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| << | < | > | >> |IndiceRingraziamenti 9 Prefazione 11 1. L'universo è infinito o solo molto grande? 13 2. L'infinito 18 3. Newton, trecento anni e Einstein 31 4. Relatività ristretta 40 5. Relatività generale 57 6. Il caso nella fisica quantistica e la scelta 72 7. La morte e i buchi neri 87 8. La vita e il big bang 106 9. Oltre Einstein 129 10. Avventure a Flatlandia e nell'iperspazio 135 11. Topologia: collegamenti, interconnessioni e anelli 148 12. Attraverso lo specchio 167 13. Il Paese delle meraviglie in 3D 179 14. Specchi nel cielo 191 15. Come all'universo sono venute le macchie 204 16. L'ultima previsione 223 17. Le cicatrici della creazione 231 18. La forma delle cose che verranno 242 Epilogo 246 Indice analitico 249 |
| << | < | > | >> |Pagina 13Alcuni grandi matematici sono morti suicidi. Spesso si sente dire che furono i loro studi a condurli alla follia, ma io ho il sospetto che in realtà si sentissero semplicemente molto soli, isolati dal loro sapere. Qualche volta anch'io avverto qualcosa di simile. Mi piacerebbe descriverti quello che vedo da qui, così tu potresti guardare con me e alleviare la mia solitudine, ma non sono mai in vena di levare inni alla gloria del cosmo e al cielo stellato. Quando posso, mi piace dimenticare la matematica e le borse di studio, le riviste scientifiche, la ricerca e gli eroi. Boltzmann e il suo studente Ehrenfest sono quelli che ricordo meglio. Oltre un secolo fa il matematico viennese Ludwig Boltzmann (1844-1906) elaborò la meccanica statistica, una descrizione efficace del comportamento degli atomi basata sulla probabilità. Le sue teorie furono avversate duramente, e lui era mentalmente instabile. Depresso, timoroso di vedere distrutto il proprio lavoro, s'impiccò nel 1906; non fu il primo tentativo, ma il più riuscito. Paul Ehrenfest (1880-1933) morì suicida circa trent'anni dopo. Oggi ho guardato due fotografie che li ritraggono per cercare nei loro occhi la depressione e la disperazione, ma non sono riuscita a vederle. La mia curiosità nei confronti della follia di alcuni matematici è morbosa, ma innocua. Mi chiedo se l'alienazione e una certa prossimità alla follia non debbano essere considerate rischi del mestiere. Pitagora (569-475 a.C. circa), il misterioso visionario greco considerato il primo matematico, era a capo di una società segreta fondata su numeri e triangoli che prosperò in Italia millenni prima che filosofia e scienza, matematica e musica divenissero discipline separate. I pitagorici credevano nel significato mistico dei numeri e svilupparono una religione che tendeva alla numerologia occulta. La loro fede nella sacralità dei numeri venne scossa dalle loro stesse imbarazzanti scoperte matematiche. Un membro della setta che violò il voto di segretezza e rivelò l'enigma dei numeri che il gruppo aveva scoperto scontò la sua colpa con l'annegamento. Lo stesso Pitagora morì suicida. Per il poco che sappiamo di una storia in gran parte perduta, fu forse una persecuzione a spingerlo a darsi la morte. Quando racconto le storie dei suicidi e dei disturbi mentali di matematici del passato, la gente si chiede sempre se la fragilità di quegli uomini non dipendesse in qualche modo dalla natura della conoscenza cui erano giunti con le loro ricerche: la conoscenza della natura. Per quanto mi riguarda, sono invece convinta che a farli sprofondare nella follia sia stato il rifiuto. Le loro ossessioni matematiche erano onnicomprensive ma eteree, perciò avevano bisogno dei loro colleghi, della loro approvazione. Il disprezzo dei pari significava la morte delle loro idee; avevano bisogno di inscriverne il senso nel pensiero degli altri e di essere certi che sarebbero state perpetuate. Posso scrivere solo di coloro che abbiamo ricordato e celebrato, anche se solo dopo la morte. Alcuni grandi geni verranno dimenticati perché il loro lavoro lo sarà. Un gruppo di alberi che cade in mezzo alla foresta temendo di non fare rumore. La maggior parte di noi avverte il bisogno di piantare le proprie idee almeno nella memoria degli altri, in modo che non scompaiano quando il ricordo di noi diverrà inadeguato. Nessuno vuole essere l'albero che cade nella foresta, ma tutti rischiamo l'oscurità preparata dall'oblio e dall'indifferenza. Ammetto che qualche volta temo di non essere ascoltata da nessuno. Le mie pubblicazioni scientifiche, come quelle di ogni altro fisico o matematico, sono probabilmente troppo oscure e troppo formali per essere lette da più di un manipolo di persone. Inoltre, in un certo senso, pago le conseguenze di una separazione che mi sono autoimposta. Ti ho chiusa fuori dalla mia vita scientifica, ti ho esclusa dal luogo dove trascorro la maggior parte del tempo. So che non ti interessa ascoltare lezioni di fisica ben strutturate e organizzate, ma penso che potrebbe farti piacere se provassi ad abbozzare un'immagine dell'universo e del posto che gli uomini vi occupano. Vuoi sapere quello che so? Sei la mia ultima speranza. Ti scrivo perché so che sei curiosa ma non hai il coraggio di fare domande. Prendi questo libro come una specie di diario del mio esilio sociale di scienziata nomade. Un'offerta di frammenti del poco che ho da offrire.
