Copertina
Autore Gary Marcus
Titolo La nascita della mente
EdizioneCodice, Torino, 2008 [2004], Paperback , pag. 278, ill., cop.fle., dim. 12x18x2 cm , Isbn 978-88-7578-101-9
OriginaleThe birth of the Mind. How a Tiny Number of Genes Creates the Complexities of Human Thought
EdizioneBasic Books, New York, 2004
TraduttoreLuca Tancredi Barone
LettoreCorrado Leonardo, 2008
Classe scienze cognitive , biologia , natura-cultura
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Indice


VII Ringraziamenti

    Capitolo 1
  3 Nessuno dei due è meglio

    Capitolo 2
 19 Nati per imparare

    Capitolo 3
 39 Un cervello in tumulto

    Capitolo 4
 57 L'impulso di Aristotele

    Capitolo 5
 79 La rivincita di Copernico

    Capitolo 6
105 Cablare la mente

    Capitolo 7
131 L'evoluzione dei geni della mente

    Capitolo 8
173 I1 paradosso perduto

    Capitolo 9
193 L'ultima frontiera

    Appendice
209 Metodi per leggere il genoma

223 Glossario
237 Bibliografia
265 Indice analitico


 

 

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Pagina 6

Un ulteriore indizio che i geni debbano giocare un ruolo importante nello sviluppo della mente arriva dai neonati. Entro poche ore dalla loro nascita, i neonati sanno imitare le espressioni facciali, collegare quello che sentono con quello che vedono, distinguere i ritmi dell'olandese da quelli del giapponese e riconoscere qualcuno che li guarda da qualcuno che non lo fa; tutto questo suggerisce che anche con un'esperienza limitata i neonati sono pronti a iniziare a osservare il mondo. Fondandosi sulle idee pionieristiche del linguista Noam Chomsky, gli innatisti (o nativisti), come Steven Pinker e il neuroscienziato cognitivo Stanislas Dehaene, sostengono che i neonati vengono alla luce con un «istinto linguistico» e un «senso numerico» congeniti. La tradizione del neonato come una tabula rasa, plasmato solo dall'esperienza (non soggetto all'influsso dei geni), come ha argomentato efficacemente Pinker, non è più sostenibile.


Oggi questi risultati non dovrebbero sembrarci delle novità. Ma se leggiamo giornali e riviste o la letteratura professionale nel campo della psicologia, troviamo pochissime teorie sulla mente che la mettano apertamente in relazione con i geni; per la psicologia è quasi come se Watson e Crick non si fossero mai imbattuti nel DNA.

Il mio obiettivo in questo libro non è di dimostrare che i geni facciano la differenza - un fatto che non è più seriamente messo in dubbio da nessuno - ma di descrivere come funzionino e di spiegare, per la prima volta, cosa questo implichi per la mente. Non sosterrò che i geni impongano il nostro destino (certamente non lo fanno, e ne spiegherò il perché) e neppure che pesino più della cultura e dell'esperienza (che sono difficili da misurare). La tesi di questo libro è che l'unico modo per capire quello che la natura ci serve in tavola è di studiare quello che i geni fanno effettivamente.

Quasi tutto ciò che viene scritto nella stampa popolare sui geni è fuorviante in un senso o nell'altro. Leggiamo che i geni sono un progetto o una mappa. Ci dicono che sono come libri, biblioteche, ricette, programmi di computer, codici o fabbriche, ma non ci permettono mai di andare a guardare il segreto di quello che i geni fanno davvero. Per questo i lettori non hanno alcun principio su cui basare una valutazione delle diverse affermazioni scientifiche in competizione fra loro. L'evoluzione può aver costruito un istinto linguistico? C'è davvero una carenza di geni? Senza una spiegazione chiara di come funzionino, non c'è modo per rispondere. Che cosa vuol dire, come a volte si legge sul giornale, che è stato trovato il gene per l'alcolismo o l'obesità? Non c'è modo di interpretare l'assalto quotidiano di scoperte biologiche entusiasmanti senza capire cosa i geni fanno effettivamente.

