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| << | < | > | >> |IndicePresentazioni 13 _______________________________________________________ 1. ORGANISMI E SUPERORGANISMI 22 La famiglia 24 Noi le operaie 24 La regina 27 I fuchi 28 Le api selvatiche 31 Una volta nella vita 34 Sciamare vuol dire... 36 La famiglia si riproduce 36 Razze? No, sottospecie 38 Genere, specie, sottospecie 38 La fortuna delle italiane 40 _______________________________________________________ 2. UN GIOCO IN CUI VINCONO TUTTI 48 Noi, le piante e gli umani 50 Chi addomestica chi? 51 Le fioriture 52 Il nettare sta al fiore come il miele sta all'uomo 58 In principio era un furto 60 Lasciate fare a noi 61 _______________________________________________________ 3. PROBLEMI E STRATEGIE 62 I nemici dell'alveare 64 E poi c'è il clima... 73 I travestimenti dell'orchidea 73 L'apicoltura urbana 77 _______________________________________________________ 4. QUANTE COSE FACCIAMO! 82 Il ciclo del miele (lasciate fare a noi) 84 Il riposo invernale 84 La bella stagione 86 Ma dove va a finire il miele? 90 Non solo miele nell'alveare 94 La cera 94 La pappa reale 96 Il polline 98 La propoli 102 E poi c'è il veleno 103 _______________________________________________________ 5. MIELE, MELATE E SOGNI CHE SI AVVERANO 104 Il benessere animale riguarda anche noi? 106 Siamo toste ma voi non esagerate 106 Come stanno le api? 107 Il nomadismo 109 Che cos'è il miele? 114 Vegetale o animale? 114 I profumi 115 Una conserva di nettare 116 La cristallizzazione non è un difetto! 116 Un alimento energetico 120 Il miele di melata 121 Tu vuoi far l'apicoltura? 123 La storia di Eva 123 Consigli per chi inizia 125 _______________________________________________________ 6. CIBO, INGREDIENTE, CURA 130 Il miele a tavola, in cucina, in dispensa 132 Come fosse sale 132 Idromele e aceto di mele 137 Il miele come cura 138 _______________________________________________________ 7. CONSIGLI PER GLI ACQUISTI E PER GLI ASSAGGI 142 Come scegliere il miele: qualità e sicurezza 144 Scegliere il miele: occhio a... 144 Affioramenti bianchi 145 Separazione di fasi 145 Cristallizzazione incompleta 146 Fermentazione 147 Gli inganni 147 Il caso italiano 152 L'etichetta 154 I mieli dei Presidi 157 Degustare i mieli 158 Riassumendo 158 La distanza 159 Millefiori o monoflora? 159 L'assaggio 160 _______________________________________________________ 8. I MIELI IN ITALIA 164 I più diffusi 166 Miele di agrumi 166 Miele di castagno 167 Miele di corbezzolo 167 Miele di erica 168 Miele di eucalipto 169 Miele di girasole 169 Miele di melata o di bosco 170 Miele di melata di abete bianco o rosso 171 Miele di robinia o acacia 171 Miele di rododendro 172 Miele di sulla 173 Miele di tarassaco 173 Miele di tiglio 174 Miele di timo 175 I meno comuni 176 Miele di ailanto 176 Miele di asfodelo 176 Miele di barena 177 Miele di brughiera 177 Miele di cardo 177 Miele di carrubo 178 Miele di ciliegio 178 Miele di ciliegio canino o marasca 179 Miele di colza 179 Miele di edera 179 Miele di enula 180 Miele di erba medica 180 Miele di erba strega o erba della Madonna o betonica 180 Miele di erica carnicina 181 Miele di erica multiflora 181 Miele di ginestrino 181 Miele di lampone 181 Miele di lavanda 182 Miele di lavanda selvatica 182 Miele di lupinella 182 Miele di marruca 183 Miele di melata di quercia 183 Miele di melo 183 Miele di ombrellifere 184 Miele di ruchetta o sanacciola 185 Miele di rosmarino 185 Miele di santoreggia 185 Miele di schiucciolo o spino giallo o fiordaliso stoppione 186 Miele di stregonia 186 Miele di trifoglio alessandrino 186 Miele di trifoglio bianco o trifoglio ladino 186 Miele di trifoglio incarnato 187 Miele di verga d'oro 187 _______________________________________________________ 9. LE RICETTE 188 Ricette della tradizione 190 Aranzata de pompìa 191 Beccute 192 Biscotti al miele 193 Cartellate 194 Certosino 196 Cervone 197 Crostone di frutta secca con miele 198 Ciascuna 199 Cicerchiata 200 Crostole al miele 201 Cubaite 202 Dolcetti di frutta secca e miele 202 Frustingo 204 Fugassa 205 Filetto di maiale con castagne e miele 206 Giuggiulena 206 Gattò 207 Gobeletti con zabaione 208 Lebkuchen 209 Mostaccioli 209 Ostie piene 210 Palacinke 212 Pampepato 213 Prupate 213 Piparelli 214 Seadas 215 Ravioli dolci di ricotta 216 Sfratto 218 Struffoli 219 Susamielli 220 Uvusones 221 Semifreddo al miele 222 Zeppole 222 Ziddini 223 Ricette d'autore 224 Baccalà in crosta di mandorle e miele 225 Castagnaccio 226 Castagne essiccate e miele 228 Cipolle rosse in agrodolce 228 Ciambella di pane con formaggio miele e noci 229 Coniglio, gamberi, miele di castagno e bergamotto 230 Copeta 231 Crostini con zucca, scalogno e ricotta salata 232 Globi di Catone 234 Insalata di cappone e noci 235 Insalata di stinco al miele 236 Mandorlata di frutta 238 Meringhe con pere caramellate e nocciole tostate 239 Mousse au chocolat blanc al bergamotto 240 Polpette di tacchino al miele e arancia 240 Petto di anatra, cipolline e salsa al miele di arancio amaro 241 Pancetta, miele e sedano rapa 242 Puls punica 244 Seppie, carciofi e miele di tiglio 245 Sardine di lago, cavolo rosso, pomodoro confit e latte cagliato 246 Torta di pere 248 Bee Happy 249 Bee Queen 249 Mielamaro Cocktail 249 Bibliografia 251 |
