Autore Elisabetta Moro
Titolo Sirene
SottotitoloLa seduzione dall'antichità ad oggi
Edizioneil Mulino, Bologna, 2019, Intersezioni 528 , pag. 214, ill., cop.fle., dim. 12,5x20,5x1,3 cm , Isbn 978-88-15-28414-3
LettoreFlo Bertelli, 2020
Classe storia letteraria , storia antica , storia sociale , antropologia , mitologia , fantasy












 

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Indice


Introduzione. La sirena e la mela                         9

I.   Sirene nel mito, sirene nella storia dell'Occidente 17

1. Le sirene omeriche e la resistenza di Ulisse          17
2. Resistere al canto, ovvero uccidere le sirene         25
3. Il suicidio delle sirene                              30
4. Nelle Argonautiche: la resistenza di Orfeo            32
5. Partenope, la sirena che fondò Napoli                 35
6. Partenope all'opera                                   44
7. Dal canto al corpo: sirene cristiane                  52

II.  Prima e dopo Omero: questioni sireniche,
     questioni d'ibridazione                             65

1. Creature alate, nate dall'acqua                       66
2. Dalle penne alle pinne                                74
3. La prima donna-pesce viene dalla Siria                83
4. La dea Siria in Occidente: i suoi sacerdoti eunuchi   93
5. Tra canto e silenzio. Il corpo della voce            104
6. Sirene eversive                                      109

III. Sirene d'autore                                    129

1. La sirenetta di Andersen, eroina borghese            129
2. La sirenetta Disney, eroina cosmopolita              138
3. Tomasi di Lampedusa: fare l'amore con una sirena     142
4. Sulle orme di Kafka. Il silenzio delle sirene        147
5. Malaparte. Mangiare la sirena,
   romanzando su una parodia antica                     150

IV.  Le sirene nella società dello spettacolo           159

1. La sirena del circo Barnum                           160
2. L'affermazione dell'esotico: gli ethno-shows         164
3. Web ed emotainment, nuovo mare del mito              170


Conclusioni. Le sirene sono significanti fluttuanti     181

Bibliografia                                            189


 

 

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Pagina 9

Introduzione
La sirena e la mela



                                            È per questo che le sirene seducono,
                                               non solo per ciò che fanno udire,
                                          ma per ciò che brilla nella lontananza
                                                              delle loro parole.

                                            Michel Foucault, La pensée du dehors



L'incontro fra Ulisse e le sirene raccontato da Omero nell' Odissea è uno dei fotogrammi originari dell'immaginario occidentale. E forse della nozione stessa di Occidente. In fondo, Ulisse è il prima dei nostri eroi a navigare fino allo stremo del mondo, e quindi a misurarlo, a dargli dei punti cardinali, geografici e simbolici - senza l'audacia del conquistatore di Troia, diceva Ernst Jünger , non ci sarebbe stato nessuno sbarco sulla luna - e il faccia a faccia tra l'eroe del progresso e le incantevoli seduttrici è un vis-à-vis enigmatico ed epocale. Da una parte il polytropos, l'uomo capace di assumere mille forme e di architettare mille stratagemmi, dall'altra le mitiche incantatrici, figlie del canto e nutrici dell'incanto. In quell'episodio i filosofi tedeschi Max Horkheimer e Theodor W. Adorno hanno intravisto la genesi della nostra civiltà e della sua ratio calcolante, che prende forma sullo sfondo del pensiero mitico e poetico, da allora nostro e non più nostro. Da quell'incontro dicono i due francofortesi, i canti sono feriti e il logos (ragione) sospinge il pathos (sentimento) nelle nebbie aurorali dell'origine. E un intellettuale come Roberto Bazlen ha addirittura visto nella vittoria a caro prezzo di Ulisse, la parabola del piccolo borghese che rifugge ogni rischio per guadagnare il porto sicuro dell'utile.