Faccio ammenda e comincio da una tua domanda alla quale
finora non ho mai dato risposta. Una volta mi hai chiesto che
cos'è un universo. Anzi, forse la tua domanda era: «Una galassia
è un universo?». Il grande filosofo tedesco
Immanuel Kant
(1724-1804), di cui si dice che fosse ossessivo, chiamava le galassie
"universi". Tutto ciò che vedeva erano masse confuse nel cielo. Non so che cosa
intendesse esattamente chiamandole così, ma l'immagine che quella parola suscita
è qualcosa di immensamente grande, e in linea di massima Kant aveva ragione,
perché le galassie sono vaste, luminose e brillanti, città brulicanti di una
folla di stelle. Però non sono universi: "vivono" in un universo,
lo stesso nel quale viviamo noi. Si succedono, galassia dopo galassia,
all'infinito. Ma è proprio così? All'infinito? Qui cominciano i miei guai. La
domanda che mi pongo è proprio questa: l'universo è infinito? E se fosse finito,
quale significato riusciremmo ad assegnargli? Quando mi hai posto la tua domanda
credevo di conoscere la risposta: l'universo è il tutto. Solo adesso sto
cominciando a comprenderne il senso.
3 settembre 1998 Warren continua a dire a tutti che stiamo per tornare in Inghilterra, anche se, come ben sai, io non vengo dall'Inghilterra. La decisione è presa: lasciamo la California. Perché ci siamo trasferiti? Ormai la cosa non ha più molta importanza, e anche il ricordo delle ragioni che ci hanno spinto a trasferirci sta svanendo. Invece mi ricordo bene di quando abbiamo venduto le nostre cose prima di andarcene da San Francisco. Tutte le mie amate cianfrusaglie, le buffe sedie di vinile e i tavolini cromati, le panche di legno e le cassettiere. Non è rimasto nulla. Ce ne stavamo tutto il giorno all'aperto, seduti sui gradini sporchi di casa, mentre l'ombra degli edifici di fronte lasciava il posto al sole. Bevevamo grandi tazze di caffè e frullati di frutta con polline d'api o alga verde, mentre il vicinato ci sfilava davanti e la catasta di roba andava via via assottigliandosi fino a sparire. Arrotolavamo le banconote con eccitazione, anche se i soldi non erano mai tanti. Quando cominciava a fare troppo freddo o troppo buio, portavamo tutto in casa e rientravamo. Stavo cercando di terminare un articolo scientifico e di vagliare le mie idee sull'infinito. Per molto tempo avevo creduto che l'universo fosse infinito, anzi, non avevo neppure messo in discussione quell'ipotesi. Se avessi prestato maggiore attenzione al problema forse avrei compreso prima. L'universo è lo spazio tridimensionale in cui viviamo e il tempo che guardiamo trascorrere sui nostri orologi; è il nostro nord e il nostro sud, il nostro est e il nostro ovest, il nostro su e il nostro giù; il nostro passato e il nostro futuro. Fin dove l'occhio può posare lo sguardo sembrano non esserci limiti allo spazio tridimensionale, e non ci aspettiamo che il tempo abbia fine. L'universo è popolato da enormi ammassi di galassie, e ogni galassia è un agglomerato di un miliardo o di mille miliardi di stelle. La Via Lattea, la nostra galassia, ha un nucleo di densità impenetrabile costituito da milioni di stelle da cui si dipartono a spirale bellissime braccia, una sorta di scheletro stellare. La Terra si trova nelle braccia scarsamente popolate in orbita intorno al Sole, una stella normale, insieme ai pianeti suoi simili. Il nostro umile sistema solare: un piccolo pianeta, una stella normale, un cosmo vastissimo. Ma noi siamo vivi e senzienti. Accumulando i nostri sforzi e trasmettendo i nostri segreti di generazione in generazione, ci siamo elevati al di sopra di questa roccia azzurra e verde, intrisa d'acqua, per portare la nostra visione ben oltre i limiti della vista. L'universo è pieno di galassie e delle loro stelle. Probabilmente, speriamo, c'è altra vita là fuori, e luce di fondo, e forse qualche increspatura nello spazio. Ci sono corpi luminosi e corpi oscuri, cose che possiamo vedere e altre che non possiamo scorgere. Cose conosciute e cose sconosciute. Questa sovrabbondanza di ingredienti potrebbe proseguire per sempre in ogni direzione, senza mai fine. Proprio quando pensi di aver visto l'ultima galassia ce n'è un'altra, e oltre quella un'infinità di altre ancora. L'infinito non è mai stato osservato in natura, e non ha nemmeno diritto di cittadinanza nella teoria scientifica, salvo per il fatto che continuiamo a partire dall'assunto che l'universo è infinito. Non sarebbe stato poi tanto male se Einstein ci avesse insegnato meglio come stanno le cose. A questo punto le idee entrano in collisione, quindi le riporterò senza filtrarle. Lo spazio non è solo una nozione astratta, ma un campo mutevole in evoluzione. Può iniziare e finire, nascere e morire. Lo spazio è curvo, è una geometria, e la nostra esperienza della gravità, la forza di attrazione della Terra e la nostra orbita intorno al Sole, è una caduta libera lungo le curve nello spazio. Da questa