Per capire come i geni influenzino le caratteristiche e le capacità umane dobbiamo innanzitutto abbandonare l'idea consueta di genoma (l'insieme dei geni in un dato organismo) come di un progetto. Il genoma non è uno schema elettrico per la mente o una fotografia di un prodotto finito, anche se i titoli dei giornali lo lasciano così spesso intendere. Si diceva che Athena fosse saltata fuori già adulta dalla testa di Zeus e gli scienziati del XVII secolo noti come "preformisti" credevano che i neonati fossero piccole creature, già pienamente formate, all'interno degli spermatozoi o delle cellule uovo nei quali erano originati. Oggigiorno i biologi hanno capito che nelle prime fasi dello sviluppo non troveremo piccole creature come queste. Ci sono almeno cinque buoni motivi per pensare che i genomi non forniscano un progetto dettagliato che sia in grado di specificare un prodotto finale in dettagli intricati:

• Nei progetti c'è una corrispondenza diretta fra gli elementi del disegno e gli elementi dell'edificio che il progetto descrive. Non c'è questa corrispondenza "uno a uno" tra i geni e le cellule e le strutture che costituiscono un organismo. Per dirla con lo zoologo britannico Patrick Bateson: «L'idea che i geni possano essere paragonati al progetto di un edificio [...] è irrimediabilmente fuorviante perché non sarà possibile trovare una corrispondenza diretta tra piano e prodotto. In un progetto la mappatura funziona in entrambe le direzioni. A partire da una casa finita, si può ritrovare la stanza sul progetto, esattamente come la posizione della stanza viene determinata dal progetto. La mappatura diretta non vale tra geni e comportamento, in nessuna delle due direzioni».

• Un progetto che differisca dell'1% dall'altro porterà a un edificio che differisce dell'1% dall'altro, ma un genoma che differisca per l'1% può portare a una mente radicalmente diversa. Un'unica modifica nella nostra composizione genetica può provocare malattie che vanno dall'anemia falciforme a certi tipi di menomazioni linguistiche. I nostri genomi differiscono dell'1% circa da quello degli scimpanzé, e tuttavia le nostre menti sono radicalmente diverse.

• I genomi sono troppo piccoli per contenere tutti i dettagli che ci si aspetterebbe di trovare se tutti i geni fossero davvero un progetto esatto dello "schema elettrico" della mente. Il genoma umano contiene meno di 100 mila geni — forse addirittura 30 mila, una miseria in confronto ai 20 miliardi e passa di neuroni che troviamo nel cervello. La carenza di geni di Ehrlich va contro ogni idea di genoma come progetto letterale.

• Genomi identici non portano a sistemi nervosi identici. Alla metà degli anni Settanta, il neurobiologo Corey Goodman mostrò che i sistemi nervosi di cloni di cavallette con lo stesso genotipo erano simili ma non identici. Studi più recenti, che utilizzano le tecnologie più attuali per fare brain imaging, hanno mostrato che vale lo stesso per i gemelli umani: i cervelli dei gemelli omozigoti sono simili, ma decisamente non identici.

• Proprio come due gemelli omozigoti non hanno lo stesso cervello, non hanno neppure la stessa mente. Un gemello può essere più ambizioso, l'altro più interessato alla famiglia. Queste differenze sono legate, presumibilmente, alle differenze nella struttura del cervello. Gemelli identici possono differire per peso, religione e persino orientamento sessuale. Anche con un genoma identico, i gemelli identici sono persone distinte con menti distinte.

È chiaro quindi che la metafora del progetto è scorretta. E tuttavia, come vedremo, molte delle discussioni fra innato e appreso (nature e nurture) colano a picco proprio perché queste partono dal presupposto erroneo che i geni siano semplicisticamente dei progetti.

Il secondo equivoco sulla genetica che permane nella mente di molte persone è questo: che un giorno sarà possibile stabilire una volta per tutte se sia l'innato o l'appreso a essere "più importante". I geni sono inutili senza l'ambiente, e d'altra parte nessun organismo potrebbe fare alcun uso dell'ambiente se non fosse per i suoi geni. Chiedersi quale sia più importante è come chiedere se sia più importante il genere maschile o quello femminile.

