Copertina
Autore Salvatore Marchese
Titolo Cucina e vini delle Valli d'Aosta
EdizioneMuzzio, Roma, 2006 [1998], Cucine regionali 24 , pag. 244, ill., cop.fle., dim. 140x209x16 mm , Isbn 978-88-7413-129-7
LettoreElisabetta Cavalli, 2006
Classe alimentazione , regioni: Valle d'Aosta
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Indice

Prefazione 5

La cucina delle Valli d'Aosta 7

I sapori della via Francigena 9
I menu 10

Il pane e le zuppe 17

Il pane di segale 18
    La festa del pane 24
Il peso del pregiudizio 26
I tributi di Cogne al Vescovo di Aosta 40

Il riso 45

Il riso nella cucina valdostana 45

Lardo, mocetta e salumi 51

Il lardo di Arnad 51
    Festa del lardo di Arnad (Féhta dou lar) 53
La mocetta 53
    Il prosciutto di Bosses 56
    Sanguinacci 58
    Tetteta 58
La Fiera di Sant'Orso 58

La carbonata e le carni 63


La caccia 79

La caccia in Val d'Aosta 79
Civé, civet, salmi 81
Il diavolo dalle zampe di capra 84
Ghiro 85
Marmotta 86

Le trote 87


La polenta 95


La Fontina 101

Nel mondo della Fontina 102
Una Fontina da 20 chili 104
La battaglia delle regine 106
    Le parole della Fontina 106
Gli alpeggi nel Medio Evo 108
Il patois della Fontina 115
La fonduta 120
"L'arte di presentare i formaggi" 125
Il Fromadzo e le tome 127

C'era una volta il Cavallo Bianco 133

Piccole storie del gusto 133

Mangiare "alla valdostana" 145


I dolci 163

La grolla e la coppa dell'amicizia 172
Il diavolo e le noci 178

I vini 181

Dove le vigne toccano il cielo 182
I vini della Valle d'Aosta 184
    Il monte dei tre vescovi 191
Quali sono i momenti giusti per bere il vino? 192
Bevi adorando: in vino ti assolvo 193
I preti del vino 194
L'arciprete di Nus  195
Alexandre Bougeat 196
I signori valdostani, parchi bevitori 197
I vini di montagna e il Cervim 198
La carta dei vini della Valle d'Aosta 201
Il mulino e i vini della famiglia Charrére 204
L'Institut Agricole Régional 206
Dall'albergo delle vigne ai vini delle Muraglie 210
Il génépy 214

Il pranzo del presidente Ciampi 217


Glossario   223
Bibliografia 231
Ringraziamenti 236
Indice delle ricette 239

 

 

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Pagina 7

La cucina delle Valli d'Aosta


Anche in una piccola regione come la Valle d'Aosta è possibile individuare specifiche caratteristiche che attestano l'esistenza di particolari tradizioni alimentari nelle singole zone. Due tra le preparazioni più popolari valdostane sono la Zuppa di Valpelline e la Zuppa di Cogne. La differenza sostanziale è minima: consiste in quel pugno di riso che viene aggiunto nel romantico centro del Gran Paradiso. Cogne è la meta degli escursionisti, degli amanti della natura e degli appassionati dello sci di fondo. Aspra e incontaminata, la Valpelline – una diramazione della suggestiva valle del Gran San Bernardo – è terra eccellente per gli alpeggi, forse tra i migliori in assoluto. Proprio in Valpelline, in una vecchia miniera di rame abbandonata, a 0llomont, si può assistere al superbo spettacolo dato dalle migliaia di forme di Fontina poste a stagionare.

