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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 9 Introduzione 11 1 Pr๊t-à-proboscider 19 2 Il nero va su tutto, e tutto va sul nero 25 3 Il momento del bisogno 37 4 Dai diamanti non nasce niente... 43 5 Volare, oh oh... gracidare, oh oh oh... 49 6 Anche un pollo può volare 61 7 Mal comune mezzo gaudio 67 8 Liscio come il burro 77 9 (S)Fondi di bottiglia 87 10 La fortuna aiuta gli incapaci 93 11 Ti spiezzo in due... ? 107 12 Il torneo Tremuffe 115 13 (Fun)Godzilla 123 Conclusioni 133 Appendice I 143 Appendice II 169 Appendice III 185 Ringraziamenti 199 |
| << | < | > | >> |Pagina 11Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri. Arthur Schopenhauer Non sono fatto per le serate di gala. Sono stretto in uno scomodo frac che ho dovuto affittare. Che poi, probabilmente, l'unico frac comodo è quello che non devi indossare. Di buono c'è che la sala del teatro è gremita di persone, e anche se il loro abbigliamento non sembra molto più comodo del mio, sorridono tutte. O hanno tutte una paresi facciale, o l'unico nervoso sono io. Più probabilmente sono il solo che lo dà a vedere. Tutt'a un tratto pronunciano il mio nome. Ecco, ci siamo. Applausi scroscianti. Sento un formicolio alle gambe, i peli mi si rizzano così tanto che potrei cominciare a starnazzare. Mi alzo dalla poltroncina, dirigendomi verso il centro del palco per ritirare il prestigioso riconoscimento dalle mani dell'anziano signore, per regalargli una stretta di mano imbarazzata e sudaticcia e per fare il mio discorso di ringraziamento a mamma, papà, dolce metà e Maestro Yoda, per avermi sempre spronato ad andare avanti. «No! Provare no! Fare, o non fare. Non c'è provare!». L'ho sempre sognata così. No, non mi riferisco alla consegna dell'Oscar per aver scritto la sceneggiatura per un sequel di Jurassic Park che possa non dico reggere il paragone con l'originale, ma perlomeno non far sanguinare occhi e orecchie del pubblico. La sala non è quella del Dolby Theatre di Los Angeles, ma quella del Konserthuset di Stoccolma. E il tenero vecchino non è Anthony Hopkins, ma re Carlo XVI Gustavo di Svezia. Il prestigioso riconoscimento a cui mi stavo riferendo è il mio premio Nobel per la Fisica. Non è una questione di arroganza o spavalderia, parliamoci chiaro: chiunque si sia appassionato anche solo un po' alla Scienza da adolescente, ha sempre sognato di ritirare quel milione di doll... quella medaglia e passare alla Storia come lo scienziato che ha progettato uno scudo per mignolini dei piedi o qualunque altra soluzione ai problemi dell'umanità tutta. Gli scienziati sognano il Nobel per la Fisica, per la Chimica o per la Medicina; gli scrittori (e ora anche i cantautori) sognano di ricevere quello per la Letteratura, per poi magari nemmeno presentarsi alla cerimonia; non so se gli economisti sognino come noi esseri umani, ma se lo fanno sono certo che sognino il Nobel per l'Economia, assegnato solo dal 1969; le partecipanti ai concorsi di bellezza sognano quello per la Pace. Insomma, è un sogno alla portata di tutti. O quasi. La storia della nascita del premio è particolare. Alfred Nobel era un chimico, ingegnere e inventore ottocentesco di Stoccolma. Accumulò un'ingente quantità di denaro brevettando numerosi esplosivi, il più famoso dei quali è la dinamite. La scoperta di quest'ultima forse accidentale avvenne durante i tentativi di stabilizzare la nitroglicerina, invenzione italiana rea di aver provocato la morte del fratello minore di Alfred, Emil, nel 1864. Anche l'altro fratello Ludvig, nel marzo del 1888, perì in un'esplosione durante un esperimento a Cannes. Alcuni giornali francesi, confondendo il defunto con il fratello Alfred, annunciarono la morte di quest'ultimo con frasi non propriamente lusinghiere. Uno su tutti scrisse: Il mercante di morte è morto! Il dottor Alfred Nobel, che fece fortuna trovando il modo di uccidere il maggior numero di persone possibile più velocemente che mai, è morto ieri. Alfred, profondamente turbato dal lutto e da tali parole, decise che non sarebbe passato alla storia come uno sterminatore, ma come un generoso filantropo. Nel suo testamento decise quindi di istituire un fondo cui destinare circa il 94% dell'immensa fortuna accumulata 31 milioni di corone svedesi. Gli interessi generati da tale fondo erano da destinarsi a un premio da conferire a coloro che, durante l'anno precedente, più abbiano contribuito al benessere dell'umanità. Detto interesse verrà suddiviso in cinque parti uguali da distribuirsi nel modo seguente: una parte alla persona che abbia fatto la scoperta o l'invenzione più importante nel campo della fisica; una a chi abbia fatto la scoperta più importante o apportato il più grosso incremento nell'ambito della chimica; una parte alla persona che abbia fatto la maggior scoperta nel campo della fisiologia