Autore Herman Melville
Titolo L'uomo di fiducia
EdizioneGarzanti, Milano, 2020, I grandi libri , pag. 374, cop.fle., dim. 11x18x2,5 cm , Isbn 978-88-11-81314-9
OriginaleThe Confidence-Man [1856]
PrefazioneNemi D'Agostino
TraduttoreGiuseppe Maugeri
LettoreMargherita Cena, 2020
Classe classici statunitensi












 

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Pagina 3

Capitolo I
Un muto s'imbarca su un battello lungo il Mississippi



Un primo di aprile, all'alba, sul molo della città di St Louis fece la sua improvvisa comparsa, come Manco Capac sul lago Titicaca, un uomo in abiti color crema.

Chiaro di carnagione, e con un accenno di peluria sul mento, aveva i capelli biondicci e indossava un cappello bianco di morbida pelliccia. Non aveva casse né valigie, e nemmeno sacche da viaggio o pacchi. Nessun facchino al seguito. Nessun amico. A giudicare dalle alzate di spalle, dalle risatine e dai borbottii incuriositi della gente, si trattava con tutta evidenza di un forestiero, nell'accezione più completa del termine.

Appena arrivato s'imbarcò su uno dei pirosgafi più frequentati, il Fidèle, proprio allora in procinto di salpare per New Orleans. Al centro dell'attenzione generale, ma senza che alcuno gli rivolgesse un saluto, con l'aria di chi non cerca né rifugge considerazione, per tenere senza scossoni la via del dovere - ovunque essa conduca: alla solitudine o alla ressa - proseguì lungo il ponte inferiore finché, accanto all'ufficio del capitano, non s'imbatté in un cartello che offriva una ricompensa per la cattura di un fantomatico impostore, presumibilmente appena giunto dall'Est; un genio abbastanza originale nella sua propensione, a quanto pareva, benché non venisse specificato con chiarezza in cosa consistesse tale originalità. Veniva comunque riportata quella che voleva essere una descrizione accurata della sua persona.

Quasi fosse la locandina di un teatro, la folla si accalcava attorno all'annuncio, compresi alcuni cavalieri con gli occhi evidentemente puntati sui portafogli o, quanto meno, intenti a indovinarne la presenza dietro lo schermo dei soprabiti. A parte le dita, costoro sembravano immersi in una qualche chimera; tuttavia, in un fortuito intermezzo, uno di loro scoprì per certi versi il proprio gioco acquistando da un suo pari - un venditore ambulante ex officio di cinture portadenaro - uno dei suoi popolari dispositivi di sicurezza, mentre un altro piazzista, poliedrico avventuriero a sua volta, andava mercanteggiando, tra la folla, la vita di Measan, il bandito dell'Ohio, di Murrel, il pirata del Mississippi, e dei fratelli Harpe, i banditi della contea di Green River, nel Kentucky: tutti soggetti che, insieme ad altri, erano già stati sterminati, all'epoca, lasciando tutto sommato, come avvenuto ai lupi cacciati per generazioni nelle stesse regioni, un numero esiguo di successori; motivo, questo, che si direbbe di genuino consenso, e che infatti lo è, se non si pensa che, nei paesi giovani, là dove si uccidono i lupi, aumenta il numero delle volpi.

Facendosi strada tra la calca, il forestiero raggiunse il cartello e, dopo aver tirato fuori una lavagnetta e averci tracciato qualche parola, la sollevò all'altezza dell'avviso, così che chiunque leggesse il primo avrebbe letto anche il messaggio riportato sull'altra. Ovvero:

