi sembra più urgente diffondere una cultura
del libero accesso, che può declinarsi in maniera diversa
a seconda dei diversi campi del sapere, piuttosto che
concentrare tutti gli sforzi sugli aspetti legali e commerciali delle licenze.
3. Quali vantaggi offre la formula copyleft? Permette ai prodotti dell'ingegno di circolare senza ostacoli, di raggiungere un numero maggiore di persone, di proliferare e diffondersi. Nel caso del software (ma non solo, vedi ad esempio il nostro racconto open source La Ballata del Corazza, su www.wumingfoundation.com/italiano/comunitari.htm ), permette alla comunità di migliorare il prodotto, con interventi più o meno diretti che danno vita a diverse versioni. Permette agli utenti di fruire gratuitamente delle opere, in tutta libertà, purché senza fini di lucro. Permette agli autori di farsi conoscere da un raggio più ampio di persone, di superare ostacoli distributivi, di alimentare un passaparola più vasto. Nel caso della letteratura, 5 anni di questa pratica da parte nostra dimostrano che il copyleft permette anche agli editori di vendere, spesso in misura maggiore, avvalendosi del circolo virtuoso prodotto dal diffondersi delle idee. Chi scarica gratis il testo di un nostro romanzo, finisce quasi sempre, se gli è piaciuto, per parlarne in giro, consigliarlo, regalarlo, comprarlo...
Dietro ogni "copia in meno venduta" a causa del copyleft ci sono quasi
sempre diverse copie in più vendute in libreria. E al di là delle ovvie
differenze, credo sia possibile attivare meccanismi simili anche nel campo della
musica e del cinema.
4. Qual è lo scopo del copyleft?
In senso piuttosto ampio, quello di garantire e promuovere tutti i vantaggi
che ho descritto prima. Per noi, si tratta soprattutto di restituire alla
comunità ciò che le spetta di diritto. Le storie sono di tutti e nessuno deve
poterne bloccare la libera diffusione. La creatività dell'individuo è frutto di
scambio tra cervelli, circolazione
di idee, plagi più o meno consapevoli, prestiti, suggerimenti, frasi ascoltate
di sfuggita nel bar sottocasa, episodi pescati dalla cronaca, anedotti
raccontati sulla piazza, leggende urbane, fiabe popolari, personaggi di
quartiere, storie rinvenute negli archivi, tra le pieghe
della Storia ufficiale... Diciamo spesso che il narratore è
una specie di terminale per tutto questo, un riduttore di
complessità, che organizza e struttura questa materia
per renderla fruibile. Tutto questo non significa affatto
che l'autore è morto o che l'arte è solo ricombinazione:
le storie sono emergenti, non le si può ridurre a una
somma di parti e nemmeno le si può costruire aggregando brandelli di materiale
in una specie di collage.
Molto più semplicemente: se tu vai su una parete di roccia a picco su un
villaggio e ci scolpisci sopra un bassorilievo, dopo non puoi recintare la zona
e chiedere agli abitanti del posto di pagare un biglietto per vedere quel
che hai fatto... Certo, se viene un regista di Hollywood e
vuole usare quell'opera come sfondo per le scene di un
film, allora magari ti fai pagare, e lo stesso se la Telecom
vuole impostarci una pubblicità, e se poi gli abitanti della zona vogliono
acquistare un libro fotografico sul tuo
lavoro, o una cartolina, è giusto che la paghino, ma certo non puoi privarli
della loro montagna solo perché tu ci hai scolpito sopra qualcosa. Questo è lo
scopo ultimo del copyleft applicato alle storie: rendere gratuito il contenuto,
restituirlo ai legittimi proprietari, e ricavare un
giusto compenso dalla vendita del contenitore, che è un
oggetto, con costi produttivi e distributivi. Chi vuole
l'oggetto libro, paga (o ruba). Chi vuole semplicemente
accedere al testo, può farlo gratis.