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Pagina 14

Fino a poco tempo fa non c'era molto altro da aggiungere. Gli scienziati sapevano che sia l'innato sia l'appreso contavano, ma non sapevano né come né perché. Come disse il premio Nobel Peter Medawar nel 1981, allora l'unico strumento in mano ai biologi per studiare gli sviluppi della mente era di studiare le differenze fra gli individui. Qualora avessimo voluto sapere se «una caratteristica comune che posseggono gli esseri umani» (ad esempio, la capacità di imparare una lingua) fosse in qualche modo «codificata geneticamente e parte, dunque, della nostra eredità», saremmo stati bloccati. Queste teorie potevano anche essere vere ma non avevamo modo di verificarle. Il dibattito tra innato e appreso era visto dai più come «uggioso», una questione insolubile.

Molto, però, è cambiato dal 1981, e finalmente siamo nella posizione di poter superare un' impasse che è durata a lungo. Non tentando di decidere chi sia meglio, ma provando a comprendere più adeguatamente come i due - geni e ambiente - funzionino assieme. Tecniche biologiche inventate da poco permettono agli scienziati di determinare il contributo di ciascun gene, e persino di modificare deliberatamente quei geni, lanciando un'impresa scientifica completamente nuova che studia le molecole che aiutano a formare la mente. Scopo di questo libro è di unire i risultati della ricerca scientifica più di punta con gli studi sulla psicologia degli esseri umani e di altri animali - in altre parole, di comprendere a fondo il genoma e utilizzare questa comprensione per rimodernare la nostra conoscenza dell'innato, dell'appreso e di come i due agiscano insieme per creare una mente umana.

Per fare ciò dovrò immergervi nel mondo delle cellule e delle proteine, il regno dove i geni fanno in effetti il loro lavoro. Questo potrà sembrare bizzarro in un libro sulla mente - la maggior parte dei libri sulla mente parlano di psicologia, non di cellule - ma io credo che i meccanismi del mondo cellulare gettino una luce potente sul mondo della mente, e che il mondo della mente non può essere compreso correttamente senza una buona padronanza del mondo cellulare. Il resto sarebbe solo la solita storia, business as usual, "innato contro appreso", ma senza ascoltare il parere della natura.

Ogni teoria che metta al centro del discorso il ruolo dei geni dovrà scontrarsi con due delle sfide più difficili della scienza della mente, che io chiamo i due paradossi. Primo, ogni teoria adeguata deve affrontare la sfida della flessibilità neurale. Per ogni studio che ci dice che un neonato può capire qualcosa del mondo, ce n'è un altro che mostra che il cervello può continuare a funzionare anche se la sua struttura viene alterata. Come può la mente essere strutturata così profondamente e allo stesso tempo essere così flessibile? La seconda sfida è la «carenza di geni» di Ehrlich: come può emergere la complessità del cervello da un genoma relativamente piccolo, 20 miliardi di neuroni contro soli 30 mila geni?


Questo libro, insomma, parla della mente, del cervello e delle molecole che fanno sì che questi due siano come sono. Inizio, nel Capitolo 2, con la mente, chiedendo cosa capisca (e cosa non capisca) un neonato sul mondo. In cosa è diverso un neonato umano da quello di uno scimpanzé o da un uccellino appena uscito dal guscio? Sia come culmine di nove mesi di complicato auto-assemblaggio (effettuato nella comodità del grembo materno), sia come inizio di una vita di apprendimento ed esperienza, la nascita è il momento perfetto per cominciare la nostra ricerca. Come sosterrò, noi siamo nati più che altro per imparare.

Nel Capitolo 3 mi rivolgerò al cervello. Qual è la struttura del cervello di un neonato e com'è collegata alla struttura del cervello di un adulto? Il cuore del Capitolo sarà il paradosso della flessibilità, la tensione fra la struttura apparentemente complicata del cervello di un neonato e l'enorme flessibilità con cui esso si sviluppa. La mia conclusione è che la natura conferisce al neonato un cervello notevolmente complesso, ma uno che si può considerare predisposto (pre-disposto biologicamente, prewired) - flessibile e soggetto al cambiamento - più che programmato (programmato biologicamente, hardwired), fisso e immutabile.

A partire dal Capitolo 4, passerò ai geni e alle proteine, gli ingredienti principali di cui è fatto il cervello. Più che dipingere un quadro, i geni forniscono le "ricette" per le proteine e le istruzioni cruciali per sapere quando quelle ricette devono essere eseguite e messe in uso. La scoperta di queste ricette genetiche è la storia di come gli scienziati sono arrivati a capire la vera natura dei geni.