LA CARITÀ NON PENSA IL MALE

Poiché per conquistarsi quel posto era stata inevitabile una certa perseveranza, per non dire un'inoffensiva insistenza, la gente non si mostrò esattamente entusiasta dell'evidente intrusione; e, dopo un più attento esame, non scorgendo in lui alcun segno di autorità, quanto piuttosto il contrario, essendo il suo aspetto singolarmente innocente - un aspetto, tra l'altro, che parve in qualche modo inappropriato ai presenti, inclini a valutare più o meno allo stesso modo la scritta: prendendolo, cioè, per uno strambo sempliciotto, abbastanza innocuo se fosse rimasto sulle sue, ma non del tutto gradevole come intruso -, non si fece scrupolo di spintonarlo; e qualcuno, meno cortese degli altri, evitando di farsi vedere, gli appiattì con destrezza il cappello di pelo sul capo. Senza darsi la pena di risistemarlo, e senza aprire bocca, il forestiero si girò, scrisse qualche altra parola sulla lavagnetta e la sollevò di nuovo:

LA CARITÀ È PAZIENTE, È BENIGNA

Indispettita da cotanta pertinacia - ché tale fu giudicata, in effetti -, la folla lo spinse da parte per la seconda volta, non senza qualche epiteto e qualche manata, che tuttavia non scatenarono reazioni. Ma, quasi che infine disperasse davanti a un'impresa tanto ardua come quella di imporre la propria presenza resiliente a personaggi così combattivi, il forestiero si scostò lentamente, non prima di aver modificato la scritta come segue:

LA CARITÀ TUTTO SOPPORTA

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Poco dopo - effettuate due o tre fermate di poco conto e svanito ormai l'ultimo ricordo dell'uomo assopito (il quale, probabilmente, si era infine svegliato per sbarcare) - la folla, come di consueto, prese a scomporsi qua e là in gruppi e gruppetti, che in certi casi si disgregavano poi in quartetti, terzetti, coppie o singole unità; sottomettendosi involontariamente a quella legge di natura che prevede la dissoluzione di ogni massa e, in pari misura, col tempo, dell'elemento particolare.

Come tra i pellegrini di Chaucer sulla via per Canterbury, o tra gli orientali che nel mese solenne attraversano il mar Rosso diretti alla Mecca, la varietà non mancava di certo. Nativi di ogni sorta e gente di fuori; uomini d'affari e uomini in viaggio di piacere; salottieri e bifolchi; cacciatori di professione e cacciatori di fama; cacciatori di ereditiere, di oro, di bufali, di api, di felicità, di verità e cacciatori - ancora più astuti - di tutti questi cacciatori. Distinte dame in pianelle e squaw con i mocassini; nordici speculatori e filosofi orientali; inglesi, irlandesi, tedeschi, scozzesi e danesi; mercanti di Santa Fe avvolti in coperte a righe e cascamorti di Broadway con foulard dorati; aitanti battellieri del Kentucky e coltivatori di cotone del Mississippi in tutto simili a giapponesi; quaccheri in abiti tristi e soldati in uniforme; schiavi, neri, mulatti e quarteroni; giovani creoli spagnoli alla moda ed ebrei francesi all'antica; mormoni e papisti; lazzari e ricchi epuloni; giullari e prefiche, astemi e festaioli, diaconi e crumiri; battisti rigorosi e mangiatori di argilla; negri sorridenti e capi Sioux solenni come alti sacerdoti. In breve, un parlamento variopinto, un consesso alla Anacharsis Cloots di tutte le categorie di quella specie multiforme e pellegrina che è l'uomo.

Come il pino, il faggio, la betulla, il frassino, il larice americano, l'abete canadese, il peccio, il tiglio e l'acero intrecciano le loro fronde nelle foreste, così queste varietà di mortali fondevano facce e fogge differenti in un guazzabuglio tartaro, in una sorta di abbandono e impudenza pagana. Su tutto regnava lo spirito impetuoso e aggregante dell'Ovest, il cui emblema è il Mississippi stesso che, mischiando i flutti delle zone più remote e diverse, le riversa alla rinfusa in un'unica marea cosmopolita e audace.