o della medicina; una parte ancora a chi, nell'ambito della letteratura, abbia prodotto il lavoro più notevole; una parte, infine, alla persona che più si sia prodigata o abbia realizzato il miglior lavoro ai fini della fraternità tra le nazioni, per l'abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti e per l'organizzazione e l'incremento dei congressi per la pace. Niente matematica. Pare che ad Alfred i matematici non stessero troppo simpatici. Si narra che tale antipatia fosse legata al fatto che la categoria piacesse invece molto a una sua amante, che lo tradì con Magnus G๖sta Mittag-Leffler, matematico svedese famoso per i suoi studi sulle funzioni analitiche, sul calcolo delle probabilità e sulle equazioni differenziali omogenee. Se fosse esistito un premio per la matematica, dunque, l'Accademia Reale svedese probabilmente prima o poi lo avrebbe assegnato a Mittag-Leffler. Meglio non rischiare. A chi piacciono i numeri non rimane dunque che provare a consolarsi con la medaglia Fields, assegnata ogni 4 anni ai migliori matematici sotto i 40 anni. Una volta giunti agli "anta", addio sogni di gloria. Come dicevo, tutti abbiamo sognato di ritrovarci il 10 dicembre giorno dell'anniversario della morte di Alfred Nobel a ritirare l'ambito riconoscimento. Ma, come avrete capito, è un oggetto del desiderio che mi ha sempre intimorito. Intanto perché amo i jeans e le felpe comode. Secondo, perché la famiglia reale svedese potrebbe non apprezzare le citazioni di Star Wars. Infine, e soprattutto, perché va bene avere un ego importante, ma pensare di contribuire al bene dell'umanità è una cosa grossa. Se poteste guardarmi in faccia, poi, sono certo che concordereste con me. Insomma, ho dovuto cercare un obiettivo più alla mia portata. Fortunatamente, non esiste solo il premio Nobel. Esiste anche il premio IgNobel! Non sto scherzando, esiste davvero. ศ un premio che viene assegnato ogni anno agli autori delle dieci ricerche più «strane, divertenti, e perfino assurde», i cui risultati sono spesso pubblicati su riviste scientifiche autorevoli. Se avete presente i Razzie Awards, la presa in giro degli Oscar dedicata alle peggiori performance cinematografiche dell'anno, questo potrebbe sembrarvi la versione scientifica dell'operazione. E capirete anche perché inizialmente, quando nel 1991 nacque il premio, non venne accolto sportivamente dai vincitori, che si rifiutarono di presenziare all'assegnazione. Addirittura, nel 1995, il consigliere capo per la Scienza del governo britannico sir Robert May chiese ufficialmente agli organizzatori della cerimonia dell'IgNobel di escludere dall'assegnazione gli scienziati britannici, sostenendo che i premi rischiassero di rendere ridicoli esperimenti in realtà seri. Il povero May fu aspramente criticato dalla stampa, britannica e non, e la sua richiesta venne ignorata dagli organizzatori. Bisognò attendere fino al 1996 perché qualcuno si presentasse a ritirare il riconoscimento: l'eroe fu Don Featherstone di Fitchburg, Massachusetts. A lui andò il premio per l'Arte di quell'anno, «per la sua rivoluzionaria invenzione ornamentale, il fenicottero rosa di plastica.» Oggi, alla cerimonia, una fila di persone riceve l'ambito premio con entusiasmo ed eleganza: da quelli che si presentano vestiti da topo a quelli con il costume da gallo, da chi giunge sul palco con del prosciutto che penzola dal naso a quelli che hanno una tavoletta del water attorno al collo, il campionario è ampio e variegato. E, spesso, a consegnare il riconoscimento, sono dei vincitori del vero premio Nobel! Perché l'IgNobel potrà anche sembrare una pazzia improvvisata, ma vi posso assicurare che mai ci fu follia più lucida. Sponsorizzato dalla rivista scientifico-umoristica americana Annals of Improbable Research , il premio viene assegnato al Sanders Theatre dell'Università di Harvard nel corso di una cerimonia di gala (diciamo così) co-patrocinata dalla Harvard-Radcliffe Science Fiction Association e dalla Harvard-Radcliffe Society of Physics Students. In pratica, c'è mezza Harvard a organizzarlo. La cerimonia viene inoltre registrata e trasmessa negli Stati Uniti sulla National Public Radio, e, negli ultimi anni, un IgNobel Tour ha portato degli spettacoli nel Regno Unito durante la "Settimana nazionale della Scienza". Al contrario di quanto avviene per il fratello altolocato, in occasione dell'IgNobel non è prevista una somma di denaro per i vincitori. Solo la gloria, diciamo. E la possibilità di tenere, qualche giorno dopo, una lezione informale in cui illustrare al mondo l'importanza delle proprie ricerche. Però non a Harvard, stavolta: al MIT, il Massachusetts Institute of Technology. Che non è esattamente una fumosa taverna del porto di Genova. Ora, la domanda che voglio porvi all'inizio di questo nostro viaggio nelle meraviglie della Scienza è una sola. O meglio, sono