Copertina
Autore Francis Rocard
Titolo Il pianeta rosso
SottotitoloUltime novità da Marte
EdizioneMuzzio, Roma, 2009, Scienza , pag. 253, ill., cop.fle., dim. 14x21x1,9 cm , Isbn 978-88-96159-03-3
OriginalePlanète rouge. Dernières nouvelles de Mars
EdizioneDunod, Paris, 2006
TraduttoreLilli Frizzera
LettoreCorrado Leonardo, 2009
Classe astronomia
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Indice


Prefazione                                7

  I. Marte nella storia                   9

 II. I pionieri dell'esplorazione        37

III. Progetti in corso                   65

 IV. Verso il futuro                    141

  V. Il punto della situazione          173

 VI. La preparazione del futuro         203

Appendici                               229

Conclusione                             243

Glossario                               245

Bibliografia e sitografia               249


 

 

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Pagina 7

Prefazione


                            Solo Marte ci permette di penetrare i segreti
                 dell'Astronomia, che altrimenti ci rimarrebbero nascosti
                                            — Johannes Kepler (1571-1630)



Prima che un pianeta, Marte è un mito antico che persiste fino ai giorni nostri. Ecco la prova: perché gli "omini verdi" vengono da Marte e non da Venere o da Giove? Perché si citano così facilmente i marziani ma mai i saturniani o i mercuriani? Quando nel 1939 Orson Welles, al tempo giovane giornalista della CBS, decise di trasmettere in un programma giornaliero La Guerra dei Mondi, il romanzo di Herbert G. Wells uscito quarant'anni prima, provocò il panico totale! Gli ascoltatori si convinsero che i marziani erano sbarcati nel New Jersey, a New York e a San Francisco! Un vento di paura soffiò su quelle regioni provocando l'esodo della popolazione che si accalcò nelle strade, bloccando le vie di comunicazione. Alcuni stizzosi intentarono persino una causa contro i responsabili della trasmissione... Insomma i marziani fanno paura!

Alle origini del mito vi è incontestabilmente la realtà fisica di Marte: il suo colore rosso, osservabile nel cielo a occhio nudo, è una prima particolarità che Marte condivide con Antares (o anti Marte), una stella gigante rossa. Marte si distingue soprattutto per la stranezza del suo moto, un moto retrogrado osservato molto presto e che metteva in difficoltà il modello di Tolomeo, per secoli chiave di volta dell'astronomia. Inoltre la sua posizione, tra la Terra e Giove, così come le sue dimensioni, lo rendono simile al nostro pianeta; da lì a pensare che Marte fosse un mondo cugino del nostro, il passo era breve e l'immaginazione l'ha spesso compiuto. Del resto l'idea ha avuto successo in epoca recente: alla fine del XIX secolo l'astronomo Camille Flammarion, col suo talento di divulgatore, poteva affermare che "Marte è un pianeta abitabile" e ancora, che i marziani ci assomigliano sicuramente; con le conoscenze scientifiche di allora nessuno scienziato l'avrebbe contraddetto. Tutte queste caratteristiche fanno di Marte – a eccezione forse della Luna – il corpo celeste più studiato dagli inizi dell'astronomia.

Oggi l'esplorazione di Marte rappresenta per gli scienziati un obbiettivo importante, non perché pensino di incontrarvi i marziani ma perché là si trovano probabilmente i dati fondamentali per capire come è potuta nascere la vita su altri mondi oltre che sulla Terra. In effetti Marte è il solo corpo planetario, assieme alla Terra, dove un clima relativamente caldo e umido si è mantenuto per un tempo sufficiente a far nascere la vita qualche centinaia di milioni di anni dopo la formazione del pianeta. Con questo clima favorevole sulla superficie vi era acqua allo stato liquido di cui oggi vediamo le tracce. Sulla Terra la presenza dell'acqua nella sua forma liquida è stata necessaria per la nascita della vita; con Marte si pone quindi una delle domande più cruciali che hanno tormentato l'umanità: siamo soli nell'Universo?

Ma Marte possiede un'altra particolarità: è uno dei corpi planetari più facilmente accessibili all'uomo e ai suoi robot. Ecco perché oggi in tutto il mondo vengono compiuti sforzi senza precedenti per perseguire la sua esplorazione. Tale conquista presenta in sé due aspetti: se il processo scientifico giustifica l'invio di sonde automatiche sempre più performanti in orbita e sul suolo, è stata altrettanto contemplata la prospettiva di inviare esseri umani. Su questo secondo aspetto i pareri sono contrastanti: alcuni giudicano il progetto faraonico e privo di fondamenti scientifici; per altri la simbologia e le sfide tecnologiche associate a quest'impresa ne fanno il progetto spaziale del XXI secolo al quale le nazioni spaziali hanno il dovere di partecipare. Per il momento le missioni automatiche che costituiscono la realtà odierna permettono di segnare la strada e di raccogliere informazioni preziose; e nulla impedisce di pensare che fra trent'anni, forse, l'uomo camminerà su Marte...