| << | < | > | >> |Pagina 13PresentazioniCiao, sono un'ape. No! Fermi! Non cominciate ad agitarvi, non arrotolate il giornale per darmelo in testa, non agitate le braccia in quel modo, non gridate. Soprattutto, per favore: non gridate che c'è una vespa. Non sono qui per pungervi, anche perché, a differenza della vespa, se vi pungo muoio, perché il pungiglione (che non è l'organo con cui mangiamo, come qualcuno di voi crede, ma un altro, situato alla base del nostro addome, che secerne un veleno e ci serve proprio come strumento di attacco e difesa) mi rimane incastrato in quella cotenna di cui siete ricoperti. Ho altro da fare, sono un'ape operaia, io. Sono qui per dirvi quello che volete sapere, su di me, sul miele che la mia famiglia produce, e mica solo miele... anche pappa reale, polline, cera, propoli, per non dire del veleno! La nostra, come usa dire oggi, è un'azienda multifunzionale. Ultimamente abbiamo aggiunto anche le attività didattiche, ed è stata una buona idea, ci sono sempre più umani che vogliono sapere di noi e del nostro lavoro. Non è stato sempre così, anzi. C'è stata una lunghissima fase, fino a un paio di decenni fa, in cui del miele non importava quasi niente a nessuno. Del miele si ricordavano quando qualcuno aveva l'influenza, o la tosse... lo scioglievano nel latte caldo e via. L'unica a parlare di miele, per tanti anni, è stata una grande azienda produttrice. Faceva pubblicità di miele, o di caramelle al miele, non so se ve la ricordate. Era un disegno animato in cui la "bella, dolce, cara mammina" e la sua nidiata di figlioli (sia chiaro: nulla da dire sulle famiglie numerose, per carità, noi fino a 60000 in una casa) andavano a fare la spesa e compravano un sacco di formaggi. Avevano una lista con tutti i nomi dei formaggi: pecorino, groviera, gorgonzola, grana, stracchino... Capite? Distinguevano tra un formaggio e l'altro, mica sulla lista ci stava scritto "formaggio". Invece lo slogan in chiusura dello spot diceva «miele e caramelle al miele». Si dice che le api dell'epoca si arrabbiassero un sacco. Io non c'ero ancora, ovviamente, noi operaie abbiamo una vita breve e i tempi di Carosello risalgono a tantissime generazioni di api operaie or sono. Insomma, il popolo delle api si dava un sacco da fare per produrre decine e decine di tipi diversi di miele, e quella ditta che cosa pubblicizzava? Miele. Come se tutto quello che si produce a partire dal latte di pecore, vacche, capre, yak e chissà chi altro si chiamasse formaggio senza ulteriori specificazioni. Ve l'immaginate? Andate a fare la spesa perché volete fare la fonduta, chiedete del formaggio e vi danno un grana invece della fontina; volete grattugiare qualcosa sulla pastasciutta, chiedete del formaggio e vi portano un bel gorgonzola cremoso. Ecco, col miele era così, la pubblicità parlava di miele, faceva vedere un prodotto fluido, ambrato, trasparente e la gente imparava che il miele era solo ed esclusivamente quella cosa là. Peggio: ogni volta che il consumatore si imbatteva in un miele un po' diverso da quello che vedeva negli spot, si insospettiva. Eh no, pensava, il miele io lo conosco, l'ho visto in tv. Ha il colore dello zucchero caramellato, è fluido e resta nei secoli fedele a se stesso, non cambia densità né colore. Cosa sarà mai questa roba qui, più o meno granulosa, più o meno scura, più o meno chiara, più o meno consistente, più o meno cristallizzata? No, non può essere miele, sicuramente sarà una truffa. Giuro, pensavano proprio così, e non compravano altro miele all'infuori di quello che avevano visto in tv. Se non si apprezza un prodotto, si sa, è difficile anche ricordarsi dei produttori. Così tutti impararono molto rapidamente a non prestare attenzione né al miele né alle api. E naturalmente nemmeno agli apicoltori. In più c'è il problema che siamo piccole. Gli animali grandi, su voi umani, esercitano un fascino irresistibile. Se avete visto da vicino un elefante, o un orso, sapete bene di che cosa parlo. Vale anche per cavalli, vacche e persino pecore, cani, gatti, uccelli. Se, in conseguenza dell'uso di determinati prodotti chimici di sintesi per l'agricoltura, fossero morte migliaia di vacche, di pecore o di maiali, o se gli animali domestici avessero anche solo starnutito una volta di troppo, voi umani sareste immediatamente scesi in battaglia. Invece, come vi racconterò più in dettaglio, moriamo noi: i nostri assistenti... pardon, i nostri allevatori da circa vent'anni ci trovano stecchite, a migliaia, vicino alle nostre case, lo dicono, allarmati, cercano di fare capire a tutti che è un'emergenza, ma nessuno se li fila. O meglio, per un bel pezzo nessuno se li è filati. Poi le cose sono cambiate ma, come vedremo, c'è ancora un bel po' di lavoro da fare. La riscossa culturale iniziò proprio da loro, dagli apicoltori, negli anni Novanta, persino prima delle grandi morie, quando il problema era "solo" quello di vendere il miele. Furono loro a coalizzarsi per ricominciare a spiegare alle persone che i mieli sono tanti, di tanti colori e di tanti sapori; che sono fatti dalle api; che evolvono nel tempo, alcuni cristallizzando di più o di meno, o niente affatto. Furono loro a ricordare che i produttori siamo noi api, e che abbiamo elaborato un