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| << | < | > | >> |Indice7 Introduzione di Emanuele Trevi Conoscenza dagli abissi 21 I Come agiscono le droghe? 41 II La psilocibina (Esperienze e autocritica) 71 III La mescalina e la musica 85 IV Cannabis indica (La canapa indiana) 89 1. TAPIS ROULANT IN MOVIMENTO 112 2. DIETRO LE PAROLE (Tentativo di analisi di alcune sequenze) 131 3. TALVOLTA CONDOTTO DALLA CANAPA, TALVOLTA CONDUCENDOLA CON ME Relazione A) Un convegno intimo B) Wozzeck C) I giganti D) Echi, scambi in ogni senso E) F) Decifrare i volti G) Letture sotto hascisc 155 V Situazioni-abisso (Difficoltà e problemi che incontra l'alienato) 159 1. L'IMPRESSIONE DI STRANO, DI STRANIERO. DA CHE È COSTITUITA. SUE CONSEGUENZE. 165 2. CAOS. TRAGEDIA DELL'INTENSITÀ. VISIONI INTERIORI. VISIONI ALLUCINATORIE. 171 3. AUDIZIONI INTERIORI. ALLUCINAZIONI AUDITIVE. IL PROBLEMA DELLE VOCI. 181 4. ALLUCINAZIONI DEL GUSTO, DELL'ODORATO E DI TUTTI I SENSI. BABELE DELLE SENSAZIONI. 187 5. AUMENTO DELL'IMPRESSIONE DI COMPRENDERE. IL SENTIMENTO D'EVIDENZA. IL SAPERE PER ILLUMINAZIONE. 190 6. LE NOIE CHE HA COL PROPRIO PENSIERO. RADICALI IN LIBERTÀ. PENSIERI CHE SI DILEGUANO. OBLITERAZIONI PERIODICHE. PENSIERI IN LISI. PENSIERI OSCILLATORI. PENSIERI XENOPATICI. PENSIERI SCOTOMIZZATI. ECLISSI MENTALI. 200 7. COMMERCIO CON L'INFINITO. «HOMO METAPHYSICUS». TEOMANIA. 204 8. DIFFICOLTÀ E TRAPPOLE IN CUI S'IMBATTONO GLI ALIENATI. L'UOMO SFRENATO. FEBBRE MENTALE. PAZZIA FURIOSA. 209 9. PERDITA DEL «TEMPO». AGITAZIONE. IMPULSI INCOERCIBILI. FUGA DELLE IDEE. MANIA. 213 10. DELIRIO DI SOVRANITÀ. DELIRIO DEI MASSIMI. MEGALOMANIA. 218 11. PSICOSI D'ARRESTO. CATATONIA. SCHIZOFRENIA. DISSOCIAZIONI. 226 12. INCONTRO CON UN UNIVERSO IN ESPANSIONE. SPANDIMENTO. PERDITA DEL POTERE DI LIMITAZIONE. LE VITTIME DELL'IMPREGNAZIONE. 229 VI A proposito delle dissociazioni e della coscienza seconda (Isteria, mitomania) Appendice 243 11 aprile 1959 [Verbale dell'esperimento] |
| << | < | > | >> |Pagina 11Connaissance par les gouffres. Quando Gallimard pubblica la prima edizione di questo libro memorabile ed inclassificabile, nel 1961, Michaux ha ormai superato la soglia dei sessant'anni. In tema di droghe, e di scrittura «drogata», la sua fama è già affidata ad opere precedenti come Miserable miracle, del 1956, e L'infini turbulent, uscito l'anno successivo. Varrà forse la pena di ricordare che Aldous Huxley ha pubblicato Le porte della percezione nel 1954 e William Burroughs Il pasto nudo nel 1959 (l'anno stesso, per inciso, dell' Io diviso di Ronald Laing), mentre Il libro di Caino di Alexander Trocchi è del 1960. Nel decennio che segue, vedranno la luce Le lettere dello Yage di Burroughs e Allen Ginsberg, A scuola dallo stregone di Carlos Castaneda, e gli Avvicinamenti di Ernst Jünger. Ma sono richiami che valgono solo a mettere in rilievo l'assoluta originalità di Michaux, la sua sovrana autonomia da autentico navigatore solitario. Per verificare questa sensazione, basterà sfogliare la splendida antologia che nel 1998 Elémire Zolla ha dedicato ai «moderni Dionisiaci», intitolata Il dio dell'ebbrezza. Tra i tantissimi autori inseriti in questo libro abbastanza corposo, Michaux (cui Zolla stesso riconosce «un estro nuovo» nelle indagini sulle intossicazioni da droga) appare con un brano di Miserable miracle sulla mescalina. In queste pagine, come nel resto dell'opera di Michaux, mancano all'appello praticamente tutti i grandi temi della letteratura «drogata» occidentale, a partire dalle Confessioni di De Quincey. Da una parte, Michaux è poco o nulla interessato alla complessa e spinosa fenomenologia della dipendenza – l'«Algebra del Bisogno», come la definisce Burroughs, gli è personalmente estranea e non pare suscitargli, a parte qualche raro accenno, la minima curiosità. Ma esula completamente dal progetto di Michaux (e qui la distinzione si fa più sottile