5. Dal copyleft al...? È presto per dirlo, anche perché ci sono ancora moltissimi campi dove la cultura del copyleft deve affilare le armi e studiare strategie di intervento. Trovo molto fecondi gli esperimenti che si stanno facendo in Rete per rendere open source documentari, film, romanzi... La domanda basilare è: in cosa consiste il codice sorgente di una storia? (in sostanza, l'equivalente del "linguaggio" che fa girare un software). Se voglio mettere un'altra persona nelle condizioni di accedere alle "fonti" di un romanzo, per poterlo rimontare, modificare, raccontare a suo piacimento, cosa devo inserire in questo pacchetto? E nel caso di un documentario? Recentemente ho letto di un regista che ha messo scaricabile gratuitamente tutto il girato di un suo documentario. Chi vuole, può montarsi la sua versione, farla vedere agli amici, inserire parti nuove. Prima o poi, credo, vedranno la luce macchinari di dimensioni e prezzi limitati, che permetteranno agli utenti di stampare e rilegare un libro in casa. Se una pratica del genere diventasse di massa, bisognerebbe studiare cosa offrire "in più" a chi compra il libro, che tipo di servizi garantire per chi lo scarica a pagamento, senza per questo impedire il download gratuito. Anche questa potrebbe diventare una sfida molto interessante e trasformare l'idea di letteratura che abbiamo oggi, magari restituendo importanza a performance orali, come quelle dei cantastorie, reading, letture pubbliche, spettacoli ispirati ai libri dai quali trarre quel compenso per il proprio lavoro che potrebbe essere eroso dalla stampa casalinga a basso costo. L'importante è saper reagire in maniera creativa, senza le isterie liberticide (e perdenti) che hanno caratterizzato negli ultimi anni le case discografiche nei confronti del file sharing, una forma di copyleft imposta dal basso, un maremoto che è stupido cercare di fermare: occorre imparare a nuotare, cavalcare l'onda, divertirsi a fare surf... | << | < | > | >> |Pagina 9L'Imperatore ci ha fatto chiamare. Dice che quest'anno dovremo lavorare il doppio, il triplo, forse il quadruplo, e forse lui alla fine ci darà qualcosa più del solito, mica il quadruplo, eh, e nemmeno il triplo, ma qualcosa: chessò, due cinghialetti per fare un banchetto tutti quanti assieme, i trecento boscaioli della squadra imperiale, o un sacco di farina a testa, non so, non ce l'hanno detto, non è per il premio che bisogna mettersi in marcia e lavorare il triplo o forse il quadruplo, no. È per la gloria, per il fatto di partecipare alla grande impresa del nostro Signore, che poi manco su quella ci han detto granché, perché per lavorare il doppio, il triplo, forse il quadruplo, non hai bisogno di sapere il motivo preciso: se ti dicono che il lavoro andrà a maggior gloria del tuo Signore, niente domande, accontentati del privilegio, pigliati un pezzettino di gloria, pigliati il cinghialetto o il sacco di farina, e vattene contento. D'accordo, però si sa come vanno queste cose: le voci girano, il ciambellano parla col giullare che parla con la damigella che parla col pizzicagnolo che lo dice alla moglie e gira e rigira finisce che lo sa l'intero Paese, e insomma si dice che il nostro Signore non ha convocato solo noi, i trecento della squadra imperiale, ma pure i migliori cantastorie e menestrelli, letterati e monaci miniaturisti, perché ha in animo di raccogliere tutte le storie, i racconti, le leggende e le fiabe, e metterle dentro un libro, anzi, molti libri, tanti che se li metti uno sull'altro fai una torre più alta della Campanara, per questo gli serve una montagna di carta, tanto grande da non poterla immaginare, ma noi già immaginiamo quanti alberi e boschi ci toccherà abbattere, quante terre lontane dovremo visitare per avere abbastanza legna, quanta acqua servirà per tirarne fuori la carta, tanta che non basterebbe prosciugare i fiumi del Paese, e allora smettiamo subito di pensare, di immaginare, meglio affilare gli attrezzi e mettersi al lavoro. Per primo andiamo su al Nord, dove ci sono le foreste più grandi e la legna migliore, e mentre prepariamo le asce e le seghe e qualcuno ha già cominciato il lavoro, sentiamo una voce scendere giù dalla cima della montagna, come portata