Da quel momento le sirene hanno continuato a presidiare le contrade equoree e musicali in cui la nostra civiltà le ha esiliate, non senza operare continue sortite nei domini posti sotto il controllo della ragione. E dal mare color del vino del racconto omerico sono migrate di racconto in racconto per giungere fino a noi passando da un genere all'altro, risalendo le correnti della rappresentazione, dall'oralità alla scrittura, dalla poesia alla pittura, dal cinema alla televisione, dall'analogico al digitale. Nel corso del loro viaggio interminato e interminabile, hanno cambiato più volte corpo e sembiante. Ma non hanno mai perduto il loro nome. Seirenes le chiamava la fiction omerica e Sirene le chiama la fiction televisiva. L'una e l'altra apparentate da quel bagliore mitopoietico che non accenna a spegnersi. È proprio da questa constatazione che nasce la domanda che dà principio a questo mio libro. Un principio che solo in apparenza ha a che fare con l'inizio cronologico e con lo svolgimento storico. Perché la rotta che esploro è dettata dalla provenienza mitologica che appartiene alla sincronia, non alla diacronia. Del resto il mito, secondo l'antropologo francese Claude Lévi-Strauss, proprio come la musica, usa il tempo solo per infliggergli una smentita. Entrambi sono macchine per sopprimere il tempo. Ecco perché con questo libro non intendo avventurarmi in una storia delle sirene, che non potrebbe concludersi che con un naufragio. Ma preferisco inseguire queste mitiche creature come i naviganti inseguono le evoluzioni dei delfini, attraverso i loro affioramenti, inabissamenti, riapparizioni, deviazioni, diversioni, illusioni. Per cercare di capirne la natura profonda. Quella sorta di Dna mitico che le ha rese capaci di adattarsi a qualsiasi habitat culturale, regalando loro l'immortalità.

Se è vero che la storia europea cominciò con i Greci, è altrettanto vero che la storia greca cominciò con il mondo di Odisseo, il quale a sua volta aveva alle spalle una lunga storia preomerica. Ogni inizio in realtà ha alle spalle un altro inizio. Anche per questa ragione, come diceva Jacob Burckhardt , la storia è un campo di studio in cui non si può cominciare dall'origine. A maggior ragione questo principio vale per l'antropologia, che rispetto alla storia ha una sua specificità teorica e metodologica, che coincide solo in parte con la prima. Si parte, insomma, sempre e necessariamente da una domanda del presente. Perché le sirene popolano ancora oggi le nostre fantasie? Perché il loro corpo - caso unico nella mitologia - si è trasformato nel tempo passando da quello di donne con le ali a quello di donne con la coda di pesce? E questo passaggio è davvero avvenuto nel Medioevo, come dicono in molti, o molto prima? Perché nel celebre circo Barnum la sirena sbancava i botteghini? Perché oggi molti credono che queste mitiche creature esistano davvero e che i governi lo nascondano per non allarmare le popolazioni? E soprattutto, in cosa consiste la loro seduzione? Viene dal corpo, dalla voce, dal canto o dalla conoscenza?

