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| << | < | > | >> |IndiceEquilibri ecologici 7 Ereditarietà genetica 95 Teoria dell'evoluzione 201 Note del traduttore 257 _______________________________________________________ |
| << | < | > | >> |Pagina 7Equilibri ecologici"Seduti!" disse Inge Lohmark, e la classe si mise a sedere. "Aprite il libro a pagina sette". Tutti aprirono il libro a pagina sette e la lezione incominciò con gli ecosistemi, gli equilibri ecologici, i rapporti di dipendenza e le interazioni tra le specie, tra gli esseri viventi e l'ambiente, le influenze reciproche tra spazio e comunità. Dal bioma del bosco misto passarono alla catena alimentare del prato, dai fiumi ai laghi, arrivando infine al deserto e alle piane di marea. "Come vedete, nessuno, né l'animale né l'uomo, può esistere da solo. Tra gli esseri viventi vige la concorrenza e, talvolta, qualcosa che assomiglia alla cooperazione. Anche se accade raramente. Le principali forme di coesistenza sono la concorrenza e il rapporto preda-predatore". Mentre Inge Lohmark disegnava frecce alla lavagna dai muschi, i licheni e i funghi verso il lombrico e il cervo volante, il riccio e il toporagno, poi verso la cinciallegra, il capriolo e l'astore, e poi un'ultima verso il lupo , via via prendeva forma la piramide, sulla cui cima stava accovacciato l'uomo accanto a un paio di animali predatori. "Sta di fatto che non esistono animali che mangiano le aquile o i leoni". Indietreggiò per osservare il disegno a gesso che riempiva ora tutta la lavagna. Lo schema delle frecce univa produttori a consumatori di primo e secondo livello, gli organismi autotrofi a quelli eterotrofi primari, secondari e terziari, e agli inesorabili, microscopici decompositori, tutti quanti accomunati dalla respirazione, dalla dispersione di calore e dall'aumento di biomassa. In natura tutto aveva il suo posto e, se non ogni singolo essere vivente, di certo ogni specie aveva un suo destino: mangiare o essere mangiata. Fantastico. "Ricopiate il grafico sui vostri quaderni". Quel che diceva era un ordine. L'anno iniziava adesso. I giorni irrequieti di giugno, la stagione del caldo opprimente e delle braccia nude, erano passati una volta per tutte. Quando il sole picchiava attraverso la vetrata trasformando la classe in una serra. Nelle teste vuote degli alunni germogliava l'attesa dell'estate. La sola prospettiva di giorni di ozio totale toglieva ai ragazzi ogni concentrazione. Con gli occhi gonfi di cloro, la pelle unta e la smania sudata di libertà, aspettavano le vacanze sonnecchiando abbandonati sulle sedie. Alcuni erano distratti e incapaci di intendere e volere. Altri, con l'approssimarsi delle pagelle, posavano sulla cattedra le verifiche di biologia fingendo un atteggiamento servile, come i gatti che depongono il topo sul tappeto del salotto. Salvo poi, calcolatrice alla mano, chiedere l'esito del compito durante l'ora seguente, avidi di calcolare il miglioramento della loro media fino a tre cifre dopo la virgola. Ma Inge Lohmark non era uno di quegli insegnanti che si ammorbidivano alla fine dell'anno, solo perché presto avrebbero perso i loro interlocutori. Lei non aveva paura, una volta rimasta sola, di scivolare nell'irrilevanza. Certi colleghi, man mano che si avvicinava la pausa estiva, diventavano preda di un'indulgenza quasi affettuosa. Le loro lezioni degeneravano in un insulso teatrino fatto di improvvisazioni. Uno sguardo trasognato qui, un buffetto affettuoso lí, patetici tentativi di tenere alto il morale della classe, la miseria di ore dissipate a guardare film. Uno sperpero di bei voti, l'alto tradimento al 10 e lode. Per non parlare del malcostume di arrotondare i