E caratteri certamente non valdostani sono più che evidenti nell'alta valle del Lys, a Gressoney, sotto il Monte Rosa dove, a partire dal XII secolo, si insediarono i Walser, popolazioni di origini germaniche. È sufficiente ammirarne i costumi della festa, per capire la valenza della loro cultura. In cucina, qui, torna il riso, grazie alla vicinanza con i campi piemontesi di raccolta. Il "fessilsuppu" – ricetta di Issime – è una minestra di riso e fagioli strettamente imparentata con la classica panissa vercellese. La coscia di maiale è riservata alla produzione dello speck mentre Bosses, sui primi tornanti del Gran San Bernardo, ha sempre goduto di una sicura fama per il prosciutto aromatizzato con le erbe di montagna.

Altri fattori, nel tempo, hanno interessato il paesaggio agrario e, di conseguenza, gli orientamenti di cucina. A quote non troppo elevate, soprattutto nella Bassa Valle, ecco prosperare il castagno, un autentico albero del pane per gli innumerevoli usi dei frutti secchi e della farina da essi ricavata. Poi, le pere "martin sec" e le gustosissime mele.

Pensiamo, infine, per quanto riguarda la sinistra della Dora Baltea, all'impianto dei vigneti sulle ripide balze illuminate dal sole. Da pochi anni costituiscono una piacevole eccezione le vigne coltivate sulla destra del fiume, nelle vicinanze di Aymavilles.

Gli elementi per parlare di più cucine valdostane legate al territorio ci sono tutti. I particolarissimi ritmi dell'alpeggio si intrecciano con i motivi geografici che pongono la Valle d'Aosta – trafficatissima via di comunicazione e di commerci – in strettissima correlazione con la Francia e la Svizzera. I motivi storici, invece, ci conducono immediatamente ai romani, i quali sapevano come cucinare il ghiro e salare le carni e, per momenti più recenti, ai Savoia, che regolamentarono la caccia. Iniziava o si concludeva (a seconda dei punti di vista) in Valle d'Aosta il tratto italiano del percorso principale della via Francigena, la strada più importante nell'età medievale. Era la via delle spezie quali cannella, pepe, chiodi di garofano e zafferano. Era la via del pesce salato, le acciughe, e del pesce fresco, per soddisfare le esigenze dei giorni di digiuno dei monaci nei conventi. Aosta, con il complesso di Sant'Orso, diventa una tappa fissa per i pellegrini in transito da e per i valichi del Grande e Piccolo San Bernardo.

Ma la gente delle valli non cede alle lusinghe dei viandanti e delle merci. Anzi, la sua cultura si rafforza e suggerisce di volta in volta quale sia il buono da mangiare: così sono accolte con favore la farina di mais per la polenta e la patata, introdotte quasi contemporaneamente, come in altre regioni italiane, nella seconda metà del Settecento. In Piemonte, a Torino, la patata sarebbe stata coltivata inizialmente per mano dell'avvocato Vincenzo Virginio, allo scopo istruito dallo scienziato Alessandro Volta, e messa in commercio il 26 novembre 1803. In precedenza, consumatori del nutriente tubero erano soltanto i Valdesi, nella Val Pellice.

Differenze si riscontrano pure nei dolci. I torcetti, i fragranti biscotti di Saint-Vincent, sono simili ad altri prodotti del Canavese. Le sottilissime tegole rappresentano il simbolo moderno di Aosta (la ricetta e la forma furono messe a punto negli anni Trenta). È sicuramente vanto di Cogne il meculin, una sorta di panettone. Il "dolce", in una sia pur rustica confezione, è la "seupa de l'ain", la fresca zuppa dell'asino. È preparata con pane secco, zucchero e vino rosso, ma solo su alcuni alpeggi, la sera, per dare fantastico vigore alle storie raccontate sotto le stelle. La desarpa è ormai prossima. Presto, si tornerà a casa. Le scorte residue consentono lo spreco. In questo miscuglio si può condensare l'idea di semplicità che fa da sostegno alla cucina valdostana. La zuppa di pane e vino – che non è antica – era considerata un ottimo ricostituente.


