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| << | < | > | >> |IndiceNel boudoir del Gran Maledetto STEFANO LANUZZA 5 Vita e opere principali di Sade 17 Scelta bibliografica 28 Ancora uno sforzo, Francesi, se volete essere repubblicani La religione 35 I costumi 57 Dalla Sezione rivoluzionaria elle Picche Scritti politici Lettera di un cittadino di Parigi al re dei Francesi 123 Progetto di petizione delle Sezioni di Parigi alla Convenzione Nazionale 134 Progetto per cambiare i nomi delle vie del Distretto della Sezione delle Picche 139 Petizione della Sezione delle Picche ai Rappresentanti del popolo francese 146 |
| << | < | > | >> |Pagina 5"Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto quanto può concepirsi in tale ambito, ma certamente non ho fatto tutto quello che ho immaginato e di certo non lo farò mai. Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino" scrive Donatien Alphonse François de Sade alla moglie Renée in una lettera del 20 febbraio 1791.
In una certa misura, queste parole confermerebbero
l'ipotesi di quanti sostengono che Sade, lo scrittore più radicale della
tradizione francese dei
libertins,
non sempre scrive quanto pensa e, bilanciandosi fra realtà e fantasia,
non fa tutte le cose di cui scrive: anche se non si può dire
che egli non abbia provato a mettere in pratica la propria
grammatica erotico-letteraria traslata in quel piano di fantasie
pornografico-sofistiche da Roland Barthes etichettato come "pornogramma" (in
Sade, Fourier, Loyola,
1971).
Complessivamente, insieme al naturalismo positivistico e al materialismo dei La Mettrie, Helvetius, d'Holbach – insieme alla probabile conoscenza delle Lettres philosophiques (1733), del Mahomet (1741) e dell'antireligioso Sermon des cinquanta (1759), tra gli scritti di Voltaire –, sembra possa vigere un sentimento presurrealista della rêverie nelle narrazioni come negli spaesanti proclami e nei filosofemi di Sade.
Quanto quelli dei surrealisti, "i suoi libri" scrive
Georges Bataille
"danno la sensazione che egli volesse, con una rivoluzione esasperata,
l'impossibile e il rovescio della vita"
(Sade,
in
La littérature et le mal,
1957). Dove l'estremo, esasperato gusto della trasgressione rima con un
calcolato culto della profanazione.
Cessati i divieti della giurisprudenza come della psichiatria e della psicanalisi che con le eversioni libertine di Sade hanno incrementato una fertile crestomazia di reati sessuali e patologie psichiche, il sadismo è infine trascorso nella categoria dei luoghi comuni. Cosicché gli eccessi erotici di chi è stato soprattutto uno scrittore possono leggersi come invenzioni romanzesche talora drammatiche o tragiche e tante volte perfino comiche.
Giunge allora il tempo di spostare l'attenzione su alcuni
risvolti meno noti dell'opera di questo Gran Maledetto,
scriba tra i più malfamati eppure mentore non troppo nascosto di generazioni di
poeti e scrittori come delle avanguardie letterarie e artistiche fino ai giorni
nostri.
L'occasione per una lettura delle implicazioni politiche del pensiero sadiano, sospeso tra erotologia, tendenze filosofiche e passione sociale, parrebbe offerta da un'opera non secondaria nella produzione dell'autore: La Philosophie dans le boudoir , sorta di 'libro di paradossi' e composito copione teatrale che assume il salotto (boudoir) quale privilegiato luogo di conoscenza o microcosmo della società francese illuminista e libertina al tempo della Rivoluzione (cfr. gli Scritti politici in appendice al presente volume). Di tale libro, pubblicato nel 1795 con una dedica "Ai libertini" e ai "voluttuosi di tutte le età e di tutti i sessi", restano sconosciute le pagine manoscritte come le circostanze in cui è stato composto (anche se è probabile che Sade vi abbia lavorato durante qualcuna delle sue non poche carcerazioni). Ripartito in "Sette dialoghi" – con protagonisti taluni personaggi dell'aristocrazia libertina (la "voluptueuse" madame de Saint-Ange, la disinibita adolescente Eugénie, il "cynique" Dolmancé, il giardiniere Augustin dal fallo spropositato, il giovane Cavaliere de Mirvel affascinato da Eugénie da lui ritenuta "falle charmante" e "adorable créature"...) che, tutti insieme promiscuamente, discettano di massimi sistemi e sperimentano le variabili orgiastiche dell'umana fornicazione –, il libro vuole affermare il ruolo dominante dell'immaginario rielaborato da quella 'filosofia dei Lumi' votata a cancellare tutte le superstizioni e, nello stesso tempo, a trasformare