Subito dopo illustrerò quale sia il contributo che i geni portano al problema della costruzione del cervello, concentrandomi su una semplice verità che non è sorprendente e tuttavia è gravata da profonde implicazioni: nella costruzione del cervello i geni giocano quasi lo stesso identico ruolo che giocano nella costruzione di qualsiasi altra parte dell'organismo. Dal punto di vista della mente, il cervello può sembrare assai speciale - diverso da qualsiasi altra cosa nell'universo - ma dal punto di vista del gene, il cervello è solo una configurazione di proteine più elaborata. Il Capitolo 5 porrà lo sviluppo del cervello umano nel contesto del resto della biologia.

Il Capitolo 6 tratterà di quello che rende così speciale il cervello - il complicato sistema di "cavi" che collega le cellule nervose, e di come questi cavi neurali siano posati e revisionati nel tempo. Il mio scopo è duplice: primo, mostrare quanto siano importanti i geni anche nel processo di cablaggio e, secondo, rivelare quanto venga coinvolto l'ambiente alla fine nel processo di costruzione di una persona.

Nel Capitolo 7 esplorerò le origini dei geni che contribuiscono alla costruzione della mente e proverò a situare il cervello umano nel suo contesto evolutivo. Così facendo, affronterò il problema del perché gli esseri umani, ma non gli scimpanzé, sono in grado di parlare e di acquisire una cultura ricca, considerando che i nostri genomi sono uguali al 98,5%.

Nel Capitolo 8 mostrerò come la comprensione dei geni e delle ricette auto-regolatrici aiuti a superare i due paradossi, come i geni consentano la coesistenza di innato con la flessibilità dello sviluppo e come consentano a strutture complicate di emergere da un genoma relativamente piccolo.

L'ultimo Capitolo cucirà insieme tutti questi fili, mostrando come una sintesi della biologia e delle scienze cognitive stia portando a una nuova visione dell'innato e dell'appreso, e cosa questo possa significare per il nostro futuro.

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Pagina 193

Capitolo 9

L'ultima frontiera


I tre stadi della verità per gli scienziati: 1. Non è vero. 2. Se è vero, non è molto importante. 3. Lo abbiamo sempre saputo. Leo Szilard


Il cuore di questo libro è l'idea molto semplice che quello che vale per l'organismo valga anche per il cervello; ovvero che i meccanismi che costruiscono il cervello siano solo estensioni di quelli che costruiscono l'organismo. Come l'ipotesi stupefacente (the astonishing hypothesis) di Crick - l'idea che la mente sia frutto del cervello - l'idea che il cervello sia frutto dei geni dovrebbe essere (per un orecchio moderno) poco sorprendente, un'idea così naturale da farci chiedere come possiamo averne mai dubitato.

Quello che è davvero nuovo è il debutto di una comprensione più sfaccettata di come funzionino i geni: da soli, insieme e in combinazione con l'ambiente. Nel XXI secolo, anziché ragionare in funzione di astrazioni vaghe, quasi indefinibili come innato e appreso (nature e nurture), saremo in grado di comprendere lo sviluppo della mente e del cervello in funzione di meccanismi biologici specifici. Anziché tentare di decidere "chi sia meglio", proveremo a capire come i due operano insieme, come succede nel caso della formazione delle colonne di dominanza oculare: un esempio perfetto di come l'embrione sembri essere dotato sia di sistemi per la creazione di strutture indipendentemente dall'esperienza, sia di meccanismi in grado di ricalibrare queste strutture sulla base dell'esperienza. Le colonne di dominanza in un organismo maturo sono il prodotti sia dell'innato, sia dell'appreso.

I geni e l'ambiente sono davvero due cose distinte: i geni forniscono delle opzioni di scelta, l'ambiente (come pure gli stessi geni, attraverso i loro prodotti proteici) influenza quali scelte vengono operate. Sfumare la distinzione fra i due - negare la dicotomia - non ci aiuterebbe molto nella nostra comprensione. Ma a che punto rimaniamo con la moderna biologia per quanto riguarda la nostra comprensione della disputa innato-appreso (nature-nurture)?