I sapori della via Francigena

I valichi del Piccolo e Gran San Bernardo erano i principali passaggi obbligati per i viandanti – pellegrini, mercanti, crociati o poveri cristi che fossero – in transito sulla "Francigena". La "via Romea" era il più importante dei percorsi medioevali in quanto collegava Roma e il Sud dell'Italia con il Nord-Europa. Fu l'arcivescovo di Canterbury, Sigerico, durante il suo viaggio di ritorno da Roma, nel 990, a ricordare in una sorta di diario le diverse tappe del lungo cammino. Nell'attuale Lunigiana, nei pressi di Sarzana, si riunivano la strada da e per la Valle d'Aosta e i Paesi anglosassoni e la direttrice da e per Santiago de Compostela, in Spagna. È facile, allora, comprendere il reale valore della Francigena, sede di intensi traffici di merci oltre che di uomini. Ancora di più si configura l'importanza del tratto valdostano, con i relativi svincoli per la Francia e la Svizzera, a fini mercantili. La barriera alpina aveva un enorme significato simbolico. Era, allo stesso tempo, traguardo di arrivo e punto di partenza. I ricoveri del Piccolo e Gran San Bernardo, erano tra i più conosciuti e accoglienti. Altri "ospitali", tuttavia, sorgevano a breve distanza per accompagnare il cammino dei pellegrini. Non erano solo luoghi di cura, così come potremmo pensare adesso. Si trattava di veri e propri alberghi dove venivano serviti cibi e bevande e prestata ogni altra forma di assistenza. Gli abitanti dei villaggi vicini esercitavano particolari attività di guida e trasporto, come a Etroubles e Sain-Rhèmy. Una delle soste più note era situata proprio nei pressi di Etroubles, a Gignod: la Cluse (ora meta dei gastronomi erranti che si recano a La Clusaz). Il via vai consentiva gli scambi e gli acquisti di ogni genere alimentare: sale, pesce salato, orzo, formaggi, castagne, vino, pepe e spezie, carne, frumento. Aosta, inoltre, era vicina: i viaggiatori si apprestavano a effettuarvi una sosta prolungata o ne erano appena partiti. Il fascino della città, sede dell'imponente fiera di Sant'Orso, doveva essere grandissimo sia per l'aspetto religioso, assolutamente non trascurabile pure per le conseguenze politiche, sia per il profilo economico. Attraverso il Gran San Bernardo transitarono Carlo Magno (775), Enrico IV (1077) in procinto di arrivare a Canossa, Federico Barbarossa (1154), Napoleone Bonaparte, atteso dalla gloriosa battaglia di Marengo (1800). Le truppe francesi riuscirono a superare con uno stratagemma il pericolo della supermunita fortezza di Bard, in bassa valle. Gli zoccoli dei cavalli, infatti, furono avvolti con panni che evitarono rumori. Per la storia della cucina fu una vera fortuna: uno dei cuochi di Napoleone era stato chiamato dal destino a codificare la ricetta del "pollo alla Marengo". La gloria non si sarebbe certamente fermata di fronte a un terribile castello e a una strozzatura della Dora, in un angusto e tetro canalone. Ma sul passo, a poco meno di 2500 metri di quota, transitarono le botticelle di vino valdostano (spesso di Chambave) da vendere in Svizzera e le barbatelle della "petite arvine", di origine Vallese; la viticoltura, per naturali necessità microclimatiche, si è poi sviluppata sul fianco sinistro della Dora Baltea, seguendo la direttrice della via Francigena e dei cento castelli in luoghi già apprezzati dai romani.


I menu

Oggi, più che mai, la cucina è diventata un formidabile elemento di sostegno della promozione turistica di un territorio. Facciamo un esempio con la lista dei cibi e dei vini serviti il 28 giugno 1996, presso il ristorante dell'Hotel Villa dei Fiori di Luciano Glarey a Sarre, in occasione della cena di gala della manifestazione "Dove nasce la Fontina" (il ristorante ha cambiato gestione nell'estate 1997). Si tralasciano le traduzioni in inglese e in tedesco mentre si riporta la versione in francese:


Prosciutto di Saint-Marcel e castagne al burro

Un magico miscuglio di erbette conferisce un originale sapore al prosciutto, sposato alle castagne secche cotte nel burro. Oggi è un delizioso modo per iniziare un pasto valdostano.