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I. Marte nella storia


La "preistoria" di Marte

Oltre alle stelle, gli unici corpi celesti conosciuti fin dall'antichità sono Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno ai quali certo bisogna aggiungere il Sole e la Luna. Tra questi Marte è un pianeta facilmente riconoscibile: come tutti i pianeti non brilla. Inoltre la sua luminosità o magnitudine è considerevole quando il pianeta si trova vicino alla Terra e debole quando si allontana. Infine e soprattutto è l'astro visibile a occhio nudo più rosso in tutto il cielo. Si pensa che quest'astro errante fosse conosciuto dai primi astronomi dell'antichità, dai Babilonesi, dai Cinesi e dagli Egizi. L'astronomia di posizione, che consiste nello studio a occhio nudo del moto degli astri attraverso il cambiamento della loro posizione nel corso del tempo, è l'unica praticata all'epoca. Ciò ha permesso di individuare molto presto lo strano moto di Marte. In effetti come tutti i pianeti Marte ruota attorno al Sole in senso diretto, cioè si sposta attraverso le costellazioni dello zodiaco da est a ovest rispetto alle stelle fisse; ma per qualche mese Marte rallenta, si ferma, riparte con un moto retrogrado, si ferma di nuovo per poi ripartire nel senso diretto (in realtà questo movimento retrogrado è proprio anche di Giove e Saturno, ma è decisamente meno evidente). È il motivo per cui gli Egizi chiamavano Marte anche sekded-ef em khetkeht, cioè "quello che viaggia all'indietro".

La parola greca "pianeta" significa astro errante, il che dimostra che i Greci avevano osservato il moto erratico di questi corpi. I Greci si ispirarono alla mitologia per dare il nome agli astri. Così Mercurio che compie il giro dello zodiaco in 88 giorni fu chiamato Ermes, il messaggero degli dèi. Marte, dal moto inusuale e dal colore unico fu associato ad Ares, il dio della guerra (chiamato Marte in epoca romana). Marte era quindi associato al disordine irrazionale, alle lotte, alle carneficine di portata astronomica. Il dio "Marte" è legato alla violenza e alla disputa. La fonte principale della mitologia greca sono i poemi omerici, l' Iliade e l' Odissea. Ares vi compare nel ruolo del miserabile. Era il dio più odiato nella famiglia dell'Olimpo. Venere era la sua compagna. I loro figli Fobos, Deimos ed Eris accompagnavano Ares in battaglia.

I Greci ebbero però cura di distinguere per quanto possibile la cosmologia dalla mitologia. Questi "geometri" che volevano misurare la Terra, studiarono il movimento dei pianeti senza tuttavia volerne spiegare a tutti i costi il significato. Si sforzarono di capire i fenomeni naturali con la ragione e con la geometria, preoccupandosi di escludere il soprannaturale e la magia. D'altra parte, secondo alcuni filosofi greci, la fine del mondo sarebbe arrivata quando la Terra, Marte e gli altri pianeti fossero entrati in congiunzione, cioè si fossero allineati nel cielo. La catastrofe avrebbe provocato la fine del vecchio ciclo e ne avrebbe iniziato uno nuovo, di durata indefinita, un po' come il nostro moderno Big Bang.

Per gli uomini dell'antichità Marte era un mondo abitato o no? La domanda in realtà non riguarda solo questo pianeta: gli Antichi infatti si sono interrogati molto presto sulla presenza di esseri viventi sui mondi che ci circondano, in particolare sulla Luna e sui pianeti più visibili. Quasi tutti i filosofi e gli scienziati dell'antichità aderivano a quella che è stata chiamata la "dottrina della pluralità dei mondi": Anassagora, Pitagora e altri ancora sostenevano quest'ipotesi, sia che la giudicassero solo plausibile e degna d'interesse, sia che la difendessero ardentemente come Lucrezio. Quest'ultimo non ha parole abbastanza forti per dilatare l'universo abitato, come testimonia la sua opera principale, il poema De rerum natura: "Quest'universo visibile non è unico nel suo genere e noi dobbiamo credere che, in altre regioni dello spazio, ci siano altre terre, altri esseri e altri uomini". Duemila anni dopo sappiamo che esistono altri pianeti che ruotano attorno ad altre stelle, ma ignoriamo ancora se qualche pianeta sia o sia stato abitato. Per contro né Platone né Aristotele credono all'esistenza di altri universi abitabili, più di quanto credano al moto della Terra: è questa corrente, i cui pilastri saranno Archimede, Ipparco e soprattutto Tolomeo nel II secolo della nostra era, che darà forma alle rappresentazioni dell'universo fino a oggi. Per secoli il sistema tolemaico, che pone la Terra al centro dell'universo, e che vi fa ruotare attorno il Sole e i pianeti con moti circolari e uniformi, costituirà la dottrina ufficiale assunta come dogma dalla Chiesa romana.