due. La prima è: perché mai l'Università di Harvard e il MIT, non la seppur gloriosa ProLoco di Poggibonsi, spendono ogni anno una grossa quantità di tempo e denaro per organizzare un premio da consegnare a della gente che usa fette di maiale per tamponare l'emorragia al naso? Secondo questito: siete proprio sicuri di volerle conoscere, queste motivazioni? Se la reazione alla seconda domanda è un tanto convinto quanto imprudente «Sì», allacciate le cinture: stiamo per scoprire la risposta alla prima. Preparatevi a sorprendervi! | << | < | > | >> |Pagina 37Colui che è guidato dal genio vale a dire colui che pensa da sé, che pensa per volontà propria, che pensa in modo giusto è in possesso della bussola per trovare la via giusta. Arthur Schopenhauer Alzi la mano chi di voi ha un cane. Chi ha un cane possiede anche una bussola? Vi sembrerà strano ma, secondo la mia esperienza, cani e bussole sono spesso incompatibili. A ogni modo, se avete un cane ma non una bussola, fatevela prestare. Se avete una bussola ma non un cane, procuratevelo. Portatelo poi in un bel prato grande, lasciatelo libero e aspettate. Prima o poi dovrà fare i bisognini. A quel punto tirate prontamente fuori la bussola e osservate: il 95% dei cani evacua il proprio intestino allineando l'asse del proprio corpo con la direzione nord-sud. O sud-nord. Forse preferendo quest'ultima. I cani che non lo fanno sono generalmente esemplari giovani, più insofferenti verso le regole. Con il tempo, crescendo, tenderanno probabilmente ad allinearsi anche loro alle vigenti normative del codice canino. Non ci avevate mai fatto caso, vero? Direi che per un sacco di tempo non lo ha fatto nessuno. Dobbiamo questa straordinaria scoperta a un gruppo di ricercatori cechi (senza "i") dell'Università Ceca di Scienze della vita di Praga e di quella tedesca di Duisburg-Essen. I ricercatori hanno monitorato in modo molto poco discreto e assai molesto 70 cani 28 maschi e 42 femmine per un periodo di due anni, annotandosi giorno per giorno in che direzione questi facessero i loro bisogni. Un totale di 1.893 osservazioni legate alla defecazione e 5.582 sulla minzione sono state condotte su cani sempre liberi (quindi non al guinzaglio) in prati, campi o boschi. Questo perché gli animali non dovevano essere influenzati da strutture lineari, come pareti o recinzioni, e dovevano essere lontani dal traffico stradale e dalle linee elettriche ad alta tensione. E, come abbiamo detto, da questa enorme mole di dati si evince che ai migliori amici dell'uomo piace espletare i propri bisogni volgendosi a settentrione o a meridione. Ovviamente i dati sono stati analizzati dividendoli per razza, sesso, età e massa corporea. E ognuno di tali gruppi di informazioni è stato a sua volta suddiviso per data, ora e luogo di "emissione". I dati non mostrano particolari distinzioni tra razza e sesso, se non che i maschietti nel fare pipì tendono a girarsi un po' più a ovest delle femminucce. Però, come si diceva, sembra che i cani più adulti siano maggiormente portati ad allinearsi rispetto ai giovani, più scapestrati. Ma come fa la carica dei 101 a capire dov'è il nord? Qualcuno in realtà ha avanzato dei dubbi sul fatto che i cagnetti potessero essere davvero influenzati dalla posizione del Sole: per essere sempre vigili verso i potenziali pericoli ed evitare di essere abbagliati dai raggi di luce, gli animali avrebbero infatti potuto rivolgere sempre le spalle al disco solare. E siccome il Sole nell'emisfero boreale tende a stare a sud, loro si sarebbero messi a guardare il nord. Le misurazioni però sono state effettuate in orari diversi, con la nostra stella in differenti posizioni nel cielo (a est o a ovest, o magari proprio assente, per esempio di notte). E, come fanno notare i ricercatori, nella Repubblica Ceca e in Germania il Sole non si vede poi così di frequente, quindi è probabile che in molti dei giorni considerati il cielo fosse estremamente nuvoloso. Inoltre, l'ipotesi antiabbagliamento parrebbe poco credibile. Intanto, l'urinazione è un atto estrememente breve e quindi il rischio di essere colti di sorpresa è basso. Inoltre, guardare sempre dal lato opposto al Sole potrebbe non essere una grande strategia, perché i nemici potrebbero non farci il favore di provenire proprio da quella direzione. Infine, i cani per monitorare l'ambiente sfruttano udito e olfatto molto più dell'uomo. In alcune razze, li utilizzano forse anche più della vista. Ciò che osserviamo di frequente, comunque, è che il cane in barba a ogni nostra speculazione semplicemente si piazza a fare i propri bisogni nella direzione che preferisce e rimane vigile ruotando la testa in altre direzioni potenzialmente interessanti. Possiamo dunque escludere che l'orientazione sia legata al Sole. Parrebbe invece che i nostri amici a quattro zampe siano sensibili al campo magnetico terrestre.