Un mélange magique de fines herbes confère une saveur originale au jambon qui se marie bien aux chàtaignes sèches cuites au beurre. De nos jours, c'est une délicieuse manière de commencer le repas. Autrefois, elle servait pour vivre.


Mocetta e lardo

La mocetta – un tempo di camoscio e altra selvaggina da pelo, oggi di manzo – rappresenta un mezzo per conservare la carne con l'aiuto del sale, in montagna. Il lardo, familiare nella Bassa Valle, si conserva perfettamente, migliorando, nella stagionatura in salamoia. Insieme, vanno d'amore e d'accordo.

En montagne, la mocetta – jadis de chamois ou autre gibier à poil, aujourd'hui de bouvillon – est un moyen, • ace au salage, de conserver la viande. Le lard, commun dans la Basse Vallée, se conserve parfaitement et se bonifie par macération dans de la saumure. Les deux s'accordent bien ensemble.


Salignon con le mele

La ricotta è un prodotto del ciclo della trasformazione del latte in Fontina. Aggiunta di olio, peperoncino e aromi e lasciata riposare al fresco per almeno un giorno assume una cremosa consistenza che viene esaltata dal pane nero. La vivacità delle mele di Saint-Pierre porta una nota di freschezza.

La ricotta est un dérivé du cycle de transformation du lait en Fontina. Après y avoir ajouté de l'huile, du piment et des arómes, on la laisse reposer au moins pendant une journée pour lui donner sa consistance crémeuse qui, dégustée avec du pain noir, devient encore plus ragoutante. La saveur des pommes de Saint-Pierre apporte une note de fraîcheur.


Tortino di verdure e fonduta

La Fontina, con latte, burro, uova e un pizzico di farina e pepe, diventa fonduta, l'ideale complemento di molte ricette.

La Fontina, mélangee a du lait, du beurre, des oeufs ainsi qu'un soupçon de farine et de poivre devient la fondue, le complément idéal de maintes recettes.

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La fonduta

La morbida, cremosa, saporita fonduta costituisce una maniera straordinaria di impiegare la Fontina quale ingrediente di cucina. Si accompagna felicemente con stuzzichini, riso, paste, carni e verdure dando origine a un'infinità di ricette. Certo, i gastronomi di razza mettono al primo posto assoluto la deliziosa fonduta con il tartufo bianco d'Alba. Però, come spesso accade per le cose più buone, non sempre ci sono pareri unanimi. I primi dubbi riguardano la stessa nascita della fonduta; a chi deve essere attribuita l'onorificenza della gustosa invenzione?

Il parere dell'avvocato Giovanni Goria, astigiano, accademico della cucina e studioso, è assai importante e degno di considerazione:


"È certo dunque che la vera fonduta vuole la Fontina della Valle d'Aosta, ma non è affatto sicuro che la prima esperienza e invenzione del piatto sia avvenuta nella Valle. Alcuni infatti ritengono che sia nata a Torino o Ginevra, e c'è chi dice nella casa del cognato ginevrino di Cavour, cui il Marchese Gustavo fratello maggiore di Camillo aveva prestato un cuoco. Sarebbe stato costui che, lavorando a crema una Fontina valdostana o savoiarda, avrebbe ottenuto per puro caso la magica fusione del groviglio elastico di formaggio, latte, burro e tuorlo d'uovo (è tollerato anche un po' di bianco, poco sbattuto), nel prodigioso, voluttuoso e giallo fluido che ben conosciamo e amiamo. Lo si ottiene, questo nobilissimo fluido perfetto, solo con la pazienza, con l'insistenza, con il girare energicamente il composto mediante la piccola frusta o il cucchiaio di legno, a calore assai basso, meglio a bagnomaria. Se fosse vera la derivazione della fonduta da Ginevra a Torino per i canali domestici della famiglia Benso di Cavour, avremmo la curiosa coincidenza che chi fece l'Italia fece anche la fonduta, e viceversa. Potrebbe essere vero perché su tutti i testi di cucina del Settecento e dell'Ottocento torinese (massime Il Cuoco Piemontese perfezionato a Parigi del 1766, La vera cuciniera Piemontese del 1771, lo Chapusot nelle sue edizioni del 1816 e del 1851) non esiste nemmeno la parola fonduta, segno che arrivò dopo."

