|
|
| << | < | > | >> |Indice1. La città della Scienza di Napoli 5 2. Da sogno a realtà 6 3. Una storia infinita 20 4. La Fondazione IDIS nella fase di interregno 33 5. Si ricomincia 53 6. Guardando l'orizzonte 62 Bibliografia 65 |
| << | < | > | >> |Pagina 5La Città della Scienza che la Fondazione IDIS ha realizzato a Bagnoli, alle porte di Napoli, nell'area dove una volta insisteva la più grande fabbrica della quinta città più industrializzata d'Italia, non è solo il maggiore science centre del nostro paese e uno dei più grandi d'Europa, un museo interattivo, hands on, in cui è "vietato non toccare", sul modello dell' Exploratorium realizzato nel 1969 a San Francisco dal fisico Frank Oppenheimer. Θ qualcosa in più persino rispetto a quel "museo totale" dove si riuniscono e si toccano tutti i saperi, che da qualche anno va teorizzando e realizzando il fisico Jorge Wagensberg, direttore del CosmoCaixa, il science centre di Barcellona. La Città della Scienza di Napoli è un "museo estremo", sull'esempio di quello immaginato e mai realizzato dal filosofo e matematico Gottfried Leibniz a cavallo tra XVII e XVIII secolo. Un luogo, pressoché unico nel panorama museale mondiale, dove non solo si comunica scienza, si riunificano i saperi e si costruisce una matura cittadinanza scientifica, ma dove la cultura scientifica diventa la base per un nuovo modello economico, fondato sulla conoscenza, socialmente ed ecologicamente sostenibile. Ma estrema è anche la storia della nascita e dello sviluppo di Città della Scienza, caratterizzata da improvvise e straordinarie accelerazioni e da brusche e sorprendenti frenate; da grandi riconoscimenti internazionali e da piccole guerre locali. Nell'anno 2011 la Città della Scienza rivive questa storia. Tipica della nostra città, dove miseria e nobiltà, come aveva intuito Edoardo Scarpetta, si rincorrono e si rinnovano e si rimescolano senza soluzione di continuità. Conviene, dunque, raccontarla questa storia. Perché ben rappresenta i limiti di una città che, come Peter Pan, sa volare ma non sa crescere. | << | < | > | >> |Pagina 38La Fondazione IDIS e la dimensione europeaAncora una volta, aggettivi e tono non sono il frutto (solo) dell'ammirazione soggettiva del cronista, ma fondati su dati oggettivi. Il 2 giugno 2007 a Lisbona, infatti, Vincenzo Lipardi, in rappresentanza della Fondazione IDIS, viene chiamato alla presidenza di Ecsite, la rete dei musei scientifici e degli science centre europei. Una scelta che, peraltro, la Città della Scienza SCpA, unica in Europa, tenterà senza successo di contrastare. Negli stessi anni, dunque, in cui a Napoli i fondatori della Fondazione IDIS sono costretti a uscire dalla Città della Scienza, in Europa vengono chiamati a rappresentare un movimento che è qualcosa di più di un'associazione culturale o sindacale. Θ l'Unione Europea a chiedere a Ecsite di diventare interfaccia nei rapporti tra la scienza e la società del continente. E la risposta, positiva, a questa domanda diventa il primo punto nell'agenda programmatica che Vincenzo Lipardi propone all'assemblea che lo ha eletto. L'Unione Europea si è data, proprio a Lisbona nell'anno 2000, l'obiettivo di diventare area leader nell'economia della conoscenza. E sia gli studi teorici, sia le esperienze sul campo dimostrano che questo obiettivo non può in alcun modo essere raggiunto attraverso un mero trasferimento di conoscenza dalle università alle imprese. Deve, al contrario, essere conquistato faticosamente lungo tutte le pieghe che legano e non devono più separare tutto il mondo della scienza e l'intera società del continente. Deve essere conquistato attraverso la diffusione della conoscenza scientifica e, insieme, attraverso l'ampliamento degli spazi di democrazia nei luoghi, sempre più numerosi, dove vengono assunte decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza e per lo sviluppo della società. Attraverso, appunto, la realizzazione di nuovi diritti, i diritti di cittadinanza scientifica. C'è dunque bisogno di luoghi, virtuali e fisici, ove scienza e società possano incontrarsi. E i musei, in particolare quelli di nuova generazione, sono agorà privilegiate per questi incontri. Questo è il programma che Silvestrini e Lipardi hanno portato avanti fin dal 1987 a Napoli. Questo è il programma che, venti anni dopo, assume una valenza europea. E la presidenza di