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Pagina 62

Capitolo VIII
Una signora caritatevole



Se un beone in un impeto di sobrietà è il più noioso dei mortali, un entusiasta in un impeto di raziocinio non è certo il più esuberante. E senza che questo pregiudichi in alcun modo la sua accresciuta capacità di comprensione; se la sua esultanza era stata il culmine della sua follia, il suo sconforto è infatti la massima manifestazione della sua integrità mentale. Fu un po' questo che, almeno in apparenza, avvenne con l'uomo in grigio. Se la compagnia gli aveva fatto da stimolo, la solitudine lo spinse verso il letargo. A differenza di quanto avviene ai veterani della solitudine, che spira come brezza marina da mille leghe di vuoto, lui non la trovava granché corroborante. In breve, lasciato a sé stesso, senza nessuno che lo scuotesse dall'indolenza, assunse insensibilmente l'aspetto originario, uno stato di quiescenza in cui al contegno si fondeva una mesta umiltà.

Dopo un po', si dirige a rilento verso il salone delle signore, come alla sconfortata ricerca di qualcuno; ma, una volta scoccata qualche occhiata delusa in giro, sprofonda in un divano con un'aria di esausta, malinconica depressione.

All'estremità opposta del divano siede una donna gradevole e florida, il cui aspetto sembra suggerire che, se mai dovesse avere un punto debole, non sarebbe certo mancanza di buon cuore. Dall'abito crepuscolare, né alba né oscurità, si direbbe una vedova in procinto di rompere la crisalide del lutto. In mano regge un piccolo Testamento dorato che ha appena finito di leggere. In un mezzo abbandono, con gli occhi sognanti, tiene un dito inserito al capitolo XIII della prima lettera ai Corinzi, alla cui lettura è stata spinta, forse, dalla recente scena del muto e della sua lavagnetta ammonitrice.

Non ha più negli occhi il libro sacro eppure, così come a sera, a ovest, le colline continuano a splendere anche dopo il tramonto, il suo volto pensoso conserva un'ombra di tenerezza malgrado abbia già dimenticato la fonte dell'insegnamento.

Ben presto, però, il suo sguardo finisce per essere attirato dall'espressione del forestiero. E non si tratta di uno sguardo affettuoso. In quell'indagine inquisitoria, il volume le cade di mano. Le viene raccolto. Nessuna invadenza, nel gesto: solo disadorna cortesia. Gli occhi della signora scintillano. Evidentemente, il gesto non ha mancato di impressionarla. Subito dopo, chinandosi verso di lei, in un tono basso e triste, pieno di deferenza, il forestiero bisbiglia: «Perdoni la libertà, signora, ma c'è qualcosa nel suo volto che stranamente mi attrae. È una sorella in Cristo, se posso chiedere?».

«Ma... davvero... lei...»

Preoccupato dal suo imbarazzo, il forestiero si affretta a mitigarlo, pur senza darlo a vedere. «Qui un confratello si sente isolato», dice occhieggiando le signore agghindate sullo sfondo. «Non trovo nessuno a cui aprire l'anima. Forse sarò in errore - anzi, so di esserlo - ma non riesco a costringermi ad aprirmi verso la gente del mondo. Preferisco la compagnia, silenziosa quanto si vuole, di un fratello o di una sorella di buona reputazione. A proposito, signora, posso chiederle se ha fiducia?»

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Capitolo XXXIX
Ipotetici amici



«Charlie, intendo riporre in te la mia fiducia.»

«L'hai sempre fatto, e a ragione. Di che si tratta, Frank?»

«Charlie, ho bisogno... urgente bisogno di denaro.»

«Questo non è un bene.»

«Ma andrà bene, Charlie, se mi presti cento dollari. Non vorrei chiederteli, ma ne ho davvero un'urgenza penosa, e io e te abbiamo così a lungo condiviso il cuore e la mente, per quanto in maniera inadeguata da parte mia, che non rimane altro per testimoniare la nostra amicizia che condividere anche la borsa, con la stessa inadeguatezza per quanto mi riguarda. Mi farai questo favore, vero?»

