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| << | < | > | >> |IndicePresentazione di Luigi Veronelli IX Introduzione di Marco Guarnaschelli Gotti XI Ringraziamenti XIII Prefazione 1 A gh'era n'om... 5 La cucina 7 Le castagne 13 La lavorazione delle castagne 13 Il castagno 15 I cereali 41 Il mulino e la molitura 41 Il grano e il granoturco 43 Il pane e la tradizione 45 La lavorazione del grano 53 I testi 55 Le carni 109 I pesci 175 Le verdure 211 I dolci 245 Le storie della spongata 245 I liquori 277 Qualche menu della tradizione 279 Il folclore, le tradizioni, i musei 283 Glossario 287 Bibliografia essenziale 293 Indice delle ricette 297 Fonti delle illustrazioni 307 |
| << | < | > | >> |Pagina 15Il castagnoIl castagno, elemento decisamente fondamentale della cultura cucinaria di tutta la Lunigiana fino a pochi anni fa, è stato così nominato (Castanea sativa) per rimarcare la sua provenienza da un'antica città della Tessaglia (Castanum, la chiamavano appunto i latini) che sorgeva in mezzo a curatissimi boschi di castagni. La sua area di diffusione è abbastanza estesa e infatti lo si trova, oltre che in Italia, anche nella Penisola Balcanica e nella ex Iugoslavia, in Francia, nella Penisola Iberica, in Turchia, nel Sud dell'Inghilterra, in Ungheria, in Romania, nei Carpazi e nel Canton Ticino. I castagneti italiani non sono spontanei, ma rappresentano il risultato di un'antica rivoluzione iniziata probabilmente dai romani e intensificatasi, poi, nel Medioevo, durante un'autentica, provvidenziale opera di trasformazione del paesaggio nella quale, in epoche diverse, hanno svolto una parte di estrema importanza anche la vite e l'ulivo. Con la messa a dimora di queste tre piante, l'uomo ha chiuso un ciclo, apertosi con la semina del grano, riguardante il suo modo di essere: da nomade, infatti, è diventato agricoltore. E con l'agricoltura si è sviluppato l'allevamento. In Lunigiana, in alcuni momenti, la farina di castagne è stata veramente "la farina" (mancando il frumento) e il castagno si è proposto come "l'albero del pane". Non solo. Il castagno è come il maiale, e viene completamente sfruttato. Dalle castagne, la farina. Ma anche il legno per costruire mobili e per scaldarsi, oppure per estrarre il tannino. Ancora: le foglie da mettere sul fondo dei testi, l'humus adatto per i profumatissimi funghi. È per tutto questo che si pensa al castagno come all'emblema stesso della Lunigiana. | << | < | > | >> |Pagina 28Polenta di castagneIngredienti • 600 g di farina di castagne (passata al setaccio) • Ricotta • Circa 2 l d'acqua • Sale Portare a ebollizione l'acqua salata in una pentola capace • Abbassare la fiamma e cominciare a versare la farina (a pioggia, per evitare la formazione di grumi) mescolando molto bene con un cucchiaio di legno • Questa polenta dovrà cuocere mediamente per circa 3/4 d'ora • Tagliarla a fette e servirla (calda) con ricotta • È gradevole anche il giorno dopo, appena abbrustolita | << | < | > | >> |Pagina 30Patuna pontremoleseIngredienti • 400 g di farina di castagne • 1/2 l d'acqua • Sale Impastare la farina con l'acqua e il sale • La pasta, di media consistenza, si stende (strato di circa 2,5 cm) sul fondo di un classico testo • Coprire con il testo superiore e cuocere (circa 30 minuti) sotto la cenere • Il risultato è uns sorta di pane grezzo da mangiare con ricotta, formaggi freschi e salsiccia La pattona è conosciuta in tutto il comprensorio lunigianese (dal mare alla Cisa) e il suo uso era comune, fino all'immediato dopoguerra. È ancora di grande attualità in numerose famiglie di Vinca (sulle Apuane) e dell'Alta Lunigiana. | << | < | > | >> |Pagina 58Testaroli