|
|
| << | < | > | >> |IndicePrefazione 9 I. INTRODUZIONE 13 II. PACONIO E IL PIEDISTALLO DI APOLLO Un paradigma di errore nella progettazione teorica 29 III. IL TRAPANO DI VITRUVIO E LE OSSA DI GALILEO Esempi di limiti dimensionali nella progettazione 43 IV. GALILEO E LA COLONNA DI MARMO Quando, modificando un progetto, si finisce per peggiorarlo 62 V. GALILEO CONFERMA UNA FALSA IPOTESI Un esempio tipico di errore logico nella progettazione 80 VI. PROGETTO E CROLLO DEL PONTE DEE L'errore nascosto dietro ad un successo apparente 98 VII. IL PONTE TUBOLARE BRITANNIA Una prima intuizione di tunnel sospeso 117 VIII. L'ERRORE COME FONTE DI VALUTAZIONE TECNICA John Roebling, un progettista esemplare 140 IX. IL CONTESTO PROGETTUALE DEL PONTE DI TACOMA NARROWS Un esempio di uso selettivo della storia 165 X. CELEBRI CASI DI PONTI CROLLATI E MONITI PER I PROGETTI FUTURI 188 XI. CONCLUSIONE 203 Bibliografia 211 |
| << | < | > | >> |Pagina 9La più grande tragedia che soggiace agli errori di progettazione e ai fallimenti che ne derivano sta forse nel fatto che molti di essi potrebbero in realtà essere evitati, e tuttavia proprio uno dei mezzi potenzialmente più efficaci per migliorare il livello di affidabilità dell'ingegneria sembra essere quello più trascurato. Pur essendo estremamente istruttiva per ciò che riguarda la natura della progettazione e le tecniche di costruzione, la casistica storica è in gran parte assente dai programmi accademici per ingegneri, forse perché la tecnologia moderna sembra sempre essere di gran lunga più avanzata rispetto a quella dei decenni, per non parlare dei secoli o millenni, precedenti. Eppure, spesso, la tecnologia è solo una manifestazione superficiale, ottenuta principalmente attraverso strumenti analitici e di calcolo, di quanto si è compreso della sostanza e del comportamento delle realizzazioni dell'ingegneria. Chiunque dubiti di tale affermazione deve solo pensare agli errori di progettazione e ai cedimenti che si verificano nel clima di fiducia, se non addirittura di hybris, creato da quella che viene chiamata la "tecnologia moderna". La natura fondamentale della progettazione ingegneristica trascende l'innovazione tecnologica. Di conseguenza, uno studio della casistica storica in grado di chiarire quegli aspetti di concettualizzazione, valutazione ed errore che sono costanti immutabili del processo di progettazione può rivelarsi altrettanto importante e prezioso ai fini della comprensione della tecnologia e dei suoi strumenti, quali il calcolo o il software più avanzato. Le lezioni del passato, infatti, non sono soltanto piene di ammonimenti sugli errori da evitare, ma forniscono anche molti ottimi esempi di valutazione tecnica. Questo libro sostiene la tesi che lo studio della casistica storica dovrebbe avere più spazio nei programmi accademici di ingegneria. I vantaggi immediati e gli effetti sull'istruzione che ne deriverebbero sarebbero numerosi: tale studio renderebbe più chiari e facilmente estrapolabili gli schemi di successo o fallimento che si sono manifestati nel campo dell'ingegneria nel corso dei secoli; manterrebbe vive, nella mente delle nuove generazioni di ingegneri, le lezioni apprese dai nostri predecessori; una comprensione degli elementi di ingegneria che rimangono costanti nel tempo e delle analogie che li uniscono, seppure in campi apparentemente molto diversi, fornirebbe una base teorica a programmi che gli studenti trovano spesso carenti; un archivio comune di casi storici e aneddoti potrebbe essere utilizzato come "lingua franca" fra i vari settori dell'ingegneria, enfatizzandone le affinità; gli studenti di ingegneria, infine, acquisirebbero una maggiore consapevolezza delle radici della loro professione e del suo rapporto con la società. Obiettivo di questo libro non è soltanto presentare un modello in grado di spiegare come nascano gli errori in fase di progettazione, ma anche fornire un mezzo per aiutare ingegneri ed architetti ad evitare simili errori nei propri progetti. Il ricorso ad aneddoti classici ed efficaci, ambientati in situazioni di progettazione tipiche, è ottimo per estrarre principi generali e, al tempo stesso, fornire temi unificanti e lezioni istruttive che saranno ricordate. Questo lavoro, però, non vuole limitarsi ad elencare una lunga serie di storie ormai conosciute e inflazionate di famosi insuccessi dell'ingegneria, come la torre pendente di Pisa o il ponte di Tacoma Narrows, poiché lo studio analitico di casi già conosciuti non è in sé sempre sufficiente a giungere a nuove conclusioni relative alla progettazione o, più in generale, ad evitare errori in questa fase. Ciò che può al tempo stesso insegnarci qualcosa sulla progettazione e migliorare il nostro lavoro è un gruppo accuratamente selezionato di casi storici o studi in grado di illuminare aspetti diversi (sebbene spesso con qualcosa in comune) della progettazione e che servano da paradigmi sia per la teoria che per la pratica. Per essere efficace come paradigma d'errore, lo studio di un caso specifico deve poter