Copertina
Autore Pierfranco Pellizzetti
Titolo Fenomenologia di Berlusconi
Edizionemanifestolibri, Roma, 2009, (Hide Park Corner) , pag. 128, cop.fle., dim. 14,4x21x0,9 cm , Isbn 978-88-7285-568-3
PrefazioneFurio Colombo
LettoreFlo Bertelli, 2010
Classe paesi: Italia
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Indice


Presentazione                                         9
di Furio Colombo

Prologo                                              13

Cap. I:   L'estetica di Berlusconi                   23

Cap. II:  I laboratori delle idee di Berlusconi      41

Cap. III: Le parole di Berlusconi                    61

Cap. IV:  Le donne di Berlusconi                     85

Cap. V:   Berlusconi e l'eternità                   103


 

 

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Pagina 9

Presentazione
Furio Colombo



Che cosa c'è di unico in Berlusconi? La domanda è obbligata per chi si accinga a leggere e — come dire — a usare questo libro come punto di osservazione per sapere di più e capire di più, nello strano, lungo momento che sta vivendo il nostro Paese. Questo libro su Berlusconi è importante perché Berlusconi vive, appare, comanda, governa, godendo di due franchige: chi lo ama, lo esime da ogni scrutinio; persino, paradossalmente, da ogni attenzione. Nel senso che accetta senza guardare. Vuole godersi sino in fondo il privilegio di ogni epoca dominata da un caudillo: "Ci pensa lui". Senza neppure fermarsi troppo ad applaudirlo, a meno che non passi in strada. Siccome in strada, per ben modulato progetto, ci passa spesso, scoppia l'applauso. Ovvero: si applaude un giorno, si vota un altro, e per il resto ciascuno si limita a odiare i comunisti (nessun problema, comunisti non ce ne sono) e a farsi i fatti suoi, con un implicito ed apprezzato incoraggiamento a non andare troppo per il sottile quanto alle regole; perché le leggi, a cominciare dalla Costituzione, sono state fatte dai comunisti.

Ma anche chi non lo ama considera Berlusconi esente da giudizio spietato e quotidiano. Infatti gli avversari di Berlusconi si dividono in cinque pattuglie, di volta in volta citate – con ruolo diverso – dai media, a seconda delle esigenze di cronaca. La prima dice: "Basta con l'antiberlusconismo, non se ne può più", come se eliminare il nome eliminasse il problema. La seconda ammonisce: "Più ne parli, più gli dai vita", come se ignorare nome, persona e fatti avesse un effetto magico. La terza implora: "Basta, bisogna fare delle proposte. La politica non si fa in negativo". Ottimo. Ma mentre tu fai proposte lui – indisturbato – governa. La quarta squadra è ancora più radicale: "Non vogliamo vivere nel mondo di Berlusconi. Se è così forte, è perché noi siamo deboli. Non dobbiamo dedicarci a lui, ma a noi". Bel programma; peccato che la realtà non si possa sdoppiare o sia un po' difficile creare mondi paralleli alla Borges. La quinta strada è la più positiva: "Se le cose stanno così, lavoriamo insieme per il bene del Paese. In tal modo ogni fatto nuovo, leggi, riforme, innovazioni, non saranno sue", saranno "nostre". Θ un pensiero ossessivo, che tormenta come un virus vaste parti dell'opposizione. Ha un solo punto debole: Berlusconi non ci pensa neanche.

Ultimamente ha adottato la nuova strategia del nascondino. "Ci penserò", aveva detto, invece della consueta rievocazione di ricordi suoi e di suo padre sul comunismo. Lo aveva detto a proposito dell'Election Day (fare insieme elezioni e referendum, risparmiando quasi 500 milioni di euro) e lo aveva detto per l'imprudente invito di Franceschini: "Tutti insieme il 25 aprile". Lo avete visto l'Election Day? Avete mai incontrato il coraggioso e indomito nemico del comunismo alle celebrazioni del 25 aprile?