sistema niente male per stare al mondo. Un sistema un po' diverso dal vostro. Voi umani, solitamente, quando mangiate mangiate e basta, quando coltivate coltivate e basta, quando trasformate trasformate e basta. O almeno così credete, perché in realtà non è vero nemmeno per voi, anche se vi siete dati nomi che vi dividono in categorie: produttori, consumatori... In ogni caso, noi tendiamo a fare un po' tutto insieme, sicché mentre ci nutriamo, di nettare e pollini, aiutiamo le fecondazioni dei fiori, così "coltiviamo" le piante per l'anno successivo (non importa se nutriranno la prossima generazione di api bottinatrici: noi sappiamo bene - a differenza di voi - che compromettere il futuro significa danneggiare il presente, anche quando non sembra, e viceversa); quando rientriamo all'alveare per trasformare il nettare in miele, continuiamo a nutrirci un po', e intanto creiamo le condizioni ottimali per la sua conservazione, e anche per la crescita sana delle nostre pupe. No, non è un modo di dire. Sì, in qualche modo abbiamo anche i bulli, in casa, ma ne parliamo poi. Però "pupe" è davvero il modo in cui si chiamano, nel vostro mondo, le nostre larve, è lo stadio in cui ci troviamo dopo una settimana circa dalla deposizione dell'uovo. Qui va tutto abbastanza in fretta, abbiamo un ciclo vitale che varia da qualche settimana a pochi mesi (esclusa la regina, lei vive di più, ma - come vi spiegherò - per la multifunzionalità è proprio negata), forse proprio per questo facciamo un sacco di cose nello stesso tempo, perché abbiamo veramente un gran da fare, per una vita sola. Allora - vi chiederete - perché perdi tempo a spiegarci le cose? Non hai da lavorare oggi? Avete ragione, avrei davvero un sacco da fare. Ma abbiamo organizzato un'assemblea, anche con gli alveari vicini, una specie di riunione di condominio, e abbiamo deciso che qualcuno si doveva prendere una pausa per farvi da guida nel nostro mondo. Insomma, tocca a me. Però vi racconto solo quello che vedo e conosco, mentre so bene che voi vorreste un sacco di informazioni in più, dati, numeri, questioni nutrizionali, terapeutiche, economiche, politiche, che a noi api francamente interessano poco. Io non vi posso rispondere su qualsiasi cosa. Sono al mondo da poco più di tre settimane, dopo tutto. Così, quando arriviamo su qualche tema a me estraneo cedo la parola a qualche amico: persone che negli anni ci hanno frequentato parecchio e di cui ci possiamo fidare. Ve li presento: Paolo Fontana è entomologo, apidologo e apicoltore (Apiamoci) in quel di Isola Vicentina (Vicenza). [...] Diego Pagani da vent'anni è apicoltore biologico (Apicoltura Pagani Diego) in Val Tidone (Piacenza), [...] Francesco Panella, genovese di origine, vive da oltre quarant'anni in Piemonte. Apicoltore nomade [...] Andrea Paternoster è un apicoltore (Mieli Thun) con sede a Ton (Trento). [...] Lucia Piana, biologa, per tutta la sua carriera lavorativa si è sempre occupata di miele, [...] Claudio Porrini, dottore in Agraria in forze all'Università di Bologna, [...] Con l'aiuto di tutti loro vi guiderò nel mondo delle api e del miele. Però sbrighiamoci, non ho tutta la giornata. Anche perché dopo un po' che non lavoro... mi viene fame, e quando mi viene fame divento nervosa. Capace che vi pungo, e proprio non vorrei. Ci tengo alla pelle. La mia, intendo. | << | < | > | >> |Pagina 22LA FAMIGLIA
Inizio presentando me stessa. Punto
primo, sono un insetto. No, non è
banale, ci tengo. Pare che siamo la
classe più numerosa al mondo, e
che al nostro interno ci siano circa
un milione di specie. Quindi, rispetto.
Se esisteste in natura una cosa
simile a quella che voi chiamate
democrazia, sicuramente saremmo
al governo noi, che siamo tantissimi.
Tra le numerose specie vi sono
per l'appunto le api, ma ci sono
diversi tipi di api. Io, per esempio,
sono quella che voi chiamate
Apis mellifera.
Qui in Italia è la razza
prevalente, al punto che qualcuno
per brevità mi chiama ape italiana;
più tardi vi presenterò anche le altre.
NOI LE OPERAIE Come vi accennavo, la mia è una famiglia numerosa, al momento siamo circa 40000 nel nostro alveare, ma possiamo arrivare anche a 60000. Non è semplicissimo raccontarvi come funziona un alveare, o meglio sarebbe comodo scegliere un punto di partenza e noi invece il punto di partenza non l'abbiamo. È un ciclo continuo, quasi impossibile da dividere in fasi. Forse è più semplice se provate a immaginare, anziché 40000 elementi, un unico animale, un unico organismo, l'alveare appunto. Quando parlate del vostro corpo e di come funzioni riuscite a trovare l'inizio? Difficile, vero? Ecco, con un alveare è più o meno lo stesso.
Oh! Abbiamo già una richiesta di
intervento! Prego, Paternoster.
«Grazie, sarò rapidissimo. Volevo
solo suggerire un'affinità tra questo superorganismo
di cui tu giustamente parli e il mondo
dei mammiferi. A me sembra sempre
straordinariamente evidente la similitudine tra le api e le
cellule, tra i vari elementi dell'alveare e il nostro corpo.
Tutto quello che
noi facciamo con organi diversi, dalla
trasmissione delle informazioni alla
regolazione della temperatura, le
api lo realizzano attraverso i loro
movimenti, i feromoni che emettono, il volo.
Quello che per noi
è lo scheletro, per il superorganismo sono i favi.