Bisogna aspettare la rivoluzione copernicana perché le opinioni eterodosse cominciassero a diffondersi; nel 1543, ormai in punto di morte, il canonico Copernico afferma, in un libro che trasformerà l'astronomia, che la Terra ruota attorno al Sole. La reticenza è profonda, tuttavia nel 1600 il domenicano Giordano Bruno viene arso vivo dall'Inquisizione, perché difende apertamente l'idea che "le stelle sono altrettanti soli e intorno a esse ruotano altrettante terre". La prudenza sarà di rigore ancora per molto tempo, anche se le indagini proseguono con fervore; ed è un geniale osservatore danese, Tycho Brahe , che tornerà a far progredire l'astronomia e in primo luogo le conoscenze su Marte.

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I primi bilanci. Le due missioni hanno avuto un'eco incredibile su Internet con più di 10 miliardi di connessioni dall'inizio del 2004. Già Pathfinder aveva fatto saltare il contatore con più di 800 milioni di connessioni. Dal punto di vista tecnico, il successo supera tutte le aspettative. Si pensava che la missione dei rover arrivasse a concludersi per mancanza di energia a causa dei successivi depositi di polvere sui pannelli. Il JPL pensava anche che i rover non superassero l'inverno marziano. I tecnici avevano studiato una strategia di messa in stand-by durante l'inverno ma, stando a loro, con poche speranze di risveglio in primavera. In realtà il freddo e la mancanza di energia solare durante l'inverno non hanno avuto gli effetti dati per scontati. Quello che oggi sorprende sono le buone condizioni complessive dei rover. Gli strumenti e i meccanismi funzionano, quindi le missioni non sono affatto danneggiate dal punto di vista scientifico. Sono emersi diversi problemi, ma ogni volta è stata elaborata una strategia per rimediare alle difficoltà.

Dal punto di vista dei dati scientifici i rover hanno accumulato, fino a tutto il 2005, 14 Gigabit di dati, vale a dire più di 100.000 immagini, di cui 80.000 con la PanCam e 7000 con il MI (microscopio ottico), circa 250 analisi di rocce e del suolo con l'APXS e il Mössbauer, 2,5 milioni di spettri infrarossi, 90 sfregature di rocce e quasi 60 levigature con il RAT. Questo bilancio quantitativo, redatto il 1° novembre 2005, è provvisorio poiché le missioni continuano, ma è già molto impressionante. Sul piano scientifico, la scoperta di Opportunity di rocce sedimentarie che contengono circa il 50% di sali è sicuramente l'aspetto più importante delle due missioni (vedi il capitolo 5).


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Scheda: Spirit e Opportunity


Nel gennaio 2009 i due rover Spirit e Opportunity hanno festeggiato il compimento del loro quinto anno su Marte: un risultato davvero notevole, considerato che la durata della missione inizialmente era prevista di soli tre mesi, mentre i due rover stanno ancora continuando a studiare il pianeta.

Mentre Spirit ha continuato a esplorare il cratere Gusev, Opportunity ha raggiunto il Cratere Victoria nel 2006, dopo 22 mesi di viaggio, e per quasi un anno ne ha poi esplorato il bordo, alla ricerca della via migliore per entrarvi, nel frattempo esaminando dall'alto gli strati di roccia esposti in una serie di promontori che punteggiano il perimetro del cratere, che ha un diametro di 800 metri. L'11 settembre 2007, infine, Opportunity ha identificato un punto adatto alla discesa ed è entrato nel cratere, prudentemente avanzando e risalendo continuamente per verificare la possibilità di risalita. Ha esplorato il cratere e ne è uscito, ripercorrendo la via di ingresso, il 28 agosto 2008 (il suo 1634-esimo sol su Marte).

I due veicoli hanno superato il loro terzo inverno marziano e continuano la loro attività, nonostante le difficoltà, in gran parte dovute alla polvere che si accumula progressivamente sugli strumenti. I tecnici hanno cercato per esempio di ripulire lo specchio dello spettrometro THEMIS facendo girare i motori dell'albero della camera panoramica di Opportunity in una posizione specifica, nella speranza che le vibrazioni facessero scivolar via la polvere; i primi tentativi però sono stati senza successo. I pannelli solari di Spirit nel 2008 erano coperti dalla polvere per il 60 per cento, il che aveva indotto molte preoccupazioni per la possibilità di superare anche il terzo inverno, ma il rover ha ripreso bene la sua attività.

Il 26 agosto 2008 è stata effettuata la risincronizzazione degli orologi con quelli di Terra.

Spirit ha completato la ripresa a 360 gradi del panorama invernale che lo circondava, il 15 ottobre 2008; ha documentato i cambiamenti stagionali nell'atmosfera del pianeta ed è riuscito a superare relativamente indenne anche una tempesta di polvere nel novembre seguente. Immagini raccolte da Spirit nella piana fra il cratere Lahontan e le colline Columbia dimostrano fra l'altro che le rocce di minori dimensioni sulla superficie del pianeta si muovono, spinte dal vento.