dal vento. Dice di chiamarsi Yjyk-Mar e di essere una grande betulla, alta fino al nono cielo, con le anime dei morti che fanno il nido sui rami, e dentro i nodi della corteccia ci vivono stregoni dagli straordinari poteri, e questa betulla dice che sta lì, sulla montagna, fin dall'inizio del mondo, e dal tronco esce un liquido giallo schiumoso che i viandanti lo bevono e scompare la stanchezza e si dissolve la fame, e anche il primo uomo, appena arrivato sulla Terra, siccome voleva capire che ci stava a fare, venne a berne qualche goccia, e allora scoprì una cavità in mezzo al tronco, e da quella uscì la prima donna e gli disse che erano lì per diventare i genitori del genere umano. Il problema è che qui son tutte betulle, più o meno uguali, e non sappiamo come distinguere questa Yjyk-Mar dalle altre, ché se era possibile magari cercavamo di non abbatterla, ma così no, mica si può lasciar lì tutto il bosco per risparmiare la betulla parlante, e poi siamo solo all'inizio, se cominciamo a farci dei problemi non si comincia più, altro che doppio, triplo e quadruplo, altro che cinghialetti, sacco di farina e spizzichi di gloria. Così andiamo a Sud e arriviamo su un'isola con al centro un monte di nome Ida, che nella lingua di quel posto vuol dire boscoso, ed è proprio per quello che ce lo siamo scelto, però anche lì, dopo un po', arriva una voce e dice: non vi è bastato abbattere Yjyk-Mar, siete venuti a fare lo stesso col frassino di Nemesi, detta Adrastea, la ninfa che nutrì Zeus proprio in una grotta di questo monte, dove ogni nove anni il re Minosse veniva a incontrare quel dio, e riceveva leggi ed energie per regnare altri nove anni. Nel frattempo tutta l'isola faceva sacrifici e da Atene arrivavano sette giovani e sette fanciulle per placare la fame del Minotauro, un mezzo uomo e mezzo toro che viveva in una stanza buia al termine dei mille cunicoli che si diramano sul fondo della grotta di Zeus. Pazienza. Mi sa che quel monte dovrà cambiare nome. Dopo andiamo a Est e di nuovo, mentre ci prepariamo, ecco la voce: non vi è bastato tagliare il tronco di Yjyk-Mar e il frassino di Nemesi sul monte Ida, ora siete venuti a far lo stesso con l'albero di fico sotto il quale Sakyamuni detto Gautama, detto Siddartha, si liberò di se stesso grazie a se stesso e diventò il Buddha. Ma noi che possiamo fare? Dobbiamo lavorare, abbiamo l'ordine dell'Imperatore, non ci resta che alzare le scuri, abbattere tronchi e ripartire. Trovato un altro bosco, non abbiamo nemmeno infilato i guanti che una voce striscia in mezzo alle felci: non vi è bastato spezzare il tronco di Yjyk-Mar, il frassino di Nemesi sul monte Ida e il fico di Siddharta Gautama detto Buddha, ora farete lo stesso con il lauro di Dafne. Dafne rifiutava tutti i pretendenti per vivere libera tra gli eremi dei boschi, finché Eros non fece innamorare di lei Apollo, che non la lasciava più in pace, e allora secondo alcuni si stancò e chiese al padre Peneo di tramutarla in albero, mentre secondo altri lo chiese alla Madre Terra e quella fece un trucco, lasciò lì un lauro e si portò via Dafne, la portò alle pendici del monte Ida e le diede un nuovo nome, Pasifae, che poi sposerà Minosse, si innamorerà di un toro bianco promesso a Poseidone, farà in modo di accoppiarsi con lui e darà alla luce il Minotauro. E dopo il lauro di Dafne, stessa sorte toccherà al pioppo di Leuke, che si trasformò in albero per sfuggire al dio degli Inferi, Ade. Poi sarà la volta del tiglio di Filira, figlia di Oceano, nipote di Crono, che un giorno la sedusse, si unì a lei e scoperto dalla figlia Era, si tramutò in stallone e scappò via. Nove mesi dopo, Filira diede alla luce un mostro, mezzo cavallo e mezzo uomo e ne ebbe tanta vergogna da chiedere al padre di tramutarla in tiglio; poi toccherà al pino di Pitis, che aveva due pretendenti, Pan e Borea, il vento del Nord, ma Pitis preferì Pan, e allora Borea soffiò talmente forte da precipitarla giù da un burrone e quando Pan arrivò sul fondo la trovò mezza morta e per salvare quel po' di vita che le restava la tramutò in pino e così da allora, quando in autunno soffia il vento del Nord, dalle pigne del pino sgorga la resina: le lacrime di Pitis. Infine ci accaniremo con