Lipardi, con il suo "discorso di investitura" è la plastica dimostrazione. Tornato a Napoli, il Sindaco della città Rosa Iervolino Russo, con cui dall'aprile 2005 Lipardi lavora, dirigendo il Dipartimento Comunicazione Istituzionale e Società dell'Informazione del Comune di Napoli, organizza una festa informale nella sala Giunta di Palazzo San Giacomo. La sala, all'ora convenuta, si riempie con centinaia di rappresentanti del mondo della scienza e della cultura napoletana, venuti li, grazie ad un tam tam silenzioso, a festeggiare un successo della città, della Fondazione IDIS e di un Vittorio Silvestrini sereno e contento. | << | < | > | >> |Pagina 39UN INTERMEZZO SU SCIENZA, CONOSCENZA E SVILUPPOLa cultura, sostiene Giulio Tremonti, non si mangia. Invece sì. E il fatto che il Ministro dell'Economia dell'Italia sostenga il contrario spiega in generale perché il paese, da almeno due decenni, sia in una fase ininterrotta di declino. Sia perché il valore di iniziative come la Città della Scienza di Bagnoli venga molto apprezzato all'estero da persone competenti e poco valorizzato in loco, da persone che pensano (e agiscono) secondo lo schema Tremonti. Viviamo, infatti, nella società e nell'economia della conoscenza. Una società e un'economia in cui la risorsa primaria di produzione non è più il lavoro degli uomini e degli animali, come nella società e nell'economia fondate sull'agricoltura, e non è più neppure il lavoro degli uomini e delle macchine, come nella società e nell'economia fondate sull'industria. Nella società e nell'economia della conoscenza la risorsa primaria di produzione è, per l'appunto, la conoscenza (come sostengono Gernot Bhφme e Nico Stehr in un libro, The Knowledge Society, pubblicato nel 1986, quasi un quarto di secolo fa).
La società e l'economia della conoscenza si fondano su tre grandi
pilastri, tra loro, peraltro, interconnessi: l'educazione, la scienza (ricerca
scientifica e sviluppo tecnologico) e la comunicazione (mass media,
tecnologie).
A. Educazione. La società e l'economia della conoscenza richiedono persone sempre più qualificate, non solo nell'ambito stretto della produzione. Per questo l'era della conoscenza si caratterizza per uno sviluppo senza precedenti dell'intero sistema formativo: educazione primaria, educazione secondaria, educazione terziaria ed educazione permanente. Non è un'indicazione qualitativa. Ma è una realtà misurabile. Nel 1929 lo stock di capitale contenuto nell'intero sistema dell'istruzione e della formazione negli Stati Uniti ammontava a 2.647 miliardi di dollari (valore del 1987), pari al 28% dell'intero stock di capitale reale lordo del paese. Nel 1990 il valore del sistema di istruzione e formazione ammontava a 25.359 miliardi di dollari, pari al 41% del capitale reale lordo del paese. In particolare, nel 1929 il capitale associato al sistema educativo era pari al 44% del valore del capitale tangibile Usa (strutture fisiche, macchine, capitali naturali), nel 1990 era ormai pari all'89% del capitale tangibile. Il che significa che in sessant'anni il valore economico associato alle "cose fisiche" realizzate dall'uomo era aumentato di 3,7 volte; mentre il valore dei beni immateriali, in primo luogo delle risorse per la formazione, era aumentato di 8,6 volte: un ritmo di crescita 2,3 volte superiore (come scrive Dominique Foray, in un libro, L'economia della conoscenza, pubblicato da Il Mulino nel 2006). Il settore dell'educazione terziaria (università, scuole di dottorato), in particolare, è in rapida estensione. Nel 1965 in Italia risultavano iscritti all'università in Italia 402.938 studenti. Quarant'anni dopo, nel 2005, il numero degli studenti era più che quadruplicato: risultavano iscritti all'università, infatti, in 1.820.886 (come rilevano Giunio Luzzatto e Marzia Modonesi nel saggio Prospetti quantitativi, pubblicato in un volume, L'università di fronte al cambiamento, curato da Roberto Moscati e Massimiliano Vaira e pubblicato nel 2008 da Il Mulino). Su scala globale il solo settore dell'educazione terziaria a scala globale è pressoché raddoppiato in soli quindici anni: nel 1991 c'erano 68 milioni di studenti che frequentavano università e centri di educazione terziaria. Tredici anni dopo, nel 2004, il numero era salito a 132 milioni, con una crescita complessiva del 94% e una crescita media annua del 5,1% (dati OECD).