e difficile) anche tutta la metafisica dell' illuminazione psicotropa che percorre la letteratura di quei tempi, soprattutto nella sua variante «lisergica». A Michaux, infatti, preme un'esplorazione degli stati alterati della coscienza (di sé e del mondo circostante), condotta su di una rigorosa base materialistica d'interpretazione dei fenomeni. È la mente a interessarlo, in quanto tale, non i contenuti di una verità esterna che la mente dovrebbe attingere in base a qualche forma di rivelazione. E se nel rigore di questa prospettiva l'infinito continua ad avere un ruolo decisivo, si tratta di un infinito già da sempre latente dei più delicati gangli della coscienza, e reso evidente dalle alterazioni della sensibilità indotte dalle droghe. Esplicita come più non si potrebbe suona la dichiarazione iniziale di Conoscenza dagli abissi: «Le droghe ci annoiano col loro paradiso. Ci diano, piuttosto, un po' di conoscenza. Noi non siamo un secolo da paradisi». Sottoposta all'urto psicotropo dei principi attivi delle droghe, la mente sembra pervenire a una specie di stato d'emergenza. È in queste condizioni che essa lascia trasparire qualche prezioso indizio sul suo funzionamento, sui suoi limiti e le sue possibilità, sul suo grado di autocoscienza. Non a caso gli esperimenti più frequenti riguardano sostanze in sommo grado capaci di sovvertire le categorie abituali della percezione, come i funghi allucinogeni. E anche la mite, innocua canapa indiana diventa nella sua prosa un efficace strumento di navigazione verso le regioni più impervie e sconosciute dell'identità psico-fisica. Ecco, l'unicità di Michaux mi sembra dipendere proprio dall'astrazione totale della droga da un qualunque tessuto biografico, esistenziale, psicologico. L'attenzione alla cosa in sé distrugge ogni residua possibilità di giudizio. La connaissance di Michaux non sembra avere altro fine che se stessa, e sembra sempre procedere in virtù di una specie di autocombustione.| << | < | > | >> |Pagina 21Le droghe ci annoiano col loro paradiso. Ci diano, piuttosto, un po' di conoscenza. Noi non siamo un secolo da paradisi. Ogni droga modifica i vostri sostegni. Il sostegno costituito per voi dai vostri sensi, il sostegno costituito per i vostri sensi dal mondo, il sostegno costituito per voi dalla vostra impressione generale di essere. Vengono meno. Si opera un'ampia ridistribuzione della sensibilità, che rende tutto bizzarro: una complessa, continua ridistribuzione della sensibilità. Sentite di meno qui, e di più là. Dove «qui»? Dove «là»? In decine di «qui», in decine di «là» che prima ignoravate, che non sapreste riconoscere. Zone oscure ch'erano chiare. Zone leggere che erano pesanti. Non fate più capo a voi stessi; e la realtà, gli oggetti anche, perdendo consistenza e durezza, cessano d'opporre una seria resistenza all'onnipresente mobilità trasformatrice. Compaiono abbandoni, piccoli (la droga vi eccita con abbandoni) e anche grandi. C'è chi ci prova gusto. Paradiso, vuol dire abbandono. Subite molteplici, differenti suggestioni a rilassarvi... Ecco ciò che le droghe forti hanno in comune, ed è sempre il cervello a essere sollecitato, a osservare i propri retroscena, i propri trucchi, puntando alto o basso, e che in seguito comincia a regredire, a regredire in un modo particolare. Parlerò soprattutto della mescalina, più spettacolare delle droghe conosciute in passato, recisa, brusca, brutale, destinata a mettere a nudo ciò che nelle altre resta celato, fatta per violentare il cervello, per «darci» i suoi segreti e il segreto degli stati più rari. Fatta per demistificare. Allucinogeno tipo, essa ha un'azione affine a quella dell' acido lisergico e della psilocibina. E getta luce anche sull' hascisc... Il favoloso hascisc, che ne aveva proprio bisogno; e anche sul giusquìamo e la | << | < | > | >> |Pagina 33Riso. È comune a tutti gli allucinogeni. Sono famose