di PontremoliIngredienti • 600 g di farina di frumento • 1/2 l d'acqua • Sale Con l'acqua, la farina e il sale, in una zuppiera o in un altro recipiente, si prepara una pastella abbastanza fluida • Si fa scaldare la forma di base (testo in metallo o in terracotta) e si versa un po' di pastella che si farà uniformemente distribuire sul fondo per uno strato di circa 1/2 cm • Si mette il coperchio e si completa la cottura (9-10 minuti) • Si taglia il disco a rombi o quadrati di 4-5 cm di lato che si mettono per pochissimi minuti in acqua bollente • Si condisce con pesto (preferibilmente), olio d'oliva e pecorino grattugiato I testaroli e gli altri dischi di pasta sono, in pratica, dei veri e propri "liofilizzati" come la pasta secca comune. Si possono dunque conservare per farli rinvenire (reidratare) immergendoli in acqua bollente. È quindi ragionevole pensare a essi come a un cibo adatto ad accompagnare l'uomo in viaggio (così si può pensare subito alle trie arabe da cui sembrano derivate le paste secche meridionali e genovesi). | << | < | > | >> |Pagina 74Polenta incatenataIngredienti • 300 g di farina di granoturco setacciata • 200 g di fagioli borlotti freschi, oppure 150 g di fagioli borlotti secchi • 1 cavolo nero • 50 g di formaggio parmigiano grattugiato • 1/2 mestolo d'olio d'oliva • 1 cucchiaio di sale grosso • 1 l e 1/2 d'acqua Se i fagioli sono secchi, metterli a bagno la sera prima, versarli in un paiolo di rame o una qualunque casseruola con l'acqua e il sale • Quando i fagioli sono cotti aggiungere il cavolo tagliato fine • Se i fagioli sono freschi, metterli a cuocere insieme al cavolo • Durante la cottura, versare l'olio d'oliva • Quando il cavolo è cotto, abbassare il fuoco e versare la farina di granoturco a pioggia e poco per volta, mescolando bene con una paletta di legno per impedire che si formino grumi • La polenta dovrà rimanere molto morbida, eventualmente aggiungere acqua tiepida o olio d'oliva a seconda della densità • Lasciare cuocere per 40 minuti circa e servire nei piatti da portata con formaggio parmigiano
Questo piatto lo si prepara anche con gli erbetti e i fagioli dall'occhio,
in sostituzione del cavolo e fagioli borlotti.
Una variazione sul tema delle polente "in catene" è data dai frascadèi, composti da farina di granoturco, cavoli neri e patate. È, sicuramente, un piatto che richiama l'inverno e le immagini della famiglia raccolta attorno al camino ad ascoltare lunghe storie e a pulire le castagne. Rispetto alla polenta incatenata, nei frascadèi c'è, in più, quasi a rafforzare il concetto di piatto invernale, il lardo tritato o la mortadella "meglio se nostrale". | << | < | > | >> |Pagina 94Strozzapreti alla ligureIngredienti • 1 kg di spinaci • 3 uova intere • 350 g di ricotta • Parmigiano grattugiato • Noce moscata • Farina bianca • Burro • Salvia • Pomodoro fresco • Sale e pepe • Basilico In abbondante acqua salata, sbollentare gli spinaci • Scolarli, strizzarli con cura e tritarli • In una ciotola capace, amalgamarli con le uova e il parmigiano • Unire la noce moscata, aggiustare di sale e pepe • Se il composto resta troppo fluido, incorporarvi un cucchiaio di farina bianca • Prelevare porzioni dell'impasto ricavando delle polpettine di forma leggermente allungata e passarle nella farina, velandole appena • Scottare gli strozzapreti, pochi alla volta, in abbondante acqua salata, e toglierli con una schiumarola appena salgono in superficie • Lasciarli scolare bene, raccoglierli in un vassoio da portata e condirli a piacere con burro fuso, salvia e parmigiano, o con una salsa di pomodoro fresco e basilico (e parmigiano a piacere) | << | < | > | >> |Pagina 