Con questo libro cerco di dare risposta a questi quesiti fino ad ora poco esplorati, quando non ignorati del tutto. E per farlo comincio dalla ricostruzione di un paesaggio culturale in cui molte generazioni prima di noi hanno vissuto, sognato, immaginato. Ora, quel paesaggio è cambiato quanto basta per non sembrare lo stesso, ma non abbastanza per essere totalmente diverso. Perché la trasmissione della cultura riannoda continuamente i fili fra presente e passato, fra generazioni, fra popoli, fra immaginari, fra credenze e valori. Col risultato di consegnarci a una permanente odissea umana. Avventurosa e affascinante. Che ripensa sé stessa continuamente, senza essere ripiegata sul passato, semmai attenta a quello che siamo stati, per capire quello che siamo oggi e quello che stiamo diventando. Per questo vale la pena di tornare a parlare di sirene. A ragionare su quello che sono state e su quel che sono oggi visto che il mare tempestoso del web le ha rimesse in gioco. E non poteva essere diversamente, dato che tra tutte le figure mitologiche rimangono le più longeve. Chi ricorda più che cosa siano stati un tempo idre, arpie, chimere, satiri e centauri? Ne conosciamo solo il significato metaforico, ma le storie che li hanno resi celebri sono archiviate nel backstage della nostra memoria collettiva. Comprimari del mito che non sentiamo più nostri. Dei in esilio. Quella delle incantatrici invece è tutt'altra storia. Ci appartiene. Perché le sirene sono un simbolo millenario dalla portata culturale comparabile solo alla mela di Adamo ed Eva. Non a caso sia le incantatrici che il frutto proibito incarnano la promessa di una sapienza interdetta ai mortali. Le prime nel vastissimo ambito del mondo pagano, la seconda nell'immaginario ebraico-cristiano. La sirena e la mela hanno funzioni mitico-simboliche del tutto analoghe, segnano la soglia tra conoscenza lecita e illecita, tra la vita e la morte, tra il presente e l'eternità. Le une stanno a guardia del limite che separa il mondo dei vivi da quello dei morti. L'altra viene tradizionalmente identificata come il frutto dell'albero della conoscenza, che secondo il Genesi si trova al centro del giardino dell'Eden. Mangiarne significa uscire dal cerchio magico dell'eternità e ritrovarsi nel flusso della storia. Come hanno scoperto a loro spese i nostri progenitori, che da un presente perenne sono passati alla dura esperienza della caducità e della fine.

Secondo il racconto biblico il serpente, che è «il più astuto fra tutti gli animali dei campi», sottopone Eva alla tentazione irresistibile della conoscenza. All'inizio la prima donna resiste, perché teme di pagare con la vita la violazione del tabù divino. Ma viene rassicurata: «No, non morirete affatto. Ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male» (Gen 3,4-5). Com'è arcinoto la proibizione nulla può di fronte alla tentazione. La volontà di Dio si arresta di fronte a quella volontà di sapere, per dirla con Michel Foucault , che è la cifra più autentica della condizione umana. Sedotta all'idea di diventare sapiente «la donna osservò che l'albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l'albero era desiderabile per acquistare conoscenza. Prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito» (Gen 3,6).

È proprio per leggere un simbolo nell'altro che il titolo di questa introduzione accosta la sirena e la mela, allo scopo di ricordare che quello che le sirene rappresentano nella cultura greca e latina, nonché mediorientale, non è semplicemente la seduzione che viene dal corpo, ma piuttosto quella che proviene dalla conoscenza. E anche se ci siamo abituati a considerare queste creature affascinanti come l'emblema di un erotismo pericoloso, in realtà le incantatrici sono molto di più. La ragione della loro capacità di attrazione, infatti, sta tutta nel desiderio umano di sapere, sperimentare, conoscere, incontrare. E in questo senso la sirena ha un ruolo del tutto analogo a quello incarnato dalla mela nella cultura giudaico-cristiana, che fra l'altro, è bene ricordarlo, non conosceva le sirene. Come testimoniato dal fatto che nella Bibbia le sirene non esistono. Infatti, l'accenno a queste creature mitiche attribuito al profeta Isaia - «i demoni e le sirene e i ricci danzeranno in Babilonia» - non è presente nel testo originale, ma compare per la prima volta nella cosiddetta Bibbia dei Settanta, tradotta in greco tra il III e il II secolo prima di Cristo ad Alessandria d'Egitto. Ed è solo a partire da allora che le incantatrici entrano nell'immaginario ebraico, con un evidente stigma negativo. Che il cristianesimo contribuirà a rafforzare. Mettendo sistematicamente al bando quelli che lo scrittore inglese Norman Douglas definiva gli «adoratori di sirene». Insomma tutti coloro che si lasciano sedurre dal loro canto. Che non è semplice canzonetta o melodia, ma un suono mitico, avvolgente, suadente, che rapisce la mente perché in grado, come dice il poeta Franco Marcoaldi, di spandere luce.

A questi temi ho già dedicato in passato altri due libri: La santa e la sirena. Sul mito di fondazione di Napoli e L'enigma delle sirene. Due corpi, un nome. Il presente volume costituisce un ulteriore passo in avanti della ricerca e dell'analisi di questo mito universale, attraverso l'approfondimento di quattro grandi questioni, che corrispondono ai capitoli di questo libro.