profonda intuizione si è capito che l'universo dev'essere in espansione. Lo spazio intergalattico si sta estendendo, anche se le galassie stesse dovessero per altri versi rimanere ferme. L'universo cresce, invecchia. E se oggi si sta espandendo, un tempo doveva essere più piccolo, nel senso che tutto doveva essere più vicino, talmente vicino che tutte le cose dovevano trovarsi una sopra l'altra, praticamente nello stesso posto, e prima ancora non doveva esserci affatto. L'universo ha avuto un inizio. Un tempo non c'era nulla e ora c'è qualcosa. Quello che mi sconcerta anche di più è che se si troverà una teoria del tutto, una teoria che si spinga oltre quella di Einstein, la gravità, la materia e l'energia saranno infine espressioni diverse della stessa cosa. Intrinsecamente siamo tutti costituiti dalla stessa sostanza. Il tessuto dell'universo è dunque una trama coerente che proviene dagli stessi fili che costituiscono i nostri corpi. Diventa ancora più assurdo credere che l'universo, lo spazio e il tempo possano essere infiniti quando tutti noi siamo finiti. Questo è quanto ti racconterò dall'inizio alla fine. Ho condensato tutti i dati in paragrafi densi, come si comprime il mantice di una fisarmonica. Gli accordi che seguono potrai trovarli nelle lettere successive. Si potrebbe dire che questa è la storia della topologia dell'universo, la branca della matematica che governa gli spazi finiti e un aspetto dello spazio-tempo che Einstein ha trascurato. Non so come si dipanerà, ma sono curiosa di vedere cosa accade. Cercherò di spiegarti le ragioni per cui credo che l'universo sia finito, nonostante queste non siano ben viste nell'ambiente scientifico, e tenterò di spiegarti perché alcuni di noi si trovano ai ferri corti con il resto dei colleghi. | << | < | > | >> |Pagina 983 gennaio 2000È sempre dura ritornare. Abbiamo attraversato l'Atlantico per ricominciare il nostro amaro dibatterci tra l'inferno e qualcosa di veramente positivo. Questo posto mi piace, ma ho una vita a cui devo tornare. La storia dipinge la Cambridge di alcuni secoli addietro come una città tetra e poco piacevole. Sembra che le strade anguste e sporche fossero piene di ladri, assassini e prostitute. Fino alla tarda epoca vittoriana agli studenti era proibito intrattenere rapporti con la popolazione locale; una circostanza cui oggi come allora si fa riferimento con l'espressione town versus gown. Mentre viviamo qui sullo sfondo dell'Inghilterra e di Newton, della storia e della scienza, il mio lavoro si sta spostando verso i buchi neri. Non c'è alcuna relazione tra questo sfondo e l'evoluzione della mia ricerca, è un fatto puramente casuale. I buchi neri sono la terza e più drastica conseguenza possibile della morte di una stella. Quando una stella di grandi dimensioni esaurisce l'energia che la fa brillare, la lotta contro la gravità è perduta. Una stella di massa molto grande, diciamo pari a oltre venti volte quella del Sole, collasserà in un nucleo delle dimensioni di una stella di neutroni. Il collasso gravitazionale è così violento che la materia diventa più densa di quella di un nucleo gigante, più densa di quanto si possa immaginare, cosicché il destino ultimo della materia è perire in una singolarità, una regione di curvatura infinita dove anche lo spazio-tempo finisce. La stella brillante si consuma e diventa un vortice nero nello spazio-tempo che invisibilmente scompare nell'oscurità dello spazio. Anche la stessa luce verrebbe risucchiata se passasse abbastanza vicino al sifone gravitazionale, questo buco nello spazio-tempo. Questa stella scura e morta non può emettere né riflettere la luce. È nera, un buco nero. Non si può sfuggire ai buchi neri, e ciò ha contribuito a generare timori e fantasie. La forza di marea gravitazionale in prossimità della superficie di un buco nero eserciterebbe sui piedi di un eventuale viaggiatore nello spazio una forza maggiore che sulla sua testa, riducendolo alla forma di una scultura di Giacometti e infine a un ciuffo di materia sminuzzata. Se tu potessi sopravvivere in un razzo protetto in orbita in prossimità del buco nero, la curvatura della luce trasmetterebbe immagini distorte di te stessa lungo quell'orbita: il riflesso della luce proveniente dalla parte posteriore della tua testa ruoterebbe intorno al buco e te lo troveresti davanti. Avvicinandosi maggiormente, nemmeno la luce potrebbe orbitare. Tutto sprofonda per sempre nell'oscurità impenetrabile. La linea di demarcazione del non ritorno è stata chiamata "orizzonte degli eventi". Il nome è adatto, perché in generale la parola "orizzonte" indica il punto più distante che riusciamo a vedere, e non possiamo vedere nulla di più vicino al buco nero che questo orizzonte. Dal nostro punto di osservazione, lontano dal buco, potremmo osservare la letargia dell'orologio di un osservatore in prossimità dell'orizzonte degli eventi. Sulla linea