le risate irrefrenabili che provoca la canapa, e facilmente riconoscibili.Il riso fa abbandonare le posizioni di eccessivo ritegno. Nell'hascisc, il riso sgorga dopo una specie di sinuosità, estremamente slegata, che è insieme come un'onda, un titillamento, come un fremito, come i gradini d'una scala molto ripida. Allentamenti bruschi. La comicità viene dopo. Non tarderà. All'immaginazione interessa tutto. Tutto la sprona, subito allora divertendosi a ricamare, favoleggiare, situare e spostare. Scaturendo l'una dall'altra, ecco allora risate interminabili, cascate di rilassamento che non rilassano affatto, e il riso continua sempre, dopo un istante di pausa per riprendere fiato, ricomincia, incapace di smettere. Riso su cinghie di trasmissione. Riso senza motivo di ridere. Motivi se ne trovano all'inizio. Poi l'immaginazione si stanca ma il riso continua sempre. Simile al fou rire di alcuni alienati, esso esprime in particolare la prodigiosa assurdità di tutto, percepita allo stesso tempo metafisicamente e (per il solletichio) molto fisicamente, percepita in una straordinaria congiunzione. L'infinito nella mescalina. Suoi caratteri. Sentimento dell'infinito, della presenza dell'infinito, della vicinanza, dell'immediatezza, della penetrazione dell'infinito, dell'infinito traversante incessantemente il finito. Un infinito in moto, d'un moto sempre uguale che non si fermerà più, che non può più fermarsi. Cessazione del finito, del miraggio del finito, dell'illusoria convinzione che esista qualcosa di finito, di conchiuso, di terminato, di fermato. Che il finito sia dilatato, disperso, preso a tradimento dovunque da un infinito traversiere, traboccante, stupendo annullatore e dissipatore di qualunque «circoscritto», che ormai non può più esistere! Un infinitamente che non permette più di finirla con checchessia, che parte in serie infinite, che è infinità, che si modula in una infinitizzazione a cui nessun finito può sottrarsi, dove la meschinità stessa, appena riosservata, subito si allarga, si approfondisce, si smarrisce e s'infinitizza, si decirconscrive, dove qualsiasi motivo, dove qualsiasi umore, emozione o sentimento imbocca la via dello straordinario e naturale infinito. Ossessionante, assillante infinito che non consente ormai che lui, altro ritorno che a lui, altro passaggio che attraverso di lui. Infinito che soltanto lui è, che è ritmo. Se il ritmo è maestoso, l'infinito sarà divino. Se il ritmo è precipitoso, l'infinito sarà persecuzione, angoscia, frammentazione, sconvolgente e inesausto reimbarcarsi da qui a più lontano, più lontano, più lontano, più lontano, più lontano, più lontano, più lontano, più lontano, lontano per sempre da ogni porto. Infinito che infinitizza tutto, ma meravigliosamente dedito, più che a ogni altro sentimento, a bontà, a tolleranza, tolleranza, misericordia, accettazione, uguaglianza, perdono, pazienza, amore e universale compassione. Qualcuno oserebbe a questo punto parlare di onde? Sì, e anche d'una determinata onda. Anche un genio si nutre di vitamine e di carne animale, ed è tenuto in vita dai suoi ormoni. Che c'è di scandaloso se quanto v'è di più immateriale nella materia viene a sorreggere il sentimento dell'infinito? «Il Peyotl aiuta ad adorare» diceva uno dei suoi fedeli. L'onda che aiuta ad adorare. Chi ha preso la mescalina ha preso una ciotola di vibrazioni, ecco cosa ha preso e che ora lo possiede. Aiutato dalla propria esaltazione, magari egli riuscisse a far nascere in sé la migliore onda, quella che con la sua stupenda insolita regolarità e con la sua ampiezza lo solleva e gli dà maestosa importanza, onda che è supporto per l'infinito, che ne è il sostentamento, la litania. Quell'impressione di prolungamento, di persistenza, di fascinazione, per la ripetizione insolita di cui non ci si riesce a disfare, un certo vaneggiare, la rotaia sinuosa d'una continuazione ipnotizzante