essere presentato come una storia nuova e facile da ricordare (o perlomeno come una storia nota raccontata da una prospettiva nuova). Ma deve anche riuscire a evocare una serie di altri casi correlati o storie di disastri leggendari riguardanti un'ampia gamma di contesti e discipline tecniche, dimostrando così come, nel corso del tempo, lo stesso errore, o errori simili, abbiano portato a ripetuti insuccessi nel campo della progettazione. Se lo studio a scopo paradigmatico di un caso concreto ha questi requisiti, è molto probabile che esso arrivi a rappresentare un errato principio generale di progettazione che potrebbe poi manifestarsi anche in situazioni nuove. Di conseguenza, il paradigma svolgerà la doppia funzione di fornire una guida per la comprensione del processo di progettazione e, contemporaneamente, contribuire a migliorarlo mettendo in guardia il progettista contro alcune trappole comuni legate alla logica di progettazione. La natura aneddotica degli esempi presentati in questo libro ha lo scopo di evocare associazioni con le situazioni reali che i progettisti si trovano ad affrontare quotidianamente. Il principio guida è stato quello di selezionare, spiegare e convalidare un insieme di paradigmi che chiariscano con efficacia in che modo determinate tipologie di errore possono comparire o essere evitate nei vari aspetti del processo di progettazione. Tuttavia, questa raccolta di casi esemplari non mira tanto a fornire una classificazione univoca, precisa, esaustiva o definitiva degli errori di progettazione, quanto piuttosto a dimostrare l'efficacia di un simile approccio. Alcuni esempi di fallimenti tecnici recenti sono stati inclusi allo scopo di sottolineare che la costruzione di un paradigma storicamente fondato non è un semplice esercizio erudito, bensì un lavoro che ha rilevanza per il presente e che continuerà ad averne al fine di evitare errori nei progetti ingegneristici per tutto il XXI secolo. Se si riuscirà a diffondere maggiormente e in modo efficace lo studio di una casistica istruttiva e di paradigmi convincenti, abbiamo motivo di credere che questi possano entrare a far parte del bagaglio intellettuale di un progettista, al pari delle leggi della meccanica, delle regole empiriche e dei modelli informatici. Questo libro non è indirizzato soltanto agli studenti di ingegneria; gli ingegneri che già esercitano potrebbero scoprirvi una prospettiva diversa sulla loro professione e i lettori non specializzati interessati ad acquisire qualche informazione sul come si fa progettazione potrebbero trovarvi un'introduzione indolore all'argomento. Per far sì che i casi storici e le lezioni riportate in questo libro fossero accessibili sia agli studenti di ingegneria che agli ingegneri appartenenti a tutti i settori e di tutti i livelli, nonché a un pubblico di non addetti ai lavori, si è cercato di evitare un linguaggio troppo specialistico e di eliminare quasi tutte le equazioni. Al lettore, dunque, non è richiesto nessun requisito particolare, se non la disponibilità ad accettare l'idea che quanto è stato fatto dagli ingegneri del passato abbia una certa attinenza con quanto fanno gli ingegneri ai giorni nostri. | << | < | > | >> |Pagina 13Nel processo di progettazione il concetto di errore è fondamentale, poiché è proprio pensando in termini di evitare l'errore che si fanno buoni progetti. L'idea che gli insuccessi siano di gran lunga più istruttivi dei successi è ormai da tempo una verità ovvia per ingegneri e progettisti. La storia dell'ingegneria, infatti, è piena di esempi di drammatici fallimenti di quelle che inizialmente erano state considerate logiche estrapolazioni di progetti ineccepibili. In seguito a tali fallimenti sono emersi, alla fine, i difetti latenti nella logica di progettazione che inizialmente erano stati nascosti da ampi coefficienti di sicurezza e da un conservatorismo progettuale che si era poi allentato col passare del tempo. Gli studi sulla progettazione che si concentrano solamente su come sono concepiti i progetti che hanno avuto esito soddisfacente rischiano, dunque, di tralasciare alcuni aspetti fondamentali del processo di progettazione, di per se stesso già abbastanza difficile da spiegare. Sebbene sia risaputo che i progettisti professionisti sono molto riluttanti, se non addirittura contrari, a parlare dei propri metodi, esistono alcune eccezioni degne di nota (in particolare ad esempio Glegg e Leonhardt): riflettendo sul processo di progettazione, questi ingegneri hanno riconosciuto l'importanza del fattore "errore". Sebbene siano una componente implicita e tacita della metodologia di progettazione, l'analisi preventiva dell'errore e le relative considerazioni sono fattori fondamentali per un buon risultato. Ed è proprio quando tali considerazioni e analisi sono inesatte o incomplete che si verificano gli errori di progettazione e i fallimenti veri e propri. Comprendere come gli errori vengano commessi e come possano essere evitati nel processo di progettazione può contribuire ad eliminarli e a