dell'orizzonte l'orologio del nostro amico ormai condannato sembrerebbe congelarsi e il suo tempo sembrerebbe sospeso. Un viaggiatore sfortunato potrebbe rendersi conto del pericolo solo se tentasse (cosa che del resto non riuscirebbe a fare) di voltarsi indietro. Tutta l'energia del mondo non servirebbe a cambiare il suo destino, perché cadrebbe inevitabilmente nella gola della curvatura infinita, la singolarità. Le singolarità sono una brutta cosa, e dall'esterno non possiamo vederle a causa dell'orizzonte degli eventi. Gli unici osservatori che ne avessero un'esperienza diretta non potrebbero raccontarcela: si porterebbero questa conoscenza nella tomba. Anche se non possiamo vedere i buchi neri nudi, possiamo vederli vestiti di materia, perché essi danno luogo ad alcuni dei più catastrofici eventi dell'universo, e quindi possiamo essere testimoni indiretti della loro voracità. I buchi neri divorano, ogni stella a loro vicina. La materia che fuoriesce dalla stella vicina che si è ingrossata entra in orbita intorno all'invisibile buco nero. La parte centrale ruotante del buco crea con la materia in entrata un gigantesco disco orbitante, finché la stella vicina viene ridotta a nulla e tutto ciò che rimane è questo disco brillante e incandescente. Poiché il gas bollente schizza e si trascina intorno allo spazio ruotante, esso può scaldarsi fino a raggiungere temperature di milioni di gradi. Vengono così emessi raggi X luminosi che possono essere osservati dalla Terra. La materia rubata brucia luminosa, rivelando la presenza del buco nero clandestino. Alcune notevoli sorprese relative ai buchi neri sono venute dall'osservazione. Erano state scoperte alcune nubi caratterizzate da una violenta attività, che rimasero un tabù. Solo a partire dagli anni venti, grazie a enormi telescopi, queste nubi furono "spinte fuori" dalla nostra galassia e si poté stabilire che si trattava di galassie distinte formate da miliardi e miliardi di stelle con nuclei di densità impressionante. Il buco nero al centro divora lo sciame di stelle producendo nuclei galattici di spettacolare luminosità. Negli anni venti nessuno sospettava che i nuclei delle galassie fossero buchi neri. Si dovette attendere fino agli anni sessanta perché i relativisti accettassero i buchi neri come possibilità reali dello stadio finale del collasso di una stella morente. E poco di più perché gli astronomi cominciassero a mostrare qualche interesse per le speculazioni teoriche dei discepoli di Einstein. Nessuno previde che i buchi neri, pari a cento soli, potessero annidarsi nel nucleo delle galassie, ma oggi si ritiene che quello sia il posto da essi occupato in quasi tutte, compresa la nostra. Al momento non comprendiamo il meccanismo di formazione delle galassie abbastanza a fondo da sapere in che modo i buchi neri si siano insediati nei loro nuclei, e sono numerosi i cosmologi che stanno cercando una risposta a questo mistero. I buchi neri al centro delle galassie hanno una massa superiore di milioni di volte a quella del nostro Sole e si concentrano nella parte più profonda di ogni galassia. Ingoiando stelle intere si sviluppano e ruotano. Nel centro delle galassie che presentano un'attività maggiore e più violenta, i quasar, la materia in entrata viene incanalata lungo i poli ruotanti e forma getti giganteschi, che hanno la dimensione incredibile di centinaia di migliaia di anni luce. La luce, che percorre la distanza fra il Sole e la Terra in soli otto minuti, impiegherebbe centinaia di migliaia di anni per attraversare in lunghezza questi getti. Nella nostra galassia i fenomeni di questo tipo si sono attenuati nel corso del tempo: nella Via Lattea non ci sono getti attivi, viviamo in una sorta di tranquillo sobborgo galattico. Anche se è molto probabile che un buco nero centrale occupi il nucleo della Via Lattea, viviamo a una distanza precauzionale da questo nucleo tra i bracci a spirale della galassia. Esistono ancora buchi neri nudi che non possiamo vedere nemmeno in modo indiretto, ma che indubbiamente sono in agguato. Gli astronomi sperano di poter costruire sulla Terra e nello spazio, entro il prossimo decennio, rivelatori giganti in grado di rivelare un'altra notevole previsione delle teorie di Einstein, le onde gravitazionali. Queste onde con una forza instabile vengono emesse dalle regioni più interne dei buchi neri (vedi fig. 7.3). Quando i buchi neri ruotano e orbitano intorno ad altri buchi neri compatti, lo spazio-tempo reagisce increspandosi. Le onde gravitazionali ci forniranno l'istantanea più chiara dei buchi neri nudi, non rivestiti da concrezioni di materia o da dischi, e costituiranno l'evidenza più diretta di una delle più strane creazioni della natura. La gente ha continuato a discutere della realtà dei buchi neri, cambiando opinione e sottoscrivendo con foga ogni nuova ipotesi. Lo stesso Einstein era convinto che non potessero esistere in