voti nelle pagelle di fine anno e traghettare un paio di casi disperati nella classe successiva. Come se servisse a qualcosa. I colleghi non riuscivano a ficcarsi in testa che nuocevano soltanto alla propria salute andando incontro agli alunni. Non erano altro che sanguisughe che ti privavano di ogni energia vitale. Si nutrivano del corpo dell'insegnante, della sua competenza e del suo timore di venir meno all'obbligo di sorveglianza. Indefessi, ti assalivano con domande sciocche, trovate infelici e confidenze ripugnanti. Puro vampirismo. | << | < | > | >> |Pagina 12 PARASSITISMO Non valeva la pena trascinarsi appresso i deboli. Erano un peso morto che impediva agli altri di avanzare. Recidivi nati. Agenti parassiti dell'organismo sano della classe. Prima o poi i meno svegli sarebbero stati tagliati fuori in ogni caso. Conveniva metterli di fronte alla verità il prima possibile, invece di dare loro una nuova chance a ogni fallimento. Di fronte alla verità che mancavano loro i presupposti per diventare a tutti gli effetti membri utili della società. A che pro essere ipocriti? Non potevano farcela tutti. Perché mai avrebbero dovuto? I buoni a nulla c'erano in ogni classe. In certi casi era già tanto se si riusciva ad addestrarli a qualche virtú basilare. Cortesia, puntualità, precisione. C'era da disperarsi che non ci fossero piú i voti in condotta. Ordine. Applicazione. Partecipazione. Comportamento. La dimostrazione dell'insufficienza di questo sistema educativo. Piú tardi ci si liberava di un perdente, piú questo diventava pericoloso. Iniziava a tormentare il prossimo e ad avanzare pretese ingiustificate: sapere i voti di fine anno, ottenere un giudizio positivo, magari perfino un lavoro ben retribuito e una vita felice. Il risultato di lunghi anni di aiuto, miope benevolenza e pericolosa magnanimità. Quelli che davano a intendere ai casi disperati di far parte del gruppo, non dovevano stupirsi se poi un giorno se li ritrovavano a marciare alla volta della scuola armati di bombe artigianali e fucili di piccolo calibro, con l'intenzione di vendicarsi per tutto ciò che gli era stato promesso per anni e poi negato. E invece arrivavano con le lucine di Natale. Ultimamente ribadivano tutti il proprio diritto all'autorealizzazione. Era ridicolo. Niente e nessuno è giusto. Figuriamoci una società. Forse solo la natura lo è. Non per niente íl principio della selezione ci ha fatto diventare ciò che siamo: l'essere vivente con il cervello solcato dalle rughe piú profonde. | << | < | > | >> |Pagina 38 MEDUSE Quale nitidezza impressionante, quale splendore deciso emanavano invece le meduse di Haeckel: la veduta dal basso di una peromedusa con la sua corona di raggi intrecciati color lilla e la bocca a forma di ottagono, come il calice di un fiore. Al centro c'era l'imbuto purpureo della discomedusa. Una chioma fluttuante di tentacoli che sgorgava da una sottoveste blu a balze. Circondata da minuscole sorelle ornate di stelle cristalline. E tutto a destra lo splendore vitreo dell'antomedusa, dal cui ombrello punteggiato di nodiní si dipartivano due tentacoli pressoché simmetrici. Ampie ghirlande tempestate di sacculi rossi, come fossero perle, e incorniciate da due sezioni trasversali. Una dal piumaggio bianco e rosso fiammante dei tulipani Rembrandt, l'altra uniforme come il cervello di un caucasico. Aveva staccato quelle magnifiche illustrazioni dalla monografia sulle meduse, un volume dalla copertina rigida trovato nell'archivio della scuola. Era un bel posto l'archivio. Un buco in cantina dove avevano confinato giornali murali squinternati, ritratti incorniciati, illustrazioni dotate di cornicette sottili e stampe su tela montate su pannelli