gettare luce sulla natura di tale processo. Il ruolo dell'errore in una progettazione corretta è stato da me trattato in modo esplicito nel campo dell'ingegneria strutturale, tuttavia questa analisi può essere applicata per analogia anche a settori apparentemente diversi fra loro, come l'ingegneria aerospaziale, chimica, informatica, elettrica e meccanica. Alexander sostiene che ogniqualvolta un progettista non si limiti a copiare esattamente ciò che in precedenza è stato fatto e dichiarato soddisfacente, è difficile prevedere se il nuovo progetto o la modifica di un progetto si manterranno validi. Un edificio o un ponte possono essere considerati progetti riusciti per interi decenni durante i quali non si presentano problemi, ma se improvvisamente si verifica un crollo allora potrebbe venire alla luce un grave difetto di progettazione rimasto latente per tutto quel tempo. Le passerelle esterne nell'hotel Hyatt Regency di Kansas City, ad esempio, furono considerate sufficientemente solide da sorreggere la folla che le attraversava fino al pomeriggio in cui cedettero, il 17 luglio 1981; íl ponte sul fiume Mianus, vicino a Greenwich, nel Connecticut, aveva sorretto quotidianamente l'intenso traffico di veicoli della Interstatale 95, prima di crollare all'improvviso la mattina del 28 giugno 1983. Anche i più ingenui tra noi sono in grado di riconoscere un fallimento e Alexander osserva che, sebbene soltanto alcuni abbiano "un'abilità interpretativa sufficiente a inventare forme di una certa lucidità, tutti siamo in grado di criticare le forme già esistenti". Egli riconduce questo concetto, che definisce "evidente", a Pericle, il quale constatò che: "Benché solo pochi siano in grado di dar vita a una politica, siamo tutti capaci di giudicarla". Perciò, quando una struttura crolla o un progetto non si rivela all'altezza delle aspettative, la lezione dovrebbe essere accessibile a tutti e perfino una giuria non esperta dovrebbe essere in grado di stabilire dove risieda la colpa. Per quanto possa essere facile riconoscere gli errori a posteriori, il compito degli ingegneri è quello di anticiparli ed evitarli in fase di progettazione. Alexander ha perfezionato il concetto di analisi preventiva dell'errore fornendo alcuni esempi significativi di come venga molto più spontaneo riconoscere gli errori o la "mancata integrazione" di contesto e forma, piuttosto che il successo o l'idoneità di un progetto che si riveli all'altezza delle aspettative. Alexander arriva addirittura a sostenere quanto segue: Non siamo mai in grado di definire un problema di progettazione, se non facendo riferimento agli errori che abbiamo osservato in soluzioni applicate in precedenza a problemi passati. Se anche cerchiamo di progettare qualcosa per uno scopo completamete nuovo che non sia mai stato concepito in precedenza, il miglior modo per discutere il problema è anticipare le modalità in cui potrebbero verificarsi degli errori, passando in rassegna mentalmente tutti i modi in cui altre strutture si sono rivelate inadeguate in passato. | << | < | > | >> |Pagina 24Considerato che al giorno d'oggi nessuno dovrebbe avere un interesse personale nel risultato di un'indagine condotta su errori di progettazione compiuti un secolo fa o ancora prima, lo studio della casistica storica fornisce dati oggettivi per condurre esperimenti controllati e ricerche relative alle caratteristiche degli errori umani e dei metodi per evitarli nei progetti attuali. La prospettiva temporale permette a tutti di partecipare all'interpretazione e all'utilizzo della documentazione storica partendo dalle stesse basi. I casi storici più convincenti possono essere utilizzati, da un lato, per spiegare in che modo l'elemento dell'errore si manifesta e può essere evitato nel processo di progettazione e, dall'altro, per scongiurare errori nei progetti a venire.
Nonostante il ricorso a sofisticati modelli matematici e computazionali,
oggi la progettazione coinvolge la mente umana
essenzialmente al pari di quanto avveniva per i primi costruttori. E ciò che
emerge implicitamente dalla classica descrizione
che Ferguson dà degli aspetti non verbali della progettazione
teorica (affermando che quest'ultima si basa più sulle immagini
che su parole o numeri) ed è evidente in tutti gli attuali tentativi di adattare
il processo di progettazione e la sua metodologia
all'intelligenza artificiale e ai software specifici. Sebbene l'espressione
metodo ingegneristico
venga usata liberamente, è difficile darne una definizione
precisa, anche perché tale metodo
deve ancora essere articolato in una forma approvata da tutti.
Eppure, nonostante l'ambiguità, il metodo ingegneristico viene
costantemente messo in pratica, allo stesso modo in cui ci allacciamo
continuamente le scarpe pur non disponendo di istruzioni per l'uso dei lacci.
Lezioni che sembrano apparentemente obsolete, semplici e ovvie, come fare un
nodo in un laccio, possono rivelarsi molto istruttive per quanto riguarda alcuni
degli aspetti fondamentali della progettazione tecnica.