in realtà patente il desiderio di liberazione e lo stesso erotismo degli individui. "Scegliendo l'erotismo," scrive Simone de Bouvoir "Sade ha scelto l'immaginario; soltanto nell'immaginario riuscirà a installarsi con certezza e senza rischio di delusione. Egli ha ripetuto per tutta la sua opera: Il godimento dei sensi è sempre regolato dall'immaginazione. L'uomo non può aspirare alla felicità se non servendo tutti i capricci della sua immaginazione. È per mezzo di essa che sfuggirà allo spazio, al tempo, alla prigione, alla polizia, al vuoto dell'assenza, alle opache presenze, ai conflitti dell'esistenza, alla morte, alla vita e a tutte le contraddizioni" (Faut-il briûler Sade?, 1951). | << | < | > | >> |Pagina 12E la calunnia, il furto, il libertinaggio, lo stesso omicidio? Tali fatti, considerati crimini nei sistemi autoritari, secondo Sade che è per l'abolizione della condanna a morte e per comminare a qualunque delitto il minimo della pena, non devono essere trattati come tali in un sistema repubblicano prodotto dall'"età della ragione". Perché il delitto morale della calunnia, allorché esprima la verità non serve che a informare e a conoscere un reo; se invece afferma il falso, suscita indifferenza e stimola il soggetto ingiustamente calunniato ad affermare la propria rettitudine.E il furto, questa tanto deprecata infrazione per la quale, dopotutto, occorrono coraggio e abilità? Non serve forse a garantire maggiore uguaglianza fra chi ha e chi ha meno? Va bene che la Rivoluzione francese giuri per la difesa della proprietà privata, ma non sarebbe ingiusto adattare a tale giuramento anche chi non ha niente? Nessun atto è più ordinario di quello d'un povero che ruba al ricco per garantirsi il diritto alla sopravvivenza affermato dalla natura stessa. Si punisca, eventualmente, chi è così sconsiderato da farsi derubare. Il libertinaggio inteso come adulterio, prostituzione, stupro, incesto, sodomia? Sono, forse, queste dissolutezze più deplorevoli della guerra, la più immorale delle attività degli Stati fondati dal genere umano? E può uno Stato, sia pure repubblicano, ma che nei propri costumi adotta anche la guerra, dettare la morale ai propri cittadini? Insomma, essendo il libertinaggio anche una forma di rivolta contro la pusillanime invenzione del pudore esso è una modalità vitale che soddisfa le esigenze della lussuria garantendo, a suo modo, anche la libertà promossa da una libera repubblica. Ignorando tutte le dialettiche intorno all'amore, per Sade una "follia dell'anima", sia resa lecita la prostituzione perché ognuno possa fare uso a piacimento del proprio corpo e di quello altrui, di qualsivoglia età e sesso. A tale scopo sia permesso, all'occasione, anche l'uso della forza e della violenza – effetti abnormi di ciò che il Marchese intende per massima libertà. Ne consegue che, prima, Sade perori l'assoluta liberazione sessuale delle donne, delle quali – scrive – non è ammissibile il possesso perché questo può esercitarsi soltanto sugli oggetti e sugli animali, ma non su esseri umani. Ma dopo, palesemente contraddicendosi, incorrendo nella sua abituale incoerenza e mostrando come l'estremismo illuminista-naturalistico possa giungere a demolire la stessa ragione, sostiene che una donna non può rifiutare il proprio corpo a chiunque mostri di desiderarlo. E l'incesto? Alquanto praticato nel mondo, non può configurarsi come un delitto: suvvia, magari serve ad approfondire i legami familiari (!). Neanche lo stupro, forse meno grave del furto, è da criminalizzare: e non è vero che sia così diffuso. Ancor meno condannabili sono la sodomia e l'omosessualità, una questione di gusti, esercitate da sempre presso tutti i popoli come racconta il beffardo sofista Luciano di Samosata e come insegna la poetessa Saffo di Lesbo.
Resta l'omicidio, l'atto più crudele, che leva a un uomo
la vita, il dono più importante elargito dalla natura; ma
che, a ben vedere, non è certo un atto contro le leggi naturali. Uccidere un
uomo, azione che – scrive Sade – richiederebbe lo stesso coraggio del ladro nel
rubare, è cosa diversa dall'uccidere un qualunque essere? Ma la natura non
fa differenze fra i viventi. Non diversamente dagli animali,
anche l'uomo, cui la natura concede una vita provvisoria
per poi dargli la morte definitiva, nasce, cresce, si muove,
si riproduce, invecchia e infine finisce in un nulla che non
è il niente poiché l'essere umano, decomponendosi, cambia forma ed entra nel
perpetuo flusso della materia.