dentro di voi, sembrano scaturire anch'essi dall'onda travolgente. Fede per via vibratoria. | << | < | > | >> |Pagina 37Come non pensare a un impeto oscillatorio, a un impeto imposto... a un'onda di grande ampiezza e di alto voltaggio, le cui frequenze non permetterebbero un funzionamento «utile» del pensiero?Il meno che si possa immaginare è un fenomeno periodico che colpisce la cellula nervosa, qualcosa di simile a una successione rapidissima di polarizzazioni e depolarizzazioni. Il dualismo è dunque sempre presente, e la coscienza uno stato oscillatorio che crea un antagonismo di cui la situazione del momento non costituisce che l'accelerazione e l'amplificazione, ma tale da non far funzionare più il sistema, non essendo più possibile una scelta opportuna? Un dualismo similare e fanatico accade nei modi di vedere della mente. Un momento si vede l'aspetto abituale delle cose, un momento dopo l'aspetto malvagio, perverso, scorretto. Prima l'uno, poi l'altro. Senza mescolanza. Prima il lato perverso, poi il lato puro, poi il perverso (atti perversi, riflesso perverso, sotto dei fogli di carta), poi di nuovo il puro o il corretto, o il normale, che altro non può essere che la cessazione del perverso. Ma assoluta non-mescolanza. Diabolica chiaroveggenza. Da solo, il fenomeno meccanico dell'oscillazione (una volta amplificato e accelerato) può costituire un disastro. I passaggi contraddittori spezzano il coraggio di vivere, spezzano la volontà. Certi passaggi oscillanti non permettono più a un'immagine di formarsi, di persistere, non permettono a un pensiero di durare, di giungere intatto. Onde così intollerabili da indurre alcuni alienati che ne erano vittime a gettarsi dalla finestra per finirla con quel serpente infernale e senza spessore, che impediva loro di pensare e li spingeva a pensare, che li staccava e li attaccava e li staccava dalle cose, senza fine, senza fine. (Suicidandosi, vi hanno messo fine. Onde da pazzia.) Se lo stato normale è mescolanza, disamina e padronanza delle pulsioni e dei modi di vedere antagonisti, se lo stato creato dalla droga o da una malattia mentale è oscillamento, con successione e separazione totale delle pulsioni antagoniste e dei punti di vista contrastanti, esiste tuttavia un terzo stato, quello privo di alternanza così come privo di mescolanza, in cui la coscienza impera in una totalità inaudita senza antagonismo alcuno. Estasi (cosmica, o d'amore, o erotica, o diabolica). Senza un'esaltazione estrema non e possibile approdarvi. Ma una volta che ci si è dentro, ogni varietà viene meno in quello che appare un universo indipendente. L'estasi e solo l'estasi apre all'assolutamente privo di mescolanza, all'assolutamente non disturbato dalla minima opposizione o impurità che sia impecettibilmente altro, anche per semplice allusione. Universo puro, d'una completa omogeneità energetica, in cui vive, unitario e fluttuante, l'assolutamente della stessa razza, dello stesso segno, dello stesso orientamento. Questo, solo questo è «il grande gioco» e allora poco importa che un'onda o no aiuti a nascere tale universo autonomo, in cui un trasporto non comparabile a niente che sia di questo mondo vi mantiene sollevati, fuori dalle leggi della mente, in un mare di felicità. | << | < | > | >> |Pagina 85Non presento qui uno studio generale sui suoi effetti, sulle visioni fantasmagoriche ch'essa prodiga. Nemmeno costituiscono, le pagine seguenti, il complemento delle mie precedenti osservazioni. Ho voluto invece incontrarla ad altri livelli. Tre operazioni principali: spiare la canapa. Con la canapa spiare la mente. Con la canapa spiare se stessi. Spia di prim'ordine, la canapa. Imparare a utilizzarla e la paziente esperienza degli sconvolgimenti del mentale. Certo, è intraducibile. Tutto è intraducibile. Ma lei in particolare: la sua disinvoltura, la sua mancanza di peso, la sua mancanza d'anima, la sua