Da inizio missione a gennaio 2009 i due rover hanno inviato a Terra oltre 250.000 immagini e hanno percorso complessivamente più di 21 km ( Opportunity circa il doppio di Spirit ).

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Scheda: Mars Reconnaissance Orbiter


Il Mars Reconnaissance Orbiter, lanciato l'11 agosto 2005, inizia le manovre di approccio orbitale al pianeta rosso il 3 febbraio 2006; l'inserimento orbitale si è concluso il 10 marzo. Il 30 marzo è iniziata la procedura di aerofrenaggio, articolata in tre fasi e conclusa il 30 agosto. Un'ultima correzione nel mese di settembre porta il veicolo sull'orbita finale, quasi perfettamente circolare, a un'altitudine compresa tra 250 e 316 km. Tutti gli strumenti sono stati testati prima della congiunzione solare (6 ottobre — 6 novembre 2006) durante la quale sono stati spenti. Il 17 novembre, con la ritrasmissione a Terra di dati provenienti dal rover Spirit, è stato effettuato il test della sonda come ripetitore per telecomunicazioni. A dicembre 2008 il MRO ha completato la sua prima fase scientifica di due anni, durante i quali ha restituito 73 terabit di dati, più di tutte le precedenti missioni su Marte combinate; ha iniziato quindi la seconda fase di due anni.

Tra i risultati principali della prima fase, MRO ha rivelato che l'azione dell'acqua sulla superficie, o vicino alla superficie di Marte, è durata per centinaia di milioni di anni: un'azione di estensione almeno regionale, forse addirittura globale, anche se forse non continua. MRO ha osservato le firme di vari ambienti umidi, acidi e alcalini; il che aumenta la probabilità che sul pianeta esistano luoghi in cui si possano trovare tracce di vita passata, se mai la vita vi è esistita.

L' orbiter ha eseguito nei primi due anni circa 10.000 osservazioni di aree ad alta priorità e ha ottenuto immagini di circa il 40 per cento del pianeta a una risoluzione tanto elevata da mostrare oggetti delle dimensioni di una casa (per l'1 per cento del pianeta ha ottenuto immagini a risoluzione ancora più elevata, in grado di mostrare oggetti delle dimensioni di un tavolo). Ha creato quasi 700 mappe giornaliere del tempo atmosferico globale, e centinaia di profili radar degli strati immediatamente al di sotto della superficie e dell'interno delle calotte polari. Fra le osservazioni ve ne sono centinaia in coppie stereo, utilizzate per la realizzazione di mappe topografiche dettagliate e di immagini di supporto per altre missioni marziane. I dati forniti dal MRO hanno portato alla scelta del sito di atterraggio dei rover della missione Phoenix e sono usati ora per scegliere il sito di atterraggio del Mars Science Laboratory, il cui lancio è previsto per il 2011. MRO e Mars Odyssey hanno collaborato nella ritrasmissione dei comandi da Terra ai lander Phoenix e dei dati da questi a Terra.

A dicembre 2008 un gruppo di ricercatori, che ha studiato i dati forniti dallo spettrometro CRISM, ha annunciato di aver trovato sulla superficie del pianeta tracce di carbonati, minerali di cui si cercava da tempo qualche segno. I carbonati (come, sulla Terra, il gesso) si dissolvono rapidamente in un ambiente acido; la loro identificazione va contro l'ipotesi che sul pianeta rosso sia stato dominante, da lungo tempo, un ambiente esclusivamente acido; la loro presenza starebbe a significare che siano esistiti vari tipi di ambienti acquei. I carbonati osservati dal CRISM sono regionali e non globali, quindi non sarebbero sufficienti a sostenere l'ipotesi di un'atmosfera estesa, che potrebbe aver mantenuto il pianeta caldo e l'acqua sulla sua superficie in forma liquida.

I carbonati sono stati identificati nelle rocce intorno al bacino d'impatto Isidis, che ha un diametro di 1489 km, e si è formato oltre 3,6 miliardi di anni fa. Le rocce meglio esposte si trovano lungo il sistema Nili Fossae, lungo 666 km, al bordo del bacino. In questa regione si trovano rocce ricche di olivina, un minerale che può reagire con l'acqua formando carbonato.

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V. Il punto della situazione


Ora che abbiamo ripercorso la storia dei tentativi, più o meno riusciti, di svelare i segreti di Marte, è il momento di fare il punto sulla situazione delle conoscenze sul pianeta acquisite finora. Che si tratti di paesaggi scoperti grazie alle immagini catturate dalle missioni d'esplorazione, o di meteoriti provenienti da Marte che è stato possibile raccogliere, il dossier "pianeta rosso" si è decisamente ispessito dall'inizio dell'era spaziale; resta il fatto che è stato redatto privilegiando due questioni correlate e, in una certa misura, ancora in sospeso: l'acqua e la vita.