Così, se la natura – indubbiamente amorale perché, per essa medesima, la morale non esiste – è anche omicida, può l'omicidio essere un crimine contro la natura stessa? Non può esserlo né contro la natura e nemmeno contro la politica dato che la politica, in ogni tempo, ha fatto il proprio interesse perseguendo assai spesso l'omicidio (un solo esempio? Le guerre, perfetti omicidi di massa). Né, tampoco, può esserlo contro la società: perché questa, nel suo complesso, non è certo danneggiata dalla morte di un uomo. In fondo, quando un uomo muore, non cambia alcunché: nella natura, nella politica, nella società. Posto ciò, è giusto punire l'omicidio con l'omicidio? Sade lo esclude, ma poi non condanna l'assassinio allorché sostiene che i popoli più vicini al crudele sistema della natura, e perciò i più coraggiosi, hanno l'animo d'imitarla nell'eliminazione dei più deboli: per esempio i bambini malformati che, essendo inutili alla società, devono essere soppressi per fare spazio agli individui sani (! Simile orientamento, che non è solo di Sade e risulta diffuso nell'epoca illuministica, prepara, col successivo supporto del darwinismo, le tesi eugenetiche dello psicologo inglese Francis Galton , 1822-1911, strumentalizzate e distorte nel primonovecento dai razzismi e dai campi di sterminio nazisti). L'omicidio, inoltre – aggiunge l'autore –, può risultare utile per il controllo del numero delle nascite e per combattere la povertà causata dalla sovrappopolazione (!!). Tuttavia, se non si può fare a meno di punire l'omicidio, si affidi la vendetta agli amici o ai familiari della persona uccisa (!!!).
Sade, infine, non vuole dimenticare i doveri dell'uomo
verso se stesso. A tale proposito – egli crede –, l'unica inosservanza che
l'uomo possa compiere è il suicidio. Ma che imbecilli coloro che vorrebbero
equiparare al delitto il suicidio, la più coraggiosa tra le testimonianze della
libertà individuale!
Come si può notare – vorrebbe concludere Sade –, sono soprattutto i pregiudizi che trasformano certe azioni in crimini. Però – sospetta Klossowski –, non è che, nelle sue levate teoretiche, Sade abbia cercato di seguire "un metodo esoterico infinitamente complesso consistente nell'assumere la maschera dell'ateismo per combattere l'ateismo; nel parlare il linguaggio dello scetticismo morale per combattere lo scetticismo morale, all'unico fine di far dare alla ragione tutto ciò che essa è capace di dare per dimostrarne la nullità"? Ma se poi si vuole prendere Sade alla lettera, egli – prosegue Klossowski – finisce per apparirci "uno degli epifenomeni più spinti e maggiormente rivelatori d'un vasto processo di decomposizione e ricomposizione sociali [...]. Il suo nichilismo politico non rappresenterebbe che l'episodio per così dire malsano del processo collettivo, mentre la sua apologia del crimine puro, il suo invito a perseverare nel crimine, costituirebbero soltanto il tentativo di pervertire l'istinto politico, ovvero l'istinto di conservazione della collettività". Stefano Lanuzza | << | < | > | >> |Pagina 35Sto per offrirvi grandi idee. Saranno ascoltate, saranno meditate; e se non tutte potranno piacere, almeno ne resterà qualcuna. In ogni caso, avrò contribuito al progresso della ragione e ne sarò lieto. Non lo nascondo, è con sofferenza che noto con quanta lentezza cerchiamo di raggiungere lo scopo; e sento con inquietudine che siamo alla vigilia di mancarlo ancora una volta. Forse si pensa che tale scopo sarà raggiunto quando ci saranno date delle leggi? Non illudiamoci. Senza religione, cosa faremmo delle leggi? Abbiamo bisogno d'un culto, e d'un culto fatto per il carattere d'un repubblicano che certo non può ricalcare semplicemente quello di Roma. In un secolo nel quale siamo così convinti che la religione debba poggiare sulla morale e non la morale sulla religione, occorre una religione rivolta ai costumi, che ne costituisca lo sviluppo, il necessario seguito, e possa elevare l'anima tenendola sempre all'altezza di quella preziosa libertà di cui essa è, oggi, il suo unico idolo.