di compensato. Peter al giardino zoologico con le guance rosse e paffute, una giovane coppia sulle spiagge del Mar Baltico, girasoli sbiaditi dalla luce del giorno. Le pareti erano diventate tutto d'un tratto molto spoglie. Finché Kalkowski non le aveva sistemato le meduse nelle cornici argentate. Ogni giorno la loro vista era una benedizione. In principio era la medusa. Tutto il resto venne dopo. La sua perfezione è senza eguali, nessun altro animale bilaterale è dotato della sua bellezza. Nulla supera la simmetria radiale. Adesso basta. "Le meduse sono animali d'acqua salata, le ninfee piante d'acqua dolce. Buona giornata, professoressa Schwanneke". Era inutile litigare con una persona alla quale mancava ogni senso della reale bellezza e della vera grandezza. | << | < | > | >> |Pagina 44 SPECIE ALIENE [...] E pensare che il mondo era qui: il bosco, il campo, il fiume, la palude. Tutto ciò rappresentava uno spazio vitale di assoluto rispetto per innumerevoli specie. Tra queste un gran numero era stato dichiarato specie protetta dal Ministero dell'Ambiente. Di alcune si registravano perfino i singoli esemplari, tanto erano diventate rare. Succedeva pure che apparissero specie nuove, ospiti indesiderati, immigrati illegali. Il cane procione siberiano. Un onnivoro. Un necrofago. Assomigliava a un procione e rubava le tane ai tassi e alle volpi. Importava malattie e spodestava le specie autoctone dalle proprie nicchie ecologiche. Poiché entrambi i genitori si occupavano della prole, il loro successo riproduttivo era enorme. Tutti si riproducevano allegramente, eccetto i suoi simili. Che si comportavano come se lí non ci fosse più trippa per gatti, come se il futuro avesse luogo altrove, da qualche parte là fuori, oltre l'Elba, del confine, del continente. Tutti cercavano di afferrare un lembo qualunque di una realtà che lí non volevano assolutamente vedere. Come se in quel luogo non ci fosse vita. Dappertutto c'era vita. Perfino nell'acqua piovana che ristagnava. Alla fine era sempre colpa del tempo. Anche il fatto che sua figlia restasse laggiù. Come aveva detto lei: "Una volta che ci si abitua al sole, si diventa troppo viziati per vivere in Europa Centrale". Europa Centrale. Già solo il suono. Il cambiamento di luogo, d'aria, di clima veniva sopravvalutato. Non erano mica tubercolotici. Se la svignavano tutti. Non avevano capito niente. Chi voleva capire il mondo doveva cominciare da casa propria. In patria. La nostra patria. Da Capo Arkona fino a Fichtelberg. Tagliare la corda era un gioco da ragazzi. Lei lo aveva sempre lasciato fare agli altri. C'era stato soltanto un periodo molto breve in cui aveva accarezzato l'idea di andarsene. Ma era passato molto tempo. Era rimasta. La libertà veniva sopravvalutata. Il mondo era stato scoperto, la maggior parte delle specie di sicuro. Si poteva tranquillamente restare a casa. | << | < | > | >> |Pagina 52Le sue lezioni dovevano essere piú vicine alla realtà, le fu consigliato. Che idiozia! La biologia è di per sé vicina alla realtà. La scienza della vita, delle sue leggi e manifestazioni, la sua estensione nel tempo e nello spazio. Una scienza dell'osservazione che chiama in causa tutti i sensi. Ma era tipico anche questo: prima proibivano di uccidere gli animali per l'ora di anatomia e poi pretendevano piú aderenza alla realtà!Quante cose non si potevano piú fare ormai. Altro che esperimenti sugli animali. Dov'era la tortura? Gli animali erano morti! Oggetti di studio. Scopi scientifici. Esperimenti. Far covare un uovo fecondato dai raggi infrarossi. Aprirlo per vedere il battito del cuore. Spegnere l'interruttore. Dimostrazione fornita. La rana acquatica che accerta la gravidanza. Le