natura e che qualche processo fisico avrebbe dovuto salvare l'universo dalla loro formazione. Ancora a venticinque anni dalla soluzione delle equazioni di Einstein proposta da Schwarzschild, il genio di Ulm si pronunciava ancora contro la loro esistenza. Oggi si ritiene che nessuna forza naturale possa resistere alla compressione gravitazionale di una stella morta sufficientemente massiccia, in modo da impedire la formazione di un buco nero. J. Robert Oppenheimer (1904-1967) e i suoi collaboratori hanno svolto un ruolo importante nel far progredire la comprensione dei buchi neri come stadio finale del collasso gravitazionale quasi trent'anni prima che John Wheeler li battezzasse con questo nome. Nel momento in cui anche altri teorici cominciarono ad accettare il suo paradigma, Oppenheimer fu schiacciato dalla stupidità della guerra fredda e tradito dal suo paese e persino da qualcuno dei propri colleghi. Si dice che di fronte alla sua ultima rivendicazione scientifica rimase impassibile. Immagino la freddezza dei suoi occhi di ghiaccio. Era rassegnazione o era diventato così autoreferenziale che nemmeno il plauso della comunità scientifica (per non dire delle sue vendette) poteva più toccarlo? | << | < | > | >> |Pagina 1025 gennaio 2000I buchi neri sono semplici. Si formano sempre in modo che dall'esterno si possa darne una descrizione completa attraverso tre caratteristiche distintive: la massa, lo spin e la carica elettrica. Diversamente dalle rocce, che sono infinitamente diverse, ciascuna unica, i buchi neri rigettano tutte le variazioni, tutte le perturbazioni e tutte le imperfezioni per diventare tutti uguali. Stelle morte perfette, fredde, diverse solo nella massa, nella carica e nello spin. Ciò rende i buchi neri nudi per natura. Dal lato esterno dell'orizzonte degli eventi i buchi neri non sono differenziati dal flusso originario di gas, dalle interazioni di particelle o da chissà che altro. Nascondono tutte le informazioni relative alla loro formazione all'interno. Non esiste una teoria che spieghi ciò che accade nelle regioni interne, e in ogni caso nessuna informazione relativa all'interno può superare l'orizzonte degli eventi. Non possiamo guardare dentro un buco nero perché la luce viene catturata. E nemmeno possiamo ricevere messaggi dall'interno, perché né la materia né l'energia possono fuggire. Non c'è modo per sapere qualcosa dell'energia perduta nell'oscurità di un buco nero. I buchi neri hanno qualcosa di apocalittico. Al loro interno tradiscono i limiti della relatività generale e della teoria quantistica, ma tengono nascosti i fenomeni più estremi dietro lo schermo impenetrabile dell'orizzonte degli eventi. L'oscurità esterna è solo la superficie. I nuclei dei buchi neri sono contrassegnati da una singolarità; in altre parole, lo spazio-tempo è infinitamente incurvato lungo una protuberanza nel nucleo (vedi fig. 7.4). La materia e l'energia si dirigono verso un intaglio nel tessuto dello spazio. Non possiamo prevedere che cosa accadrà alla materia o all'energia mentre discendono nella tubazione, né possiamo prevedere che cosa potrebbe uscirne. Che cosa accade alla materia e all'energia quando colpiscono una singolarità? Spariscono dall'universo come lo conosciamo? Sfuggono in qualche modo all'oblio? Se la materia può sparire lungo una singolarità infinita, che cosa può impedire a nuova materia di emergere dal bordo lacerato dello spazio? La relatività generale non ci aiuta a rispondere a queste domande. Rimaniamo senza regole, senza guida e senza mezzi con i quali prevedere che cosa potrebbe accadere a questi nuclei singolari. La nostra conoscenza delle leggi della gravità non è sufficiente quando giungiamo sul bordo strappato dell'universo. La curvatura infinita associata alla singolarità centrale è un vaso di Pandora di crisi della fisica. La natura aborrisce davvero l'infinito? La relatività ci dice che le singolarità semplicemente non possono esistere? Sta per dimostrare la sua inadeguatezza? Esiste una teoria che vada oltre quella di Einstein ed eviti la bruttezza delle singolarità infinite, una teoria capace di maneggiare le curvature estreme al nucleo dei buchi neri senza diventare singolare? E se così fosse, qual è questa teoria? Le previsioni della relatività generale ci ispirano a cercare una teoria ancora più grandiosa, che somigli alla gravità newtoniana quando la gravità è debole e alla relatività generale quando la gravità è forte, ma sia ancora diversa quando la gravità è ancora maggiore. Dove cercare questa teoria? La convinzione dominante è che esista una teoria quantistica delle gravità che ci salverà dagli infiniti, e ancora una volta la relatività ci fornisce gli indizi per trovare questa teoria ultima, come un uomo morente che traccia segni sulla sabbia. La curvatura infinita prevista dalla relatività si comporta come una lente di ingrandimento che spinge in superficie