«Favore? Che cosa intendi quando mi chiedi un favore?»

«Che c'è, Charlie? Non mi hai mai parlato così!»

«Neanche tu, Frank, mi hai mai parlato così!»

«Dunque non mi presterai i soldi?»

«No, Frank.»

«Perché?»

«Perché la mia regola di condotta me lo impedisce. Io i soldi li regalo ma non li do mai in prestito. E, naturalmente, l'uomo che si fa chiamare mio amico è al di sopra dell'elemosina. Negoziare un prestito è una transazione commerciale, e io non voglio in alcun modo mischiare affari e amicizia. Un amico è tale socialmente e intellettualmente, e io attribuisco troppa importanza all'amicizia sociale e intellettuale per ridurne entrambi gli aspetti a una trovata pecuniaria. Esistono certo i cosiddetti amici di affari, ovvero tutte quelle persone con cui si lavora proficuamente, e anch'io ne ho. Ma tra costoro e gli amici veri, i miei amici sociali e intellettuali, traccio una linea rossa. E un vero amico non ha nulla a che fare con i prestiti: il suo animo deve starne al di sopra. I prestiti sono intese niente affatto amichevoli stipulate in seno alla corporazione senz'anima di una banca, fornendo regolari garanzie e pagando regolari interessi.»

«Un'intesa niente affatto amichevole? Sono parole che si accostano bene?»

«Come un povero, vecchio contadino e la sua mucca: non vanno bene insieme, ma servono allo scopo. Sta' a sentire, Frank: un prestito di denaro a interesse è una vendita di denaro a credito. Vendere una cosa a credito può essere considerato una forma d'intesa, ma dov'è il lato amichevole? Pochi uomini di senno, a eccezione di chi opera nella finanza, prendono in prestito denaro a interesse, se non spinti da una necessità simile alla fame. Bene, ora dov'è il lato amichevole se, per esempio, concedo a un affamato l'equivalente in denaro di un barile di farina a condizione che, in un dato giorno, mi restituisca l'equivalente di un barile e mezzo, in special modo se aggiungo l'ulteriore condizione che, se mai dovesse mancare di farlo, per rientrare di quel barile e mezzo metterò il suo cuore all'asta, e giacché è crudele fare a pezzi una famiglia, ci metterò anche la moglie e il figlio?»

«Capisco», rispose il cosmopolita con un brivido patetico. «Ma se anche si giungesse a questo, un tale passo da parte del creditore dipenderebbe (almeno si spera, a onore della natura umana) non tanto dall'intenzione quanto dalla contingenza.»

«Ma, Frank, è una contingenza contro cui non ci si è tralasciato di premunirsi al momento di stipulare le dovute garanzie.»

«Eppure, Charlie, il prestito non è stato forse inizialmente inteso come atto amichevole?»

«Allo stesso modo in cui l'asta pubblica alla fine è un atto ostile. Non vedi? L'ostilità si annida nell'amicizia proprio come il sollievo nella rovina.»

«Sarà che oggi sono particolarmente stupido, Charlie, ma proprio non ci arrivo. Scusami, mio caro amico, ma ho come l'impressione che più ti addentri nella filosofia dell'argomento, meno vai in profondità.»

«Così disse l'incauto inoltrandosi nell'oceano, che prima di annegarlo gli rispose: "È proprio il contrario, mio fradicio amico".»

«Questa, Charlie, è una favola tanto ingiusta verso l'oceano, quanto certe di Esopo lo sono nei confronti degli animali. L'oceano è magnanimo: si rifiuterebbe di ammazzare un poveraccio, e tanto meno di farlo schernendolo. Ma proprio non capisco quello che dici sull'ostilità che si annida nell'amicizia, e sulla rovina che si annida nel sollievo.»