Dribbla come un buon giocatore. A volte pianta lui stesso le bandierine, da cui scivola via come un campione di slalom gigante. E la stampa celebra.

Vi siete accorti che – mentre pretendo di guidarvi verso la Fenomenologia di Berlusconi di Pierfranco Pellizzetti, non sto parlando di Berlusconi, ma di tutti coloro che ci cascano? Le spiegazioni sono due: sempre più gente ci casca a causa della mano ferma dei media. Chi tiene il timone in tutte le redazioni; e in tutte (tutte) le reti Tv non si distacca mai dal solco tracciato (aratro e spada) da Berlusconi. Di lui parla lui. E basta. Ma anche: il suo gioco è farti cadere nel suo gioco.

Che vuol dire: tu taci (per non stare al gioco) e parlano i media. Tu parli (ancora? Di nuovo?) e sei accusato di antiberlusconismo spinto, sindrome che indica noia, petulanza, mancanza di fantasia ma anche di realismo ("non lo vedi che Berlusconi c'è, governa, occupa tutta la scena; e non sarà certo il tuo isolato lamento a disturbarlo?"). Per capire la forza – quasi magica – della campana di vetro calata su di noi e che ci isola dal resto del mondo normale detto "democrazia", può essere utile sapere che la frase che ti mette in guardia dal male definito "antiberlusconismo spinto" non è di Capezzone o di Bonaiuti. Θ di Sansonetti – l'ex direttore del quotidiano "Liberazione" (Rifondazione Comunista) e che ora dirige un nuovo giornale, presumibilmente di sinistra – che rassicura gli astanti sul suo nuovo giornale: "Tranquilli. Non sarà antiberlusconismo spinto".

Francamente è un peccato non poter collocare neppure a sinistra un po' di antiberlusconismo spinto nel giorno in cui Berlusconi dice (a L'Aquila, ai post-terremotati che chiedono di sapere perché le loro abitazioni più nuove sono cadute come pan di zucchero): "Pensate a ricostruire, non alle inchieste. Mio padre diceva che chi vuole fare il male ha di fronte a sé tre strade: può fare il delinquente, può fare il magistrato o può fare il dentista. Ora i tempi sono cambiati: i dentisti usano l'anestesia". Θ una frase esemplare che, tra l'altro, ci propone anche la generosità di visione, d'animo, di grande educatore di Berlusconi padre che – a quanto pare – prima, molto prima di "Mani Pulite", aveva già acutamente intravisto nei magistrati il vero pericolo (certo per il figlio).

Ed è un peccato non poterci rivolgere direttamente agli elettori ed esortarli a dire insieme, chiaro, forte, ancora "conflitto di interessi", nei giorni in cui il presidente del Consiglio – mega editore e padrone di Mediaset e di tutto l'indotto – provvede tranquillamente da casa sua a fare tutte le nomine dell'azienda concorrente di Mediaset: la Rai Tv.

Ma a sinistra è impossibile. Lo impedisce l'autorevole ammonimento di ex leader Pci-Pds-Ds, come Luciano Violante, che fa sapere di un patto per rassicurare il padrone di Mediaset. Lo impedisce l'autorevole e vigorosa astensione di tutto ciò che era Pci-Pds-Ds da ogni possibile legge sul conflitto di interessi dell'unico uomo politico al mondo che possiede ciò che governa, e governa ciò che non possiede ma di cui dispone, rimuovendo così ogni limite alla portata del suo potere. Dunque, ecco perché la Fenomenologia di Berlusconi di Pellizzetti indica forse la sola strada percorribile: il reperto di laboratorio da esaminare con pacato distacco scientifico. Spero che circolerà segretamente anche tra coloro che – per non essere scambiati per terroristi o per "testate omicide" – promettono ad alta voce che non praticheranno mai il velenoso percorso dell'"antiberlusconismo spinto". Che Dio – e la sinistra pacata, dai soffici toni bassi – salvino il premier da ciò che questo libro rivela.