Caria, tramutata in noce, e con Filide, morta per amore e trasformata in mandorlo, e con Ciparisso, che per errore uccise il cervo che gli faceva compagnia e dal dolore chiese agli dei che lo mutassero nell'albero che piange sempre, l'albero dei morti. Detto fatto. E alla tappa successiva siamo talmente abituati che ormai la voce non la sentiamo più. Non vi è bastato abbattere la betulla Yjyk-Mar, segare il frassino di Nemesi, tagliare il fico di Gautama Buddha, il lauro di Dafne, il pioppo di Leuke, il tiglio di Filiria, il pino di Pitis, il noce di Caria, il mandorlo di Filide e il cipresso dei morti. Non vi siete voluti fermare, e nemmeno adesso lo farete di fronte al bosco di Cappuccetto Rosso, di Pollicino, di Hansel e di Gretel. Quindi la foresta di Broceliande, dove Merlino si ritirò, impazzito per la morte dei fratelli, e dove conobbe la fata Viviane, e le insegnò tutti i sortilegi, fino a lasciarsi rinchiudere in una casa di vetro nel cuore della selva. E poi il bosco di Nemi, dove Numa Pompilio andava a chiedere consiglio alla ninfa Egeria per scrivere i suoi decreti. E la foresta di Sherwood, con Robin Hood e gli allegri compari, e il terrificante bosco dei Galli che fermò le armate romane finché Cesare non raccolse una scure, abbatté una quercia secolare, prese su di sé tutta la colpa del sacrilegio e ordinò ai suoi uomini di distruggerlo, e quelli lo fecero, pensando bene che la collera di Cesare doveva essere più imminente, e forse anche più terribile, di quella delle divinità della selva, che nel giro di pochi anni fecero risorgere il bosco, nello stesso luogo, più rigoglioso di prima. E siccome dobbiamo fare il doppio, il triplo, forse anche il quadruplo del lavoro di un anno, eccoci su un monte chiamato Golgota, dove la solita voce ci avverte che tra i tanti alberi della vetta, ce n'è uno molto particolare, un cedro germogliato dalla croce del Cristo, o meglio dalla base della croce, rimasta interrata là in cima, mentre il resto se lo sono portato via, perché una scheggia è finita pure da noi, nella Cattedrale. Allora decidiamo di proseguire, ché tanto un pezzo della Croce già s'è salvato, e dell'albero germogliato dalla base se ne può pure fare a meno. Ormai non resta più molta legna per soddisfare i bisogni del nostro Signore, abbiamo già fatto il doppio, il triplo, forse il quadruplo del lavoro di un anno, ma torniamo a Nord, nella terra delle foreste, per vedere se c'è rimasto qualcosa. E mentre ci spostiamo, passiamo da un posto chiamato Dodona, ai piedi del monte Tamaro, e facciamo scorta di querce, anche se la voce ci chiede di passare oltre e preservare quegli alberi, che in tempi lontani hanno aiutato un grande popolo a prevedere il futuro, gioie e catastrofi, a seconda del rumore che il vento e la tempesta producevano tra le fronde. Giunti di nuovo a Nord, troviamo un frassino gigantesco. I rami salgono fino in cielo e coprono il mondo con la loro chioma, le radici scendono fino al regno dei morti e alla fonte della vita. La voce non si fa attendere: non avete avuto pietà di Yjyk-Mar né del frassino di Nemesi, non avete risparmiato il fico di Buddha, il lauro di Dafne, il pioppo di Leuke, il tiglio di Filiria, il pino di Pitis, il noce di Caria, il mandorlo di Filide e il cipresso dei morti. Avete abbattuto il bosco delle fiabe, la foresta di Broceliande e quella di Sherwood, il bosco di Nemi e quello dei Galli, l'albero della Croce e le querce di Dodona. Ora giustizierete anche Yggdrasill, il "corsiero di Odino", che si fece appendere ai suoi rami per morire e poi rinascere, dopo aver conosciuto il segreto del regno dei morti, la lingua delle rune, che conferisce ogni potere. E mentre affiliamo la sega più grande, Yggdrasill ci rivela che i nostri sforzi sono privi di senso, che non è servito a nulla lavorare il doppio, il triplo, forse anche il quadruplo degli altri anni, perché alla fine non riceveremo né cinghiali né farina, e nemmeno spizzichi di gloria, visto che la gloria del nostro Signore è vana e falsa come un moneta di peltro. Dice Yggdrasill: "l'Imperatore ha messo da parte tanta carta come non se n'è mai vista, una montagna, che a mettere i fogli uno sopra l'altro si può raggiungere la luna, eppure tutti quei fogli