La regina esercita
una sorta di monarchia illuminata
nella quale parte del potere sta "in mano" alle api,
che possono, con
le loro azioni, indurre determinati
comportamenti nella regina: sono
le api che valutano la qualità della
propria madre, che decidono quando
sia ora di aumentare la famiglia e di
quali organismi ci sia bisogno. La
differenza importante è che il corpo
del superorganismo, a differenza del
nostro, non muore mai, cioè in teoria
è in grado di rigenerarsi all'infinito».
È vero, ma andiamo con ordine. Questo superorganismo che è l'alveare ha tre diversi tipi di "organi": le regine, i fuchi e le api operaie. Le regine e i fuchi si occupano della riproduzione, e ce ne occuperemo tra poco. Prima parliamo di noi operaie. Noi api operaie siamo la maggior parte, circa 35000 su 40000, ma nel corso dell'esistenza svolgiamo molte funzioni, perché il nostro corpo si modifica e ci consente di fare cose diverse. In tutto viviamo, se stiamo lavorando, un mesetto o poco più; se invece nasciamo durante la fase letargica possiamo arrivare anche a sei mesi. C'è un certo dibattito, qui da noi, su che cosa sia meglio. Se vivere 35 giorni sveglie, attive, piene di impegni, oppure sei mesi quasi sempre al chiuso, consumando le scorte accumulate durante l'estate, senza mai un imprevisto. Non ne verremo mai a capo, di solito chi vive in inverno rimpiange di non essere nata in estate e viceversa. Vi chiederete: come fate a sapere come vivono le altre, se durate così poco? C'è la regina, lei vive anni e chiacchiera un sacco perché a parte deporre uova non ha molto da fare e non esce mai. È quella che voi chiamereste la memoria storica della famiglia. In ogni caso, che sia un mese o siano sei, non è che proprio ci possiamo considerare longeve. Per questo, nella nostra vita, contano i giorni: i primi tre li passiamo nell'uovo, poi l'uovo si schiude e siamo larve. La nostra celletta nel frattempo è stata riempita di cibo dalle operaie giovani, nate un poco prima di noi ma non ancora pronte per uscire a bottinare (raccogliere il cibo); per tre giorni ci nutriamo di quella gelatina (voi la chiamate pappa reale), sempre restando nella nostra celletta, quindi ci cambiano di nuovo la dieta, ci danno miele e polline per altri tre giorni. A questo punto, siamo al nono giorno, siamo quasi delle pupe, per cui ci tappano la celletta con l'opercolo, e restiamo lì a trasformarci prima in pupe, poi in api vere e proprie. Al ventunesimo giorno rompiamo l'opercolo e usciamo. Voi dite che "sfarfalliamo". Certo, fate confusione tra api e farfalle, ma esprimetevi come volete, l'importante è che usciamo da lì, siamo adulte. Adulte ma non ancora pronte per andare a bottinare, quindi, in attesa che si sviluppino gli organi che ci serviranno per la raccolta, ci dedichiamo ai lavoretti di casa: per i primi tre giorni, sistemiamo le cellette, le spalmiamo di propoli, puliamo un po'; poi nutriamo le larve dando loro miele e polline esattamente come in precedenza siamo state nutrite noi; infine, visto che nel frattempo siamo diventate in grado di produrre pappa reale, ci dedichiamo alle larve appena uscite dall'uovo e alla regina. Così passa più o meno una settimana, dopo di che siamo pronte, possiamo uscire e darci da fare con i fiori. I primi tre giorni andiamo poco fuori e nel resto del tempo sistemiamo per bene l'alveare, pulendolo, arieggiandolo e preparando le cellette; poi ci dedichiamo unicamente alla bottinatura... ma se avete tenuto il conto vi siete accorti che siamo più o meno verso la fine del nostro ciclo vitale: diciamo che, nella bella stagione, abbiamo davanti a noi una settimana-dieci giorni di lavoro intenso, poi salutiamo questo mondo.
Come forse avrete capito (per via
del fatto che nel corso della nostra
vita ci adattiamo a fare un sacco di
cose) noi operaie siamo femmine.
I nostri organi riproduttivi sono
atrofizzati e non entreranno mai in
funzione, però, morfologicamente,
siamo femmine. D'altronde, credetemi, non avremmo davvero il
tempo e il modo di dedicarci anche ad attività riproduttive.
Non possiamo fare tutto noi!
LA REGINA Alla riproduzione pensa la regina. La sua vita dura tantissimo, anche quattro o cinque anni, il che dalla prospettiva di un'operaia è quanto di più simile all'eternità. È come se, a fronte di una vita media vostra e dei vostri fratelli di circa novant'anni, ci fosse, in famiglia, un elemento che vive circa 5000 anni! Pensate quante ne avrebbe da raccontare! Vorrei vi fosse chiara una cosa: la regina è opera nostra, delle operaie. Decidiamo noi quando ne serve una in più, e prepariamo qualche celletta speciale. L'uovo che diventerà regina è identico a quello da cui si svilupperanno le operaie, cioè è un uovo fecondato. Ma noi alimentiamo quelle larve in un altro modo (sempre e solo con pappa reale, per tutto il periodo larvale), quindi gli organi riproduttivi non si atrofizzano. Insomma, una regina è regina da subito. E anche lei è una femmina.
Il suo ciclo larvale, da quando viene
deposto l'uovo a quando esce dalla
sua super-celletta (la facciamo molto
carina, grande, in verticale, una versione deluxe rispetto alle nostre),
dura meno del nostro, solo 16 giorni. Per una settimana resta ancora
nell'alveare, ovviamente nutrita da
noi, come per il resto della sua vita;
il cibo glielo dobbiamo offrire, ma
anche predigerire, perché lei non
ha gli organi necessari. Considerate
quindi quante generazioni di api
operaie si susseguono per nutrire
una regina per tutta la vita! Lei
ricambia, deponendo uova per tutta
la vita, 1500-2000 al giorno. Ma
sto precorrendo i tempi. Eravamo
rimasti ai 16 giorni di ciclo larvale
più una settimana in alveare. Ecco
che siamo al gran giorno: quello del volo nuziale.