La prima è la presenza delle sirene nella mitologia greca e nella civiltà occidentale: partendo dall' Odissea, ma senza fermarmi ai poemi omerici, ho cercato di muovermi come un'antropologa nel villaggio di una popolazione esotica, che esplora i racconti più significativi e insieme le immagini di sirene che attraverso vasi, affreschi, statue, lucerne e monumenti hanno reso queste creature fantastiche dei simboli presenti nella vita quotidiana, fino all'erotizzazione avvenuta tra tarda classicità e Medioevo. In prospettiva mitica, assume grande rilevanza il caso della sirena Partenope, la fondatrice della città di Napoli, alla quale si fa riferimento quando ci si rivolge ai napoletani chiamandoli «partenopei». Si tratta di una figura fondamentale per capire la storia di una delle metropoli più antiche del mondo tra quelle tuttora abitate e per capire una mentalità collettiva che si autorappresenta come unica e con radici più profonde di quelle di altre città. Essendo uno degli epicentri della cultura europea, dove i migliori spiriti della modernità, dai compositori ai poeti, sono andati ad abbeverarsi alle fonti della classicità, Napoli ha assunto un ruolo centrale nella perpetuazione del mito sirenico giunto fino a noi.

Nel secondo capitolo affronto diverse «questioni sireniche», ma tutte riconducibili al tema centrale della mutazione di questa creatura, prima e dopo il racconto omerico. La mutazione del corpo delle sirene dalla forma più antica di donne-uccello a quella più attuale di donne-pesce è un caso più unico che raro nella storia della mitologia mondiale. Non si ha infatti notizia di creature fantastiche che come le sirene abbiano cambiato radicalmente corpo, senza cambiare contemporaneamente anche il nome. L'ipotesi che sostengo è che a offrire un nuovo aspetto alle sirene greche sia stata la più antica sirena mediorientale, la dea Siria, la quale ancora prima che Omero nascesse era celebre per il suo fascino alimentato da un corpo straordinariamente bello, che terminava in una coda di pesce. Infine, a fronte dei mutamenti del corpo, mi interrogo sulla natura socialmente eversiva della creatura sirenica, una costante che resiste a ogni ibridazione.

Nel terzo capitolo racconto e analizzo alcuni capolavori della letteratura mondiale che hanno le sirene come protagoniste. Da Il silenzio delle sirene di Franz Kafka a Lighea di Giuseppe Tomasi di Lampedusa , da La pelle di Curzio Malaparte alla celeberrima fiaba di Hans Christian Andersen La sirenetta, che viene letta ai bambini da ben due secoli in centocinquanta lingue diverse. Di questa fiaba, che ha il merito di aver consentito per la prima volta nella storia di immedesimarsi con una sirena, approfondisco anche il restyling apportato dalla Walt Disney Corporation, che negli anni Novanta del Novecento ha ri-mitizzato il racconto, imprimendogli nuova energia nell'immaginario planetario.

Nel quarto capitolo infine raccolgo i casi più eclatanti di sirene fake, esposte dall'industria dello spettacolo come trofei di caccia e abilmente costruite per incantare il pubblico. Per insinuargli il dubbio che queste creature ibride non siano solo il frutto dell'immaginazione, ma siano esistite davvero e tuttora vivano negli abissi più profondi. Imposture e falsità, spettacolo e teorie pseudoscientifiche, che tuttavia mostrano quanto il grande mito delle sirene non sia mai tramontato. E stia lì a chiederci di comprenderlo, di tramandarlo, di ripensarlo. Perché in fin dei conti nessuna figura ha saputo racchiudere in sé meglio e più delle sirene i poteri della conoscenza e della seduzione.

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Capitolo quarto
Le sirene nella società dello spettacolo



                                           Quello che noi ci immaginiamo bisogna
                                            che sia o una delle cose già vedute,
                                     o un composto di cose o di parti delle cose
                                    altra volta vedute; ché tali sono le sfingi,
                                              le sirene, le chimere, i centauri.

