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| << | < | > | >> |IndiceLe vicende di Toccare i libri 7 Toccare i libri L'ordine e la disposizione 23 Come disfarsi di cinquecento libri 30 Un libro ogni trenta secondi 42 Libri sgangherati 51 |
| << | < | > | >> |Pagina 23Se, come dicevamo, i libri parlano del carattere, degli interessi e della personalità dei proprietari, anche il modo di ordinarli racconta cose significative in proposito. Cominciamo dicendo che l'ordine dei libri viene messo in crisi dai libri stessi, che il più delle volte si rifiutano di essere disposti in formazione. Per molto tempo, i libri non hanno avuto a disposizione un luogo dedicato all'interno delle case, ma venivano riposti dentro bauli, cassetti e credenze, insieme a piatti, bicchieri, lenzuola e vestiti... Solo a partire dal XVI secolo, e soprattutto nel XVII, le classi più agiate cominciarono a rivendicare uno spazio dedicato per la lettura, riservandole intere stanze in cui mettevano anche i libri, prima accatastandoli sui tavoli secondo l'uso medievale, e poi disponendoli su scaffali e mensole lungo le pareti. Ma i libri conservano una sorta di ancestrale istinto di foresta, una tendenza alla dispersione che ostacola l'ordine. Dove vanno i libri di Kafka, per esempio, e dove quelli su Kafka? Deve prevalere il titolo sull'autore, o l'argomento sul titolo? O magari l'autore sull'argomento? Per non parlare poi della legione degli errabondi, quei libri inclassificabili che vagano per anni alla ricerca di una sistemazione. Ricordo il caso di uno scrittore che conservava i suoi libri in grandi scatole metalliche dei biscotti, e li riordinava a piacere seguendo l'elementare, banale sistema di cambiare posto alle scatole. Semplificando, potremmo affermare che gli individui si distinguono in due generi a seconda di come affrontano questo problema: c'è chi nella libreria mantiene un certo ordine e chi, preferendo che i libri vivano a modo loro e finiscano per trovare da soli il proprio posto, rischia di ritrovarseli dentro la vasca da bagno. Tra chi impone un certo ordine sugli scaffali possiamo riconoscere diverse scuole, ma generalizzando potremmo dire che di solito si segue un ordine alfabetico o cronologico. Nel suo libro Una storia della lettura , Alberto Manguel racconta il caso estremo di un visir persiano che già nel X secolo viaggiava con la sua collezione di centodiciassettemila volumi, trasportandoli su una carovana di quattrocento cammelli addestrati a camminare nel deserto in rigoroso ordine alfabetico! Eppure, a giudizio di Susan Sontag , che confessava di dedicare molto tempo a spostare e rimettere in ordine i suoi libri, era intollerabile l'idea che Platone e Pynchon potessero condividere lo stesso scaffale solo perché i loro nomi cominciano con la stessa lettera. Juan Carlos Onetti, disordinato di professione oltre che fumatore incallito, i cui libri vagavano sempre come smarriti in giro per casa, raccontava spesso la storiella di quella ragazzina di tredici o quattordici anni che si era presentata un giorno da lui e si era offerta di riordinargli la biblioteca dopo avergli recitato l'alfabeto a memoria, cosa che entrambi avevano reputato merito sufficiente. Quando la ragazzina ebbe terminato il suo compito, Onetti contemplò atterrito il risultato: la lettera J riuniva James Joyce, Juan Rulfo, Jean Cocteau, Juan Ramón Jiménez, John Le Carré, Jonathan Swift, Julio Cortàzar e Jorge Luis Borges, tra gli altri. E così decise che disporre i libri in ordine alfabetico non era meno arbitrario che ammucchiarli lungo i corridoi. | << | < | > | >> |Pagina 30E forse fu proprio questa difficoltà, sommata al bisogno impellente di spazio, a costringere Hermann Hesse a prendere la drammatica decisione di tenere in casa solo un certo numero di libri e non di più: ogni nuovo libro che entrava nella sua biblioteca forzava un altro a uscirne. Per rendere più sopportabile quella pratica, ideò quattro domande che gli permettessero di decidere senza troppi rimorsi, in maniera scientifica, quali fossero i libri imprescindibili e quali no. Hai bisogno di questo libro? Lo vuoi? Sei sicuro che lo leggerai ancora? Ti dispiacerebbe molto perderlo? Una sola risposta affermativa bastava a garantire la salvezza, altrimenti la condanna si abbatteva inesorabile. Al giorno d'oggi condivide esattamente la stessa linea di pensiero lo scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger , il quale quindici anni fa ha imposto un rigoroso numerus clausus tra i suoi scaffali: si autorizza l'ingresso di un nuovo libro solo rinunciando a uno vecchio. E non chiediamoci adesso quali siano i criteri di scelta. In ogni caso, la domanda sorge spontanea: qual è il numero ideale di libri in una casa? A quale numero esatto di libri si può sopravvivere? Il nostro amico Georges Perec , autore di La vita. Istruzioni per l'uso , ha proposto una cifra tonda: 343. Un numero beffardo e bifronte: non poteva essere altrimenti. Ma non appena ha deciso di metterlo in pratica, Perec si è scontrato con un problema serio: ci sono volte in cui un libro non equivale a un solo volume. Memoria del fuoco , di Eduardo Galeano, è pubblicato in tre volumi; a rigor di logica non si tratta di tre libri, bensì dello stesso diviso in tre parti. Lo stesso capita