I FUCHI Mentre la regina si prepara all'unica uscita della sua vita, vi racconto dei fuchi, i maschi dell'alveare. Anche per i fuchi prepariamo cellette speciali, non certo belle come quelle delle regine, ma un po' più grandi delle nostre. La regina quando le vede capisce che lì deve deporre l'uovo per far nascere un maschio e quindi incanala l'uovo da deporre in un condotto speciale, che non attraversa il deposito di sperma che lei ha nel suo organismo (come sarebbe «da dove arriva lo sperma?». Da dove volete che arrivi... comunque, abbiate pazienza, il volo nuziale ve lo racconto tra poco). Depone quindi uova non fecondate, che daranno luogo ai maschi, i fuchi per l'appunto. Ora, credetemi, io non voglio fare questioni qui, ma avere a che fare con i fuchi, in formato larva o adulto, è sempre problematico. Il loro ciclo larvale dura 24 giorni, e già in quella fase mangiano tantissimo. Poi escono dalla celletta, e continuano a mangiare come orchi, ma anche loro non possono farlo da soli, quindi è tutto lavoro per noi operaie. E non sono pochi, sono da 2000 a 6000 per famiglia! Noi ovviamente non li facciamo nascere sempre. Loro servono per la riproduzione, quindi prima della primavera non sappiamo che farcene. Programmiamo quindi le cellette per far sì che la regina deponga le uova dei fuchi quando sentiamo che l'inverno è davvero finito. Dal momento in cui escono dalla celletta a quando sono sessualmente maturi passa un sacco di tempo, 15-20 giorni, durante i quali bighellonano per casa, escono molto raramente, si occupano sostanzialmente solo di se stessi e, manco a dirlo, mangiano, mangiano, mangiano. Si, per carità, ci aiutano a tenere al caldo le covate, ma sai che sforzo. Per questo noi operaie badiamo a posizionare le cellette in cui si svilupperanno nei posti meno ambiti della casa: i punti più esterni, meno protetti. Forse è anche per questo che i fuchi solitamente sono i primi a beccarsi qualche malanno, o qualche parassita, ma insomma, almeno fanno qualcosa di utile per la comunità in quei 15 giorni in cui si preparano anche loro al volo nuziale. | << | < | > | >> |Pagina 38RAZZE?NO, SOTTOSPECIE
Questa cosa delle razze, sia chiaro,
è una fissazione vostra, non nostra.
Voi chiamate sottospecie quelle che
vengono individuate in natura e
razze quelle selezionate dall'uomo; la
ligustica,
per esempio è una sottospecie della specie
Apis mellifera;
il
terrier
è una razza della specie
Canis lupus familiaris.
Qui vi parlo solo delle api più utilizzate da voi
umani in Italia, perché per gli insetti
in generale e per le api in particolare
è valido quello che vale per tutte le
specie viventi di questo pianeta. Tra
vegetali e animali si stima esistano
circa 10 milioni di specie, ma al
momento voi umani ne avete classificate meno di 2 milioni.
GENERE, SPECIE, SOTTOSPECIE Comunque, noi api, di qualunque tipologia siamo, apparteniamo al genere Apis, e fin qui è facile. Il genere Apis comprende una serie di specie, ben 31, e ogni specie una serie di sottospecie. La specie Apis mellifera è presente in Italia con diverse sottospecie. Una è la mia (Apis mellifera ligustica); poi c'è l' Apis mellifera mellifera, detta anche ape nera; poi l' Apis mellifera carnica, di taglia un po' più grande rispetto alla nostra. In Sicilia abbiamo un'ape un po' più scura che si chiama Apis mellifera siciliana e non va confusa con l' Apis mellifera mellifera, che è anch'essa nera ma vive preferibilmente in zone fredde. Io, come vi dicevo, appartengo alla specie Apis mellifera, sottospecie ligustica o italiana, che è quella più utilizzata a fini produttivi: infatti non solo produciamo tanto miele, ma siamo anche abbastanza tranquille e ci adattiamo facilmente agli alveari che voi umani costruite per noi. Tra le altre ce ne sono alcune con un carattere un po' più difficile, tendono a voler stare all'aperto, si vogliono fare il loro favo... insomma, la convivenza con gli umani per loro è più difficile, e in qualche modo le comprendo. Non tutte hanno la nostra pazienza.
Si potrebbe approfondire ancora,
ma - come vi ho detto - non
ho tutto il giorno. Quello che mi
interessa capiate qui è che per le
api vale quello che è valido per
i cani, i gatti, i cavalli, gli orsi:
ci siamo evolute nel tempo adattandoci ad ambienti diversi e a
diverse metodologie di allevamento. Naturalmente nell'ambito delle
tipologie che hanno avuto più a che fare con voi umani sono stati
selezionati determinati ceppi in
modo da sviluppare maggiormente
alcune caratteristiche, per esempio
la produttività, o la resistenza a
malattie o intemperie, o la docilità, e non altre.
Alcune sottospecie hanno ormai una lunga storia
di convivenza con l'uomo, altre
sono più vicine al ceppo di origine.
Comunque, non è necessario che
impariate tutto questo adesso. È
importante vi sia chiaro che vale
per noi api quello che vale per
qualunque forma di vita, inclusa la
vostra: più biodiversità c'è in giro,
meglio è (anche di biodiversità torneremo a parlare).
LA FORTUNA DELLE ITALIANE
Sulla questione delle specie e delle
sottospecie vi lascio a fare due chiacchiere in più con Claudio Porrini.
Lui è un entomologo, cioè studia noi
insetti. Non solo le api, proprio tutti
gli insetti! E non studia, come spesso gli entomologi fanno, il modo
migliore per farci fuori, anzi, pare
che gli insetti gli piacciano proprio
e, se posso essere immodesta, in
particolare noi, noi api italiane.