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Pagina 13

Prologo quasi metodologico



            "— Il diamante più grosso del mondo? Non sapevo che facesse
               collezione di diamanti.
             — Lui no. Ma fa collezione di signore che fanno collezione
               di diamanti"

            (i giornalisti Joseph Cotten ed Everett Sloane, a proposito
             dell'editore Orson Welles, Quarto Potere)



Lo slittino di Citizen Berlusconi

"Rosebud".

Il Charles F. Kane – Orson Welles di Quarto potere (Citizen Kane), titanico magnate della comunicazione con velleità politiche nonché proprietario compulsivo di ville e castelli, nel celeberrimo e ipercelebrato film del 1940 esala l'ultimo respiro pronunciando la misteriosa parola. Che poi si rivelerà l'imprevedibile rimembranza della piccola slitta con cui giocava da bambino.

Qual'è la Rosabella ("Rosebud") di Citizen Berlusconi?

L'enigma del politico Berlusconi, dell'impresario Berlusconi, del riccone Berlusconi, è stato ampiamente esplorato e raccontato.

Conosciamo tante cose riguardo all' Uomo del Destino, l'uomo che oggi – di fatto – tiene in mano i destini di tutti noi. Seppure avvolte in un mistero di fondo.

Sappiamo degli inizi da piccolo imprenditore nel settore edile grazie ai finanziamenti provenienti da un Istituto di credito – stando a voci ricorrenti – in odore di "lavanderia" del denaro d'origine mafiosa, quale la filiale milanese del Banco di Rasini (dove – guarda caso – ci lavorava il papà). Da quel momento attendibili indagini giornalistiche e giudiziarie segnalano la costante presenza al suo fianco di personaggi preposti ad assicurare un canale diretto di comunicazione con la grande malavita organizzata, vuoi nelle vesti di controllore (tipo Mangano, il mafioso pluriomicida che risultava in forza allo staff della villa di Arcore con l'improbabile qualifica di "stalliere"), vuoi come "facilitatori diplomatici" del rapporto (Dell'Utri?); quasi degli ambasciatori, anche se non è chiara la loro personale collocazione: sono uomini di Berlusconi o della Mafia?

Scorgiamo il marchio P2 (grazie alla coppia Gelli-Ortolani che si era impadronita di asset decisivi per la conquista dell'etere durante il saccheggio del patrimonio Rizzoli) anche sui primi passi dell'avventura televisiva del Biscione berlusconiano.

Non è certo sconosciuto il metodo adottato per impadronirsi del colosso editoriale Mondadori, assicurandosi la non disinteressata benevolenza di alcuni giudici (con accesso a un conto-numero svizzero).

Ben noto è pure il prologo della sua "discesa in politica", accompagnata dalle insistenti preghiere dell'amico Bettino Craxi e dai molto concreti memoranda dei più fidati collaboratori: "quando Silvio decise di scendere in campo con Forza Italia la nostra alternativa era di finire in galera come ladri o mafiosi", confiderà la spalla di sempre (il Carlo Campanini del Walter Chiari – Berlusconi), il compagno d'infanzia Felice Confalonieri; tuttora presidente di Mediaset per conto del Padrone.

Tutto questo – soldi, maneggi e potere – è conosciuto, stranoto. Ma che cosa sta dietro il suo ghigno da predatore felice, la sua incrollabile determinazione?

L'impressione che si ricava da decenni di investigazioni giudiziarie e giornalistiche sull'irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi è quella di un incredibile concentrato di spiriti animali, mossi da una altrettanto mostruosa condensazione di volontà di potenza in un omarino che altrimenti sarebbe soltanto ridicolo.

Andare alla ricerca della sua "Rosabella" significa analizzare il Berlusconi-fenomeno. Dunque, "fenomenologia" intesa alla lettera, come descrizione di una serie di dati empirici che prescinda dalla loro interpretazione secondo giudizi di valore o dal tentativo di spiegarli facendo ricorso a categorie astratte o ideali. Dunque – ancora – "fenomenologia" nel significato con cui il pensatore e scienziato tedesco Johann Heinrich Lambert (Mόhlhausen 1728 – Berlino 1771) introdusse, due secoli e mezzo fa, tale termine nell'uso filosofico corrente: contrapposta alla dottrina della verità (alethiologia), la dottrina della parvenza (fenomenologia) ha il compito di scoprire le cause soggettive dei fenomeni.