con Cortàzar, Ultimo round, uscito in due volumi ma che in realtà sarebbe un libro unico, e con Italo Calvino, I nostri antenati: tre storie che potrebbero benissimo essere tre libri a sé stanti. Secondo Perec, qualora vi sia unità di soggetto, intenzione e filosofia, un'opera dovrebbe contare come un libro unico, indipendentemente dal numero di volumi. Ma alla fin fine, ragiona ancora Perec, l'opera completa di uno scrittore non costituisce forse anch'essa un unico libro? Non è un nuovo tentativo di accostarsi a un'opera unica, raccontata in tante maniere differenti, con protagonisti ogni volta diversi? Graham Greene, come Goethe, finì per riconoscere che tutti i suoi libri non erano altro che semplici frammenti di una grande confessione. E quindi le opere complete di Sartre quanti libri sono? E un'antologia di poesia? E i trentadue tomi dell' Enciclopedia Britannica, quanti libri sono in realtà? La biblioteca di Perec, limitata a trecentoquarantatré libri, poteva contenere in realtà tutti i libri del mondo, e magari anche di più. E arriviamo così all'infinita Biblioteca di Babele di Borges, che conterrebbe tutti i libri dell'universo, non solo quelli esistenti ma anche quelli ancora da scrivere, e occuperebbe un solo volume, composto, questo sì, da un numero infinito di pagine, infinitamente sottili. | << | < | > | >> |Pagina 42Prima di mettervi le mani nei capelli, cercate di esaminare freddamente la questione. La capacità di lettura e accumulo di volumi è limitata, mentre la capacità di pubblicazione è illimitata: questo è un dato incontrovertibile. Ciò che spesso ignoriamo è fino a che punto. Gabriel Zaid, in un saggio giustamente intitolato I troppi libri, propone cifre da capogiro. Nei primi cent'anni dopo l'invenzione della stampa sono stati pubblicati all'incirca trentacinquemila titoli, in media trecentocinquanta l'anno, vale a dire quasi uno al giorno. Perciò fino al XVI secolo era ancora possibile ipotizzare una bibliografia universale che includesse tutti i libri pubblicati al mondo. Ci provò Hernando Colón, storiografo, cosmografo, umanista e bibliofilo, che alla sua morte nel 1539 lasciò agli eredi una collezione di sedicimila volumi, la metà di tutti i titoli esistenti all'epoca. Ebbene, solo negli ultimi cinquant'anni si sono pubblicati trentasei milioni di libri. Secondo il desolante panorama tracciato da Hans Magnus Enzensberger, le rotative dei tascabili e delle edizioni economiche lavorano a pieno ritmo ventiquattr'ore al giorno, e sarebbe più dispendioso fermare le macchine e riaccenderle che continuare a sporcare la carta d'inchiostro: così le rotative fabbricano libri già destinati agli sconti, alle svendite o addirittura al macero. L'intera umanità pubblica un nuovo titolo ogni mezzo minuto, centoventi all'ora, duemilaottocento al giorno, ottantaseimila al mese. Quel che un lettore medio legge nel corso di una vita intera, il mercato editoriale lo produce in poco meno di otto ore. Per istituire un'impossibile biblioteca mondiale ci sarebbe bisogno di ventisei chilometri di scaffali l'anno. Anche chi compra libri, chi ne compra molti, ne acquista solo una minima, infima, minuscola, ridicola parte rispetto al totale. In Spagna, ogni volta che paghiamo e portiamo via un libro rinunciamo a comprare gli altri settantamila e passa che vengono pubblicati o ristampati ogni anno: centosettantotto al giorno, più di sette all'ora. Ebbene, sono davvero troppi se pensiamo ai pochi che compriamo; leggere un libro la settimana, che è già una buona media, equivarrebbe a un massimo di cinquecento libri in un decennio, mille in vent'anni, duemila in quaranta, contando vacanze e fine settimana, notti d'insonnia e viaggi in treno. Umberto Eco racconta che una giornalista andò a trovarlo a casa e gli chiese quanti libri avesse. Li ha letti tutti?, chiese poi. Certo che no, le rispose Eco: ogni lettore minimamente preparato sa che ci sono libri da leggere e libri da possedere. Héctor Yànover, autore di Memorias de un librero (Memorie di un libraio), metteva la questione nella giusta prospettiva sostenendo che ci sono libri da leggere e «libri in quanto libri». La questione è tutta qui. Talvolta i libri non da leggere si riconoscono subito – testi di consultazione, regali aziendali, enciclopedie, manuali specialistici o tecnici –, ma può anche capitare di scoprire lungo il tragitto che il libro che stiamo leggendo non era in realtà da leggere, ma era un libro in quanto libro. Dovremmo dunque impegnarci a portare a termine tutti i libri che decidiamo di iniziare, finché morte non ci separi? Lo scrittore colombiano Ŕlvaro Mutis sostiene che sono troppi i libri da leggere per perdere tempo con quelli che non interessano.
Eppure Tornasi di Lampedusa, l'autore del
Gattopardo,
affermava che bisogna anche imparare ad annoiarsi con i libri, e si costringeva
a leggere con pazienza infinita tomi decisamente scadenti. Due sono le
considerazioni che potrebbero
gettare luce su quest'ansia di mortificazione: una,
che Tomasi di Lampedusa era un uomo abbiente e disponeva di un'immensa quantità
di tempo libero; e due, che era solito leggere in una pasticceria, dove í suoi
giudizi letterari venivano probabilmente edulcorati dalla dolcezza
dell'ambiente.
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