«Te lo illustrerò, Frank. L'uomo bisognoso è un treno deragliato. Chi gli presta denaro a interesse lo aiuta a riportare il treno sulle rotaie, salvo poi, per rimettersi in pari e guadagnarci qualcosa, telegrafare a un suo agente, sito nei pressi di un precipizio distante trenta miglia, per dirgli di lasciare una trave di traverso sui binari proprio in quel punto. L'interessato amico del bisognoso è, lo ripeto, un amico con una riserva di ostilità. Dunque no, mio caro amico: nessun interesse per me. Io disprezzo gli interessi?»

«Bene, Charlie, nessuno ti chiede di esigerli. Prestami del denaro senza interessi.»

«In tal caso sarebbe elemosina,»

«Anche se la somma presa in prestito viene restituita?»

«Certo: si elemosina non il capitale, ma l'interesse.»

«Be', io mi trovo in una situazione di urgente bisogno, quindi non rifiuterò l'elemosina. Trattandosi di te, Charlie, sarò grato di accettare l'elemosina dell'interesse. Non c'è umiliazione, tra amici.»

«Via, come puoi tollerare di esprimerti in questo modo nel quadro di un'amicizia raffinata, mio caro Frank! Mi rattrista. Benché io non condivida l'amaro parere di Salomone, secondo cui nell'ora del bisogno uno sconosciuto è meglio di un fratello, tuttavia concordo pienamente con il mio sublime maestro, il quale, nel suo Saggio sulla Amicizia, dice così nobilmente che in caso di un bisogno terrestre non si rivolgerebbe al suo amico celeste (o al suo amico sociale e intellettuale). No: per un bisogno terrestre ricorre all'amico terrestre (ovvero l'amico in affari). E con estrema lucidità ne spiega il motivo: perché è sconveniente che una natura superiore, che in nessun caso può abbassarsi a fare del bene, venga importunata da una richiesta in tal senso, quando esiste già una natura inferiore che non ha modo di elevarsi al di sopra di quella possibilità.»

«Allora non ti considererò come mio amico celeste, ma come quell'altro.»

«Mi duole dover arrivare a questo, ma per rivolgerti una cortesia lo farò. Siamo amici di affari. E gli affari sono affari. Vuoi negoziare un prestito: benissimo. Su quali basi? Mi verserai un interesse mensile pari al tre per cento? Dove sono le garanzie?»

«Non esigerai certo simili formalità da un tuo vecchio compagno di scuola col quale così spesso hai battuto i boschetti dell'Accademia, discettando della bellezza della virtù, della grazia e della bontà d'animo. Per una somma così irrisoria, poi! Garanzie? L'essere stati amici d'infanzia e compagni di Accademia: ecco le garanzie.»

«Scusami, caro Frank, ma non c'è garanzia peggiore dell'essere stati compagni di Accademia. La nostra amicizia ai tempi dell'infanzia, poi, non rappresenta alcuna garanzia. Dimentichi che adesso siamo amici d'affari.»

«E tu, Charlie, dimentichi da parte tua che, in quanto tuo amico d'affari, non posso fornirti nessuna garanzia: le ristrettezze in cui verso al momento sono tali da non consentirmi di trovare un garante.»

«Senza un garante, niente prestito.»

«Visto che non riesco a convincerti né come amico del primo tipo né come amico del secondo... se ti pregassi assommandone le vesti?»

«Sei forse un centauro?»

«Stando così le cose, dunque, che bene mi deriva dunque dalla tua amicizia?»

«Il bene che è nella filosofia di Mark Winsome, tradotta in pratica dal suo pratico discepolo.»

«Tanto vale aggiungere: buon pro mi faccia! Ah!» disse poi in tono di supplica. «Cos'è mai l'amicizia, se non mano soccorritrice e cuore empatico, il buon Samaritano che in base al bisogno attinge ora alla borsa, ora alla fiala!»