«Sì, è vero, le api mellifere della sottospecie ligustica, detta anche italiana, sono molto interessanti. Quelle che vivono in Italia sono anche molto fortunate, perché noi siamo, finché dura, in una collocazione geografica meravigliosa che certamente ha contribuito a renderle così interessanti. Tutte le api fanno il miele per l'inverno: ma, per esempio, le api delle zone tropicali ne producono poco perché non servono ingenti scorte, e vivono in ambienti estremi (caldo, poco cibo) che le rendono più aggressive, mentre quelle del Nord fanno poco miele perché hanno stagioni brevi. Quindi sono ecotipi meno produttivi e mansueti della nostra ape. L'ape cosiddetta africanizzata (cioè l'ape europea presente in Brasile che si è incrociata con l'africana) è stata un incrocio studiato da alcuni ricercatori che, però, poi è sfuggito di mano e ha iniziato a diffondersi. Ha unito due tratti di aggressività importante - e certamente l'aggressività è un tratto genetico -, ma l'ambiente, il clima, dunque le quantità di stimoli e di pericoli ai quali un insetto deve fare fronte, sono elementi che contribuiscono a rafforzare o mitigare quel tratto. Quando quest'ape ha iniziato a diffondersi in tutto il Sud America e nel Sud degli Stati Uniti, inizialmente gli apicoltori si sono preoccupati perché era difficile allevarla. Poi si sono resi conto che dall'incrocio era nata un'ape molto più produttiva di quella di partenza (l'europea presente in Brasile): allora hanno smesso di combatterla e hanno cercato di imparare come gestirla. Qui in Italia questi problemi non li abbiamo mai avuti. La nostra ape mellifera ligustica è sicuramente più mansueta, perché si trova in un ambiente più facile, è più produttiva perché ha un clima favorevole, con lunghe estati calde. Insomma ha tutte caratteristiche positive, la docilità e la produttività, ed è diventata l'ape più famosa per questo. Già le sottospecie siciliana e carnica, che restando nella nostra penisola vivono però nelle zone con il clima più estremo (molto caldo e secco, molto freddo), hanno caratteristiche un po' diverse. | << | < | > | >> |Pagina 48NOI, LE PIANTE E GLI UMANIQuello tra noi, le piante e gli umani è un gioco in cui vinciamo tutti (se voi umani non barate). Gli insetti che si nutrono di nettare e di polline e, mentre lo fanno, favoriscono la fecondazione dei fiori sono molti. Voi ci chiamate insetti prònubi: mi pare un bellissimo complimento. La regina mi ha spiegato che i prònubi, al tempo dei Romani, erano le persone che assistevano lo sposo nei matrimoni. Ma no, lei non c'era, che domande, sto parlando di duemila anni fa. Le api sì, c'erano eccome, e da milioni di anni. La mia regina no, è nata un paio di anni fa. La grande differenza tra lei e tutti gli altri componenti dell'alveare è che lei ha un sacco di tempo a disposizione. Così studia, si informa. L'ape regina sa un sacco di cose. Per i primi trenta o quaranta milioni di anni noi ci siamo limitate ad aiutare i fiori delle piante selvatiche. D'altronde tutto quello che c'era era selvatico fino a quando, circa 13000 anni fa, voi umani non avete deciso di diventare sedentari e contadini. È a quel punto che avete iniziato a domesticare piante e animali. È un fatto interessante questo della domesticazione, perché da un certo punto di vista, che io condivido - e che, immodestamente, considero il punto di vista della natura -, è una specie di trionfo dei meno dotati. Senza offesa per nessuno, però pensateci, in qualche misura è successa la stessa cosa anche a voi.
Voi umani, finché siete stati nomadi, cacciatori e raccoglitori,
eravate straordinariamente dotati, resistenti, agili; i vostri sensi erano
potentissimi; lo stesso vale per le piante, gli animali e tutto quello che
considerate, oggi, selvatico. Vi mancava un po' di sicurezza, un po' di
protezione. Avete scommesso tantissimo su quei
bisogni, avete - direi - scommesso l'esistenza.
Tuttavia, il processo di sedentarizzazione e
poi di "progresso", tecnologico e
civile, ha regole apparentemente
ben diverse da quelle della natura.
Pretende prestazioni fisiche meno
straordinarie, anzi, quasi predilige
gli esemplari meno energici, meno
aggressivi, direste voi, meno capaci
di cavarsela da soli. I lupi sempre
più docili diventano cani, i cereali che non disperdono le sementi
diventano buoni per l'agricoltura
(ma non erano buone per la natura
quelle spighe che non si aprivano).
Così, prova dopo prova, giorno dopo
giorno, passano tredici millenni in un battito... di ali,
e ti ritrovi con le città e le campagne, le zone di
produzione, quelle di trasformazione, quelle di vendita...