tutti i tipi di fenomeni quantistici. La frenetica creazione e distruzione di particelle consentita dal principio di indeterminazione di Heisenberg è amplificata dalla curvatura dello spazio. Lo spazio stesso deve partecipare alla fluttuazione frenetica della schiuma quantistica. Man mano che la curvatura si fa più accentuata lo scontro fra teoria quantistica e gravitazione diviene inevitabile. Man mano che il comportamento quantistico cresce di importanza è concepibile che gli effetti quantistici eviteranno del tutto la formazione di una singolarità infinita, mettendoci al riparo dagli strappi nel tessuto dello spazio e restaurando così la prevedibilità. La meccanica quantistica ha conseguenze notevoli anche al livello superficiale del buco nero: secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, una coppia formata da una particella e da un'antiparticella può essere creata dal nulla, a patto che sia annientata quasi istantaneamente. Vicino al bordo di un buco nero, tuttavia, la particella può fuggire mentre l'antiparticella cade nel buco. Il buco nero fa sì che l'energia quantistica emetta particelle e perda energia nel corso di questo processo. In effetti i buchi neri evaporano. Stephen Hawking deve parte della sua fama alla dimostrazione dell'evaporazione dei buchi neri. La caratteristica distintiva dei buchi neri sembrerebbe la loro incapacità di emettere luce e materia. La combinazione di meccanica quantistica e relatività generale altera tale caratteristica, permettendo ai buchi neri di emettere la radiazione di Hawking. La radiazione è debole, non osservabile, per i buchi neri che riteniamo popolino l'universo. Anche se probabilmente non riusciremo mai a osservare la radiazione di Hawking, il principio è di grande importanza teorica: sembra che i buchi neri comincino a emettere radiazioni a una temperatura specifica, legata alla loro massa. I corpi che emettono radiazioni a una determinata temperatura seguono le leggi della meccanica statistica, la descrizione di piccoli partecipanti atomici inventata da Boltzmann. Come una gigantesca allegoria naturale, i buchi neri nella loro forma più semplice imitano il comportamento di gruppo degli atomi. Pensare che cosa tutto questo dovrebbe avere a che fare con la gravità e lo spazio-tempo curvo fa vacillare la mente. Che cosa stanno tentando di dirci i buchi neri? I buchi neri sono la porta che conduce a una teoria fondamentale della fisica che va oltre Einstein e oltre la meccanica quantistica. Fornendoci gli indizi, i buchi neri ci spronano a cercare una teoria finale della gravità quantistica. L'altra porta che conduce alla gravità quantistica è il big bang. | << | < | > | >> |Pagina 12323 gennaio 2000Einstein era un uomo di talento, e anche i suoi errori erano colpi di genio. La costante cosmologica che aveva inventato per fermare l'espansione dell'universo e in seguito aveva abbandonato per permetterne l'espansione venne resuscitata nel 1981, quando Alan Guth comprese che alcune piccole inadeguatezze del modello del big bang potevano essere rimosse senza traumi reintroducendola.Si ripropone l'ossessionante domanda: come fa un universo che è nato dal caos a diventare così uniforme, omogeneo e isotropico? Dopo tutto Belinsky, Khalatnikov e Lifshitz hanno dimostrato che, se in partenza l'universo è caratterizzato da un'alternanza casuale di direzioni di espansione e contrazione, l'esito del big bang è caotico, con lo spazio che turbina imprevedibile alternando stati di collasso a stati di espansione. Sicuramente un inizio così violento deve aver prodotto cicatrici su quella parvenza perfetta. Eppure l'universo appare omogeneo e isotropico, perché la temperatura della radiazione cosmica di fondo differisce solo di 0,00001 gradi Kelvin in regioni dello spazio distanti fra loro qualcosa come trenta miliardi di anni luce, e su larga scala anche gli ammassi galattici sembrano ben distribuiti. La modesta entità delle variazioni lascia sgomenti. La radiazione cosmica di fondo si è formata quando l'universo era ancora giovane, solo qualche centinaio di migliaia di anni dopo il big bang. Poiché nessuna informazione può viaggiare più veloce della luce, due punti separati da una distanza superiore a qualche centinaio di migliaia di anni luce non possono essere in contatto causale. Come è possibile che regioni distanti trenta miliardi di anni luce si trovino in condizioni così simili? Se un antropologo scoprisse che due antiche civiltà parlavano lo stesso linguaggio, salvo per una sola parola su centomila, opterebbe sicuramente per una spiegazione causale: le due civiltà devono essere state in contatto, e compito della scienza è spiegare in quale modo comunicavano. Questo è esattamente il ruolo svolto dalla teoria inflazionaria di Guth nel campo della cosmologia. Guth ha infatti suggerito che ai primordi del nostro universo, circa 10^-35 secondi dopo il big bang, deve