non gli serviranno, ora che i boschi sono stati abbattuti. Nemmeno i menestrelli, i letterati e i cantastorie possono farci nulla, perché di storie da ricopiare nella calligrafia degli amanuensi, leggende di dei ed eroi, favole antiche e recenti, di tutto questo non è rimasto nulla, né ricordo, né memoria, né origine". | << | < | > | >> |Pagina 49Senti mo', dice il Togliatti, senti mo' che c'ho una storia da raccontarti, dice il Togliatti avvitando il silenziatore alla pistola, cic cic cic, con un suono sottile di avvitamento del tubo artigianale alla pistola d'epoca, Walter P38 di quelle d'una volta, che se le tieni pulite e oliate vengon sempre buone, e farci la filettatura per uno come il Togliatti è uno scherzo, senti mo' dunque, c'ho una storia da raccontarti, ti piacciono le storie? la mia è una storia vecchia, dei vecchi tempi, di quando io ero bambino, tu cosa ne sai di quei tempi? erano tempi duri, tal dig mè, volevo vedere te se ne uscivi con quell'aria da cattivo dei film che ti porti in faccia, di' mo', è una storia che mi ha raccontato mio padre, tu ce l'hai ancora un padre?, no no, non sforzarti di parlare che quel nastro ti fa ancora più male, è roba buona, non lo strappi mica se non puoi usare le mani, e le mani non le puoi mica usare, sta' mo' buono e ascolta, ce l'hai ancora un padre?, che io il mio me lo ricordo appena, è saltato su una mina ad Asiago, non in guerra, no, su quelle che sono rimaste dopo la guerra, quando ancora alle guerre non si davano i numeri, pensa te che lavoro di merda era costretto a fare per darci da mangiare, perché per quelli come lui non c'era lavoro, Io sai questo?, quando quelli come te comandavano, per quelli come mio padre c'era la fame o l'emigrazione, o i lavori di merda che ci si crepava, allora mio padre prima di partire per Asiago mi racconta questa storia, che eravamo già alla stazione ad aspettare il treno per il Veneto insieme ad altri disgraziati con quattro stracci arrotolati dentro una coperta come lui, alla stazione di Bulàgna, tu te la ricordi bene la stazione di Bulàgna, no?, tu ci sei stato, credi che non lo sappia, ancora non hai capito perché sei qui?, e non agitarti tanto che le manette ti si stringono ancora di più, sono americane quelle manette, le usa la polizia, sono fatte apposta per stringersi se ti agiti, ma non li vedi i film americani?, e sì che a uno come te dovrebbero piacere, allora, dice il Togliatti, allora mio padre mi racconta questa storia, una storia d'amore, dio boja, una storia dei vecchi tempi, una storia di ciabattini che tu non puoi capire, tu non ce l'hai la faccia di uno che va dai ciabattini, tu le scarpe le compri nuove e le butti via quando non sono più nuove, te lo si vede, sono comode quelle robe lì che c'hai ai piedi?, beh, ti assicuro che quelle dei ciabattini, se c'avevi soldi per fartele fare, erano ancora più comode, pelle di quella buona, mica vacchetta come quelle che ti hanno venduto per, di' mo' quanto le avrai pagate, ot-zent franc, dico bene?, allora, cos'è che ti stavo dicendo, dio boja, che la testa non mi funziona più come una volta, ah sì, alla stazione di Bulàgna mio padre mi racconta di questo ciabattino, uno dei migliori eh!, che c'aveva la sua bottega con tutti i suoi ferri, e la sua bella casetta di due stanze con la cucina economica dentro e i suoi due figli e la moglie che gli mangiava la faccia tutte le sere, che avrebbe voluto fare la vita da signora e invece eccola qui a cucinare per un ciabattino che smartellava e cuciva dalla mattina alla sera per quattro soldi, che fatte le spese non ne restava niente, e figurarsi il caffè, non lo sapeva proprio fare il caffè questa vecchia bisbetica, ma lui niente, lui era felice lo stesso, perché c'aveva la sua fidanzatina lui, alla sua età c'aveva una fidanzatina che si chiamava Annina ed era una poverina brutta e con la gobba, però c'aveva due occhi dolci che lo avevano stregato, e faceva un caffè buonissimo, una cioccolata che si sentiva l'odore per tutta la strada quando lei rovesciava la napoletana di prima mattina e scendeva in strada con la macchinetta in una mano e la tazzina nell'altra e andava incontro ad Alberto, lo sai chi è Alberto vero?, il ciabattino che ti dicevo, e gli