[...]
Inoltre, se il cane percepisce il campo geomagnetico nel momento del bisogno, è presumibile che lo faccia anche in generale. A meno che tale facoltà non si attivi all'improvviso, come un interruttore, giusto per avere una vista migliore in determinati frangenti. Ma se il panorama rilassante non è l'obiettivo ultimo, l'animale potrebbe un giorno essere addestrato a reagire a tali stimoli sensoriali, o a orientarsi in particolari situazioni. Per esempio in caso di ricerca e soccorso fra macerie o valanghe, quando per i soccorritori orientarsi può diventare estremamente complicato a causa dell'assenza di punti di riferimento.
Anche solo per questo risvolto, possiamo dire che la mancanza
di discrezione degli scienziati cechi non meritava poi tutta l'ilarità con cui
la loro ricerca è stata accolta dalle principali testate internazionali.
Premio IgNobel BIOLOGIA, 2014: Vlastimil Hart, Petra Nováková, Erich Pascal Malkemper, Sabine Begall, Vladimír Hanzal, Milo Jeek, Tomá Kusta, Veronika Nemcová, Jana Adámková, Katerina Benediktová, Jaroslav Cerveny e Hynek Burda, da Repubblica Ceca, Germania e Zambia, per aver attentamente documentato che i cani, quando fanno i loro bisogni, preferiscono allineare l'asse del proprio corpo lungo la direzione nord-sud del campo magnetico terrestre. | << | < | > | >> |Pagina 61I geni sono come i temporali. Vanno contro il vento, terrorizzano la gente, purificano l'aria. Soren Kierkegaard Immaginate di possedere una fattoria in Kansas: uno slanciato mulino a vento a svettare su vasti campi di granturco, un paio di silos, un'aia per polli e galline. Ve ne state lì, all'interno della vostra casa in legno, a sorseggiare una limonata fresca mentre fuori piove, lontani dai problemi e dalla criminalità della metropoli. A un tratto, un boato attraversa il cielo e squassa la terra. No, non è un tuono. E nemmeno l'astronave kryptoniana di Kal-El che precipita, tenete da parte l'entusiasmo per altre occasioni. Anche perché ora vi toccherà correre. Quella cosa che si sta dirigendo verso la vostra casa, infatti, non è Superman. ศ un tornado. [Comincia l' Aria sulla quarta corda di Bach. Breve momento SuperQuark.] Un tornado, o tromba d'aria, è un vortice originatosi alla base di un cumulonembo (un muro verticale di nubi alto diversi chilometri) e giunto a toccare il terreno. ศ associato quasi sempre a temporali estremamente violenti, le cosiddette supercelle. Capace di sollevare polvere, detriti, oggetti e mucche, è un imbuto con una base dal diametro che va dai 100 ai 1.000 metri (rarissimamente, per fortuna, anche 3 chilometri). Lo stesso dicasi per l'altezza. Dura in genere meno di 15 minuti, ma alle volte può far danni per qualche ora, percorrendo centinaia di chilometri a una velocità compresa tra 30 e 100 chilometri all'ora. I venti generati hanno velocità che vanno dai 100 ai 500 (in casi eccezionali) chilometri all'ora. [Finisce l' Aria sulla quarta corda, Piero Angela si congeda con la sua consueta eleganza. Comincia una musichetta più adrenalinica, a vostra scelta.] Sulla scala di classificazione Fujita avanzata, che va da "debole" (EF0) a "catastrofico" (EF5), il tornado che vi corre gioiosamente incontro, essendo un EF2-EF3 è definibile al più come "significativo". E questo è un bene. Ma quel vortice ha un significativo diametro di 250 metri. E, ancora più significativamente, si sta muovendo verso di voi a 60 chilometri all'ora, ribaltando il vostro pick-up all'ingresso del vialetto. E questo non è un bene. Probabilmente è il caso di scendere nella vecchia cantina sotterranea del nonno: fa fresco, c'è il vino, e ci sono buone possibilità che resista per il quarto d'ora necessario. La cantina, non il vino. Venti minuti dopo, ubriachi, risalite per dare un'occhiata ai danni. Il mulino a vento non svetta più sui campi di granturco. Nel senso che non ci sono più né il mulino né il granturco. Il pick-up era vecchiotto, prendetela come una buona occasione per cambiarlo. Osservare il cielo notturno è un'abitudine che al giorno d'oggi si sta perdendo, ma fortuna vostra voi potrete recuperarla. Anche perché il tetto è andato a insegnare agli angeli come si allineano le tegole. Il problema vero, però, è che dovrete dire addio alle uova strapazzate a colazione. Delle