                            Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi



Parallelamente all'affermazione del paradigma scientifico, tra Otto e Novecento la categoria del «mostro» diviene l'icona personificata della devianza, oggetto privilegiato di un dispositivo discriminante legittimato dalla scienza. Questo processo coinvolse una molteplicità di soggetti: dal freak al delinquente, da quello che Michel Foucault definiva l'«anormale», magari in virtù della sua provenienza etnica, fino agli ibridi mitologici quali le sirene. Tuttavia tale crescente naturalizzazione del reale ha implicato l'instaurarsi di una visione del mondo scientifica e disincantata. Per molti versi si è trattato piuttosto di un reincantamento, dí una risignificazione mitologica, di una rivendicazione della meraviglia dinanzi alle indiscutibili evidenze del positivismo. A questo processo di adattamento del fantastico al verosimile ha contribuito in maniera massiccia la diffusione sempre maggiore della stampa e l'affermarsi della società dello spettacolo. Oggi internet e il cosiddetto emotainment svolgono una funzione simile a quella svolta dai giornali popolari dell'Ottocento, dal circo Barnum e dagli ethno-shows: coprono lo spazio mitologico con la loro autorità di autenticazione del reale e lo occultano surrettiziamente nella cronaca. Lo trasformano in un fatto. Insomma, quando il paradigma scientifico impone al mito il «vedere per credere», le sirene dimostrano di sapersi adattare al nuovo mare.




1. La sirena del circo Barnum


Il primo a fare delle sirene un format di intrattenimento è stato, nel XIX secolo, Phineas Barnum, l'inventore della moderna industria dello spettacolo. Che nel suo celebre circo, accanto a nani, ballerine, donne barbute, gemelli siamesi, uomini giganti, elephant men, africani albini, ragazze gallina, ermafroditi e altri individui che all'epoca venivano chiamati freaks, porta in scena una sirena. La strana creatura era stata catturata nelle acque delle isole Figi nel 1842, sei anni dopo il ritorno di Darwin dalla spedizione alle Galàpagos, dove era stata acquistata da un trafficante di ibridi che la rivende a Barnum. In quegli anni il traffico di false sirene tra Giappone, Indonesia e Stati Uniti è molto fiorente e costituisce un capitolo solo in apparenza minore della storia del commercio del XVIII e del XIX secolo. Il fenomeno, lungi dal ridursi entro i confini di una facile aneddotica, è uno straordinario indicatore dell'emergenza di nuove modalità di considerare l'osservazione empirica, e il suo statuto conoscitivo, il suo fattore di verità. Appartiene a questo periodo aureo del commercio di ibridi fantastici la cosiddetta sirena del Kunstkammer di George Laue di Monaco, un modellino in legno policromo che riproduce le fattezze di un essere con testa umanoide e corpo di pesce dalla lunga coda, cui sono stati aggiunti denti e artigli di martora giapponese. L'oggetto apparteneva quasi certamente a un cabinet de curiosités del XVIII secolo.

La sirenetta di Barnum diventò immediatamente una star, fruttando al suo impresario profitti da capogiro. La formula vincente dello show era un mix tra divulgazione e raggiro. Tutti dovevano vedere con i loro occhi e farsi un'idea. Senza lasciarsi influenzare dalle astruse teorie degli scienziati. Pagando, s'intende. L'astuto Phineas esponeva la sirena insieme ad anfibi, ornitorinchi, protei, specie semiacquatiche, ippocampi, pesci volanti. Creature doppie il cui ibridismo però è perfettamente spiegabile sul piano scientifico. Questo accostamento creava di fatto una zona grigia tra realtà e mito, una ibridazione tra materiale e immaginario, un'esitazione classificatoria. Così la sua sirena impagliata - un essere posticcio composto dal busto di una scimmia e dalla coda di un pesce accuratamente cuciti - veniva sdoganata dagli ibridi autentici.