Tutto ciò indica non solo una diffusione sempre più vasta dell'educazione di
massa, ma segnala, appunto, una domanda economica e sociale crescente di
lavoratori con un'alta qualificazione sia nei paesi più
ricchi e a economia matura, sia nei paesi in via di sviluppo e a economia
emergente.
B. La scienza. La ricerca scientifica è il cuore della società della conoscenza. O, per dirla con il sociologo Luciano Gallino ( Tecnologia e democrazia , Einaudi, 2007): «il fattore primario dell'innovazione, della crescita economica, della competitività internazionale delle imprese e dell'economia nazionale». Questa sua centralità assoluta, la ricerca scientifica la guadagna in due forme, una intrinseca: perché produce, più di ogni altra attività umana, nuova conoscenza; l'altra estrinseca: perché alimenta la produzione incessante di nuove tecnologie, ovvero di beni e servizi con alto tasso di conoscenza aggiunto. Ancora una volta l'analisi storica può essere supportata dai numeri. La componente ricerca e sviluppo (R&S) dello stock di capitale reale lordo negli Stati Uniti d'America è quella che è aumentata di più tra il 1929 e il 1990. Il capitale non tangibile contenuto nei centri di ricerca e di sviluppo degli Stati Uniti ammontava, nel 1929, a 37 miliardi di dollari (a dollaro costante del 1987): lo 0,4% del capitale totale lordo. Nel 1990 il valore del comparto R&S degli Usa era salito a 2.327 miliardi di dollari (a dollaro costante del 1987). In sessant'anni era aumentato in assoluto di 63 volte e ormai rappresentava il 3,8% dell'intero stock di capitale reale lordo degli Stati Uniti. La ricerca scientifica da fattore marginale era diventata fattore centrale. | << | < | > | >> |Pagina 42C. La comunicazione. Se la scienza è il cuore della società della conoscenza, la comunicazione ne è il sangue. Senza comunicazione, semplicemente, non c'è società della conoscenza. Di più: senza comunicazione della scienza non c'è società della conoscenza. E, ancora più precisamente: senza comunicazione pubblica della scienza non c'è società democratica della conoscenza.La prima affermazione non c'è società della conoscenza senza comunicazione è pressoché scontata. Sia perché le knowledge societies si definiscono come, appunto, società della conoscenza e dell'informazione (si veda il libro che Nico Stehr ha pubblicato nel 1994 col titolo, appunto di Knowledge societies). Ma anche e soprattutto perché lo sviluppo della società della conoscenza consiste e si alimenta di un progressivo aumento della circolazione della conoscenza. Quindi della sua comunicazione, come scrive Andrea Cerroni, in un suo libro su Scienza e società della conoscenza, pubblicato nel 2006 con UTET. Il sistema di comunicazione informa di sé gli altri due elementi fondamentali della società della conoscenza: il sistema educativo e il sistema scientifico. Per esempio: la formazione dei giovani e, ormai, anche la formazione dei meno giovani nel processo di long life education (o di lifelong learning che dir si voglia) si fonda su processi comunicativi, sempre più ricchi e articolati. La seconda affermazione senza comunicazione della scienza non c'è società della conoscenza non è una mera applicazione a un sottoinsieme (la conoscenza scientifica) di una regola valida per l'insieme (la conoscenza). C'è una specificità che in parte è ontologicamente determinata e in parte è storicamente determinata che correla in maniera inestricabile la comunicazione alla scienza. Da un punto di vista storico, infatti, la "Repubblica della Scienza" nasce nel XVII secolo abbattendo il "paradigma della segretezza" e assumendo come valore «la comunicazione di tutto a tutti» (come scrive Paolo Rossi, in La nascita della scienza in Europa, pubblicato nel 1997 con Laterza e come documenta chi scrive in un libro, L'idea pericolosa di Galileo. Storia della comunicazione della scienza nel Seicento, pubblicato