galline, nell'aia, sono infatti rimaste solo le piume. I loro corpi nudi li ritroverete in seguito, sparsi nei campi ormai privi di mais. Mentre osservate con senso di scoramento i vostri pennuti spennati, vi rendete conto che quella scala Fujita decisamente non è affidabile. Sarà anche stata rivista negli anni (ecco il perché dell'"avanzata"), ma è ancora decisamente migliorabile. Fortunatamente per voi, in questo momento avete una caratteristica spesso ricercata dagli scienziati: siete pieni zeppi di alcol. E questo vi aiuta ad applicare il metodo scientifico galileiano, a indagare la natura con occhi nuovi, se pur lucidi. A identificare nuove e più efficaci unità di misura. Ed è qui che giunge l'idea. Perché non utilizzare lo spennamento del pollo come misura della velocità delle trombe d'aria? Più corpi implumi trovo per terra, più forte sarà stato il tornado. E lo stesso metodo, utilizzando una scala opportunamente calibrata, potrebbe essere utilizzato anche con altri pennuti d'allevamento, che siano struzzi da corsa o tacchini per il Ringraziamento. Semplice, facile. Un nuovo ed elegante sitema metrico. Più o meno. Purtroppo per voi, però, la vostra idea non è così innovativa come pensate. C'è già chi ha condotto esperimenti a riguardo.
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Premio IgNobel METEOROLOGIA, 1997: Bernard Vonnegut dell'Università di Albany, New York, per il suo studio "Lo spennamento di un pollo come misura della velocità di un tornado". | << | < | > | >> |Pagina 67L'uomo di genio è colui che dà alle sue esperienze private un valore rappresentativo e universale, cioè che sa vedere nelle cose tutto ciò che contengono e ne scopre il significato tipico. Henri-Frédéric Amiel Praticamente tutti voi conoscerete la legge di Murphy , ovvero la legge universale della sfortuna. Se state pensando «No, non la conosco», fidatevi: la conoscete, anche se forse non con questo nome. Chi di voi invece sta pensando «Sì, la conosco», immagino si ricordi parola più, parola meno la formulazione più celebre: «Se qualcosa può andar male, lo farà.» In realtà il primo a postulare la legge fu un ingegnere della USAF, la United States Air Force, ovvero la forza aerea statunitense. Quest'uomo, tale Edward Murphy, nel 1949 lavorava agli esperimenti dello USAF project MX981, durante i quali si verificava la tolleranza del corpo umano alle violente accelerazioni legando una persona su un razzo che viaggiava su rotaia. Uno degli esperimenti, in particolare, prevedeva l'utilizzo di 16 accelerometri montati su diverse parti del corpo del disgraziato. I sensori potevano essere agganciati ai propri supporti in due modi: nel verso giusto, per cui avrebbero registrato i dati; nel verso sbagliato, per cui il sacrificio umano si sarebbe goduto un viaggetto sul razzo senza fornire neanche un dato utile. Ora, direte voi, sarebbe bastato fare un segnetto dal lato giusto del sensore per essere sicuri di montarli nel modo corretto. Parlando a un fisico state sfondando un portone spalancato, ma evidentemente l'ingegnere e i suoi tecnici non ci arrivarono. Fatto sta che, metodicamente e irrimediabilmente, i tecnici finivano con il montare tutti e 16 i sensori nella maniera sbagliata. Fu durante una di queste occasioni che il buon Murphy pronunciò la frase: «Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo». Quanta drammaticità, se consideriamo che non c'era mica lui, sul razzo. Sul razzo c'era infatti John Paul Stapp medico e maggiore dell'esercito poi divenuto colonnello, non sappiamo se per altri meriti oltre a quello di essere un manichino vivente per crash test. Stapp concordava però a tal punto (lui sì a ragion veduta) con Murphy da imprimersi nella memoria la frase dell'ingegnere per poi riportarla, qualche giorno più tardi, durante una conferenza stampa. Ed è sempre a Stapp che si deve la formulazione generica che molti di voi ricordano. Ma in realtà, di formulazioni e declinazioni della legge ce ne sono molte. La maggior parte, tutte pessimistiche, sono state raccolte dallo scrittore e umorista americano Arthur Bloch in una inaspettatamente visto il tema fortunata serie di libri. A memoria ricordo però anche una formulazione ottimistica della regola: «Tutto quello che può accadere accadrà».