114Un notevole contributo alla sussistenza della gente di Lunigiana fu apportato dal maiale, anche se con un po' di ritardo rispetto ad altre regioni (i più antichi esempi di iconografia relativa al maiale figurano in codici miniati carolingi del IX secolo).Se ne ricavavano – come oggi – insaccati e carni da salare. E, soprattutto, il lardo, che aveva due destinazioni. O veniva bollito per ottenerne lo strutto (in grado di conservarsi benissimo per molto tempo), adatto a surrogare il burro (dolci) e l'olio (fritture) con eccellenti risultati sul piano del gusto, o veniva messo a stagionare. Il luogo più adatto per la conservazione del lardo è Colonnata, sulle Alpi Apuane. Il lardo (di schiena) viene cosparso di un fitto strato di erbe (rosmarino, salvia, aglio e molte altre) tritate e amalgamate con pepe e (molto) sale: i ritagli di lardo vengono stesi in "conche" di marmo (vasche scavate in un unico blocco che presenta a volte dimensioni notevoli, fino a raggiungere i 2 o 3 metri cubi) in cui un tempo si conservava l'olio d'oliva. Il lardo, preparato in primavera (per l'abbondanza delle erbette), si conserva molto bene per qualche mese. Poi si taglia a fettine e si può mangiare crudo (eccezionale, quello di Colonnata) o si può utilizzarlo, tritato, per diverse preparazioni. Tutta la carne, in Lunigiana, è spesso associata al pepe. Dopo le Crociate, del resto, le spezie, e il pepe in modo particolare, cominciarono a diffondersi in tutta l'Europa. I primi a usarle furono naturalmente i marinai (spesso genovesi e liguri in genere), che in qualche modo collaborarono con i mercanti per farle conoscere e apprezzare. Il pepe dava sapori a carni malamente conservate o, comunque, povere di gusto perché venivano macellate bestie vecchie o con la muscolatura indurita dal lavoro nei campi (nel caso dei bovini). Era indispensabile, talvolta, prima bollire la carne (brodi), poi riutilizzarla con diverse manipolazioni (polpette, polpettoni eccetera). Oltre che da Venezia, la via delle spezie verso la Lombardia e il Nord passava pure dalla Lunigiana, e un po' di pepe, in un modo o nell'altro, restava disponibile per la gente del posto, che ha imparato ad apprezzarlo con lo stesso spirito con cui ha accolto il baccalà, lo stoccafisso e, più tardi, la patata e il pomodoro. Il pepe, come il sale, è dunque un elemento che aiuta a conservare il cibo. Logico, allora, che quando questo diventò di facile acquisto (il suo mercato ha avuto frequenti sbalzi) entrasse nel cucinario quotidiano lunigianese, sempre propenso – e questa è la caratteristica fondamentale – ad accogliere solo quanto fosse in grado di durare a lungo o, comunque, di contribuire allo scopo. | << | < | > | >> |Pagina 128Bianco e nero frittiIngredienti • 500 g di cervella, animella e fegato • Farina e pane grattugiato • 1 uovo • Olio • 2 cucchiai di buon aceto rosso • Succo di limone • Sale e pepe La cervella deve essere pulita benissimo con acqua fredda e succo di limone (bagno d'acqua corrente, limone, ancora acqua) • L'animella si fa bollire con acqua e aceto, dopo averla lavata con cura • Il fegato (ricco di sangue) va appena pulito • Si tagliano fegato, animella e cervella a fettine sottili, poi si salano e si pepano prima di passarli in farina, nell'uovo leggermente battuto e nel pangrattato • Si friggono in padella, in olio bollente, poche fettine per volta (per non abbassare la temperatura dell'olio) • Si friggono prima l'animella e la cervella e, in ultimo, il fegato • Trattandosi di piccoli pezzi, è opportuno cuocere brevemente, ma a fiamma alta | << | < | > | >> |Pagina 194Totani ripieniIngredienti • 800 g di totani già puliti e lavati • 1 uovo • La midolla di un panino bagnata nel latte • 100 g di parmigiano grattugiato • 100 g di mortadella • Un niente di noce moscata • 1 spicchio d'aglio • Un po' di maggiorana • 3 pomodori maturi • 1 bicchiere di vino bianco • Un po' di prezzemolo • Sale e pepe • 5 cucchiai d'olio d'oliva • 1/2 cipolla bianca