femmine che depongono le uova a contatto con le urine di una donna. La placca dentaria nella capsula di Petri. Il sussulto delle cosce della rana separate dal corpo, ancora bagnate. I muscoli da toccare con argento e ferro. Due metalli, uno nobile e uno comune, distanti nella serie galvanica. Dimostrazione fornita. I nervi conducono gli impulsi, sono circuiti elettrici. L'energia chimica può essere trasformata in energia elettrica. La natura parla attraverso l'esperimento. Ma no: oggi si poteva al massimo tagliare la pancia a un pesce morto. Ma le aringhe cominciavano subito a puzzare e le trote erano care. Almeno gli occhi di mucca erano ancora permessi, ma per via della mucca pazza era meglio utilizzare quelli di maiale. Adorava il momento in cui il cristallino cadeva sul foglio di giornale e ingrandiva una parola dell'articolo. Allora finalmente calava il silenzio. I ragazzi dimenticavano il loro ribrezzo e ammiravano assorti i riflessi sulla retina. Ovviamente era una questione di chiarezza. Ma non poteva mica arrivare ogni giorno con il riflesso di prensione palmare, la smania di rigenerazione dei lombrichi o il cane di Pavlov con la bava alla bocca. I diorami potevano vederli al Museo di Scienze Naturali. Preparati umidi, ossa fluorescenti e pulsanti luminosi. Nulla superava le lezioni frontali. Le sue lezioni erano fatte bene. I suoi studenti erano bravi. Certo, alcuni avevano paura di lei. Le sue verifiche erano fulmini a ciel sereno, ma ormai si era sparsa la voce e cosí il piú delle volte erano preparati. Ciò che insegnava era ancora lei a deciderlo. E il programma seguiva il concetto di spirale. Dal semplice al complesso. Tutti temi che ritornavano in declinazioni via via piú complesse. Come una morsa che lentamente si stringeva. Quel che contava era il risultato. E i risultati erano buoni. La media dei voti era sopra quella regionale. Da sempre. Chiaro che aveva avuto fortuna. Biologia ed educazione fisica. Sulle tracce della vita. Le scienze naturali non hanno bisogno di essere riscritte. Non si tratta di credere e pensare, ma di osservare e analizzare, classificare e spiegare! Ipotesi, induzione, deduzione. Le leggi della natura sono internazionali. Thiele e la Bernburg ne avevano avuto di filo da torcere con tutti i dati e fatti nuovi. Sí, c'era qualche confine di meno, almeno quello. Ma la biologia. Θ un dato di fatto. E l'ora di biologia un'esposizione di fatti. Qui si trasmetteva un sapere accertato, che nessun cambiamento di sistemi politici avrebbe potuto invalidare. Il mondo si descrive e si spiega da sé. Le leggi alle quali obbedisce hanno valenza assoluta. Non c'era nulla da mettere ai voti. Era una vera e propria dittatura! | << | < | > | >> |Pagina 76 FOTOSINTESI La vegetazione muta e paziente. Tanto di cappello. Le piante possono comunicare senza parole e sono sensibili al dolore senza avere un sistema nervoso. A quanto pare hanno anche dei sentimenti, il che tuttavia non costituirebbe un progresso. Forse sono superiori a noi proprio perché possono fare a meno dei sentimenti. Alcune piante hanno piú geni dell'uomo. La strategia piú promettente per salire al potere era ancora quella di venire sottovalutati. Per poi colpire al momento giusto. Non si poteva ignorare che la flora era in agguato. Nei fossi, nei giardini e nelle serre si attendeva il suo attacco. Presto si sarebbe ripresa tutto. Avrebbe ripreso possesso dei territori abusati con í suoi tentacoli produttori di ossigeno, sfidato le intemperie, spaccato l'asfalto e il cemento con le sue radici. Avrebbe seppellito i resti della civiltà passata sotto una fitta coltre d'erba. La restituzione ai vecchi proprietari era solo questione di tempo. Ortiche