veniva incontro davanti alla bottega, così Alberto si beveva il miglior caffè di tutta Bulàgna mentre lei se lo guardava con gli occhi dolci che c'avrebbe voluto essere anche lei nella tazzina, poi gli faceva una carezza sulla guancia e andava via, e così tutte le mattine, finché, vedi mo' come possono cambiare le cose, l'Alberto resta vedovo e si risposa, e Annina va a stare nella sua casa e gli può portare il caffè a letto, tu ce l'hai una donna che ti porta il caffè a letto?, dice il Togliatti, no, secondo me tu non lo prendi il caffè a letto, non sei tipo di caffè a letto, e poi non ce l'hai una donna, dice il Togliatti controllando il caricatore, tac tac tac, dagli scatti si capisce che è tutto a posto, c'ha sessant'anni ma è ancora buona la Walter 38 del Togliatti, non ce l'hai una donna, come fai che poi ci devi dire quello che fai, di' mo', quella valigia lasciata alla stazione di Bulàgna come fai a dirglielo cosa ci avevi messo dentro, 'sgraziè, o se ce l'hai è una come te, magari la valigia te l'ha preparata lei, oppure ti aspettava fuori in macchina, là vicino ai taxi, proprio là dove poi è crollato il muro, in quella stessa stazione dove mio padre mi racconta la storia d'amore di Annina prima di partire per Asiago, che è un po' come se partisse per la guerra, che quando è tornato era dentro una cassa piccola e a mia madre ci hanno detto che era meglio se dentro non ci guardava, e allora, dice il Togliatti, allora Annina era felice, anche se i figli di Alberto la guardavano male perché dicevano che aveva preso il posto della loro madre, ma lei che colpa c'aveva se la loro madre era morta?, e comunque poi le cose non vanno mai bene fino in fondo, perché dopo un po' muore anche Alberto, che una volta la gente moriva prima, e Annina resta sola con la bottega di Alberto, che quella ce l'ha lasciata, con tutti i ferri e i pezzi di pelle e i barattoli di colla e le scatole di chiodi, ma solo quella, perché la casa era della prima moglie e adesso è dei figli, che Annina in casa non ce la vogliono e la cacciano senza neanche aspettare il funerale, e allora Annina resta sola nella bottega di Alberto, che ormai sarebbe la bottega di Annina, ma Annina non lo sa fare il mestiere del ciabattino, non sa tagliare la pelle con lo scarnitoio, tu lo hai mai visto uno scarnitoio da concia?, dice il Togliatti, è una roba brutta, tal dig mè, se lo usi male ti fai un taglio sulla pancia da qui a qui, e insomma Annina non sa neanche come si comincia a fare questo mestiere, è per questo che la bottega rimane la bottega di Alberto, e allora succede che gli amici di Alberto, cioè i ciabattini della Bulàgna d'na volta, si parlano alla riunione, e dicono che qualcosa bisogna fare, che non si può mica far morire di fame Annina, che ci volevano bene tutti, ma neanche farci l'elemosina, e allora cosa ti fanno?, fanno che si mettono d'accordo che si dividono il lavoro, ogni giorno uno di loro passa dalla bottega di Alberto e prende il lavoro che hanno portato ad Annina, e lo fanno a turno, oggi tu domani lui, e non si fanno mica pagare niente, e lo riportano ad Annina che lo mette sul tavolo, così il cliente torna e trova le scarpe ricucite e paga, e così tutti i ciabattini si dividono il lavoro e Annina può vivere grazie alla bottega di Alberto, e poi il treno ha fischiato e mio padre è salito, e mi ha lasciato questa storia, che è proprio una bella storia se ci pensi, che finisce bene, dice il Togliatti, no?, tu che ne dici, è proprio un bel finire, dice il Togliatti, e adesso devo chiederti una cosa, lo hai capito perché ti ho raccontato questa storia?, di' mo', lo hai capito?, ma già, dice il Togliatti, come fai a dirmelo se hai la bocca chiusa, aspetta mo' che ti tolgo il nastro che voglio sentirtelo dire se hai capito, e gli toglie il nastro con un gesto solo, strrrr, che si sente un rumorino come di una scartavetrata leggera e le labbra son tutte rosse, di' mo', ti è piaciuta la storia? Lui lo guarda stupito, muovendo le labbra per cercare di massaggiarsele, poi gli fa, 'cazzo mi frega della tua ciabattina, dice proprio così, 'cazzo mi frega...
Ch'at végna un cancher, dice il Togliatti tirando il grilletto.
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