Nettare i tentacoli dai totani e tritarli finemente con la midolla del
panino, la mortadella, la maggiorana • Amalgamare il tritato con il parmigiano,
la noce moscata e un po' di sale • Con l'impasto riempire i totani e chiuderli
con l'aiuto di uno stecchino o di un apposito spiedino • In una terrina capace,
scaldare l'olio e farvi soffriggere la cipolla, l'aglio e il prezzemolo tritati
per 5 minuti • Aggiungere i totani e, dopo un minuto, il vino bianco • Lasciare
evaporare a fuoco dolce per 7 minuti • Versare i pomodori spellati e passati al
setaccio, aggiustare di sale e pepe e fare cuocere lentamente per circa 3/4
d'ora
Varianti
Si possono diminuire il parmigiano o la midolla di pane sostituendoli con un
po' di verdura (bietole) bollita, strizzata e tritata • Oppure: si può diminuire
la mortadella sostituendola con la verdura • Ancora: se i totani sono
freschissimi e non troppo grossi possono cuocere, con ogni ripieno, anche senza
pomodoro • Con la casseruola coperchiata e un po' d'acqua
Seppie con verdure
Ingredienti • 700 g di seppie fresche (già pulite e lavate) • 1 mazzo di bietole (già pulite e lavate) • 5 cucchiai d'olio d'oliva • 1 bicchiere di vino bianco • 2 spicchi d'aglio • Un po' di prezzemolo • A piacere origano e maggiorana • Sale e pepe Tagliare a striscioline di mezzo centimetro le seppie e farle rosolare, in una terrina, con l'olio, il prezzemolo e l'aglio tritati • Mescolare bene per circa 5 minuti, a fuoco dolce • Versare il vino bianco e farlo evaporare • Mettere l'origano e la maggiorana • Mescolare e cuocere per circa 10 minuti • Aggiustare di sale e pepe e unire le bietole strizzate e tritate grossolanamente • Ultimare la cottura (col coperchio), mescolando di tanto in tanto per 20-25 minuti, a fuoco medio | << | < | > | >> |Pagina 245Le storie della spongataNon si può entrare nel merito dei dolci della Lunigiana senza dedicare la dovuta considerazione alla spongata (a Pontremoli) o spungata (a Sarzana). Le due specialità, tuttavia, non differiscono soltanto per una vocale, come vedremo. Il dato sicuro è che entrambe le versioni costituiscono uno squisito dessert con il quale degustare un calice di Sciacchetrà, il famoso vino passito delle Cinque Terre. Per quanto riguarda la spongata di Pontremoli, le varie ipotesi degli studiosi, confermate anche durante un convegno svoltosi l'1 febbraio 2003 nella elegante cittadina lunigianese e organizzato dall'Accademia italiana della cucina, concordano nell'attribuirle un'origine ebraica. Più precisamente, la ricetta della spongata sarebbe giunta in Italia — in Lombardia e in Emilia Romagna — nel corso del 1500, portata dagli Ebrei sefarditi sfuggiti all'Inquisizione spagnola. Alcuni profughi arrivati nelle varie città — Busseto, Soragna, Piacenza, Cremona, Crema, Mantova, Modena, Reggio Emilia, Parma — aprirono bottega vendendo pani e dolci, tra i quali, soprattutto nel periodo natalizio, le spongate. Particolarmente rinomata è sempre stata, da allora, quella di Brescello, come documentano attendibili testimonianze. Fonti importanti attestano pure che a Soragna, per esempio, la spongata veniva definita "cibo da ebrei". Perché? Un miscuglio di frutta secca e candita, preparato con gli ingredienti reperibili nel territorio di residenza, è previsto nel pranzo di Haroseth, in occasione della Pasqua ebraica, per ricordare