Husserlianamente, il fenomeno "così come esso si dà".

Il tutto rivisitato alla luce della microsociologia della relazione e dei rituali pubblici alla Erving Goffman; secondo cui, "poiché la realtà che interessa l'individuo è al momento imperscrutabile, bisogna che egli faccia affidamento sulle apparenze. E, paradossalmente, più l'individuo dà importanza alla realtà che non è percepibile, e più deve concentrare la sua attenzione sulle apparenze". Le apparenze esteriori – aggiunge Richard Sennet – "come indizi".


L'iomania di un insicuro?

Le apparenze per arrivare alla "Rosabella" del Silvio e dintorni. Dunque le parole, l' habitus, i gusti e i disgusti come filo per dipanare il bandolo della matassa berlusconica. Nella congettura secondo la quale – magari – il superego alle soglie del delirio da iomania – di cui si diceva – altro non sarebbe che una contorta operazione mentale di transfert che vira nel suo contrario le profonde insicurezze di un piccolissimo borghese meneghino, cresciuto da un padre bancario (dunque, ossessionato dal perbenismo formale e – insieme – dai dané, con relativi simboli di status), formatosi nella Milano dove giravano soldi e opportunità facili mentre era già iniziata la calata dei cosiddetti "falchetti" brianzoli e valligiani, con le loro bertoldesche furbizie affaristiche, e mentre le seconde generazioni di immigrati dal Sud si trasformavano in un vero e proprio "tipo" umano – i "milanesizzati" – dando vita a quella cultura che avrebbe fagocitato la vecchia Milano (la sostanziale arcaicità familistica rivestita di una patina modernista, poi definita "comunicativa": tra Bestino Craxi e Adriano Celentano). La Milano, presunta capitale morale dell'Italia, che si americanizzava nel suo hinterland e nelle sue periferie inseguendo modelli provincialotti e vitelloneschi (il mito stelle-e-strisce ridotto a macchinoni rombanti e quelle ragazze pon-pon ipertettute destinate successivamente a diventare la griffe della televisione berlusconizzata; da Drive-In a Veline).

Soprattutto, la Milano dove già spuntavano i proconsoli finanziari delle varie Mafie che in quegli anni avevano operato il salto di qualità: il passaggio dai vecchi affari sostanzialmente marginali, dalla prostituzione al pizzo, a qualcosa di davvero grosso; iniziando a trattare monopolisticamente (strutturandosi finanziariamente e insieme militarmente) la merce-droga; eroina e poi cocaina. Business sempre più letale quanto in grado di generare un fiotto inarrestabile di denaro sporco. Bisognoso – appunto – di "lavanderie".

Da questi proconsoli finanziari del capitale mafioso (Sindona e compagni) che tracciavano nuove vie, si potevano apprendere tecniche straordinariamente efficaci per raggiungere il successo. Esempi illuminanti, specie per ragazzotti ossessionati dall'arrampicata sociale e che la condizione di followers sovreccitati induceva ad accantonare ogni remora morale; ma non l'incarto perbenistico in cui il principio di moralità è confezionato.

Ragazzi cresciuti nelle case di ringhiera del quartiere Isola Garibaldi, in famiglie di ceto medio/basso che difendevano con le unghie e coi denti il loro decoro piccolo borghese, sempre a rischio di scivolare un po' più in basso, tra il circostante popolo degli operai e degli idraulici (come lo zio di Fedele Confalonieri, quel Govanni Borghi che poi fonderà la Ignis diventando un grande della "siderurgia bianca" italiana: anche questa una storia milanese di quegli anni).