da UTET nel 2009). Il comunitarismo ovvero il mettere in comune le conoscenze acquisite è appunto uno dei cinque valori individuati da Robert Merton come costitutivi della scienza moderna ( Robert Merton, Scienza, tecnologia e società nell'Inghilterra del XVII secolo, Franco Angeli). Anche da un punto di vista sociologico la comunicazione è una dimensione coessenziale della scienza. O, per essere più precisi: le scienze naturali possono essere schematizzate in un processo a due stadi. Il primo stadio è quello, privato, dello scienziato (o del gruppo di scienziati) che osserva la natura. Il secondo stadio è quello, pubblico, dello scienziato (o del gruppo di scienziati) che comunica ai membri della sua comunità scientifica i risultati delle osservazioni effettuate, conferendole nell'archivio (pubblico, per l'appunto) della scienza e rendendole disponibili in linea di principio e (tutto sommato) in linea di fatto a tutti. Ne deriva che il sistema di comunicazione è l'istituzione sociale fondamentale dell'attività di ricerca. Nessuno dei due stadi né quello privato dell'osservazione, né quello pubblico della comunicazione è sufficiente a definire quell'attività sociale che chiamiamo scienza. Entrambi, però, sono necessari. Cosicché possiamo concludere con John Ziman (si veda il libro Il lavoro dello scienziato pubblicato da Laterza nel 1987). Θ (anche) per questo, dunque, che è possibile affermare che la comunicazione della scienza è un elemento co-essenziale della società della conoscenza. Tuttavia quella tra scienziati, detta anche comunicazione interna alle comunità scientifiche, è solo una parte del sistema di comunicazione della scienza costitutivo della società della conoscenza. Nell'era della conoscenza è anche e, per certi versi, soprattutto la comunicazione della scienza al (e tra) il grande pubblico dei non esperti che ha assunto un ruolo centrale, oltre che forme inusitate. Abbiamo detto che questo rapporto si consuma nell'ambito di una transizione epocale: la nascita e lo sviluppo della società e dell'economia della conoscenza. Questa transizione consiste in un processo iniziato, in buona sostanza, dopo la seconda guerra mondiale che, sebbene articolato in diverse fasi, è costantemente informato dalla ricerca scientifica. Nel corso di questo lungo processo, si sono venuti modificando i tradizionali rapporti tra la comunità scientifica e il resto della società, la comunicazione pubblica della scienza è venuta progressivamente assumendo sia un nuovo ruolo quasi un nuovo statuto ontologico sia nuove forme per almeno quattro motivi. 1. Θ crollata la torre d'avorio. Siamo entrati in una nuova era dell'organizzazione del lavoro degli scienziati, che il fisico inglese John Ziman ha definito post-accademica, caratterizzata dal fatto che decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza sono prese dalle comunità scientifiche sempre più in compartecipazione con una serie variegata di altri gruppi sociali (Ziman, 2002). Le mura che a lungo hanno diviso la cittadella della scienza dal resto della società sono state abbattute. L'antica separatezza è andata perduta. Tutto ciò "costringe" gli scienziati a stabilire una rete sempre più fitta di relazioni (e, quindi, di comunicazione) con i pubblici di non esperti. Ne deriva che il rapporto tra scienza e mass media assume un'importanza rilevante non solo nei rapporti, sempre più stretti, tra scienza e società, ma anche nello sviluppo interno della scienza e nello sviluppo democratico della società. 