Vitruvio
Galileo
Dobbiamo dunque a Galileo la moderna tendenza a usare gli errori commessi in passato per evidenziare le nostre lacune piuttosto che per soffocare eventuali innovazioni. Nel XIX secolo, quando gli sforzi rudimentali di quest'ultimo per valutare la resistenza dei materiali avevano ormai sviluppato teorie delle travi e delle strutture che permettevano di estendere i binari delle ferrovie su imponenti ponti di ferro, in Inghilterra un ingegnere del calibro di Robert Stephenson si batteva a favore della pubblicazione delle storie di casi fallimentari. "Non vi era niente di più istruttivo per i giovani Membri della Professione della documentazione relativa agli incidenti" scriveva Stephenson, aggiungendo che "gli ingegneri più anziani derivavano gran parte del proprio bagaglio di esperienza dall'osservazione degli incidenti capitati ai propri lavori e a quelli altrui" e che "era fondamentale archiviarli fedelmente". Stephenson parlava per esperienza, dal momento che nel 1847 il crollo del suo ponte Dee, a Chester, nell'Inghilterra nord-occidentale (descritto al capitolo sesto), gli aveva insegnato a procedere con estrema cautela ogniqualvolta i progetti si distaccavano dalla pratica comune. I numerosi crolli di ponti sospesi avvenuti in precedenza lo spinsero ad escogitare un'alternativa brillante, seppure costosa, per il ponte tubolare Britannia sullo stretto di Menai, nel Galles nord-occidentale (capitolo settimo). Tuttavia John Roebling, che lavorava più o meno nello stesso periodo negli Stati Uniti, dopo aver esaminato la stessa casistica giunse a una conclusione diversa (capitolo ottavo). Invece di essere spinto dagli errori passati ad abbandonare l'economico principio del ponte sospeso, Roebling imparò da quelli quali modifiche apportare al progetto al fine di evitarli; nel progetto per il ponte sulla gola del Niagara, fra la parte occidentale dello Stato di New York e il Canada, egli fece uso di un'analisi concettuale dell'errore per eliminare le debolezze che rappresentavano la trappola dei ponti crollati. E ciò che apprese dagli errori passati fu talmente importante da permettergli in seguito di raddoppiare la lunghezza del ponte sul Niagara nel progetto del suo capolavoro, il ponte di Brooklyn, portato a termine dopo la sua morte, nel 1883. Nei cinquant'anni che seguirono la costruzione del ponte di Brooklyn, la progettazione dei ponti sospesi continuò ad evolversi in un clima di successo e amnesia storica selettiva (come si vedrà al capitolo nono), fino al ponte di Tacoma Narrows. Oggi, mezzo secolo dopo il rovinoso crollo di questo ponte, c'è ragione di temere che la progettazione di nuove tipologie di ponti venga portata avanti senza tenere conto degli apparenti cicli di successo e fallimento. Come dimostra il capitolo decimo, la documentazione storica di cedimenti di ponti contiene alcuni schemi sinistramente regolari che, se non riconosciuti e considerati, potrebbero inavvertitamente essere protratti nel tempo. La conoscenza dei dettagli degli errori passati, grazie allo studio dei casi specifici che presentiamo, è forse il modo più sicuro per spezzare gli schemi di errore ormai consolidati e garantire una maggiore affidabilità e riuscita dei progetti futuri. | << | < | > | >> |Pagina 66La storia di Salviati però non finisce qui. Il sollievo generale per l'aggiunta del terzo sostegno stava per tramutarsi in sgomento generale, poiché di lì a poco la colonna si spezzò. Il suo terzo sostegno era senza dubbio parso "consiglio generalmente molto opportuno, ma l'esito lo dimostrò essere stato tutto l'opposito, atteso che non passarono molti mesi che la colonna si trovò fessa e rotta, giusto sopra il nuovo appoggio di mezzo".Simplicio, che nelle Due nuove scienze rappresenta generalmente la vecchia scuola, afferma che la rottura della colonna fu un "accidente in vero maraviglioso e veramente oltre le aspettative, quando fusse derivato dall'aggiungervi il nuovo sostegno di mezzo". Salviati concorda sulla causa dell'incidente, ma ricorda a Simplicio e Sagredo che "la riconosciuta cagion dell'effetto, leva la maraviglia". Procede poi a spiegare in che modo si verificò la rottura e la sua descrizione della successione degli eventi è rimasta fino ai giorni nostri un modello di analisi di cedimento strutturale: [D]eposti in piana terra i due pezzi della colonna, si vedde che l'uno de i travi, su '1 quale appoggiava una delle testate, si era, per la lunghezza del tempo, infracidato e avvallato, e, restando quel di mezzo durissimo e forte, fu causa che la metà della colonna restasse in aria, abbandonata dall'estremo sostegno; onde il proprio soverchio peso gli fece fare quello che non avrebbe fatto se solo sopra i due primi si fusse appoggiata, perché l'avvallarsi qual si fusse di loro, ella ancora farebbe seguito. In altri termini, ciò che preoccupava maggiormente lo scrupoloso artigiano, ossia che la colonna non sopportasse il proprio peso, si dimostrò una preoccupazione legittima. L'artigiano aveva previsto la possibilità che la colonna si spezzasse