affamate di azoto che si rifocillavano con la terra granulosa, dove presto i germogli legnosi delle clematidi avrebbero formato una giungla impenetrabile. Il suolo ricoperto di felci. Con le foglie divaricate. Un po' nuove e un po' marce. Funghi, muschi e licheni che prosperavano anche sull'asfalto. Ancorati per l'eternità. Un mantello di silenzio. Tutto portava già dentro di sé il seme della natura a venire, del paesaggio a venire, del bosco a venire. Realizzazione di spazi verdi? Faticoso rimboschimento? Qui era all'opera una forza più grande! Nessuno poteva fermarla. Un giorno, già tra un paio di secoli, qui ci sarebbe stato un imponente bosco misto. E di tutti gli edifici al massimo sarebbe rimasta la chiesa, erosa, uno scheletro di mattoni, una rovina nel bosco, come in un dipinto. Magnifico. Bisognava pensare in grande, andare oltre la striminzita misura umana. Cos'è il tempo? La peste, la Guerra dei Trent'anni, l'ominazione, il primo fuoco nelle caverne degli ominidi? Tutto questo è lontano solo un battito di ciglia. L'uomo è un evento fugace a base di proteine. Un animale piuttosto stupefacente, bisognava ammetterlo, che ha infestato questo pianeta per un breve periodo e che alla fine, proprio come altri esseri misteriosi, scomparirà. Decomposto da vermi, funghi e microbi. Oppure sepolto sotto uno spesso strato di sedimenti. Un buffo fossile. Mai piú riportato alla luce. Le piante invece restano. Esistono da prima di noi e ci sopravvivranno. Quel luogo era soltanto una città in declino, la produzione era sospesa da tempo, ma i veri produttori erano già all'opera. Non il degrado avrebbe colpito quel luogo, ma il ritorno al puro stato selvaggio. Un processo di incorporazione lussureggiante, una rivoluzione pacifica. Paesaggi in fiore. | << | < | > | >> |Pagina 98 ERRORE DI IMPRINTING Come sempre Wolfgang era già andato dai suoi struzzi e aveva lasciato il tavolo della colazione mezzo sparecchiato. Le briciole suggerivano il posto dove aveva consumato il pasto. Sulla sua sedia c'era un groviglio. Una tuta da lavoro verde tutta appallottolata, una canottiera e dei calzettoni di spugna blu. Era il suo modo di chiedere della biancheria pulita. La tuta da lavoro doveva essere verde a tutti i costi, il cervello di quegli uccelli era troppo piccolo per ricordarsi un volto. Vestito di un altro colore non lo avrebbero riconosciuto. Ma guai a dirlo. Non lo avrebbe mai ammesso. Per Wolfgang erano in assoluto gli animali piú intelligenti. Ne era quasi innamorato. Delle loro lunghe ciglia nere che sembravano truccate di natura, del loro passo ondeggiante. E poi perché avevano una fissa per lui. Almeno finché aveva addosso la tuta verde. Un imprinting totalmente errato. Erano arrivati al punto che le femmine di struzzo si lasciavano coprire solo se c'era lui vicino. Al maschio riproduttore la cosa non piaceva affatto. Ogni volta si gonfiava tutto e gli si scagliava contro soffiando. L'atteggiamento minaccioso del fecondatore. Uno struzzo che difende il suo territorio durante il periodo della cova è pericoloso quanto un toro che controlla le sue mucche. Wolfgang era convinto che senza di lui non avrebbe funzionato. Soltanto perché prima inseminava ogni mucca con le sue stesse mani. Una certa dominanza aumenta la disponibilità al concepimento. E l'accoppiamento per sua natura è una battaglia. Nella maggior parte delle specie vertebrate l'atto sessuale è accompagnato da versi spaventosi. Basti pensare alle terrificanti urla dei gatti. Un giorno Wolfgang non fu abbastanza rapido e le due dita cartilaginose di un uccello corridore lo colpirono al petto. La notizia fini perfino sul giornale. Aveva un'altra volta riempito di uova di struzzo grosse come