[...]
Esiste dunque la legge di Murphy sul traffico? No. Ha quindi senso rischiare di peggiorare il traffico con ulteriori incidenti (alla vostra macchina, per di più)? Assolutamente no.
In fondo, come ci ricordano gli stessi professori Redelmeier e
Tibshirani dello studio su
Nature,
«il modo migliore di arrivare 5 minuti in anticipo è partire 5 minuti prima».
Premio IgNobel INGEGNERIA, 2003: John Paul Stapp, Edward A. Murphy Jr. e George Nichols, dagli Stati Uniti, per aver dato origine, nel 1949, alla legge di Murphy, il principio base dell'ingegneria per cui «se esistono due o più modi di fare qualcosa e uno di quei modi può portare a una catastrofe, qualcuno la farà in quel modo» o, in altre parole, «se qualcosa può andare male, lo farà». | << | < | > | >> |Pagina 93Nessuno è un genio per il suo datore di lavoro. Roberto Gervaso Ci lamentiamo di continuo del fatto che nel nostro Paese si investa molto poco sulla meritocrazia. Quando parliamo di meritocrazia, però, ci riferiamo in realtà quasi sempre alla cosiddetta "meritocrazia ingenua": in un'azienda, una società, un istituto o addirittura in una nazione bisogna promuovere a ruoli di maggior importanza coloro che si sono dimostrati i più brillanti nella loro posizione. Ma siamo davvero convinti che questa sia la strategia migliore per il bene della azienda/società/istituto/nazione? Poiché non posso riscrivere continuamente questa sequenza di termini separati da barre oblique, sfrutterò un escamotage estremamente caro ai fisici quando devono dare un nome a un file/variabile/codice-informatico/animale-domestico: la rinominerò pippo. Rigorosamente minuscolo, perché la nostra pigrizia ci impedisce di consumare inutilmente calorie premendo un ulteriore pulsante. Ricapitolando: siamo davvero convinti che questa sia la strategia migliore per il bene di pippo? Riflettiamoci un momento. Se una persona che occupa una posizione all'interno di pippo è estremamente competente al livello lavorativo x, lo sarà necessariamente anche al livello x + 1? Facciamo un esempio pratico, di vita quotidiana: immaginiamo che voi siate il proprietario di un grosso pippo specializzato in vendita di fruste manuali da pasticceria. Assumete un ragazzo sedicenne appena uscito trionfalmente dalla seconda elementare dopo nove bocciature consecutive perché in fondo questa operazione della ripetizione di somme denominata "moltiplicazione" non lo convince appieno. Lo assegnate alla squadra di 27 dipendenti adibiti al posizionamento dei codici a barre sulle confezioni dei vari modelli di frusta. Dopo solo un anno, il nostro oramai diciassettenne ha dimostrato di essere nettamente il migliore fra i 27: le sue etichette sono perfettamente parallele ai lati della scatola e tutte esattamente alla distanza di 1,3 centimetri dal lato inferiore e 1,7 da quello destro. Stando alla meritocrazia, dovreste promuoverlo. La cosa vi sembra proprio una bella idea, dunque lo spostate al reparto posizionamento-dei-cartellini-dei-prezzi. Un successone: i prezzi non sono mai stati così perfettamente inseriti all'interno degli appositi espositori plastici, e il negozio è uno splendore. Dopo appena sei mesi, promuovete il quasi maggiorenne al reparto vendita. Ma qui sorgono i problemi. Ogni mese il ragazzo vende al principale cliente abituale 2 fruste con l'impugnatura in porfido rosso, una con quella anti-proiettile in kevlar e 6 composte da fasci laser verdi curvati mentalmente grazie alla Forza. Solo che, arrivato alla cassa, la sua scarsa preparazione matematica gli impedisce di stabilire correttamente il costo totale della spesa, facendo perdere al cliente tempo prezioso, durante il quale avrebbe potuto fatturare trilioni di euro. Il cliente si lamenta con voi, facendovi notare che il ragazzo è un disastro e che è tutta colpa vostra che lo avete promosso. Eppure voi non avete fatto altro che seguire il metodo meritocratico. Non vi rimane che strapparvi le vesti sotto la pioggia, scalando una parete