Riassunto della storia

Cominciamo col soffermarci sui termini che utilizziamo per caratterizzare Marte, che definiremo come un pianeta tellurico. Qual è il significato di questi due termini? Un pianeta è un corpo celeste che ruota, seguendo un'orbita (quasi) circolare, attorno alla sua stella centrale (in questo caso il Sole), la cui grandezza varia tra alcune migliaia e alcune centinaia di migliaia di chilometri. Se è più piccolo, è un "piccolo corpo" come le comete e gli asteroidi; se è più grande si avvicinerà, per caratteristiche, alle stelle. La Terra, Venere e Marte sono chiamati tellurici perché tutti e tre possiedono caratteristiche simili alla Terra.

Il Sistema Solare, cioè il Sole e i pianeti, si è formato 4,56 miliardi di anni fa dal collasso di una nube primordiale di gas e polveri. Il nucleo centrale, ricco di gas, ha formato il Sole, mentre le parti esterne, più abbondanti di polveri, hanno formato i pianeti.

Marte si colloca tra la Terra e la cintura d'asteroidi. Se questi asteroidi esistono e non si sono agglomerati in un pianeta è a causa del gigante Giove, che si è formato prima dei pianeti interni. Con la sua massa, infatti, Giove ha disturbato la formazione dei corpi situati nella sua zona di influenza gravitazionale. Lo stadio evolutivo è rimasto a livello dei planetesimali, vale a dire dei piccoli corpi che non hanno potuto agglomerarsi in seguito a molteplici collisioni. Lo stesso è avvenuto per Marte, che non ha potuto raggiungere la massa della Terra o di Venere. Le piccole dimensioni di Marte avranno un'importante conseguenza sulla sua evoluzione. Il suo raggio di 3200 km è soltanto la metà di quello terrestre. La massa è il parametro determinante, e spiega perché Marte è freddo e la sua atmosfera è sottile. Nel corso della sua formazione, la diminuzione naturale degli elementi instabili (vedi più avanti) crea una sorgente di calore che provoca un aumento della temperatura all'interno del pianeta, che porta a un'attività vulcanica intensa e a un degassamento progressivo dei composti volatili. Questi andranno a costituire l'atmosfera primordiale del pianeta, ricca di biossido di carbonio. Quest'atmosfera densa ha potuto perdurare per circa 500 milioni di anni, conservando, per effetto serra, una temperatura e una pressione compatibili con la presenza di acqua liquida. Poi l'effetto serra è diminuito: un lieve abbassamento della temperatura ha provocato la condensazione degli elementi meno volatili, che di conseguenza ha portato alla diminuzione dell'effetto serra, che a sua volta ha causato un altro abbassamento della temperatura, ecc. Rapidamente (sulla scala geologica dei tempi) la pressione e la temperatura hanno raggiunto probabilmente valori prossimi a quelli attuali. Oggi l'atmosfera, composta al 95% da anidride carbonica, produce una pressione sulla superficie di 6-10 mbar (si ricordi che la pressione atmosferica sulla Terra è di circa 1000 mbar) e la temperatura è molto fredda, tra O e -100°C tra il giorno e la notte. Dopo questo riassunto della storia di Marte, andiamo a vedere in dettaglio come si è evoluta la geologia del pianeta nel corso delle ère.


La geologia di Marte

Scrivere la cronologia dell'evoluzione di Marte dalla sua formazione fino ai giorni nostri è uno degli obiettivi principali dello studio e dell'esplorazione del pianeta. Ben inteso, questa storia viene ricostruita pezzo per pezzo man mano che si ottengono nuovi risultati. Per intraprendere questo studio di largo respiro, bisogna fare appello all'insieme dei mezzi tecnici disponibili per lo studio dei corpi celesti; verrà utilizzato tutto lo spettro elettromagnetico accessibile, dalle onde radio più ampie, per lo studio dell'ambiente ionizzato e per lo scandagliamento in profondità del suolo, alle lunghezze d'onda minori che ci informano sulla composizione elementare dei minerali della superficie (silicio, magnesio, ferro, ossigeno, idrogeno...). Tali studi richiedono osservazioni dall'orbita, per avere accesso alla copertura globale dell'astro, ma allo stesso tempo anche analisi sul posto, sulla superficie, con il prelievo di campioni di materiali solidi e gassosi e la loro analisi per conoscerne la composizione minerale, molecolare, atomica e isotopica. Per finire, ci sarebbe anche bisogno, e lo vedremo in diverse occasioni, di spedire pezzi di Marte sulla Terra per poterli studiare con strumenti molto più performanti ma non trasportabili sul pianeta.