La natura della natura

Chiunque continui a dubitare che i geni giochino un ruolo significativo, intricato, nel dare una forma alla mente è decisamente in torto. Non c'è carenza di geni. Anche un solo gene, soprattutto se è in cima a una cascata, può avere un effetto enorme. C'è un sacco di posto nel genoma per specificare la struttura iniziale del cervello con grande dettaglio. E tuttavia è necessario riformulare profondamente la nostra concezione della "natura", dell'innato, e dei suoi contributi alla mente, alla luce del concetto di gene.

Il primo problema con la nostra nozione tradizionale del contributo dell'innato alla mente è che è troppo statico. In tutta la cultura popolare, e persino nella letteratura scientifica, i geni (o i genomi) sono spesso trattati come se fossero ritratti ovvi del nostro futuro, dai quali potremmo leggere i nostri talenti, le nostre inclinazioni, i nostri destini. C'è un desiderio straordinario di pensare ai geni come a coloro i quali ci forniscono un contributo unico e statico allo sviluppo di un organismo, un archetipo primitivo o un piano di costruzione - quello che i biologi tedeschi del XVIII secolo chiamavano "Bauplan". In questa prospettiva, qualcosa è innato se è "specificato" nel genoma; se non è specificato nel genoma non è innato. Ma, come abbiamo visto, il rapporto fra geni ed esseri viventi è molto più complesso di così: i biologi molecolari non sono in grado di determinare facilmente dal genoma di un organismo come risulterà il suo prodotto finale. La farfalla Bicyclus anyana (che, lo ricordo, cresce colorata se nasce nella stagione delle piogge ma è grigia se nasce nella stagione secca) e i pesci che cambiano genere (a seconda della presenza o assenza di un grande maschio dominante) mostrano quanto sia obsoleta l'idea "un genotipo-un fenotipo". Lo stesso genoma può essere espresso in molti modi diversi; non esiste alcuna applicazione uno a uno dal genotipo al fenotipo. Anche ciascun gene, in verità, può essere espresso in modi diversi, a seconda di quali altri geni sono espressi attorno a esso e dai segnali che riceve.

Il secondo problema è che, benché i geni e l'ambiente siano davvero distinti, ogni tentativo per districare l'innato dall'appreso è destinato a fallire. L'effettiva realizzazione di qualsiasi genotipo è sempre influenzata dall'ambiente embrionale. La geniale idea dietro all'ormai leggendario scenario del libro Jurassic Park di Michael Crichton - nel quale gli scienziati riescono a ricostruire un dinosauro da un pezzettino di DNA preistorico che si è conservato - sorvola sul fatto che anche le prime fasi dell'espressione genica dipendono dal contesto: ogni proteina ALLORA ha il suo SE e dal momento del concepimento, molti di quei SE sono influenzati dal mondo che circonda l'embrione che sta crescendo. Il DNA di un dinosauro iniettato in uova di rana probabilmente porterebbe a qualcosa di diverso da quello che si otterrebbe iniettando lo stesso DNA in un uovo di dinosauro - visto che il micro-ambiente dell'uovo influenzerebbe inevitabilmente le cascate genetiche che verrebbero espresse. Neppure i fan dell'ambiente dovrebbero scaldarsi troppo, comunque: impiantare il DNA di una rana in un uovo di dinosauro porterebbe ancora meno verosimilmente a un dinosauro. A causa del fatto che le ricette che costruiscono la mente e il cervello sono sempre sensibili all'ambiente, non c'è garanzia che quelle ricette possano convergere a un esito particolare e non ci sarà mai una risposta semplice alle nostre domande su innato e appreso.