noci di cocco lo scomparto del frigo per le verdure. Chi avrebbe dovuto mangiarle? Erano le cellule animali piú grandi in assoluto. Un'omelette per una classe intera. Non c'era da stupirsi che quegli animali vivessero in luoghi in cui c'erano ancora tribú con centinaia di individui. Ma per loro due? Un uovo bastava e avanzava. E poi un uovo cosí non si manteneva, e sedersi a tavola insieme ormai era diventata cosa rara. A pranzo lei mangiava a scuola dalla zia Anita e lui nella piccola cucina-baracca dove preparava il mangime per gli animali. Spesso arrivavano dei visitatori interessati. E circa ogni due settimane veniva qualcuno della Ostsee-Zeitung, il quotidiano locale, a cui raccontava per ore le sue storie sull'allevamento degli struzzi. STAGIONE DELL'ACCOPPIAMENTO Che il collo dei maschi perde il tipico colore rosso dopo la stagione dell'accoppiamento. Che lo struzzo quando si sente trascurato gorgheggia in tono lamentoso. Che gli animali giovani crescono al ritmo di un centimetro al giorno. Di com'era importante, quando sono ancora pulcini, mischiare al foraggio dei sassolini tondi grazie ai quali macinano l'erba nel loro robusto stomaco trituratore. E che un paio di ristoranti di Berlino pagava bene la carne di struzzo. Erano richieste soprattutto le cosce. A quanto pare era la carne piú sana di tutte. Magra e povera di colesterolo. Diceva sempre che aveva lo stesso sapore della carne di manzo, ma un paragone simile reggeva solo perché erano entrambe scure. Lo stimolo visivo batte quello gustativo. Tuttavia non mancavano di scriverlo in ogni articolo. Wolfgang Lohmark era l'eroe dell'inserto regionale. Dopotutto era uno di quelli che ce l'avevano fatta. Da tecnico veterinario nel campo dell'allevamento animale in declino a contadino per hobby, che metteva all'ingrasso animali esotici, magnifici soggetti da fotografare: pulcini di struzzo dal piumaggio rigato sotto la lampada a raggi infrarossi. Struzzi al trotto, struzzi danzanti nella stagione degli amori, struzzi nella neve. E sopra i titoli: Uccelli giganti nella steppa della Pomerania Anteriore. La stagione degli amori nella fattoria degli struzzi. Un uovo per venticinque persone. Struzzo aggressivo attacca allevatore. Wolfgang aveva ritagliato e incorniciato tutti gli articoli. Erano appesi alle pareti della sua cantina. Il salotto non era posto per loro, dopotutto gli struzzi non facevano parte della famiglia. Mentre si lavava i denti, tornò a guardare le gru. Anche gli ultimi uccelli avevano abbandonato i loro giacigli umidi e riordinavano le piume scuotendosi, stiravano il collo, saggiavano il vento e la temperatura. Ora si distinguevano perfino le zampe nere che misuravano il campo a passi leggeri e maestosi. Non c'era paragone con il caracollare degli struzzi. Qui erano uccelli trampolieri, nella loro dimora invernale erano uccelli litorali. Una doppia vita. Ancora tre giorni al massimo e sarebbero andate via. Il calcolo era semplice. Ogni comportamento richiede uno specifico dispendio di tempo ed energia. E il dispendio è giustificato solo se il beneficio atteso è maggiore rispetto all'investimento. Θ sempre una questione di efficacia. In tutte le cose. Sicuramente era bello lí dov'erano dirette. Il Mediterraneo. Ma che ora si era fatta? Doveva andare. | << | < | > | >> |Pagina 121E poi di nuovo Jakob, quell'animale occhialuto e straviziato. Dritto come un fuso. Aspetto da cresimando. Aveva saltato del tutto il primo esercizio. Non era solo inaccettabile, era una vera e propria provocazione. Non gliene importava un tubo. Aveva chiuso con la vita ancor prima che iniziasse. Si era già rassegnato a tutto, alle verifiche a sorpresa e ai voti severi. Tutto ciò non