in seguito all'apertura di una crepa sul lato inferiore e che le due metà sarebbero cadute verso il centro, fra i due sostegni posti alle estremità; tuttavia, egli non immaginava che la modifica del mezzo di sostegno avrebbe influito sull'intero sistema strutturale, introducendo la possibilità di un nuovo tipo di rottura, ossia che una metà della colonna sarebbe rimasta sporgente a sbalzo. Il sistema di supporto originario poteva anche essere effettivamente poco sicuro, ma la posizione naturale dei sostegni, leggermente all'interno rispetto alle estremità della colonna, rendeva il peso di quest'ultima una condizione di carico meno cruciale rispetto a quella esercitata su un terzo sostegno, benché centrato accuratamente, nel caso in cui i sostegni originari fossero affondati nel terreno. Se ad esempio i sostegni originari si fossero trovati a un ottavo della lunghezza dalle estremità della colonna, il carico di flessione massimo esercitato nel nuovo progetto avrebbe potuto superare del doppio quello esercitato nel punto centrale, privo di sostegni, del progetto originale. L'illustrazione a opera dello stesso Galileo delle due modalità di rottura, da lui presentata soltanto dopo averle accuratamente analizzate nel corso della seconda giornata delle Due nuove scienze, è riportata alla figura 4.3. | << | < | > | >> |Pagina 68Problemi di progettazione e prevenzione dell'erroreL'errore riportato da Galileo è molto diffuso nel campo della progettazione: iniziare ad analizzare un problema a metà del processo, dimenticando di tornare al punto di partenza. Ogni problema di progettazione può essere risolto cominciando, in modo più o meno evidente, dalla riflessione su come evitare ogni genere di errore possibile e immaginabile. Sebbene nella formulazione del problema originario occorra prima di tutto chiarire quali siano gli obiettivi e cosa vada evitato, il modo migliore per raggiungere gli scopi prefissati ed evitare le conseguenze indesiderate è quello di scongiurare l'errore. Nel caso della colonna marmorea, fra gli obiettivi concreti c'era probabilmente quello di depositarla in una posizione dalla quale potesse poi venire facilmente trasportata, preservandola nel frattempo pulita e intatta. È più facile descrivere questi obiettivi concreti prendendo in considerazione i loro risvolti negativi: lo scopo progettuale di un sistema di deposito per colonne consisteva nell'evitare che la colonna poggiasse sul terreno umido (rischiando di scolorirsi), che fosse troppo difficile da spostare quando necessario e che corresse il pericolo di rompersi. L'esperienza – e in pratica si trattava sempre di esperienze da non ripetere – avrebbe incluso una serie di osservazioni negative: una colonna marmorea poggiante direttamente sul terreno rischiava di sporcarsi o ammuffire e non sarebbe stato facile infilare mani o leve sotto di essa per sollevarla senza danneggiarla. Una colonna appoggiata in posizione più verticale, ad esempio inclinata contro una parete, si sarebbe crepata facilmente, al pari di un obelisco privo di sostegno, oppure avrebbe potuto cadere e rompersi. Considerate le esperienze negative passate, è facile immaginare come si giunse all'idea di appoggiare una colonna orizzontalmente su due sostegni: in questo modo essa non toccava il terreno umido e all'occorrenza era più facile sollevarla dal basso con le mani o con gli appositi strumenti. Inoltre, una colonna stesa in orizzontale non correva il pericolo di rovesciarsi e lo scalpellino poteva scanalarla o lavorarla comodamente. Probabilmente, le colonne erano state poggiate e lavorate in quella posizione per secoli, prima del Rinascimento; tuttavia potevano essersi accumulate numerose esperienze negative, comprese delle rotture, essendo le colonne di dimensioni sempre maggiori: alcune avranno ceduto nella parte centrale quando ancora si trovavano in deposito, oppure si saranno spezzate mentre un gruppo di operai vi stava seduto sopra durante la pausa pranzo o quando un colpo di mazzuolo particolarmente violento si era abbattuto su un pezzo di marmo già incrinato. Considerato il numero di incidenti precedenti, è normale che qualcuno abbia cercato di perfezionare il sistema esistente a due sostegni per ridurre i rischi di rottura di una colonna della quale era in parte responsabile. Tuttavia, come spesso accade quando si modificano dei progetti, il cambiamento fu apparentemente ideato e apportato senza riflettere troppo sul fatto che si limitava a migliorare soltanto l'aspetto del progetto originario considerato carente. Dal momento che si temeva che la colonna poggiante su due sostegni si spezzasse sotto il proprio peso, l'idea di trasferire parte del peso su un sostegno posizionato nel punto in cui esisteva il maggior rischio di rottura sembrò del tutto logica. Una corretta progettazione, però, non si basa su considerazioni così limitate e chi si accinge a modificare un progetto dovrebbe prevedere in che modo tale modifica interagirà con il resto del sistema esistente e fino a che punto soddisferà gli obiettivi