«Suvvia, mio caro Frank, non essere infantile! Con le lacrime agli occhi, l'uomo non scorge mai la strada nelle tenebre. Ti riterrei indegno della sincera amicizia che ti porto, se dovessi ritenerlo un ideale troppo alto perché tu lo concepisca. E lascia che telo dica, caro Frank: scuoteresti seriamente le fondamenta del nostro affetto, dovessi mai ripetere questa scena. La filosofia che più mi appartiene è maestra di schiettezza. Consentimi, quindi, visto che il momento è adatto, di rivelarti candidamente determinate circostanze che sembri ignorare. Benché la nostra amicizia abbia avuto origine ai tempi dell'infanzia, non pensare che, almeno da parte mia, si sia trattato di una scelta poco avveduta. I ragazzini sono uomini in piccolo, così si dice. Da giovane ti ho scelto come amico per le tue qualità di allora: non ultime delle quali le buone maniere, il modo di vestire, il rango sociale e la ricchezza dei tuoi genitori. Per farla breve, come un qualsiasi adulto, ragazzino com'ero sono andato al mercato ho scelto il montone grasso, non quello magro. In altre parole, sembravi portare con te - lo scolaretto con sempre qualche moneta in tasca - la ragionevole probabilità che non ti saresti mai trovato nel magro bisogno di un grosso aiuto; e se la mia prima impressione non ha trovato conferma negli eventi, si deve solo al capriccio della sorte, cui va ricondotta la fallibilità delle umane aspettative, benché discrete.»

«Oh, dover sentire questa rivelazione a sangue freddo!»

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Capitolo XLV
Il cosmopolita si fa sempre più serio



Appesa al soffitto, al centro della cabina passeggeri ardeva una lampada solare, il cui paralume di vetro smerigliato irradiava, in trasparenza, i fantasiosi contorni di un altare a due corna, da cui si ergeva, tra le fiamme, la figura di un uomo togato con il capo cinto da un alone. La luce della lampada, colpendo con un riflesso circolare e abbagliante il ripiano di marmo di un tavolo sottostante, si espandeva in tutte le direzioni con intensità decrescente, fino a che, come i cerchi creati da un sasso lanciato in acqua, i suoi raggi non si estinguevano negli angoli più lontani.

Qua e là, in base alle esigenze del posto, benché rispondessero poco alle loro funzioni, pendevano, come sterili pianeti, altre lampade, consumatesi da sole o spente dagli occupanti delle cuccette, intenzionati a dormire più che a vedere.

Un tizio perverso, in una cuccetta poco distante, avrebbe voluto spegnere anche l'ultima lampada, se un assistente dell'equipaggio non glielo avesse vietato, spiegandogli che il capitano aveva ordinato dovesse restare accesa fino alle prime luci del giorno. L'assistente, che, come molti colleghi, era solito parlare schietto, era stato obbligato dalla pertinacia dell'uomo a ricordargli non solo le tristi conseguenze che sarebbero potute derivare lasciando la cabina completamente al buio, ma anche il fatto che, in compagnia di tanti sconosciuti, un tale desiderio di oscurità fosse a dir poco sconveniente. Così, l'ultima sopravvissuta tra le lampade rimase accesa, intimamente benedetta da alcuni, intimamente detestata da altri.

Sveglio sotto quella lampada solitaria, che gli illuminava il libro sul tavolo, sedeva un vecchio distinto e avvenente, col capo candido come il marmo e il volto simile a quello che la fantasia attribuisce al buon Simeone quando, avendo infine contemplato il Maestro della Fede, lo benedì prima di andarsene in pace. Dall'aspetto arzillo nonostante l'età avanzata, e dalla pelle scurita delle mani - un colorito acquisito non tanto nell'ultima estate, ma nel corso degli anni -, il vecchio sembrava un agiato agricoltore, felicemente ritiratosi dopo una frugale vita di lavoro, dai campi al caminetto - uno di quelli che a settant'anni hanno il cuore di un quindicenne, uno per cui la solitudine è una manna più ancora della sapienza, poiché lo spedisce al cielo non contaminato da un mondo che non hanno conosciuto, alla stregua di un contadino che, alloggiando in una locanda di Londra, e senza mai uscire per visitarla, se ne riparte infine senza mai essersi smarrito nelle sue nebbie, o sporcato del suo fango.