Per capire l'evoluzione di Marte bisogna ripercorrere la storia dell'interno, della superficie e dell'atmosfera. È evidente come queste tre componenti siano strettamente collegate, poiché interagiscono l'una con l'altra; per esempio il degassamento dell'interno di Marte è all'origine della sua atmosfera primordiale, e l'esistenza di vulcani è il risultato di una peculiare attività interna. Un altro esempio: l'esistenza di un nucleo fluido produce, per effetto "dinamo", un campo magnetico dipolare che protegge l'atmosfera dal mezzo interplanetario e quindi dal vento solare.


La formazione dei pianeti. Il primo periodo considerato è la fase di formazione del pianeta, strettamente legata alla formazione del Sistema Solare nel suo insieme: Sole, pianeti, asteroidi, comete.

Può essere riassunta così: una nube interstellare di gas si fraziona in globuli, o a causa del passaggio della nube in un braccio galattico, o a causa dell'esplosione di una stella (supernova) vicina, che produce un'onda d'urto responsabile di questa frammentazione. Uno di questi globuli costituisce quella che per convenzione viene chiamata "nebulosa primitiva", che formerà l'insieme del Sistema Solare. Il globulo collassa su se stesso sotto l'effetto di forze gravitazionali, conservando però il suo momento angolare, come il pattinatore in rotazione sul ghiaccio vede aumentare la propria velocità di rotazione quando stende le braccia lungo il corpo. Questo collasso gravitazionale produce un proto-Sole al centro, contornato da un disco di gas caldo. Più avanti il disco gassoso si raffredda, condensa e forma dei granelli di qualche millimetro. Le leggi di Keplero dicono che il disco non ruota in maniera uniforme come un disco rigido. Le parti più vicine al Sole girano più rapidamente rispetto alle parti più lontane. Questa rotazione viscosa induce delle collisioni tra i granelli, che si uniscono se le velocità relative non sono troppo elevate. La velocità di accorpamento aumenta anche quando localmente si presenta una turbolenza. Di conseguenza, nel disco di granelli, appaiono localmente alcune instabilità gravitazionali. In questo modo, per collasso dei granelli si formano corpi di qualche centinaio di metri: sono i planetesimali. Poi, se le velocità relative non sono eccessive, le collisioni dei planetesimali formano, per concrezione, corpi più grandi; ma, se le collisioni avvengono a velocità maggiori, possono anche causare la distruzione di questi corpi. Infine, se un corpo raggiunge una grandezza superiore ai planetesimali, le sue dimensioni aumenteranno rapidamente, formando un pianeta del diametro di qualche migliaio di chilometri.

In questa descrizione semplificata ho volutamente escluso le numerose difficoltà che si sono trovati di fronte coloro che sperano di creare il modello che simuli la formazione del Sistema Solare. Per esempio la transizione dalla collisione per accorpamento e la fase d'influenza gravitazionale è uno dei problemi, poiché la gravità agisce realmente solo con grandezze generosamente chilometriche. D'altra parte la relazione tra i granelli e il gas, prevista dai modelli, è troppo debole per aver costituito i nove pianeti del Sistema Solare. Inoltre tutto questo sistema ha bisogno di 100 milioni di anni per formare i pianeti tellurici, ed è un altro problema.

Il pianeta Marte ora è completamente formato e il suo interno è caldo. Ciò è dovuto, da un lato, al collasso gravitazionale che provoca la contrazione dell'astro e induce un aumento della temperatura (simile all'effetto "pompa da bicicletta"); dall'altro, al calore proveniente dalla diminuzione degli elementi radioattivi di lungo periodo come l'uranio, il torio e il potassio che liberano grandi quantità d'energia in profondità. È stato calcolato che la radioattività primordiale ha innalzato la temperatura interna a 2000°C, a partire dalla quale il ferro ha cominciato a fondere. L'alta densità del ferro ha provocato il suo collasso verso il centro dell'astro, trascinando con sé altri elementi come il nickel. La fusione del ferro ha provocato anche la fusione di altri materiali più leggeri, che sono risaliti in superficie formando una crosta galleggiante su un manto probabilmente fuso (oceano di magma). Questo processo porta alla differenziazione del pianeta che si divide in un nucleo denso e ricco di ferro e nickel, in un manto intermedio viscoso e in una crosta più leggera.

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Le grandi manifestazioni geologiche marziane

Il vulcanismo. Mariner 9 ha rivelato per la prima volta l'importanza del vulcanismo nella storia di Marte. Si consideri che in effetti la metà della superficie del pianeta è costituita da materiali d'origine vulcanica. Per esempio, la maggior parte dell'antica crosta marziana è di origine vulcanica. Il TES di Mars Global Surveyor ha mostrato che gli alti pianori craterizzati sono basaltici, là dov'è ancora presente l'antica crosta. Ma i processi più recenti legati all'acqua e al vento hanno modificato gli alti pianori, così come talvolta sono state cancellate le tracce dell'antica attività vulcanica. I vulcani più impressionanti si trovano nella regione della dorsale di Tharsis (vedi più avanti), nelle regioni di Elysium e del bacino di Hellas. In totale su Marte esistono più di una ventina di grandi strutture, che presentano canali e colate laviche simili a quelli dei vulcani delle Hawaii. Le distese più vaste che presentano materiale vulcanico si trovano nelle basse piane settentrionali. Ma l'assenza di grandi strutture su queste piane suggerisce che si tratterebbe di un riversamento di lave fluide da faglie o crepe che si stendono per vaste aree. Sono state contate più di un centinaio di strutture di qualche centinaio di metri disseminate sulle piane settentrionali.