iniziali della progettazione. Nel caso della colonna di marmo, l'idea di aggiungere un terzo sostegno avrebbe dovuto essere seguita da una serie di attente riflessioni riguardo all'eventualità che la colonna sostenuta col nuovo metodo potesse sporcarsi di più, essere più difficile da sollevare o rischiare di spezzarsi in modo diverso. | << | < | > | >> |Pagina 69L'errore esemplare e altri progettiNella prefazione al suo autorevole studio sulla resistenza dei materiali, Galileo non si limita a riportare la storia della colonna di marmo, bensì, come si è detto al capitolo terzo, fa anche riferimento al cedimento di grandi vascelli in legno al momento del varo. Essendo a conoscenza di tale rischio, i costruttori navali del Rinascimento erano particolarmente scrupolosi quando si trattava di navi di grandi dimensioni progettate sulla base di principi puramente geometrici, ma non disponevano di una teoria sulla resistenza dei materiali per spiegare come mai una nave perfetta e resistente di piccole dimensioni si comportasse in modo così diverso una volta riportata su scala maggiore. Galileo riconosce delle somiglianze sostanziali tra il problema delle navi in legno, quello delle colonne di marmo e quello della trave a sbalzo (che si vedrà al capitolo quinto), argomento al centro delle sue riflessioni nella seconda giornata delle Due nuove scienze. I progettisti non dovrebbero mai dimenticare quanto sostiene Galileo, ossia che oggetti apparentemente molto diversi tra loro possono comportarsi in modo sorprendentemente simile. La capacità di intravedere simili analogie, infatti, può rappresentare un aiuto fondamentale nell'anticipazione di errori nei nuovi progetti. Nel XIX secolo si cominciò a utilizzare il ferro per la costruzione di vascelli di grandi dimensioni e nel 1865 William Fairbairn, nel suo Treatise on Iron Shipbuilding, illustrava i modi in cui una nave poteva essere sorretta dalle onde, come si vede alla figura 4.4. L'osservazione che, in determinate condizioni di mare, gran parte del peso di una nave potesse essenzialmente poggiare alternativamente su due onde situate alle sue estremità e su una singola onda sotto la sua sezione centrale può ricordare, senza bisogno di sforzare troppo la fantasia, le colonne di Galileo (figura 4.3). Un simile sistema di sostegno poteva riproporsi quando una nave rimaneva incagliata sulle rocce o su banchi di sabbia, oppure al momento del varo. Pur non disponendo di una teoria analitica delle strutture che permettesse di calcolare l'intensità delle tensioni esercitate su una nave sottoposta a tali condizioni, il progettista navale avrebbe dovuto essere in grado di prevedere il pericolo di cedimento di una nave legato alla fragilità del ponte, allo stesso modo in cui prevedeva quello dovuto alla fragilità della chiglia. Grazie alla sua esperienza con i ponti tubolari, il Britannia e il Conway (si veda il capitolo settimo), e alla tecnica di considerare le navi come grandi travi cave galleggianti, Fairbairn sapeva che gli scafi dovevano essere resistenti sia nella parte superiore che in quella inferiore, e non solo alla trazione, ma anche alla compressione, se si voleva evitare che la nave si spezzasse o si deformasse. Egli criticava i metodi dell'epoca, generalmente dettati dai Lloyd's e da altri assicuratori, sostenendo la necessità di modificare le norme prevalenti e la prassi della progettazione navale. In particolare, Fairbairn proponeva di utilizzare tanto la lunghezza quanto la capacità della nave per determinare il volume di materiale impiegato nello scafo, rendendolo più resistente nella parte centrale rispetto alla prua e alla poppa e adottando per il ponte e per lo scafo lo stesso materiale.
Tali intuizioni progettuali portarono chiaramente a dei miglioramenti
strutturali ma, con l'evoluzione dell'arte della costruzione navale, nel corso
del secolo successivo, e con l'introduzione di nuovi materiali e nuove tecniche,
comparvero anche nuovi modi per ripetere vecchie modalità di errore. In
particolare, durante la Seconda guerra mondiale, il ferro battuto cedette
il posto all'acciaio e le giunture chiodate a quelle saldate, e all'inizio degli
anni Quaranta molte delle cosiddette "navi della libertà" fecero la fine
illustrata alla figura 4.5. La somiglianza con
la colonna spezzata di Galileo (figura 4.3) è impressionante. La
meccanica strutturale si era nel frattempo evoluta abbastanza da
permettere di calcolare le tensioni capaci di spezzare in due una
nave, ma furono piuttosto alcune lievi modifiche apportate ai
progetti a causare tali fratture catastrofiche. Le giunture chiodate delle
lamiere sovrapposte avevano avuto la funzione di frenare l'allargarsi di
eventuali crepe dello scafo, che riuscivano così
ad essere riparate in tempo. L'impiego delle tecniche di saldatura non aveva
solo rimosso tali ostacoli dalla strada di eventuali
crepe, ma anche reso più fragile l'acciaio adiacente, che ora, in
circostanze simili a quelle che provocarono la frattura illustrata
alla figura 4.5, si comportava come se fosse vetro.