le sofferenze della schiavitù in Egitto. Castagne, mandorle, nocciole, pinoli e canditi sostituiscono nella memoria le pietre, la malta e gli sforzi sostenuti dai prigionieri per costruire gli edifici voluti dai Faraoni. A Brescello, il paese di Peppone e don Camillo, la tradizione della spongata è forte e ben radicata. Le cronache locali raccontano infatti di quando, nel 1454, i dolci vennero inviati a Milano al Duca Francesco Sforza. È abbastanza naturale pensare al riconoscimento della bravura di qualche pasticciere del luogo e all'opportunità di offrire una squisitezza rara e buonissima. La ricetta, con tutta probabilità, era molto simile a quella raccolta da Anna Gosetti della Salda a proposito della spongata di Brescello. | << | < | > | >> |Pagina 277I liquori
Elisir di mandarino
Ingredienti • 12 mandarini (o limoni o arance) • 1 l di alcool • 1 kg di zucchero • 1 l di acqua
Si lasciano le bucce dei mandarini in infusione con l'alcool per 10
giorni • Poi, si scioglie lo zucchero in acqua e si aggiunge alla soluzione
alcolica • Si lascia riposare il tutto per due giorni • Si filtra e si conserva
in bottiglie scure per 2 settimane
Nocino
Ingredienti • 30 noci (col mallo, in giugno) • 1 l di alcool • 750 g di zucchero • 2 g di cannella in polvere • 10 chiodi di garofano • 4 dl di acqua • Scorza di un limone a pezzetti Si fa un'infusione di tutti gli ingredienti in una bottiglia adatta • Si lascia da parte per 40 giorni scuotendo di tanto in tanto • Dieci giorni prima di filtrarlo, si assaggia: se fosse troppo forte si diluisce con un po' d'acqua • Si filtra e si conserva in bottiglie scure | << | < | > | >> |Pagina 287GlossarioARBADELA: impasto di farina di granoturco, cipolla e bietole. ARMELETTE (armelete): tagliatelle di farina di castagne e di farina di frumento condite con pecorino, ricotta o sugo di porri. BACCIOCCA: torta di patate o cipolle tra due sfoglie di pasta (Varese Ligure). BARBOTTA (barbotla): impasto di farina di frumento e fiori di zucca (ne esistono diverse versioni). BIANCHETTI: avvannotti di acciughe e sardine; si possono consumare bolliti, in frittelle o in brodo. La pesca – fine inverno – è rigorosamente controllata (Val di Magra). BURNISA: è la cenere (per cuocere le patate e per scaldare i testi). CARSENTA: grosso pane lievitato. Sul fondo del testo di cottura si mettono foglie di castagne. CASTAGNACCI (ciao, a Bagnona): dischi (crépes) di farina di castagne del diametro di circa 20-25 cm preparati nei testi. Si condiscono preferibilmente con ricotta fresca. CRAVA (capra): abitualmente si prepara in umido perché viene cucinata, come la pecora, in tarda età. Prima è più utile per il latte da formaggio. CRUSTIN (grospin): crostino alla maniera toscana, con fegatini e rigaglie. Eccellenti antipasti. CUCINA: zuppa di erbe spontanee preparata a Massa tra novembre e gennaio (prima del germoglio). [...] | << | < | > | >> |Pagina 297Indice delle ricetteAcciughe al verde 182 Acciughe con patate in tegame 183 Acciughe ripiene 182 Acciughe "Tramonti" 183 Agliata di polmone e milza 129 Agnello allo spiedo 150 Agnello arrosto 151 Agnello con carciofi 152 Agnello con i funghi 155 Agnello e porcini alla griglia 151 Agnello fricandò alla castelnovese 155 Amor 274 Anatra farcita 163 Anatra muta con fagioli 162 Anguilla impanata al forno 206 Anguille al forno 1 204 Anguille al forno 2 205 Anguille in umido 203 Anguille marinate 205 Arbadela 63 Aringhe per polenta 203 Arista di maiale da mangiarsi calda 137 Armelette 29 Baccalà al forno 198 Baccalà al latte 199 Baccalà della mamma 202 Baccalà fritto 200 Baccalà in bianco 201 Baccalà in umido 201 Baccalà marinato 198 [...] | << | < | |