esserci stato un episodio in cui lo spazio-tempo si è espanso con un ritmo così furioso che un'area minuscola si è gonfiata tanto da contenere tutto ciò che oggi possiamo vedere. L'area era abbastanza piccola da essere compresa nella massima distanza che la luce può coprire in 10-35 secondi. Secondo la teoria di Guth, le odierne condizioni di uniformità dell'universo si devono al fatto che tutto ha potuto interagire su queste scale molto piccole e anche al di fuori prima dell'inizio dell'inflazione. L'implicazione globale della teoria è che l'universo non è uniforme ovunque, ma solo in questa piccola area di cui possiamo dare testimonianza. Immagina di essere sulla vetta di un massiccio montuoso. Saresti sicuramente consapevole dell'insidia dell'irregolarità, ma se la piccola regione che ti circonda fosse ampia quanto la Terra localmente ti sembrerebbe uniforme, in quanto le variazioni avverrebbero su una scala tanto grande da non permetterti di percepirle (vedi fig. 8.5). Un'altra conseguenza dell'inflazione è che ci aspettiamo che l'universo appaia piatto. Se stessimo in piedi su un pallone da basket, saremmo consapevoli del fatto che è rotondo; ma se lo gonfiassimo fino a farlo diventare delle stesse dimensioni della Terra potremmo farci ingannare e pensare che sia piatto. Il punto non è che l'universo sia veramente piatto, ma piuttosto che non possiamo vederne le curve. Migliaia di articoli sono stati dedicati alla discussione della teoria inflazionaria di Guth, senza dubbio la più grande idea degli ultimi decenni in campo cosmologico. Non sappiamo ancora con certezza se sia corretta, ma a livello sperimentale funziona bene. Il problema è che non c'è una vera teoria dell'inflazione, perché questa è più che altro un'idea che può essere controllata in modo indiretto determinando se l'universo è piatto e confermando se i segni dettagliati sulla radiazione cosmica di fondo combaciano con le previsioni inflazionarie; ma il motore, la forza che guida tutto, resta ancora un mistero. Il paradigma inflazionario offre una spiegazione plausibile di come un universo ammassato e caotico può diventare vasto e uniforme. Ci dà una possibilità di sopravvivenza, dato che per essere abitabile l'universo dev'essere vasto e uniforme. Quindici miliardi di anni dopo siamo qui. Ma mi domando se non abbiamo sprecato la nostra chance di sopravvivenza. I dinosauri sono riusciti a rimanere in circolazione per duecentocinquanta milioni di anni. Tutto ciò che noi possiamo vantare sono invece poche decine di migliaia di anni, un pollice opponibile e il fuoco, e abbiamo quasi distrutto il pianeta. Forse come specie non siamo proprio un successo, se il successo si misura in termini di probabilità di sopravvivenza, perché anche se sopravviveremo dobbiamo almeno ammettere che potrebbe non essere così in futuro, che potremmo sparire domani. Potremmo avvelenarci, intossicare la Terra, azionare un'arma di distruzione di massa. Siamo una specie con manie suicide? Ci renderemo responsabili del nostro stesso genocidio? Ritorna la mia ossessione per la follia. Però possiamo porci queste domande: perché? come? Possiamo persino rispondere. I dinosauri non potrebbero farlo. | << | < | > | >> |Pagina 223Credo che fossimo rimaste a questo punto: l'universo potrebbe essere finito ma troppo grande per svelarci i suoi segreti. Eppure non dobbiamo perdere le speranze. L'universo continua ad avvolgersi su se stesso, se non in senso letterale almeno in senso metaforico. La sua vastità obbedisce inevitabilmente alle leggi che governano i costituenti più piccoli, e il big bang, inteso come atto fondamentale di creazione, fa appello proprio a quelle leggi. Forse dovremmo volgere i nostri sguardi all'interno, verso la fisica su piccolissima scala, e vedere se esiste un riflesso della fisica su scala più grande. Nelle scienze fondamentali è in corso una campagna a favore delle semplificazione: più le cose sono semplici, meglio è. Il risultato definitivo di questa campagna dovrebbe essere la riduzione di tutte la forze a una. Le teorie del tutto (T0Es, Theories of Everything) mirano a spiegare l'intero cosmo con una sola riga, un enunciato matematico. A noi la vita sembra molto più complessa, perché percepiamo l'elettricità, la forza di gravità e le forze nucleari, e tutte ci sembrano distinte, ma in definitiva queste forze potrebbero essere fasi differenti della stessa cosa, come l'acqua, il ghiaccio e il vapore sono fasi diverse della molecola H2O. Si ritiene che tutte le forze fondamentali siano manifestazioni diverse, diverse fasi, della stessa forza. Con questa idea di unificazione la fisica teorica ha conseguito grandi successi, ma la gravità si è dimostrata evasiva, ancora non disposta a unificarsi con le altre forze. Fino alla comparsa della teoria delle stringhe. Attualmente la teoria delle stringhe è l'unica che riesce a inserire la gravità in un quadro