Il mondo in cui muove i primi passi il Berlusca: un po' falchetto (del resto papà e mamma venivano da Saronno) e un po' signorino (nell'autobiografia a magazine del 2001 "Una Storia Italiana" ci tiene a far scrivere che da ragazzo, oltre che "geniale, disinvolto, padrone di sé e di facile comunicativa", "suscitava qualche invidia il suo buon gusto nel vestire").

Come dire, "i bene del quartiere Isola Garibaldi", "la creme della via Gluck" o "la bella gente della Barona". Risibilmente pretenzioso come un "Casino dei nobili" di Novi Ligure o Binasco.

Quella distinzione affettata che suona tanto voglio e non posso, una patetica ricerca esibita di stile che ignora come la sua prima condizione sia proprio la naturalezza e la nonchalance. Non certo l'ostentato e caricaturale "mi consenta" con la voce impostata a birignao (l'artificioso modo di parlare spingendo le labbra in fuori, a cul di gallina) che dovrebbe fare educanda dell'Istituto Marcelline ma – semmai – ricorda più il Totò millantatore di un'inesistente aristocraticità nel film Miseria e Nobiltà (1954) o il Renato Rascel, scrivano comunale a Pavia, che lega le sue speranze di promozione sociale all'acquisto di un cappotto, nell'omonima pellicola di Alberto Lattuada (1952) ispirata a Gogol.

L'ansia palese, leggibile nelle fotografie di allora, che riproducono il Nostro, paffuto e in pantaloni alla zuava, l'espressione petulante da "Superbone" (il personaggio del ragazzotto sbruffoncello nel fumetto "Il Monello" di quegli anni), perfetta icona del ceto medio-basso che si tira su dandosi delle arie, atteggiandosi. E intanto drizza lo sguardo con risentita invidia verso i palazzi di Corso Vittorio o di Viale dei Giardini, guata minaccioso il mondo della vecchia Milano-bene.

Da qui il crescere, nell'incubatrice della paura da precarietà di posizionamento sociale e nel risentimento cetuale, di quella voglia di rivalsa che si concretizza in un'idea monomaniacale: "ve la farò vedere io! Vi comprerò tutti!".

Di certo non accorgendosene, nello stesso periodo in cui decollava il volo senza scali di Silvio Berlusconi, Paolo Sylos Labini ne tracciava il tipo umano nel suo celebre Saggio sulle classi sociali: "fra gli strati di formazione intermedia, specialmente se provengono da famiglie miserabili, si ritrovano più di frequente gli individui peggiori, disposti a intraprendere l'ascesa sociale e la scalata al benessere con ogni mezzo".

La prima molla? Purissima rabbia. Contro tutti e tutto. Tutti noi da "fare su"; noi, a cui rifilare "il pacco" da supermagliaro per ricavarne una sensazione di superiorità e – al tempo stesso – poterci disprezzare per la dabbenaggine dimostrata facendoci prendere per il naso e mettere nel sacco. Secondo la ben nota teoria – più volte esternata dal Nostro – secondo cui "il pubblico è composto da ragazzetti neppure troppo intelligenti". Perché Berlusconi ci odia.

Ma è anche rabbia contro se stesso, inconfessabile quanto profonda.

Che altro dire del bisogno maniacale di intervenire su quel corpo che non è a misura della proprie aspirazioni. Per cui va rialzato con i tacchi delle scarpe, ripopolato di capelli artificiali che suppliscano alla caducità di quelli naturali, ritinto e tenuto assieme da lifting e iniezioni di derivati del silicone, fatto oggetto di trapianti. Plastificato.

I ragazzi delle borgate hanno l'impressione di riappropriarsi demiurgicamente della propria identità rimodellandola con pircing e tatuaggi. Berlusconi fa più o meno lo stesso, seppure in modalità assai più costose. Comportamenti dietro i quali si intravede una terribile insicurezza.

Berlusconi ha paura? Di certo una paura ce l'ha: il terrore di finire in prigione.