2. La comunicazione necessaria. L'era della conoscenza si caratterizza sia per l'irruzione della scienza nella società, sia per l'irruzione della società nella scienza. La società è sempre più informata dalla conoscenza scientifica e dalle tecnologie realizzate grazie alle nuove conoscenze scientifiche. Gli scienziati sono costretti a comunicare con i pubblici di non esperti per assumere in compartecipazione con loro decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza. La società, nelle sue diverse articolazioni, ha sempre più bisogno un bisogno ineludibile di essere informata intorno alla scienza, divenuta parte decisiva a ogni livello, individuale e collettivo, dei cittadini. Nell'era della conoscenza e dei nuovi rapporti tra scienza e società, dunque, la comunicazione pubblica della scienza (la comunicazione della scienza ai pubblici di non esperti) non è più un orpello, ma una necessità, doppia e ineludibile: una necessità professionale per gli scienziati, un bisogno diffuso ed essenziale per il resto della società. I mass media sono il canale di comunicazione principale nel nuovo rapporto tra scienza e società. 3. La comunicazione complessa. Il sistema di comunicazione pubblica della scienza è formato da un numero grande di elementi (diversi gruppi e attori sociali) in relazione multipla e non lineare tra di loro. Il flusso di comunicazione pubblica della scienza si svolge attraverso una costellazione di canali rilevanti diversi alcuni dei quali ben visibili, altri carsici e definisce una dinamica largamente caotica e imprevedibile, tipica dei sistemi complessi. Nel sistema dinamico complesso della comunicazione pubblica della scienza i mass media sono un nodo importante, ma non l'unico e neppure il principale. 4. La cittadinanza scientifica. La costruzione della cittadinanza scientifica è elemento essenziale di una società democratica della conoscenza. E nella costruzione della cittadinanza scientifica la comunicazione pubblica della scienza è chiamata ad assolvere il ruolo decisivo di sistema linfatico. I mezzi di comunicazione di massa sarebbero una delle agorà principali dove la società costruisce i suoi diritti di cittadinanza scientifica. Tuttavia, pur in un universo mediatico rapidamente cangiante, sia i mass media tradizionali sia i nuovi media sono oggi sostanzialmente incapaci di assolvere a questa funzione. | << | < | > | >> |Pagina 48Questi e altri processi rendono i media classici e, per certi versi, anche i nuovi media incapaci di assolvere pienamente alla funzione di agorà dove costruire la cittadinanza scientifica nella società della conoscenza.Tutto questo chiama in causa anche i musei e i science centre, offrendo loro nuove opportunità. Infatti, per dirla con Derrick de Kerckhove, i media elettronici hanno modificato e stanno continuando a modificare la raccolta, la conservazione e la diffusione dell'informazione nei musei e nei science centre. Le tendenze principali in atto, lungi dal farli sparire, stanno riposizionano sia le modalità operative sia le funzioni storiche dei musei. In particolare musei e science centre possono diventare stanno diventando agorà dove svolgere il dibattito pubblico sulla scienza. Il futuro dei musei scientifici e dei science centre in genere nel mondo, è perciò legato più strettamente a funzioni di distribuzione dell'informazione che a pure funzioni conservative. Diverse sono le tendenze in atto, come indicato anche da de Kerckhove. Mutamento di vettore. I musei e i science centre sono storicamente istituzioni che gestiscono informazione. Ma ora hanno la possibilità di connettersi alla rete globale. E in un ambiente in rete tutte le istituzioni che gestiscono informazione sono portate a cambiare l'orientamento del loro traffico informativo dall'interno verso l'esterno. Invece di essere solo raccoglitori, conservatori e classificatori di informazione, i musei e i science centre devono diventare e alcuni stanno già diventando creatori e distributori di informazione. Mutamento di funzioni. Fino ad ora, i musei e le biblioteche sono stati, per lo più, archivi della memoria. Oggi, con l'aiuto delle reti e dei loro software sempre più cognitivi, i science centre devono aggiungere la comprensione, la ricerca e la connettività