CHI ADDOMESTICA CHI? Come abbiamo visto, con la parola domesticazione intendete il processo che rende un animale o una pianta dipendente dall'intervento umano. Però con noi, come si diceva, non ci siete riusciti. Le api non dipendono dagli apicoltori. Se decidiamo di andarcene (e qualche volta lo facciamo) siamo perfettamente in grado di sopravvivere per conto nostro, se riusciamo a non finire in qualcuna delle vostre nubi tossiche o se non ci stermina la varroa. Se vale quella definizione, forse siamo noi che addomestichiamo l'apicoltore. Che gli facciamo capire che cosa può o non può fare, e quando, e come. Piuttosto dagli apicoltori dipendono gli agricoltori. Non solo quelli che coltivano vegetali, anche quelli che allevano animali, i quali mangiano foraggi che noi impolliniamo. Loro, senza insetti prònubi starebbero freschi. Certo, c'è il vento, che si occupa delle piante con i pollini più leggeri (si chiamano piante anemofile, cioè che amano il vento); ci sono uccelli particolari, come i colibrì che impollinano i fiori della vaniglia (anche se ormai sono così pochi che spesso sono mogli e figli degli agricoltori, che hanno mani più piccole e movimenti più delicati, a sostituirli con quella che si chiama impollinazione manuale). Tuttavia, siamo seri: la stragrande maggioranza dell'impollinazione, in natura e in agricoltura, dipende da noi insetti, che - va detto - facciamo le cose per bene, con metodo. Per esempio, non svolazziamo da un tipo di pianta a un altro. Ci dividiamo il lavoro e poi ognuna bada al proprio. Se passassimo da un fiore di erba medica a uno di pesco, noi certamente mangeremmo lo stesso, ma dato che i due pollini non sono interfertili, non impollineremmo un bel nulla. Quindi noi passiamo da un fiore a un altro fiore della stessa pianta oppure a un fiore di un'altra pianta della stessa specie. | << | < | > | >> |Pagina 130IL MIELE COME CURA Siete strani, voi umani, lasciatevelo dire. Sembra che abbiate una memoria intermittente. Sembra che a un certo punto capiate cose fondamentali e poi, non si sa come, 50 o 100 anni dopo, quelle stesse cose che erano ormai assodate non le sappiate più. Per poi magari riscoprirle di nuovo, chissà quando. Vi va bene che ci siamo noi api a fare da memoria storica. Inizio da Pitagora, giusto per citare uno dei più famosi tra quelli che hanno ufficializzato la relazione tra cibo (quantità e qualità) e benessere fisico e psichico. Eravamo nel VI secolo a.C., noi c'eravamo, voi pure. Ma non l'avete capita. Un paio di secoli dopo, quindi, circa 2400 anni fa, ci ha riprovato un altro vostro parente, che si chiamava Ippocrate di Coo. Sì, quello del giuramento di Ippocrate che fanno i medici. Lui trovò una formula carina, e anche facile da ricordare: «Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo». Era chiaro, no? Passano i secoli e si arriva alla scuola medica salernitana (più o meno nel XII secolo d.C.) che tornava agli insegnamenti di Pitagora e - non per vantarmi - ai miei: il corpo umano era considerato nella sua interezza, in modo olistico, ma soprattutto era considerato un microcosmo che andava a costituire il macrocosmo dell'intero universo. Ora, io sono un'ape operaia e non faccio testo, ma il caso vuole che la scuola salernitana sia stata fondata, condotta e frequentata da un sacco di donne. Non dico altro se no poi dite che sono di parte. Insomma, passano i secoli e la questione dell'importanza del cibo nella costruzione e nel mantenimento della vostra salute non passa mai definitivamente di moda, ma anche non viene mai completamente ufficializzata dal punto di vista scientifico. Facciamo un altro salto di qualche secolo e arriviamo agli armi Sessanta del Novecento, quando Ancel Keys inizia a studiare le popolazioni del Mediterraneo e le ragioni della loro longevità arrivando a formulare la teoria della Dieta Mediterranea. Insomma, da Pitagora in avanti ve l'hanno già ripetuto milioni di volte e voi siete ancora qui a domandarvi se il miele vi fa passare la tosse? Non l'avete ancora capito che è una questione di stili di vita, di abitudini costanti, di qualità e quantità dell'alimentazione? Che vi devo dire, se dopo 2600 anni non avete ancora le idee chiare, io ci rinuncio, perché se va tutto bene mi rimangono 15 giorni di vita e - lo ammetto - la pazienza non è proprio tra le mie virtù. D'altronde la pazienza è dei longevi. Ancel Keys ha vissuto cent'anni, lui se la poteva permettere la pazienza.
Coraggio amici esperti, dite la vostra.
Paternoster, vuoi iniziare tu?
«In realtà io protesto sempre molto
quando si inizia a parlare di miele
come medicina, perché secondo
me, dal punto di vista dell'immagine, della reputazione del miele,
questo non ha sempre giovato. I consumatori si sono abituati ad
abbinare il miele al fatto di stare
male, a considerarlo, appunto, un
cibo per malati, o per bambini, o
per anziani. Insomma ad associarlo
a una qualche forma di debolezza,
o a momenti spiacevoli. Non sono
affatto d'accordo: il miele è un cibo
come gli altri e come tutto il cibo è
fatto per nutrire e dare piacere allo
stesso tempo. Va riabilitato nella
sua dignità di prodotto alimentare e
non di medicamento. Poi, certo, se
entra nelle nostre abitudini di vita,
se ne abbiamo sempre in casa due
o tre vasetti iniziati, che scegliamo
in base a ciò che vogliamo fare,
allora diventa anche un elemento
salutare, sostitutivo dello zucchero,
nel quadro di uno stile di vita orientato al benessere».
Lucia Piana?