Facciamo un bel salto all'indietro fino al 1825, anno di pubblicazione del fatidico libro Fisiologia del gusto di Anthelme Brillat-Savarin (sottotitolo: 0 meditazioni di gastronomia trascendente) per leggere le note del raffinato gastronomo francese sulla fonduta.


"La fondua è originaria della Svizzera. Si tratta semplicemente di uova sbattute col formaggio in certe proporzioni che il tempo e l'esperienza hanno insegnate. Ne darò la ricetta ufficiale.

È una pietanza sana, saporita, appetitosa, che si fa subito, sicché si può preparare rapidamente quando arrivino ospiti inaspettati. Del resto io non ne parlo qui che per mia soddisfazione personale e perché la parola "fondua" mi rammenta un fatto di cui i vecchi del distretto di Belley hanno serbato il ricordo.

Verso la fine del secolo decimosettimo, un certo Monsignor de Madot fu nominato vescovo di Belley e andò a prendere possesso della diocesi. Coloro che erano incaricati di riceverlo e di fargli gli onori del palazzo che diventava suo, avevano preparato un pranzo degno dell'occasione e per festeggiare l'arrivo di Monsignore avevano usato tutte le risorse della cucina di allora.

Tra i piatti di mezzo troneggiava la fondua, che il prelato mangiò abbondantemente. Ma, oh meraviglia!, ingannato dall'aspetto della pietanza, e credendola una crema, la mangiò col cucchiaio invece di servirsi della forchetta come si fa da tempo immemorabile.

Tutti i commensali, meravigliati di quella stranezza, si scambiarono occhiate e sorrisi impercettibili. Ma il rispetto fece sì che nessuno osasse aprir bocca; tutto ciò che un vescovo venuto da Parigi fa a tavola, e soprattutto nel giorno del suo arrivo, dev'essere ben fatto.

Ma la cosa fece rumore e il giorno dopo tutte le persone, incontrandosi, facevano questi discorsi: "Sapete come ha mangiato la fondua ieri il nostro nuovo vescovo?".

"Ma sì che lo so! L'ha mangiata col cucchiaio: lo so da un testimone oculare ecc.". La città trasmise la notizia alla campagna e tre mesi dopo tutta la diocesi sapeva il fatto.

L'importante è che quest'incidente poco mancò non scotesse la fede dei nostri padri. Alcuni novatori presero il partito del cucchiaio, ma presto furono dimenticati: la forchetta trionfò: e dopo più di un secolo, un mio prozio ci rideva ancora, raccontandomi, con grandi risate, com'era andata che Monsignor Madot aveva mangiato la fondua col cucchiaio."


Ricetta della fondua

(Tolta dalle carte del signor Trollet Podestà di Mondon nel cantone di Berna.)

Pesate le uova che volete adoperare secondo il numero presunto degl'invitati.

Prendete poi un pezzo di buon formaggio di Gruyère che sia il terzo, e uno di burro fresco che sia il sesto del peso delle uova.

Rompete le uova e sbattetele bene in una casseruola, dopo di che vi metterete il formaggio grattato o tagliuzzato a fette sottili.

Mettete la casseruola su un fornello ben acceso, e dimenate con una spatola finché la miscela sia diventata ben densa e morbida: mettetevi poco sale o punto, secondo se il formaggio è più o meno vecchio, e molto pepe, perché è uno dei condimenti caratteristici di quest'antica pietanza: servite su un piatto leggermente scaldato: fate portare vino ottimo da bersi abbondantemente e otterrete un successone.

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