La vera merce immateriale offerta da Barnum era, in realtà, la possibilità di diventare testimoni oculari e giudici imparziali della veridicità del mito e al tempo stesso fustigatori dell'arcigno scetticismo della scienza, per sua natura a disagio di fronte alla dimensione simbolica. Senza, peraltro, apparire degli oscurantisti che credono ancora alle favole. Grazie alla prova materiale dell'esistenza della sirena che si offriva allo sguardo del pubblico.

È l'inizio di quel misto di curiositas e di voyeurismo che è alla base della moderna società dello spettacolo. Perché il numero pseudo-naturalistico offerto dal circo Barnum sfruttava a pieno regime il motore sperimentale del positivismo, basato sull'osservazione diretta. Ma lo faceva girare a macchina indietro. Finendo per aprire una breccia mitologica nel senso comune. Così quel che si presentava come divulgazione scientifica era in realtà una caricatura della conoscenza al servizio di un sensazionalismo sempre più spinto. Era l'inizio della civiltà dell'immagine e della sua fantasmagoria incantatoria.

[...]

La stessa frontiera tra stampa popolare e pubblicistica scientifica, nei secoli passati come adesso, è assolutamente porosa e consente incursioni reciproche, trasformando spesso la volgarizzazione delle scoperte scientifiche in una sorgente mitopoietica inesauribile. E difficilmente controllabile. Anche perché le smentite degli scienziati, in caso di pubblicazione di voci prive di fondamento, hanno spesso l'effetto di contribuire al diffondersi della voce stessa, diventando di fatto la variante involontaria di una leggenda, la glossa ex contrario di una nuova mitologia. Nello spazio della rete, peraltro, le leggende hanno maggior possibilità di diventare virali, rispetto alla comunicazione scientifica ufficiale. Così, in questa terra di mezzo tra scienza della natura e proiezione fantastica - dove le conoscenze circolano sempre più rapide e numerose, e la loro ricezione di massa dà luogo ad esiti incontrollabili - si determina una nuova domanda di meraviglie, riformulata però nei termini apparentemente democratici e progressivi di un sapere alla portata di tutti. Per cui al naturalista che, interpellato da Barnum, denuncia la falsità dell'operazione in quanto non crede all'esistenza delle sirene, si può facilmente contrapporre un altro scienziato che non esita ad avvalorare la possibilità che esse esistano, non in seguito ad una verifica sperimentale, ma per ragioni deduttivo-tassonomiche.

Nella distanza crescente che si determina tra le pratiche scientifiche sempre più rigorose e specializzate e il senso comune, Barnum intravede genialmente un nuovo spazio di mediazione culturale per la stampa, nonché per gli imprenditori della cultura di massa come lui. Le sue esposizioni di mirabilia, di fatto offrono al grande pubblico la possibilità di avere un ruolo dal quale la specializzazione sempre maggiore delle scienze lo ha di fatto escluso. La nuova frontiera della conoscenza diventa guardare con i propri occhi e farsi un'idea della natura del fenomeno osservato, senza affidarsi al giudizio sempre più insindacabile dell'oligarchia scientifica, al responso sempre più esoterico degli esperti. Per un verso, dunque, gli spettacoli à la Barnum restituiscono ad uno strato più vasto dell'opinione pubblica la possibilità di riappropriarsi sul piano ludico di un punto di vista critico ormai impossibile da esperire sul piano scientifico.

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Il vero scopo del primo grande intrattenitore di masse è dunque quello di suscitare dubbi, interrogazioni e in ultima istanza di far crescere l'interesse. E proprio questa indecidibilità, questa esitazione della ragione ad essere, secondo Tzvetan Todorov , è la sorgente del fantastico. Il mito riaffiora dunque agli albori della società dello spettacolo. A riprova del fatto che gli ibridi sono esseri mitologici non solo nel senso, ovvio, che il mito ne fa oggetto da sempre della sua narrazione, ma anche e soprattutto perché è la natura di queste creature ad essere fatta della stessa materia del mito. E la loro doppiezza riproduce la duplicità costitutiva della narrazione mitologica, che ha bisogno per il suo funzionamento di figure a due corpi. Uno addita il senso, l'altro avverte che il senso si ritrae indefinitamente. Producendo, proprio in virtù di tale sottrazione, un differimento perpetuo della funzione significante. Mostri e ibridi come sirene, arpie, gorgoni, sfingi, satiri, centauri, sono, per dirla con Lévi-Strauss , «animali buoni da pensare», anche e soprattutto per l'ambiguità tassonomica che li caratterizza, per il fatto che essi rappresentano delle soglie tra regolarità e irregolarità classificatoria. Non stupisce, dunque, che la le sirene nuotino agili anche nel circo dei nuovi media.