Nonostante tutti i nostri progressi nell'analisi, la serie fondamentale di quesiti relativi alla progettazione rimane la seguente: 1) In che modo può verificarsi il cedimento? 2) Quali aspetti della progettazione possono scongiurare tale modalità di errore senza introdurne una nuova? Esempi quali l'aneddoto della colonna di Galileo possono aiutarci a tenere sempre ben a mente tali domande, anche in casi che presentano analogie meno evidenti rispetto a quelle della costruzione navale. Qualunque modifica apportata a un progetto, sia essa relativa a geometria, materiali o tecniche, rischia di introdurre nuove modalità di errore oppure di farne entrare in gioco di latenti. Conseguentemente, ogni modifica al progetto, per quanto apparentemente positiva o efficace, deve essere analizzata tenendo a mente gli obiettivi del progetto originario. Se una struttura progettata secondo il metodo tradizionale è perfettamente sicura, ciò non toglie che la sua versione "perfezionata" o ingrandita possa nascondere sorprese davvero spiacevoli. Con questo non vogliamo affermare che i metodi tradizionali non vadano mai modificati, perché anche questo atteggiamento sarebbe certamente irresponsabile da parte di un ingegnere. Infatti, in un articolo che critica le moderne tecniche di costruzione navale si nota che negli anni Ottanta sono state perse in mare circa 160 navi di grandi dimensionil; di questi incidenti alcuni furono causati da cedimenti strutturali forse derivati da una mancanza di immaginazione o di capacità di anticipazione in fase progettuale. | << | < | > | >> |Pagina 94Il De Havilland Comet fu sviluppato dagli ingegneri aerospaziali inglesi sulla base dell'esperienza acquisita con i caccia della Seconda guerra mondiale. L'obiettivo era quello di costruire il primo jet di linea transatlantico per il trasporto dei passeggeri e durante il suo primo anno di servizio (1952) i risultati sembrarono confermare la riuscita del progetto. Ben presto però iniziarono i problemi, con alcune inspiegabili esplosioni a mezz'aria di Comet partiti da Calcutta e da Roma. Inizialmente la colpa fu attribuita alle condizioni meteorologiche e al pilota, e gli incidenti che seguirono ebbero come conseguenza tutta una serie di modifiche al progetto; tuttavia una delle ipotesi progettuali fondamentali, ossia che l'affaticamento del metallo non fosse un fattore determinante per l'integrità strutturale del velivolo, continuava ad essere confermata ogni volta. L'unica eccezione fu rappresentata da un ricercatore indipendente, il quale si procurò un Comet e compì dei test ciclici di carico su un modello a grandezza naturale presso il Farnborough Royal Aircraft Establishment, in Inghilterra, finché un giorno la fusoliera pressurizzata dell'apparecchio non cedette in modo catastrofico a causa dell'affaticamento del metallo.Il tetto del Civic Center di Hartford (nel Connecticut) era una struttura ambiziosa che doveva ricoprire un'arena di circa 10.000 m^2, progettata con l'ausilio di un elaborato modello virtuale. Nel gennaio del 1978 l'intero tetto crollò rovinosamente, poche ore dopo che migliaia di tifosi di basket avevano lasciato l'edificio. Evidentemente, il ghiaccio e la neve avevano sovraccaricato la struttura, provocandone il cedimento a causa del piegamento consecutivo dei puntelli che fece crollare l'intero tetto sull'arena. Le indagini che seguirono rivelarono che il modello virtuale conteneva alcuni presupposti fondamentali sulle condizioni di vincolo degli elementi della struttura, lunghi circa 9 m: tali presupposti erano stati grossolanamente semplificati. Eppure sembra che il sofisticato modello virtuale fosse considerato talmente affidabile da non ritenere necessaria una revisione critica dei suoi presupposti fondamentali, nemmeno quando, già in fase di costruzione, si osservarono allarmanti curvature e flessioni del tetto. Chiaramente, man mano che i giorni passavano senza che il tetto cedesse, le conferme sulla validità e l'affidabilità del modello virtuale sembravano aumentare. L'incontestabile prova data dal disastroso crollo fu però l'unica necessaria a smentire l'esattezza del modello. Un esempio meno drammatico di errore, classificabile sotto il paradigma galileiano, può essere reperito nella letteratura recente della meccanica applicata e riguarda la previsione di rottura delle punte di matita. Sebbene non ci siano vite in gioco e le conseguenze non abbiano certamente la portata di gran parte degli errori di analisi, questo esempio sottolinea come alcuni presupposti iniziali, accettati senza un atteggiamento critico, possano ostacolare il processo di progettazione. Una punta di matita in uso è essenzialmente una trave a sbalzo caricata obliquamente; il problema in questione è prevedere in che punto e in che modo la punta si spezzerà, con nostro disappunto, sotto la pressione di una scrittura frettolosa. | << | < | > | >> |Pagina 188Il rapporto tra successo e fallimento nella progettazione costituisce uno dei paradossi fondamentali dell'ingegneria. L'accumularsi di esperienze positive tende a incoraggiare gli ingegneri a tentare progetti sempre più audaci e ambiziosi, che culminano spesso in un sorprendente crollo colossale. Generalmente ad un crollo segue una nuova fase più conservatrice, che porta nuovi progetti innovativi i quali, ironicamente, si rivelano perfettamente funzionanti proprio perché basati su principi fondamentali che non danno niente per scontato. Tuttavia, man mano che la nuova tipologia di progettazione si evolve e matura, la prudenza iniziale che la caratterizzava tende a venire dimenticata e ha inizio un nuovo periodo di ottimismo e supponenza. La natura ciclica del clima di progettazione in campo ingegneristico è stata presa in esame in questa e in altre sedi e ha come prova numerosi casi documentati. Nella sua tesi [di dottorato] sugli incidenti strutturali e le loro cause, Sibly ha analizzato numerosi casi di cedimenti di ponti metallici di grandi dimensioni nei loro contesti storici e progettuali, dimostrando che ognuno di essi era avvenuto in una visione progettuale caratterizzata da un aumento della lunghezza delle campate e della snellezza dei ponti, nonché da una fiducia sempre maggiore nell'analisi o da una riduzione del coefficiente di sicurezza. Generalmente, una combinazione di tali fattori è anche accompagnata da una serie di segnali d'allarme relativi al pericolo imminente, ma purtroppo nel corso del processo progettuale in evoluzione si tende a prestare loro poca attenzione. Tuttavia, in seguito a un cedimento, esaminando il contesto a posteriori queste tendenze si rivelano molto evidenti. Nell'argomentazione che conclude íl loro studio, Sibly e Walker affermano che i numerosi celebri casi di ponti crollati da loro esaminati presentavano una serie di caratteristiche in comune: In ognuno dei casi è possibile identificare una situazione nella quale, negli esempi iniziali della forma strutturale, un determinato fattore aveva un'importanza secondaria rispetto alla stabilità o alla resistenza. Riportandolo su scala maggiore, però, tale fattore è divenuto di importanza primaria e ha provocato il cedimento. Gli incidenti non si sono verificati perché gli ingegneri non hanno saputo garantire la resistenza prevista dall'approccio progettuale stabilito, bensì a causa dell'introduzione involontaria di un nuovo tipo di comportamento. Con il passare del tempo, durante il periodo di sviluppo, i principi fondamentali del progetto sono stati dimenticati e lo stesso è avvenuto per i loro limiti di validità. Sull'onda di un periodo positivo per le costruzioni, è bastato che un solo progettista, forse in modo un po' troppo superficiale, estendesse le tecniche progettuali appena più del dovuto.