Ora io chiedo se si può supporre che quella d'uno
schiavo di Tito o di un vile istrione di Giudea possa
convenire a una nazione libera e guerriera che si è appena rinnovata. No, miei
compatrioti, no: voi non lo credete.
Se, per sua disgrazia, il Francese si seppellisse ancora nelle tenebre del cristianesimo, da una parte l'orgoglio, la tirannia, il dispotismo dei preti, vizi sempre riaffioranti in quella sporca congrega, dall'altra la bassezza, le vedute ristrette, la meschinità dei dogmi e dei misteri di tale indegna e fantasiosa religione, smussando la fierezza dell'anima repubblicana lo ricondurrebbero ben presto sotto il giogo che la sua forza gli ha fatto spezzare.
Non dimentichiamo che questa religione puerile
era tra le migliori armi nelle mani dei nostri tiranni:
uno dei suoi dogmi principali era di
dare a Cesare quello che è di Cesare.
Ma noi abbiamo detronizzato Cesare e non vogliamo essergli debitori di niente. Francesi, non illudetevi che lo spirito di un clero che ha giurato non sia uguale a quello d'un clero refrattario: certi vizi di Stato sono incorreggibili. Grazie alla religione cristiana, alla sua superstizione, ai suoi pregiudizi, in meno di dieci anni i vostri preti, malgrado il loro giuramento e la loro povertà, riprenderebbero sulle anime il dominio che avevano stabilito con la violenza. Ancora vi incatenerebbero a dei re, poiché la potenza degli uni fu da sempre sostegno per quella degli altri, e il vostro edificio repubblicano crollerebbe per mancanza di basi. Voi che avete impugnato la falce, stroncate con un colpo definitivo l'albero della superstizione. Non accontentatevi di sfoltirne i rami, ma sradicate per intero una pianta dagli effetti così contagiosi. State certi che il vostro sistema di libertà e uguaglianza s'oppone troppo apertamente ai ministri degli altari del Cristo, perché ve ne sia mai solo uno che l'adotti in buona fede o non cerchi di demolirlo una volta ripreso il controllo delle coscienze.
Quale sarà il prete che, paragonando la condizione
in cui è stato ridotto con quella goduta prima, non farà di tutto per recuperare
l'arroganza e l'autorità perse? E quali soggetti deboli e vili non diventeranno
ben presto schiavi d'un tale ambizioso tonsurato!
Perché non pensiamo mai che certi inconvenienti esistiti una volta possano tornare ancora? Nell'infanzia della Chiesa cristiana, i preti non erano forse come sono oggi? Lo vedete bene dov'erano arrivati: allora chi li aveva portati a quel punto? Non erano stati i mezzi forniti loro dalla religione? Ebbene, se questa religione voi non la proibirete in assoluto, quanti la predicano, disponendo sempre degli stessi mezzi, ricominceranno dallo stesso punto. Pertanto cancellate per sempre tutto ciò che, un giorno, potrebbe distruggere la vostra opera. Pensate che, poiché il frutto del vostro lavoro non è riservato se non ai vostri nipoti, fa parte del vostro dovere, della vostra onestà, non lasciare a loro nessuno di quei germi perniciosi che potrebbero ripiombarli nel caos da cui siamo usciti con tanta difficoltà. Già i nostri pregiudizi svaniscono, già il popolo abiura le assurdità cattoliche. Ha già soppresso i templi, abbattuto gli idoli, convenuto che il matrimonio è solo un atto civile.
I confessionali demoliti servono a riscaldare le sale
pubbliche; e i presunti fedeli, disertando il banchetto
apostolico, lasciano ai topi gli dèi fatti di farina.
Francesi, non fermatevi: l'Europa intera, con una mano sulla benda che le abbacina gli occhi, attende da voi lo sforzo che deve strapparla dalla sua fronte. Fate presto, non lasciate a Roma la santa, che si agita in ogni dove per reprimere la vostra energia, il tempo di conservarsi, forse, ancora un qualche proselito. Colpite senza riguardo la sua testa superba e tremante; e fate in modo che prima di due mesi l'albero della libertà, stendendo la sua ombra sui resti della cattedra di san Pietro, copra col peso dei suoi rami gloriosi tutti gli idoli spregevoli del cristianesimo innalzati con sfrontatezza sulle ceneri dei Catone e dei Bruto. Francesi, ve lo ripeto, l'Europa aspetta da voi di essere liberata in una sola volta dallo scettro e dall' incensiere. Sappiate che sarebbe impossibile liberarla dalla tirannia reale senza farle rompere, nello stesso tempo, i freni della superstizione religiosa: i lacci dell'una sono uniti troppo strettamente a quelli dell'altra perché, mantenendone una parte, non ricadiate ben presto sotto il dominio di quelli che avete trascurato di sciogliere.