3. Web ed «emotainment», nuovo mare del mito


Il web non è solo il caleidoscopio incantatorio del falso. È anche il teatro del disvelamento, dove tanti epigoni di Luciano di Samosata replicano inconsapevolmente, e senza il suo genio, il format della Storia Vera. Come ha fatto il sito snopes.com nel 2004, pubblicando le foto di una creatura mummificata dalla testa vagamente umana e dalla coda di pesce. La didascalia recitava:

A riprova del fatto che non c'è nulla di nuovo sotto il sole, o che tutto ciò che è vecchio ridiventa nuovo, arriva questa serie di fotografie che raffigurano uno strano essere simile a una sirena, che sarebbe stata spiaggiata sulla costa dell'Oceano indiano dallo tsunami del 2004.

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Il caso italiano non è ovviamente isolato, ma si inserisce all'interno di un contesto più ampio. Visto che con una nota del Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) del 7 marzo 2012 il governo americano ha dichiarato ufficialmente che «Le sirene non esistono». Un'esternazione a dir poco spiazzante, che rasenta il ridicolo. Tutto nasce da uno speciale televisivo del canale Animal Planet che ha letteralmente incantato gli Stati Uniti, dal titolo Mermaids. The Body Found (Sirene. Il corpo ritrovato). Contenuto: una ricostruzione fantascientifica dell'ambiente marino del Pacifico meridionale di centocinquant'anni fa. Un abisso grigio-azzurro alla Blade Runner in cui volteggiano sirene con code iperboliche, visi da androidi, occhi trasparenti da avatar e mani pinnate. Non manca nemmeno il fatale canto ammaliatore, sintetizzato in un Bloop elettronico.

Il programma è un perfetto esempio di emotainment, fatto di computer grafica, di pseudo-documentarismo naturalistico e di fotografie di presunti resti di sirene, risalenti alla metà dell'Ottocento, secretate, secondo gli autori del programma, dal governo statunitense per non allarmare l'opinione pubblica. Che invece assistendo alla trasmissione si è puntualmente allarmata. Prendendo per oro colato l'improbabile ricostruzione secondo cui le donne-pesce sarebbero l'evoluzione acquatica della scimmia mentre homo sapiens ne rappresenterebbe l'evoluzione terrestre. Anche qui, nulla di nuovo: si tratta della versione televisiva della cosiddetta teoria della scimmia acquatica, una ipotesi del tutto screditata nel mondo scientifico, ma appassionatamente diffusa dalla scrittrice e scienziata Elaine Morgan e inventata dallo zoologo Alister Hardy negli anni Sessanta. Un'ipotesi-bricolage che utilizza frammenti decontestualizzati della teoria evoluzionista di Charles Darwin e li declina in versione marina, usando sapientemente la precessione immaginaria del mito sirenico come grimaldello logico. E in questo modo finisce per insinuare dubbi nelle convinzioni dello spettatore meno alfabetizzato. Insomma, la seducente verosimiglianza della ricostruzione provoca delle autentiche frane della ragione, su cui edifica false evidenze. Inganni prospettici, millantati crediti e pseudo-conoscenze.