insolenza, i suoi giochi iconoclastici e libertini, i suoi rebus. Sono stato a caccia. E molto senza dubbio m'è sfuggito. Si troveranno qui appresso, come esempio, un esempio assai insufficiente, alcune sequenze, e più giù qualche tentativo di esplicazione delle sequenze; infine, un certo numero di relazioni, buttate giù in fretta, sotto la forma un po' rozza di racconti. Nelle sequenze, per ogni gruppetto di tre o quattro parole scritte ce n'erano intorno un centinaio d'altre che non hanno potuto essere scritte (per mancanza di adeguata velocità nella scrittura o nell'enunciazione, senza contare quelle che sfuggono) e un altro migliaio non sarebbero bastate a rivelare cosa c'era dietro quelle parole e che in improvvise schiarite, grazie a un miracoloso sdoppiamento, si vedeva filtrare, dilatarsi e proliferare, svilupparsi, prolungarsi, spiegarsi in commenti e in commenti di commenti. Ci s'imbatte in un fenomeno molto singolare, che chiamerò senz'altro il pensiero neotenico. Prima che un pensiero sia del tutto compiuto, giunto a maturazione, esso ne partorisce uno nuovo, e quest'ultimo, appena nato, non ancora completamente formato, ne mette subito al mondo un altro, una nidiata d'altri che si rispondono allo stesso modo in richiami inattesi e imprendibili che fino ad oggi non sono riuscito a restituire. | << | < | > | >> |Pagina 89A Vado avanti, presto Volano pale poi gridi mi svincolo e l'istante dopo, Napoli. Quel pensiero straordinario qual era dunque quel pensiero? Improvviso, il precipizio. Un'acqua torrenziale ribollendo precipita a cascata nel fondo d'un cañon viva, viva, vivacissima. Impugnando ;on torza un grande anello metallico stringo, stringo | << | < | > | >> |Pagina 159L'alienato da sé per malattia, l'alienato da se stesso per aver preso una droga allucinogena, sia l'uno che l'altro hanno subìto una perdita, la coscienza ch'essi, avevano del proprio corpo ha subìto una perdita, bizzarra, cruda, enorme. Dopo l'iniezione di mescalina, di LSD 25, di psilocibina, l'uomo, fino allora sano, sente il proprio corpo ritrarsi rapidamente da lui. È fatta. Esso gli sfugge. Non puo più coglierne la varietà, la massa, la presenza, quella sicura e oscura laboriosità che, sconosciuta agli altri, gli era propria. Non è più un corpo, non può più evocarlo, non è piu suo, non è più che un luogo. Da cui egli è escluso. Naturalmente ci sta sempre dentro, ma senza contare più niente. Addio bagno reciproco, in cui si sta immersi e che è in sé. Sorpresa! Stupore! Ma lo sperimentatore si è visto allontanarsi. E si vedrà tornare. Soprattutto conosce, ricorda il punto di partenza. L'alienato, invece, non conosce e non trova alcuna ragione a tutto ciò, e probabilmente nemmeno ha potuto osservarne con chiarezza l'inizio. Egli si sente senza motivo diventato diverso, diverso dagli altri uomini, diverso da se stesso; il suo corpo fuori posto, quasi quello d'un altro. Egli s'imbatte in questa assenza-presenza che ha qualcosa d'inverosimile, d'indefinibile. Continua a vedere il proprio corpo, ma, al contrario di quanto comunemente si pensa, la vista è proprio quanto di meno convincente vi sia. Può ancora farlo funzionare, il suo corpo, ma neanche questo è sufficiente. Giacché non può occuparlo, occuparlo con la sensibilità, la sola che gl'interesserebbe, sua «realtà» specifica, fondamento d'ogni altra realtà e della vita stessa, e tuttavia, inspiegabilmente, la sua vita continua, solitaria, enucleata. L'assenza del suo corpo presente non cessa d'essere intrigante, d'essere intollerabile, d'essere persecutoria. Gli raschia la mente senza sosta, assenza che non permette più a niente d'essere normalmente presente. Come riuscire a stare davanti a una cosa qualsiasi? Bisogna avere consistenza per stare davanti. In tale incredibile sottrazione, fatta di tante piccole sottrazioni, egli si ritrova solo. Solo come non lo è mai stato. Come nessuno (egli pensa) è mai stato. Infatti, è singolare il modo in cui è solo. Solo senza solitudine. Non è più preservato da «noi», il tra-noi dell'uomo e del suo corpo. Lui, è veramente solo. E in esilio, senz'essersi mosso. In una solitudine di cui l'uomo solitario non ha idea. La solitudine d'una tale periferia non è comparabile a nulla, è un'ingiustizia, uno scandalo. Appetto ad essa, la solitudine d'un uomo meditativo è una reggia. Quella d'un mendicante è un nido, miserabile sì, ma sempre un nido. Qui niente nidi. Solitudine senza il godimento di star soli. Per impossibilità di tornare alla base. Isolamento senza rifugio. Un'impressione che bisogna aver conosciuto per sapere fino a che punto possa prostrare. Impressione soltanto? E come abituarvisi? Perduto il corpo, con esso egli ha perso la «sua casa». Ha perso tutte le case, ha perso la fruizione del fenomeno «casa», ha perso la possibilità di raccogliervisi e quasi l'idea stessa. (Nei disegni dei pazzi si vede continuamente la tentazione disperata di recuperare la casa, per recuperare se stessi.) Avendo cessato di essere significante, ogni cosa intorno a lui si dissipa, pur restando al suo posto. Una casa (capanna, camera, tana o nido) non è che la realizzazione, al di fuori, di quell'impressione di interno che si ha del proprio corpo. Come ininterrottamente si fruisce del proprio corpo, così ora il suo pensiero ronza senza sosta intorno al suo corpo inspiegabilmente sottrattogli, d'una sottrazione inaudita, d'una sottrazione malvagia, una specie di «non rientrerai». E la penitenza continua, venuta senza ragione, senza ragione rimasta. | << | < | > | >> |Pagina 200Chi ha perduto (o volontariamente abbandonato) un buon numero dei suoi punti di riferimento, chi non è più bloccato dalla limitazione del suo corpo, dello spazio generato dal suo corpo e dall'attenzione rivolta alla propria situazione chiusa e limitata, chi è liberato dalla massa, da quel ristretto agglomerato costituito da ogni essere e dal suo «campo», costui, divenuto ora «volatile» o semplicemente sciolto da ogni pastoia, disinnestato, divenuto un essere d'un'altra specie, s'orienta verso una nuova patria. Chi è dunque lui? Il vero uomo metafisico. Nella metafisica, per via organica. Una contadinotta colpita da melanconia parla come Platone, va anzi più diretta, più diritta all'essenziale.
Al non limitato, al poco delimitato, si presenta l'Illimitato.
Inserito di forza nel mondo dei fluidi, dello psichico, del magico, unico
abitante sulla terra dell'Immateriale, scacciato dalle sue
proprietà, senza proprietà, non ricordandosi più d'avere proprietà, l'Infinito è
ormai il suo affare e il suo mondo, così come
il mondo magico; tutti e due ora gli corrispondono e gli rispondono. Eccitato,
esaltato, vedendosi lui stesso Dio, o angosciato
di sovrannaturale, o incollato all'occulto, o grave e solo faccia a
faccia col Grande Problema, o balbettando tra i ricordi del proprio catechismo,
o imbroglione e falso santo, l'Infinito, l'Incommensurabile occupa
incessantemente l'alienato, lo affascina, lo
terrorizza, lo bracca, gli è familiare. Allo stesso modo del sesso e
in maniera ancora più singolare, Dio viene liberato nella follia. Il
dio immanente, il dio sperimentale. Egli non ne sarà più lasciato.
Esiliato nell'Infinito, privato del finito, in una disfatta incessante del
proprio finito, egli non sta più sulla superficie ma nel centro, un centro
insieme puro e incredibilmente sbandante, come
nel fuoco di molteplici ellissi. Più che in qualsiasi altro uomo –
eccettuato il santo – l'Infinito è su di lui. Infiltrazione in lui
dell'Infinito. Lotta ch'egli conduce con esso per salvaguardare la
propria esistenza. Senza sosta l'Infinito lambisce l'involucro del
suo finito, non concedendogli tregua. Scuotendolo fino a ridurlo un bambolotto
in pezzi. Fatto a pezzi dall'Infinito.
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