Comprendere in che modo nel passato gli errori e le sviste
abbiano portato a un cedimento può aiutare a fornire un modello per l'analisi
critica della prassi corrente. Un tale tipo di esame
può già servire come autocorrezione del processo progettuale,
consentendo di prevenire, o almeno di rimandare forse all'infinito,
l'"inevitabile" cedimento. Considerati gli esempi raccolti da
Sibly e Walker e l'apparente natura ciclica dei successi e degli insuccessi
della progettazione, viene naturale domandarsi se al
giorno d'oggi sia possibile individuare dei segnali di errori imminenti nella
fase di progettazione. Quali sono i progetti più a rischio di incidente? È
possibile esaminare le attuali tecniche di progettazione nel loro contesto e
individuare gli schemi che tendono a provocare un cedimento? Possiamo e dovremmo
porci tali domande dal momento che esse possono indurci a riflessioni
in grado di correggere le eventuali tendenze progettuali a rischio.
Estrapolazioni dal modello di Sibly e Walker
La casistica esaminata da Sibly e Walker è elencata nella tabella 10.1. Come
gli autori hanno fatto notare, "più come argomento di discussione che come
osservazione vera e propria",
i cedimenti dei ponti Dee, Tay, Québec e Tacoma Narrows si
sono verificati a quasi trent'anni di distanza l'uno dall'altro.
Sebbene né la tesi di Sibly né il saggio di Sibly e Walker esaminino a fondo la
serie di incidenti verificatisi nel campo dei
progetti relativi a ponti a travi a cassone in acciaio, rappresentati dal
cedimento del ponte gallese di Milford Haven del 1970,
osservano che quest'ultimo fornisce una prova ulteriore dell'esistenza di un
ciclo trentennale il quale, e gli autori sono i primi ad ammetterlo, potrebbe
anche essere solo frutto di una
semplice coincidenza. Coincidenza o no, si potrebbe pensare
che nel periodo a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio ci
sia da aspettarsi il clamoroso cedimento di qualche ponte di
nuovo tipo.
Sibly e Walker ipotizzano che l'intervallo trentennale coincida con un "gap di comunicazione fra una generazione di ingegneri e quella successiva", e ciò potrebbe effettivamente essere uno dei motivi. Le nuove tipologie di ponti non vengono realizzate da un giorno all'altro ed è evidente che possono trascorrere anche dei decenni prima che un concetto passi dal tavolo da disegno al cantiere. Tuttavia, una nuova tipologia di ponte generalmente non viene definita nei dettagli finché non c'è un progetto pilota in fase di costruzione piuttosto avanzata, se non addirittura completato. Gli ingegneri che osano proporre progetti nuovi o relativamente innovativi useranno una particolare prudenza quando si troveranno ad elaborare i propri ragionamenti basandosi su principi consolidati e cercheranno di prevenire tutte le modalità di errore. Solo quando un tipo di ponte diventa "standard", i principi originari rischiano di essere dimenticati e si tende sempre meno ad estrapolare dalle esperienze precedenti, mentre le decisioni in campo progettuale vengono delegate a ingegneri sempre meno esperti. In una situazione del genere è probabile che si creino appunto quei gap generazionali di cui parlano i due autori.
I crolli di ponti si verificano con una maggiore frequenza e irregolarità
rispetto al ciclo trentennale, ma il modello identificato
da Sibly e Walker è riferito in particolare ai cedimenti delle principali
tipologie di ponti piuttosto che a un ponte in particolare.
Infatti, si potrebbe affermare che ogni tipo di ponte indicato alla
tabella 10.1 si è sviluppato fino a raggiungere il punto di rottura
proprio perché offriva un'alternativa alle tipologie precedenti, rivelatesi
fallimentari. I tralicci sono diventati obsoleti dopo il crollo del ponte Dee e
le travature in ferro hanno preso il loro posto.
In seguito all'incidente del ponte Tay, la struttura a sbalzo divenne comune per
i ponti ferroviari fino al crollo del ponte Québec.
Sull'onda di tale cedimento, i ponti sospesi furono preferiti a
quelli a sbalzo, fino al giorno in cui a crollare fu il ponte di Tacoma Narrows.
Cercando di scoprire quale tipologia di ponte è
candidata a diventare la protagonista del prossimo caso di cedimento
catastrofico, dovremmo concentrarci sulle tipologie di
ponti che sono attualmente in competizione e in evoluzione.
|