Con ancora addosso il profumo del negozio di barbiere, e con il passo di uno sposo diretto alla camera nuziale, ecco arrivare il cosmopolita, che con il suo piglio allegro diffonde come un'aria mattutina in quella notte. Accortosi però del vecchio, e dell'occupazione in cui era assorto, si trattenne dal parlare e, a passo lieve, andò a sedersi al lato opposto del tavolo, sfoggiando un'espressione quasi di attesa.

«Signore», disse il vecchio, dopo averlo osservato perplesso per un istante, «dal modo ansioso in cui mi guarda sembrerebbe che questa sia una taverna, che siamo in guerra e che io stia leggendo belle notizie sull'unica copia disponibile di questo giornale.»

«E lei ha belle notizie, signore: anzi, le migliori.»

«Troppo belle per essere vere», si udì dire qualcuno da dietro la tenda di una cuccetta.

«Ha sentito?» disse il cosmopolita. «Qualcuno parla nel sonno.»

«Sì», disse il vecchio, «e anche lei sembra parlare in sogno. Perché parla di notizie, signore, quando avrà di certo notato che sto leggendo la Bibbia e non un giornale?»

«Lo so, e quando avrà finito, non un momento prima, le sarò grato se me la passa. È di proprietà del battello, credo: dono di qualche confraternita.»

«Oh, ma la prenda pure!»

«No, signore, non era mia intenzione disturbarla. Le stavo semplicemente spiegando il motivo della mia attesa, tutto qui. Continui a leggere, signore, o mi darà un dispiacere.»

Una premura, questa, che non risultò priva di effetto. Sfilandosi gli occhiali, e sostenendo di aver quasi finito il capitolo, il vecchio gli porse gentilmente il volume, che fu accolto con pari gentilezza. Dopo aver letto per qualche minuto, con un'espressione che da attenta si fece seria e poi quasi afflitta, il cosmopolita ripose lentamente il libro e, rivolgendosi al vecchio, che intanto lo guardava con benigna curiosità, disse: «Mio attempato amico, potrebbe risolvermi un dubbio che m'inquieta?».

«Vi sono dubbi, signore», rispose il vecchio con espressione mutata, «che se toccano un uomo non è certo lui che può risolverli.»

«È vero. Ma ascolti qual è il mio dubbio. Io sono uno di quelli che pensano bene dell'uomo, che amano l'uomo e che nell'uomo hanno fiducia. Ma cosa mi è stato detto nemmeno mezz'ora fa? Mi è stato detto che in questo libro avrei trovato scritto: "Non fidarti delle sue molte parole - Il nemico ha il dolce sulle labbra", e altre cose del genere. Non riuscivo a crederci: e ora, venuto a vedere con i miei occhi, che cosa leggo? Non solo le frasi appena citate ma anche, come annunciato, molte altre dello stesso tenore, tipo: "Con la sua molta loquacità ti metterà alla prova; ti sorriderà e ti darà una speranza, ti rivolgerà belle parole e domanderà: 'Di che cosa hai bisogno?'. Se puoi essergli utile, approfitterà di te; ti spoglierà e non ne avrà alcuna pena; guardati e sta' attento. Quando ascolti queste cose nel sonno, svegliati".»

«Chi è che descrive l'uomo di fiducia?» si udì ancora dalla cuccetta.