di difficoltà 8c a testa in giù con dei ceci fra le mani per poi urlare al vento dalla cima della montagna quanto ingiusto sia il mondo. Ma la colpa non è vostra, è della meritocrazia ingenua: per ricoprire la posizione di lavoro x + 1 il diciassettenne necessitava delle stesse competenze richieste al livello x. Ma al livello x + 2 tali competenze sono cambiate. Promuovendo il ragazzo voi avete tolto un ottimo elemento da un livello per andare a inserirlo in un altro, sperando che qui lui non risultasse un incapace. Un ottimo ricercatore può essere un pessimo direttore di dipartimento, se non sa organizzare il lavoro di gruppo o, per esempio, è un fisico asociale che non parla con nessuno. Fortuna che, come è noto, i fisici asociali fortunatamente scarseggiano. Anzi, tendiamo a essere l'anima delle feste. Ma torniamo a noi. Esiste un principio, detto principio di Peter o principio dell'incompetenza, formulato nel 1969 dallo psicologo canadese Laurence J. Peter della University of Southern California in un libro scritto in collaborazione con l'umorista Raymond Hull che recita: «in una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza». In sostanza, un lavoratore verrà continuamente promosso fino a giungere a una posizione in cui risulterà incompetente. E a questo punto i suoi avanzamenti di carriera si arresteranno. Dal principio di Peter discende un corollario: «con il tempo, ogni posizione lavorativa tende a essere occupata da un impiegato che non ha la competenza adatta ai compiti che deve svolgere». Da cui ne consegue un secondo: «tutto il lavoro viene svolto da quegli impiegati che non hanno ancora raggiunto il proprio livello di incompetenza». Se il principio fosse vero, la meritocrazia ingenua porterebbe ad avere dirigenti incompetenti. Non certo un bene, per pippo. Certo ci riesce difficile immaginare un capo ignorante, un governante inetto e un amministratore delegato incapace. Da questo punto di vista, nell'italica penisola, siamo abituati bene e tutto ciò ci appare grottesco, anti-intuitivo e paradossale. Eppure sappiate che ci sono altre nazioni meno fortunate di noi. Peter stesso elenca una lunga serie di esempi di persone che, pur di non ritrovarsi in una posizione di incapacità, hanno cercato in ogni modo di evitare la promozione. Si va da chi si è fatto un tatuaggio a chi si è vestito in modo non consono, da chi parcheggiava nel posto riservato al capo a chi non ha partecipato al regalo di pensionamento dei colleghi, da chi arrivava sistematicamente in ritardo a chi si portava il cibo da casa pur di non mangiare con i colleghi e rimanere in ufficio in pausa pranzo. Una strategia, quest'ultima, che getta una nuova luce sul terrore dei milanesi e dei brianzoli di essere promossi sul luogo di lavoro. La questione è dunque spinosa e dibattuta, non solo in ambito sociale, ma anche in quello economico o in quello della teoria dei giochi.
[...]
Insomma, fidarsi dei broker è bene, ma forse non fidarsi è meglio. E più avanti ve ne darò una ulteriore dimostrazione. Mentre, per quanto sfortunati pensiate di essere, fidarsi del Caso potrebbe portare a gradite sorprese. In Borsa come nei pippo o nei parlamenti. O in molti altri ambiti. In quello della fisica è noto da molto tempo che il rumore, cioè un segnale di tipo casuale, a volte può essere vantaggioso nella dinamica di molti sistemi: può generare fenomeni come le risonanze, può stabilizzare sistemi instabili o aumentare la capacità di trasmissione di canali in reti complesse. Per non parlare del ruolo che la casualità gioca nell'evoluzione naturale. Non dovrebbe stupirci troppo, quindi, che il caso possa giocare un ruolo positivo anche in ambito socioeconomico. La prossima volta che il vostro capo (che sia il vostro dirigente o vostra moglie) vi apostroferà con epiteti poco eleganti, dicendovi che agite senza uno schema logico, rispondete che un po' di caso può aiutare, nella vita. [Un po', però.]
Vedrete che... gli epiteti peggioreranno.