«Il miele ha accompagnato tutta la storia dell'umanità, da quando i nostri progenitori scimmie andavano a cacciare il miele delle api selvatiche; per questo il suo uso si è caricato, nei millenni, di significati magici, rituali, terapeutici, che superano gli effetti che possiamo oggi spiegare sulla base delle evidenze scientifiche. Innanzitutto c'è la questione energetica: dobbiamo tenere conto del fatto che fino all'ultima guerra il problema, per la stragrande maggioranza della popolazione, era mangiare abbastanza, per cui un prodotto altamente energetico come il miele assumeva un potere nutritivo quasi magico in quanto molti disturbi originavano di fatto da un'alimentazione troppo povera. Per esempio un po' di miele poteva mantenere in vita un neonato la cui madre non avesse latte, o ammalati e anziani che per varie ragioni non fossero in grado di alimentarsi: anche oggi, quando sei ammalato e, dunque, indebolito, un supporto energetico così potente diventa curativo. Il secondo elemento da considerare è il fruttosio, lo zucchero generalmente più abbondante in tutti i tipi di miele, e le sue molte qualità: è uno zucchero con un'azione emolliente, calma le irritazioni ed è leggermente lassativo. Una parte delle proprietà del miele sono attribuibili al suo alto contenuto di fruttosio, e sono le stesse della frutta disidratata. Poi ci sono gli effetti antibatterici, in parte dovuti all'elevata concentrazione zuccherina, ma anche a specifiche sostanze, che derivano, in gran parte, da quelle aggiunte dalle api durante il processo di elaborazione del miele, ma anche da sostanze vegetali. Quindi il miele risulta utile in caso di disturbi che possano beneficiare di un'attività antibatterica: svolge questa funzione quando passa nel cavo orale, da qui la tradizione del miele in caso di mal di gola o tosse, ma è efficace anche per uso esterno, come nella cura di bruciature, ulcere, ferite. Le bruciature, in particolare, sono ferite che si infettano facilmente: proteggerle con un po' di miele è il rimedio più immediato e facile che possiamo attuare in casa. Per quanto riguarda invece il beneficio della consuetudine del consumo di miele, sono importanti le proprietà antiossidanti, paragonabili a quelle della frutta e della verdura; se pensiamo al miele come un succo concentrato di fiori, comprendiamo bene che il suo contenuto in polifenoli e sostanze antiossidanti risponde perfettamente a tutte le raccomandazioni a proposito della frutta e della verdura, con la differenza, rispetto a frutta e verdura, di non avere fibre e possedere un contenuto molto minore di acqua e molto maggiore di zuccheri». | << | < | > | >> |Pagina 158DEGUSTARE I MIELIRIASSUMENDO Ormai vi dovrebbe essere tutto chiaro: noi api andiamo sui fiori che ci piacciono di più, su suggerimento delle esploratrici che, un po' come i vostri critici gastronomici, ci precedono e poi ci consigliano, ci dicono che cosa c'è di buono in giro, in quale direzione e a quale distanza. Dopo di che noi partiamo, chi per il nettare, chi per il polline. I ruoli sono chiari anche su questo, sono pochissime, in un alveare, le api che raccolgono entrambe le risorse. L'organizzazione e la divisione dei compiti dipendono anche dalle stagioni: in primavera c'è più bisogno di polline, man mano che si va avanti c'è sempre meno polline in giro e sempre più necessità, per noi, di nettare, perché occorre fare le scorte di miele per l'inverno.
Ovviamente anche le raccoglitrici
di polline mangiucchiano un po' di
nettare, ma non lo riportano indietro,
loro sono adibite al polline. In
ogni caso tutte noi ci sporchiamo
sempre un po' di polline: abbiamo,
sull'addome e sul dorso, delle piccolissime setole nelle quali resta
sempre intrappolata un po' di quella polverina. Questo, oltre a favorire
la fecondazione dei fiori, fa sì che qualche traccia di polline finisca
anche nel miele.
LA DISTANZA
Anche la distanza tra l'alveare e
i fiori è importante, perché se
andiamo troppo lontano consumeremo tutto il nostro bottino
per sostenerci energeticamente
nel volo del ritorno, e noi invece
sappiamo bene che non andiamo
in giro solo per mangiare e bere,
dobbiamo anche portare qualcosa
a casa. L'ideale per noi è restare
nel raggio di un chilometro dall'alveare: in questo modo riusciamo a
nutrirci bene e a bottinare tanto.
Se proprio non c'è nulla di interessante a portata d'ala, allunghiamo
un po' il viaggio, ma naturalmente più andiamo lontano e meno
portiamo a casa: la distanza oltre
la quale il rapporto produzione/raccolta diventa negativo è di tre
chilometri circa.
MILLEFIORI O MONOFLORA? Quando abbiamo a disposizione tante fioriture diverse in contemporanea, ma nessuna in quantità prevalente, quello che viene fuori voi lo chiamate millefiori. Se invece abbiamo a disposizione una grande fioritura di qualcosa che ci piace molto, allora tenderemo ad andare tutte lì. Quando poi l'apicoltore raccoglierà il nostro miele e farà analizzare le presenze di polline che contiene, se c'è prevalenza potrà chiamarlo con il nome di quella varietà: sarà dunque miele monoflorale di tiglio, o di arancio, o di agrumi (se ci sono diversi agrumi, ma nessuno prevalente).
Che cosa significa prevalenza?
Dipende dal tipo di pianta cui ci
si riferisce. L'acacia, per esempio,
disperde il polline difficilmente,
quindi se un miele ha il 20% di
residuo pollinico di acacia possiamo stare tranquilli che
proviene quasi tutto da nettare di acacia. Altre piante
si comportano diversamente, e in alcuni casi per
decidere se un miele è etichettabile
come monoflora si richiede anche il
70% della presenza pollinica della medesima specie.
L'ASSAGGIO Vi abbiamo detto come dovete osservare il miele per sceglierlo a ragion veduta. Ora proviamo a raccontarvi come fare, dopo l'acquisto, a coglierne tutte le caratteristiche in modo da apprezzarlo e degustarlo al meglio.
Lucia Piana, ci racconti come si
degusta il miele?
«Certo, ecco alcuni elementi utili per giudicare un miele. • Il colore è un elemento che dipende in gran parte dall'origine botanica, varia dal quasi assente al quasi nero. Alcuni mieli hanno una tonalità decisamente insolita, giallo vivo. Nei prodotti cristallizzati il colore si modifica per effetto del bianco dei cristalli di glucosio, variando anche in funzione della dimensione dei cristalli e della loro densità. • Il profumo non varia solo nell'ambito delle note floreali e dolci, come molti potrebbero aspettarsi per un prodotto zuccherino derivante dai fiori. Esistono anche mieli con sentori molto aggressivi che ricordano il fumo o alimenti di origine animale come note caratteristiche della loro origine botanica. • Nell'apprezzare un miele, l'elemento tattile ha un ruolo importante: la viscosità, la consistenza, il maggiore o minore calibro dei cristalli sono, a seconda delle preferenze di ognuno, tra gli elementi che determinano la valutazione, ma non sono necessariamente pregi o difetti. | << | < | > | >> |Pagina 188| << | < | |