unificato. L'idea ha preso piede a partire dall'ipotesi secondo cui i nostri costituenti più piccoli non sono le particelle, bensì stringhe indivisibili. Visto che la teoria delle stringhe si spinge oltre quella di Einstein, ci si potrebbe chiedere che cosa abbia da dire a proposito della finitezza dello spazio. Il modello non è ancora chiaro in tutte le sue parti perché si possano fare previsioni semplici per il nostro universo, ma le previsioni stanno a poco a poco emergendo, e sono state suggerite molteplici possibilità. I teorici delle stringhe ipotizzano che forse non viviamo in tre dimensioni ma in dieci, undici o addirittura ventisette. Non ci accorgiamo delle dimensioni extra perché in un certo senso siamo troppo grandi per notarle. Che ne è delle tre in cui viviamo e che amiamo? Sono finite? Non siamo ancora in grado di fare questa previsione, ma forse potremmo riuscire a guardare all'interno, verso le dimensioni più piccole, se non riusciamo a guardare all'esterno, verso i segni distintivi del cosmo. Theodor Franz Eduard Kaluza (1885-1945) fu il primo ad avanzare l'ipotesi secondo cui potrebbero esserci più di tre dimensioni e le cose potrebbero essere un po' più complicate di come sembrano. Nel 1919 portò le sue idee all'attenzione di Einstein. Anche se nella sua forma più semplice non sarebbe sopravvissuta al confronto con gli esperimenti, la posizione di Kaluza conteneva i primi suggerimenti circa l'unificazione di gravità e fisica delle particelle. Fu il fisico svedese Oskar Klein (1884-1977) a riformulare la teoria di Kaluza, che in seguito è stata poi riproposta in versioni più moderne. L'esistenza di dimensioni nascoste, ripiegate, potrebbe rappresentare una previsione generica di qualunque teoria si spinga oltre quella di Einstein, non solo della teoria delle stringhe. Come gli ignari abitanti di Flatiandia, potremmo essere inconsapevoli di queste dimensioni extra che sono ovunque e incapaci di infilarci le mani semplicemente perché sono troppo piccole per la grandezza delle nostre membra. Sono piccole nel senso che sono topologicamente compatte, come un filo d'erba che ha due dimensioni compatte piccole e una dimensione estesa. Non è necessario che queste piccole dimensioni siano statiche. Infatti i teorici hanno faticato molto per immaginare in che modo impedire loro di espandersi e contrarsi, perché anche se non possiamo vederle, o infilarci un piede, non siamo immuni all'influenza di una dimensione dinamica interna: una dimensione interna in movimento potrebbe alterare l'espansione dell'universo, proprio come comprimere un palloncino in una direzione lo fa gonfiare nella direzione opposta. Oppure la forma e la dimensione delle dimensioni extra potrebbero cambiare la nostra percezione della forza di gravità. Osservando queste piccole dimensioni ripiegate potremmo dedurre, vuoi attraverso lo spudorato stratagemma di una teoria vuoi attraverso i più fedeli metodi sperimentali, la forma delle dimensioni più grandi. | << | < | > | >> |Pagina 2251° ottobre 2000La vista di cui si può godere dalle colline di San Francisco mi fa impazzire. La baia e gli appezzamenti di terra declinano dietro gli edifici per non accecarti con la loro magnificenza. Distogli lo sguardo, mi viene voglia di dire. Penso alla vista di Londra che si può scorgere dalla sommità del mio edificio nell'East End. È impossibile considerare belli entrambi i panorami. La bellezza involontaria della mia abitazione industriale inglese. Guardo Londra e cerco di trovare la mia posizione in relazione alla mappa delle luci della città: io sono qui. Adesso però non sono lì, sono in California.
Nulla è come appare. I nostri corpi sono composti per la maggior parte di
acqua, che per la maggior parte è spazio vuoto. Lo spazio vuoto è un'armonica
prodotta da una corda fondamentale, da una stringa. La meccanica quantistica ci
dice che la natura, se la osserviamo abbastanza da vicino, è essenzialmente
granulosa. I grani fondamentali sono costituiti da una manciata di tipi diversi
di particelle: quark, leptoni, fotoni, gravitoni (che sono le
unità quantistiche che contengono un'onda gravitazionale) e via
elencando. Adesso una teoria emozionante minaccia di rovesciare le ipotesi
atomistiche: se osservassimo i grani fondamentali
non troveremmo particelle puntiformi bensì un collettivo di
stringhe identiche. Le note della stringa corrispondono alle diverse particelle
che sembrano formare il mondo. Quindi in definitiva non c'è una manciata di
particelle, ma una cosa di un solo tipo, una stringa, e le particelle
fondamentali che appaiono distinte, quark, leptoni, gluoni, gravitoni, sono le
diverse risonanze di queste stringhe identiche. Lo spazio-tempo e la materia si
unificano come le note intrinseche di una melodia complessa, la cui
partitura è la teoria delle stringhe, la teoria definitiva del tutto.
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