«Dorme a occhi aperti, eh?» disse il cosmopolita, guardandosi intorno con aria sorpresa. «La stessa voce di prima, non è vero? Che strano tipo di uomo sognante! Qual è la sua cuccetta, di grazia?»

«Non gli dia peso, signore», disse il vecchio, con ansia. «Piuttosto mi dica: quelle frasi le ha davvero lette nel libro?»

«Proprio così», rispose il cosmopolita con mutato atteggiamento. «E sono fiele e assenzio, per chi come me ha fiducia nell'uomo. Per chi come me è un filantropo.»

«Ma come», disse il vecchio, turbato, «intende dire davvero che quelle frasi provengono da lì? Sono settant'anni che leggo quel libro e non ricordo di aver mai visto nulla di simile. Mi lasci guardare», concluse tutto serio, alzandosi e girandogli dietro le spalle.

«Ecco: qui e poi qui», disse il cosmopolita sfogliando le pagine e indicando le frasi una per una. «Qui, tutte scritte nella Saggezza di Gesù, figlio di Sirach.»

«Ah!» esclamò il vecchio, illuminandosi. «Ora ho capito. Guardi», disse, separando le pagine così che tutto il Vecchio Testamento risultasse da un lato e il Nuovo dall'altro, e sostenendo verticalmente tra le dita la parte in mezzo. «Ecco, signore: tutto quello c'è a destra è verità certa, così come tutto quello che c'è a sinistra, mentre gli scritti che tengo in mano sono apocrifi.»

«Apocrifi?»

«Sì, c'è pure scritto nero su bianco», rispose il vecchio, indicando il punto. «E cosa vuol dire? "Non garantiti." Come definiscono infatti gli studiosi una cosa del genere? Dicono che è apocrifa. Il termine, così ho sentito dal pulpito, implica incerta attribuzione. Se il suo turbamento deriva dunque da questi apocrifi», chiosò riprendendo le pagine, «allora non se ne faccia pensiero: perché sono apocrifi, appunto.»

«Cos'è che dice dell' Apocalisse?» si udì una terza volta dalla cuccetta.

«Adesso ha le visioni, non le pare?» disse il cosmopolita, guardando verso il punto da cui provenivano le interruzioni. Per poi riprendere il discorso: «Signore, non saprei dirle quanto le sono grato per avermi ricordato degli apocrifi, la cui natura, al momento, mi era sfuggita. Il fatto è che, essendo unite a tutte le altre parti, a volte si fa confusione. La parte non canonica dovrebbe avere una propria rilegatura. E, ora che ci penso, han fatto proprio bene, quegli edotti, a rigettare in toto questo libro di Sirach. Non ho mai letto niente che sia così mirato a distruggere la fiducia dell'uomo nel prossimo. Questo figlio di Sirach dice persino - l'ho letto un istante fa: "E dai tuoi amici guardati". Non, badi bene, dagli amici apparenti, dagli amici ipocriti, dai falsi amici, ma dai tuoi amici, i tuoi veri amici: vale a dire, implicitamente, che non ci si può fidare dell'amico più caro al mondo. Potrebbe competere La Rochefoucault con una cosa del genere? Non mi stupirei se la sua visione della natura umana, come quella di Machiavelli, derivasse da questo Figlio di Sirach. E definirla saggezza, la Saggezza del Figlio di Sirach! Saggezza, davvero! Che cosa orrenda dev'essere allora! Datemi la follia che infossa le guance, dico io, piuttosto che questa saggezza che rapprende il sangue. Ma no, no, non è saggezza: sono apocrifi, come dice lei, signore. Che fiducia si può mai riporre in un libro che insegna la sfiducia?»

«Ve lo dico io», esclamò a questo punto la stessa voce di prima, solo un po' meno canzonatoria. «Se non ne sapete abbastanza da andarvene a letto, non tenete sveglio chi ne sa di più. E se volete sapere cos'è la saggezza, la troverete sotto le coperte.»

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