Secondo gli autori della docu-fiction, la presenza delle sirene nell'immaginario di tutte le culture e di tutti i tempi proverebbe che le incantatrici dalla coda di pesce non sono solo un mito, ma dei primati tutt'altro che estinti, che 6.500 anni fa si sarebbero rifugiati negli abissi per sfuggire alla calura africana. E le prove di una certa propensione acquatica di tutti i primati, uomini compresi, sarebbero tuttora rintracciabili anche nel corpo umano. Tra queste la dimestichezza che i nostri neonati hanno con l'acqua, ma anche la capacità dell'uomo di resistere in apnea più a lungo di qualsiasi altra specie non ittica, fino al tempo record di venti minuti, la flessuosità della nostra spina dorsale, la presenza di membrane che collegano le nostre dita alla maniera dei palmipedi. Insomma signa corporis ereditati dai nostri paleo-antenati. Viene da dire che se è vero che il sonno della ragione genera mostri, allora un immaginario globale caratterizzato da scarse conoscenze scientifiche, da un eccesso di informazione e da una fervida immaginazione può ben generare sirene. Non a caso questa combinazione di scienza e di fantasy, di fotografia e di ricostruzioni video, di false certezze e di pseudo-dimostrazioni è stata scambiata dai più per un documentario scientifico. In molti hanno cominciato a credere all'esistenza di comunità sottomarine di ominidi timidi e ritrosi. Un po' come Daryl Hannah, l'incantevole protagonista del film Splash. Una sirena a Manhattan di Ron Howard (1984). O come Story, la diafana protagonista di The lady in the water del regista Manoj Night Shyamalan (2006), che lascia il misterioso abisso ceruleo da cui proviene, per trasferirsi nottetempo in una piscina di Philadelphia. Il cinema come sempre nutre la fantasia.

Ma non è finita qui. A Mermaids. The Body Found ha poi fatto seguito un altro programma del canale Animal Planet, dal titolo Mermaids. The New Evidence (Sirene. La nuova evidenza), andato in onda nella primavera del 2014 e poi replicato su molti canali televisivi, compreso Discovery Channel.

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In fin dei conti, l'esistenza di questi «significanti fluttuanti» è la prova che l'uomo ha bisogno di queste parole potenti per capire e per sopravvivere alla sovrabbondanza della realtà. E proprio a questo servono le sirene. Con il loro continuo oltrepassamento del limite del senso permettono di alludere ad altro. Come dice la psicanalista francese Annie Tardits, sono elementi della lingua che fanno vacillare le sue regole per aprire un varco alla vita, per consentire al corpo, alle pulsioni e ai desideri, cioè quella parte di noi più vicina al mondo animale, di emergere. E soprattutto di essere integrata nel vivere collettivo e civile. Ma Lévi-Strauss è addirittura più radicale quando dice che «la funzione dei significanti fluttuanti è di opporsi alla mancanza di significazione senza però contrapporle un significato particolare». Sarebbero dunque dei contenitori vuoti, che di volta in volta vengono riempiti. Che occupano uno spazio nella nostra memoria e ci sembra abbiano una forma predefinita, che diventa evidente solo quando la riempiamo di significato. Proprio per questo le sirene vanno costantemente oltre l'uso comunicativo ordinario, per assumere una carica metaforica che ne assicura l'alta densità simbolica e la lunga durata nel tempo. Vivono e si rinnovano. Tutto il contrario rispetto alla parabola storica compiuta da molti altri ibridi mitologici come i centauri, le sfingi, le arpie, gli ircocervi, gli unicorni, i satiri, quasi scomparsi dal nostro immaginario perché non avevano la stessa capacità di fluttuare nel mare della significazione. Le sirene invece continuano ancora oggi a solcare i flutti dell'immaginario, al punto tale che, come abbiamo visto, istituzioni pubbliche sono costrette a diramare comunicati per smentirne l'esistenza. A riprova del fatto che queste incantatrici non vengono considerate semplicemente come il frutto della fantasia degli antichi, ma come degli esseri la cui esistenza è possibile da larghi strati dell'opinione pubblica. È come se, posto di fronte a questa eventualità, l'immaginario restasse in surplace, con il giudizio a mezz'aria, sospeso in una bolla della «finzione verosimile», come la chiama Aristotele nella Poetica. Non è vero, ma potrebbe essere vero. Si tratta, secondo il filosofo greco, di una delle azioni poetiche più efficaci, proprio perché crea uno spazio di indeterminazione tra realtà e fantasia che per il suo carattere «vuoto» consente l'aggancio significante.

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