Sembra che i processi vulcanici abbiano avuto luogo per tutta la storia di Marte e potrebbero aver luogo anche oggi. Infatti alcune colate laviche nelle regioni di Elysium e di Mons Olympus risalirebbero ad appena 10 milioni di anni fa.

È stato calcolato il volume totale del magma prodotto dall'attività vulcanica: in relazione alla superficie totale di Marte, esso rappresenterebbe uno spessore medio di circa 6 km. Alcuni canali di deflusso (vedi più avanti) hanno origine nei pressi di vulcani, suggerendo che la causa della loro formazione sia stato un riscaldamento locale del suolo, che ha prodotto l'improvvisa fusione del ghiaccio sotterraneo.


Mons Olympus. Mons Olympus è sicuramente il più emblematico dei vulcani marziani. Prima di tutto è il più grande vulcano del Sistema Solare con un diametro record di 600-700 km alla base e un'altitudine di 27.000 m. Queste dimensioni corrispondono a una pendenza media di 4°, quindi molto debole, che testimonia la probabile fluidità della lava. Il volume della struttura equivale a 50-100 volte il volume dei più grandi vulcani terrestri. Queste misure cozzano con l'esistenza di una tettonica a zolle marziana. Infatti il movimento di una zolla terrestre al di sopra di un hot spot vulcanico produce una catena di vulcani come quella delle Hawaii. Su Marte, l'assenza di movimento di una zolla ha permesso al magma di alimentare sempre la stessa struttura, conferendole quella grandezza.

Mons Olympus si sarebbe formato 3 miliardi di anni fa all'inizio del periodo amazzoniano e sarebbe rimasto attivo fino a poco tempo fa. A sud e a est è circondato da scarpate alte 6000 m la cui origine è attribuita alla presenza, intorno al vulcano, di numerosi ghiacciai. Questi avrebbero eroso le regioni attorno al vulcano, abbassando il livello del suolo e creando le scarpate osservate. Mons Olympus è un vulcano a scudo che presenta molte analogie con i vulcani hawaiani.

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L'acqua, la vita. Secondo i biologi, l'acqua liquida è stata una condizione necessaria per la comparsa della vita sulla Terra. Una serie di indizi importanti sembra dimostrare che su Marte l'acqua è esistita in parte allo stato liquido. Da qui alcune domande:

• C'è stato un tempo in cui la vita è comparsa su questo pianeta?

• Esistono ancora tracce fossili sulla superficie?

• Esistono ancora oggi nicchie ecologiche dove la vita ha potuto conservarsi?

Dare risposte a queste domande è una delle maggiori e quasi uniche attrattive dello studio di questo pianeta. Questo richiede anche di saper ripercorrere la storia della sua formazione e il modo in cui è evoluto in 4,5 miliardi di anni. È anche vero che Marte e il satellite di Giove, Europa, sono gli unici "mondi" per i quali si pone il quesito della vita.

Più progrediamo nella conoscenza di Marte, più la domanda sulla vita è pertinente, più però il problema si complica. Dopo Viking sappiamo infatti che l'ambiente marziano sulla superficie è molto ostile alla comparsa e alla conservazione della vita. È certo che se c'è vita ancora oggi, questa sarà difficile da scoprire, poiché si troverà in quelle che vengono chiamate "nicchie ecologiche" in alcuni luoghi privilegiati del pianeta. Queste nicchie corrispondono a luoghi al riparo dalle radiazioni ionizzanti, dove la temperatura è clemente, come nei pressi di fonti idrotermali nascoste nel suolo.

Dppo la missione Mariner 9 e le prime immagini ad alta risoluzione della superficie, sappiamo anche che l'acqua liquida ha corso sul pianeta in un'epoca molto antica. Quest'epoca si collocherebbe durante il primo miliardo di anni successivo alla formazione di Marte. In seguito l'acqua liquida non è più rimasta stabile a causa dell'abbassamento della pressione e del raffreddamento dell'atmosfera. Che ne è stato di quell'acqua il cui volume stimato varia da qualche decina a qualche centinaio di metri di spessore su tutta la superficie? Oggi l'atmosfera possiede soltanto uno spessore di precipitazioni equivalente appena a una dozzina di micron. Per spiegare la scomparsa dell'acqua si chiamano in causa tre processi: in parte l'acqua si troverebbe sotto forma di ghiaccio solido al polo nord; un'altra parte si troverebbe nascosta nel sottosuolo; infine un'altra parte sarebbe "sfuggita" dal pianeta. Le proporzioni relative di questi tre processi di scomparsa sono ancora sconosciute.