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Pagina 197

La natura dell'appreso

Anche la nostra nozione di appreso (nurture) ha bisogno di una revisione. Proprio come non c'è un contributo unico da parte dei geni, non c'è un contributo unico da parte dell'ambiente. Anziché basarsi su un processo di apprendimento e di raccolta di informazioni unico, monolitico, che vada bene per tutti, gli animali possiedono e fanno uso di una collezione diversa di adattamenti neurali e genetici per l'apprendimento. Circuiti neurali specializzati e cascate genetiche permettono agli organismi di estrarre informazioni specifiche dall'ambiente e farne un uso particolare. C'è un'ampia gamma di strumenti nella cassetta degli attrezzi genetica, dai più generali, che ci permettono di associare informazioni arbitrarie, a quelli più altamente specializzati che ci danno un modo per imparare abilità specifiche e informazioni. Per gli uccelli ministri, questo significa uno strumento congenito per imparare qual è il centro della rotazione celeste; per il passero delle paludi significa gli strumenti per essere in grado di analizzare e riprodurre la struttura di una canzone. E per l' Homo sapiens significa strumenti per imparare a comunicare attraverso il linguaggio. Questi meccanismi possono essere menomati selettivamente - un animale può abituarsi a fare senza la capacità di associare, o essere in grado di imparare una lingua anche se non è capace di imparare nulla sul mondo naturale (sindrome di Williams) o viceversa (disturbi specifici del linguaggio). Ci possono essere tanti sistemi per imparare quanti modi ci sono per individuare e analizzare le informazioni. Quello che una creatura vivente può imparare dipende da quali geni possegga.

Senza i geni, l'apprendimento non esisterebbe. I geni sostengono l'apprendimento guidando la crescita delle strutture neurali che rendono l'apprendimento possibile e partecipando (almeno in alcuni casi) all'atto stesso dell'imparare. Nel rafforzamento sinaptico, ad esempio, i segnali ambientali (tradotti dai recettori NMDA che rivelano le coincidenze) lanciano cascate complesse di geni che modificano le sinapsi. Questi esempi ci dicono che non ci può essere appreso senza innato. Ci indicano anche una riflessione più radicale: in via di principio, lungo il corso dell'evoluzione, ogni cascata genetica potrebbe aver giocato il ruolo di acqua per il mulino del controllo ambientale - una riflessione che a sua volta indica che l'idea tradizionale di apprendimento potrebbe avere sottostimato l'appreso tanto quanto l'innato.

Proprio come un gene può partecipare alla costruzione di molto più che un unico neurone (a patto che gli altri geni siano già al loro posto), l'appreso potrebbe essere in grado di fare molto più con uno stimolo che cambiare una unica sinapsi. Nonostante gli psicologi evolutivi spesso tendano a pensare all'apprendimento come un processo lento e graduale di modificazione, sinapsi per sinapsi, l'apprendimento - attivando cascate a raggio più grande - potrebbe innescare tipi di riorganizzazione neuronale assai più spettacolari. L'apprendimento che proviene dall'esperienza in un pelo di gatto, ad esempio, potrebbe indurre alla nascita di un barrel field nella corteccia completamente nuovo; non dovendo specificare ogni suo dettaglio attraverso un lungo processo per tentativi, ma reclutando cascate che si sono gia evolute per costruire barrel fields indipendentemente dall'esperienza. Attivare l'ambiente sociale di un pesce ciclide, da uno in cui è sottomesso a uno in cui può dominare, può innescare l'espressione di molte decine di geni, portando a cambiamenti nel colore, aumento delle dimensioni di alcuni dei neuroni del pesce e cambiamenti radicali di comportamento. Questi pesci non hanno bisogno di imparare per tentativi come comportarsi da pesci sottomessi o dominanti; usano invece l'esperienza per passare da un programma genetico evoluto all'altro. Esempi come questi grattano solo la superficie, dando un'idea limitata di quando un organismo possa fare con l'esperienza quanto quella esperienza è legata a cascate complesse di espressioni geniche. Le teorie su quello che l'ambiente può fare su di un organismo solitamente hanno cercato di rimanere indipendenti dai geni, ma i sistemi biologici quando sfruttano l'ambiente in realtà non lo sono mai. Dove c'è apprendimento, c'è un meccanismo genetico sottostante, e dove c'è un'abbondante regolazione genica, c'è la possibilità di un apprendimento abbondante.

Come però non c'è una "preformazione", e non c'è un progetto, non si può neppure sfuggire dall'ambiente. I geni non garantiscono prodotti particolari: piuttosto, forniscono opzioni particolari. Per ogni gene c'è un SE, e associata a quel SE c'è una opzione. In molti casi, quelle opzioni sono selezionate basandosi sui segnali dell'ambiente. Ed è per questa ragione, più di ogni altra, che la risposta alla disputa innato-appreso non è l'uno o l'altro, ma è tutti e due.

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