alle loro funzioni di base di raccolta, classificazione e conservazione. Di qui l'opportunità e il bisogno di creare "social network" e stabilire un'ampia rete di contributi di supporto nel pubblico generale e colto sia a livello nazionale che internazionale. Mutamento di velocità. I musei hanno sempre giocato il ruolo di acceleratori cognitivi e culturali concentrando la conoscenza, per poi renderla accessibile e farla sviluppare. Oggi sono in grado di fare tutto questo in maniera simultanea e in "tempo reale". In questo senso, essi devono adattare il loro tempo di risposta alle domande istantanee delle reti. Mutamenti nei metodi di classificazione. Tradizionalmente i luoghi pubblici dell'apprendimento hanno fatto ricorso alla principale strategia cognitiva dell'occidente che è quella di classificare, etichettare, conservare e mostrare contenuti in categorie, suddivisioni e gerarchie chiaramente definite. Questo metodo ha raggiunto il suo scopo per una società sviluppatasi su coordinate Cartesiane. Oggi, è necessario un approccio maggiormente olistico, se non euristico, che rifletta cioè gli effetti integrati dell'elettricità sulla cultura e sulla psicologia, e che tenga conto dei bisogni del corpo così come della mente, dei sensi così come del senso e del significato. Mutamenti di scala. Entrando nella rete globale, i musei e i science centre possono assolvere a funzioni "glocali": ovvero rispondere nel medesimo tempo alle domande del territorio e contribuire al dibattito a livello globale. Possono proporsi come agorà per la costruzione della cittadinanza scientifica a ogni livello. Le loro responsabilità sono infatti analogamente divise tra il dominio locale e quello globale. Tra queste responsabilità la prima è di fare il miglior uso possibile delle nuove opportunità fornite dalle reti per servire le comunità locali e quelle globali. Grazie ai nuovi media, i science centre possono promuovere nuovi livelli di servizio in modi diversi. Se non è on line, non è. Occorre includere e integrare i nuovi media e specialmente i media legati alla rete nel funzionamento dei science centre. Occorre ripensare l'educazione, non solo quella formale, ma anche quella informale. Le nuove tecnologie costituiscono infatti una minaccia de facto nella direzione di un superamento e rapida obsolescenza delle istituzioni educative con cui ancora ci confrontiamo oggi. Molte persone oggi, compresi studenti a ogni livello, dalle scuole elementari all'università, non viaggeranno più lontano del loro PC più vicino per recuperare l'informazione, e altro, di cui hanno bisogno. E ciò vale per i science centre (in genere ubicati fuori dei centri cittadini) così come per le biblioteche e le scuole. Interattività. Le nuove tecnologie con la loro capacità interattiva possono favorire la creazione di science centre che, come sostiene Jorge Wagensberg, siano "hands on, minds on and heart on". Non si tratta solo di rovesciare il vecchio "per favore, non toccare" al nuovo "per favore, tocca" ma, anche, di entrare in sintonia con la psicologia del visitatore che a sua volta è sempre più un visitatore "connesso", capace di interazione. Il science centre come protesi mentale e cognitiva. L'introduzione delle nuove tecnologie nei musei scientifici ci conduce direttamente ai musei di terza generazione, in cui i prolungamenti costituiti dalla multimedialità, dalle applicazioni di computer grafica, dall'utilizzo delle reti, aumentano a dismisura le dimensioni dell'esperienza del visitatore.
Arte e scienza.
L'arte e gli artisti che per definizione hanno il
dono della sintesi e dell'integrazione giocano un ruolo essenziale nel
rendere completa l'esperienza cognitiva ed emozionale e anche soddisfacente per
chi la sostiene economicamente. Infatti ciò che la scienza
tende a separare e classificare, ignorando o dimenticando il fine umano, l'arte
riconnette e integra.
|