Un quesito importante legato alla comparsa della vita è sapere per quanto tempo l'acqua liquida si è conservata in superficie. Sulla Terra la vita è apparsa nell'acqua dopo qualche centinaio di milioni di anni. Nel caso delle tracce di flussi osservate da Mariner 9 e Viking, in particolare i canali di deflusso, i fenomeni legati agli sprofondamenti potevano verificarsi in tempi molto brevi dell'ordine di pochi giorni (Figura 5.8). Con MGS alcune immagini, come quelle di Nanedi Vallis, sembrano rivelare l'esistenza di fiumi il cui letto si è scavato nel corso di diverse migliaia d'anni. Questi fiumi dovevano gettarsi in un mare o in un lago, ma queste distese d'acqua stagnante sono difficili da caratterizzare solo con le tracce lasciate al suolo. In definitiva, oggi non abbiamo la prova che acqua liquida si sia conservata per una durata sufficiente alla comparsa della vita. Ciò non significa che non abbia potuto comparire, significa solamente che a questo proposito le nostre conoscenze sono molto limitate.

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Trovare la vita nei campioni. C'è o c'è stata vita su Marte? Che tipo di risposte ci forniranno i campioni? Prima di tutto la presenza di eventuali batteri potrà essere rilevata direttamente. È il caso più semplice. Sarà anche possibile cercare tracce, attuali o molto antiche, di firme chimiche, morfologiche e mineralogiche di origine biologica, chiamate biofirme. Infine, se i due rilevamenti precedenti si rivelassero infruttuosi, sarà possibile tentare di caratterizzare i composti organici complessi che possono rivelare l'esistenza di un'antica chimica prebiotica. In altre parole, se gli scienziati non sperano di trovare, sul pianeta rosso, esseri viventi evoluti (insetti o piante), nutrono ancora la folle speranza di trovarvi dei batteri. Se venissero scoperti organismi di questo tipo, sarebbe una scoperta senza precedenti, soprattutto se fosse possibile analizzarne il DNA o il materiale equivalente che contiene il patrimonio genetico. La domanda fondamentale che emergerà è: questo DNA è uguale al DNA dei terrestri?


Il Caso e la Necessità. La risposta a questa domanda è di un'importanza capitale poiché ci colloca in bilico fra due mondi molto diversi. Se la risposta fosse negativa, se questi batteri fossero composti da altro rispetto al nostro DNA, o da un DNA fondamentalmente diverso dal nostro, sarà facile trarre alcune importanti conclusioni. Prima di tutto questa differenza proverebbe che non vi è alcuna contaminazione d'origine terrestre. Poi, per semplificare, avremmo per la prima volta la (una) prova che la vita può comparire, nell'universo, ovunque ci siano determinate condizioni favorevoli, ma in forme essenzialmente diverse dalla vita terrestre. In altre parole, non speriamo di trovare su altri pianeti, attorno ad altre stelle, altri uomini e altre donne di specie umana con cani e gatti. Per citare il titolo di un libro di Jacques Monod, Il Caso e la Necessità , ci troveremo più dalla parte del caso. La vita potrebbe comparire in diversi luoghi dell'universo in forme completamente diverse da quelle che conosciamo sulla Terra.

Nell'altro caso, quello in cui il DNA fosse uguale a quello terrestre, bisognerà prima di tutto essere prudenti e verificare, anche due volte, che non ci sia una contaminazione (fortunatamente i fautori della missione si erano preoccupati di ciò fin dall'inizio). Se fosse confermata l'assenza di contaminazione, allora potrà aprirsi un dibattito: quello della possibilità di una contaminazione naturale di Marte da parte della Terra o viceversa. È possibile immaginare infatti, che dei meteoriti, espulsi violentemente in occasione di un forte impatto e carichi di batteri, abbiano transitato da Marte alla Terra, o viceversa, per portare la vita sull'altro pianeta.

Ma dimentichiamoci, senza escluderla, di quest'ipotesi, che si limita ad allontanare il problema al di là del Sistema Solare, in luoghi in cui è certo che nessun processo di trasporto di questo tipo ha potuto aver luogo. Perciò, se questa "contaminazione" naturale fosse giudicata poco plausibile, la conclusione sarebbe che la vita compare dappertutto nell'universo, dove sussistono determinate condizioni favorevoli, e che assume inesorabilmente la stessa struttura, basata sul nostro DNA. Quindi, generalizzando all'estremo, è possibile immaginare che altri pianeti, attorno ad altre stelle, abbiano abitanti di specie umana con due braccia e due gambe, con gatti e cani ecc. In questo caso il nostro universo pende dalla parte della necessità: la vita nell'universo può esistere solo in un'unica forma, la nostra.

È facile capire come una simile prospettiva tocchi i fondamenti della nostra esistenza nell'universo.

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