Premio IgNobel MANAGEMENT, 2010: Alessandro Pluchino, Andrea Rapisarda e Cesare Garofalo dell'Università di Catania, Italia, per aver dimostrato matematicamente che le organizzazioni diventerebbero più efficienti se promuovessero persone a caso. | << | < | > | >> |Pagina 139Abbiamo cominciato questo viaggio nelle follie della Scienza con una domanda: perché due enti di prestigio assoluto quali l'Università di Harvard e il MIT spendono ogni anno una grossa quantità di tempo e denaro per organizzare un premio da consegnare a gente che monitora le deiezioni canine?La risposta, in realtà, sta tutta nel motto del premio IgNobel: «Ricerche che prima fanno ridere la gente e poi la fanno riflettere». Riflettere su cosa? Sul fatto che la Scienza funziona così: parte da un gioco, dall'idiozia di qualcuno, dalla curiosità dell'essere umano. Trova una risposta a una domanda che forse non era neanche il caso di fare, una soluzione a un problema che praticamente non si era posto nessuno perché in fondo a nessuno importava. Questa può poi finire nel cassetto di uno scantinato polveroso anche per decenni. Arriverà però un giorno in cui qualcuno, magari altrettanto folle, aprirà quel cassetto. E mescolando con un po' di fantasia questa soluzione inutile a un problema stupido, potrà fornire una risposta a tutta una serie di domande non necessariamente già formulate. E magari finirà con l'entrare nelle case di tutti i cittadini, migliorandone la vita quotidiana. Siamo partiti osservando i cani fare i propri bisogni e abbiamo individuato un possibile vantaggio per le operazioni di ricerca e soccorso; abbiamo analizzato la rottura degli spaghetti e siamo giunti ai ponti e alla genetica; abbiamo giocato con delle muffe in un labirinto e abbiamo potuto progettare reti di trasporto o studiare l'evoluzione dei tumori. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo la Scienza ci insegna che nessuna curiosità è davvero stupida, nonostante i nostri dubbi. Ogni curiosità merita di essere seguita, ogni problema merita di essere indagato. Non esistono sprechi di tempo e denaro, quando si insegue la voglia di conoscere. Ci sono però tre problemi da affrontare. Il primo è il riuscire a spiegarlo a tutti. Certo se il CERN, donando il www al mondo, avesse inserito la clausola «ai piedi di ogni pagina internet deve esserci scritto che è merito nostro», forse ci saremmo risparmiati un po' di fatiche. Il premio IgNobel ha come scopo quello di contribuire a togliere di mezzo un po' di polemiche. E, almeno nei Paesi anglosassoni, lo fa con un discreto successo. Da noi, purtroppo, viene ancora riportata come notizia di colore per riempire qualche colonnina destra sulla homepage dei quotidiani e farsi due risate. Il secondo problema da affrontare è l'impazienza. Bisogna saper attendere. Le ricadute hanno tempi di gestazione di anni. Poche aziende, se non qualche multinazionale molto solida, sono propense a investire in una tecnologia che darà i suoi frutti dopo 10 o 20 anni. Vi siete mai chiesti perché spesso a finanziare la ricerca di base sono i militari? Perché purtroppo loro sono sicuri che ci saranno ancora, fra qualche decennio. Un governo, in Paesi come il nostro, tende invece a non seminare in tali campi, perché il merito della raccolta ricadrebbe sulle legislature future. Ma se un piano ventennale di investimenti e guadagni non lo fa uno Stato, chi dovrebbe farlo? Infine, il terzo problema da gestire è l'imprevedibilità. Come accennato prima, nessun ricercatore ha un'idea chiara (spesso neanche lontanamente) di come il proprio lavoro andrà a migliorare la società. Alle volte non ce l'ha neanche di come andrà a migliorare le conoscenze scientifiche del proprio ambito di studio. E, purtroppo, tale imprevedibilità tende a essere vista come un problema più che come un'opportunità. Nonostante la Storia ci urli il contrario. Leggenda vuole che un giorno Faraday, uno dei principali studiosi di sempre dell'elettricità (è quello a cui, per esempio, si deve il fatto che quando un fulmine colpisce casa vostra voi non rimaniate fulminati), ricevette la visita di un ministro. Lo scienziato, nonostante non fosse noto per la gentilezza e l'affabilità, gli mostrò il proprio laboratorio e l'esperimento a cui stava lavorando. Il ministro lo accompagnò nel tour con aria interessata, come se davvero capisse o apprezzasse ciò che gli veniva mostrato. Infine, pose una domanda: «Interessante, ma a che serve?». Faraday lo squadrò, e rispose gelidamente: «Non lo so, ma scommetto che un giorno il vostro governo ci metterà una tassa sopra».
L'esperimento era quello che condusse all'invenzione della dinamo, per la
produzione di energia elettrica. E la tassa, inutile dirvelo, arrivò.
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