Non è più ai piedi di un essere immaginario né a
quelli di un vile impostore che un repubblicano deve
piegarsi. Ora, suoi unici dèi devono essere il
coraggio
e la
libertà.
Roma scomparve dal momento in cui vi fu predicato il cristianesimo, e la Francia è perduta se esso vi riscuote ancora rispetto. Si prendano attentamente in esame i dogmi assurdi, gli spaventosi misteri, le cerimonie mostruose, la morale impossibile di tale disgustosa religione, e si vedrà se essa può mai essere adatta a una repubblica. Potreste voi credere in buona fede che io mi lascerei dominare dall'opinione di un uomo che avessi visto ai piedi dello stupido prete di Gesù? No, certamente no! Quell'uomo, che non può essere se non un vile, per la bassezza delle sue vedute resterà sempre legato alle atrocità dell'antico sistema. Se ha potuto sottomettersi alle sciocchezze d'una religione banale come quella che avevamo la follia di accettare, non può più dettarmi delle leggi né trasmettermi dei lumi. Io non lo vedo più se non come uno schiavo dei pregiudizi e della superstizione. | << | < | > | >> |Pagina 99Infine, nella seconda classe di delitti d'un uomo contro un proprio simile, non ci resta da esaminare che l'omicidio. Poi passeremo ai suoi doveri verso se stesso.Di tutte le offese che un uomo può infliggere al proprio simile, l'omicidio è, senza smentita, la più crudele in quanto toglie ad esso il solo bene ricevuto dalla natura, il solo la cui perdita sia irrimediabile. Qui, tuttavia, a parte il danno causato dall'omicidio a chi ne resta vittima, si pongono molti quesiti. 1. Relativamente alle sole leggi della natura, questa azione è davvero criminale? 2. Lo è in relazione alle leggi della politica? 3. È nociva per la società? 4. Come deve essere considerata in un governo repubblicano? 5. Alfine, l'omicidio dev'essere represso con l'omicidio? Adesso distinguiamo separatamente ciascuno di tali quesiti: la questione, piuttosto importante, merita un approfondimento. Probabilmente le nostre idee potranno sembrare un po' eccessive, ma che importa? Non abbiamo forse acquisito il diritto di dire tutto? Manifestiamo agli uomini le grandi verità: è quanto essi s'aspettano da noi. È tempo che l'errore scompaia, e che la sua benda cada vicino a quella dei re. L'assassinio è un delitto davanti alla natura? Questo è il primo argomento posto.
[...]
Quale scienza umana ha bisogno di reggersi con l'omicidio più di quella votata solo a ingannare e che ha per unico fine lo sviluppo d'una nazione a spese di un'altra?
Le guerre, esiti esclusivi di tale barbara politica, cosa
sono se non i mezzi di cui essa si serve per nutrirsi, rafforzarsi, puntellarsi?
E cos'è la guerra se non la scienza
di distruggere? Strano accecamento dell'uomo che insegna pubblicamente l'arte di
uccidere, che ricompensa chi vi riesce meglio e punisce chi, per un preciso
motivo, ha eliminato il proprio nemico! Non è tempo
di ricredersi a proposito di errori tanto barbari?
Infine, l'omicidio è un delitto contro la società? Chi può mai pensarlo ragionevolmente? Ah! Cosa importa a questa società di avere un membro in più o in meno? Le sue leggi, i suoi usi e costumi ne saranno forse viziati? La morte di un individuo influì mai sul sistema di massa? E dopo la perdita della più grande battaglia, aggiungo, dopo l'estinzione della metà del mondo, della sua totalità se vogliamo, il piccolo numero di esseri che fosse sopravvissuto proverebbe forse la minima alterazione materiale? Ahimè, no! L'intera natura non ne sarebbe proprio colpita; e l'orgoglio sciocco dell'uomo, il quale crede tutto fatto per lui, resterebbe sbalordito, dopo la completa distruzione dell'umanità, se vedesse che niente cambia nella natura e il corso degli astri non ne è ritardato.
Continuiamo. Come dev'essere visto l'omicidio in
uno Stato guerriero e repubblicano? Certo sarebbe
quanto mai pericoloso deplorare tale azione oppure
punirla. La fierezza del repubblicano richiede un po'
di ferocia. Se lui s'infiacchisce, la sua energia decade e
ben presto sarà sottomesso.
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