L'altra molla che lo muove freneticamente e lo ha spinto a entrare in politica. Con i giudici che diventano "l'uomo nero" o il "Gatto Mammone" negli incubi del maturo bambino cattivo e capriccioso. Incubi che lo spingono da oltre un decennio a stressare in maniera spasmodica le sue enormi attitudini di mentitore. Per questo Marco Travaglio, il più implacabile "spulciatore" della politica nazionale, lo ha soprannominato "Cavalier Bugiardoni". Un esempio? Il 3 febbraio 2006, nel corso della trasmissione Omnibus de La7, il Cavaliere dichiarava: "sì, è vero, a Milano c'è un processo in appello per cui sono già stato assolto in primo grado, ma non c'è nessuna possibilità che questo verdetto possa cambiare tanto è chiaro lo svolgimento dei fatti". Si stava riferendo alle vicende riguardanti la "chiacchierata" conquista della mega casa editrice Mondadori, ai danni di Carlo De Benedetti, e delle relative "lubrificazioni" dei magistrati coinvolti. Gli replica Marco "l'implacabile": "in realtà non è stato affatto assolto per il pagamento di 434.404 dollari al giudice Squillante tramite l'avvocato Previti nel marzo 1991. S'è salvato solo grazie alle attenuanti generiche e alla conseguente prescrizione del reato. Infatti Previti, per lo stesso fatto, non avendo ottenuto le stesse attenuanti, è stato condannato a cinque anni di carcere in appello".

Adesso – però – dovrebbe essersi messo un po' calmino dopo il ritorno al governo, a seguito della vittoria elettorale dell'aprile 2008, e – soprattutto – dopo che il Guardasigilli Angelino Alfano, piazzato dal premier a presidiare la Giustizia pro domo sua (la domus del premier, naturalmente. Minacciata a Milano dai processi Mediaset e Mills), ha varato l'omonimo "lodo". Ossia la disposizione che sospende i processi a carico del premier stesso e di altre tre cariche dello Stato (innanzi tutto la presidenza della Repubblica, cui ora Berlusconi guarda con crescente insistenza, anche per assicurarsi non cinque, bensì un dodici anni di tranquillità).

Tranquillità personale ottenuta anche grazie agli effetti paradossali che derivano dal succitato "lodo". Ad esempio il diverso trattamento previsto per i reati penali "normali" rispetto a quelli ministeriali. Lo hanno fatto notare due giornalisti de l'Espresso, Peter Gomez e Marco Lillo: "se durante un Consiglio dei ministri Berlusconi sfiduciasse il ministro degli Esteri Franco Frattini e lo cacciasse seduta stante da palazzo Chigi, rischierebbe il processo per abuso di atti d'ufficio. Grazie al lodo Alfano, invece, se aspettasse la sera e si nascondesse sotto il portone di casa impugnando una 44 magnum per sparare al povero Frattini un colpo sulla sua fronte spaziosa, non rischierebbe nulla. Almeno finché è in carica".

Intanto si è proseguito con altri "lodo" dagli effetti singolari.

Come ha scritto Liana Minella, "con un articolo inserito nel decreto Alitalia s'introduce il principio che i manager responsabili di crac finanziari possono finire sotto inchiesta solo se la società è fallita. La norma salva il presidente di Mediobanca Cesare Geronzi imputato di concorso in bancarotta nei casi Parmalat e Cirio". A seguire, ecco il "lodo Carnevale"; infilato surrettiziamente il 9 ottobre nel decreto che dà più soldi ai magistrati, al fine di consentire al giudice "ammazza-sentenze" Corrado Carnevale (tra l'altro, quello che si permise di definire "un cretino" Giovanni Falcone, subito dopo la sua uccisione per mano della Mafia nella strage di Capaci) l'ottenimento del posto di primo presidente in Cassazione.

A smentita dell'impressione che Berlusconi ce l'avrebbe con tutti i giudici. Solo con quelli che osano dargli torto. Per gli altri, come per tutti quelli che si sottomettono alla sua spaventosa volontà di dominio, è pronta la maschera benevola "del Ceausescu buono". Definizione di cui siamo debitori del solito Confalonieri.

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