lo toccava minimamente. Proprio come suo padre, un signore affabile con la barba da attivista per i diritti civili e gli occhiali senza montatura. Non solo la miopia si trasmette in modo dominante. Ogni incontro fra genitori e insegnanti era un'occasione per manifestare. La prima legge dell'ereditarietà: se i figli sono terribili, i genitori sono ancora peggio. Le caratteristiche latenti e ancora innocue nei loro discendenti, negli adulti sono pienamente sviluppate. La madre nevrotica di Tabea. Ovviamente single. Sembrava che l'avesse morsa una tarantola. Ti interrompeva sempre. Ogni bambino è un individuo speciale, affermava, soprattutto il suo. Cosa non diceva! Il penoso tentativo di valorizzare la propria vita buttata attraverso una prole un po' meno fallimentare. Fuga in avanti. La figlia era il suo investimento. Il patrimonio genetico come unico investimento per il futuro. La speranza che i propri geni, uniti in una nuova combinazione, potessero alla fine dimostrarsi proficui e che il successo di quella mescolanza premiasse retroattivamente il portatore dell'informazione genetica. Soprattutto se l'altra matrice se l'era data a gambe.La concentrazione si poteva letteralmente annusare. Secrezioni delle ghiandole sudorifere. Il tentativo di riportare alla luce ciò che si è dimenticato. La memoria può essere ingannevole. La memoria è ingannevole. Tanti buchi neri che il cervello riempie. Horror vacui. La natura non sopporta il vuoto. Che sguardi inconsapevoli, intontiti. Indicate quattro caratteri recessivi e quattro malattie ereditarie dominanti! L'avevano fatto quell'argomento. Era veramente facile. C'erano tanti esempi. Già solo nelle dita: polidattilia, brachidattilia, aracnodattilia. L'esercizio successivo mostrava perfino il disegno dell'albero genealogico di una famiglia affetta da polidattilia, accanto a una foto in bianco e nero. Un padre con i suoi tre figli dalle dita vampiresche ben tese, i dorsi delle mani in mostra, lo sguardo diritto nell'obiettivo. Un'immagine di un vecchio libro di biologia. Anni trenta. Un po' di galleria degli orrori ci voleva. Fenomeni da baraccone. Curiose accozzaglie. Esseri raggrinziti che galleggiavano nel proprio brodo. L'albino, l'uomo lupo, la ragazza scimmia, la donna barbuta, la signora senza gambe. Quando era piccola, c'era un ragazzo che abitava nella sua stessa strada. Reschke lo storto. Viveva solo con sua madre in una casa diroccata con le travi a graticcio. Un omino gobbo vestito da miserabile. La camicia di seta color vinaccia dalle maniche logore che gli tirava sulla gobba. Per la strada camminava con passo strascicato, come una scimmia. Piegato in avanti, il collo infossato tra le spalle. Forse per via della gobba. Nella sua mano enorme una busta della spesa che strusciava per terra. Di un'età indefinibile. Tutto era possibile. Un bambino gigante. O un vecchio con la faccia di un ragazzo. La normalità si rivela solo nel confronto con l'anomalia. Il deforme serve a riconoscere ciò che è sano. Mostro viene da monstrare. Θ una questione di chiarezza. Ma oggi cosa facevano vedere i libri di biologia? Fotografie astratte. Modellini tirati a lucido della doppia elica avvitata su se stessa. Microscopi elettronici a scansione lineare. Una foto di gruppo in bianco e nero che mostrava ventitré paia di cromosomi a forma di wόrstel, di cui tutti noi siamo fatti. Baccelli avvizziti. Frate Mendel con gli occhiali sottili e la spessa catenina. Dolly la pecora scema. E una coppia di anziani gemelli in frac blu che esibiva la propria natura monozigote. Cloni naturali. I discendenti con lo stesso patrimonio genetico saranno anche stati utili alla ricerca, ma lei ne avrebbe fatto volentieri a meno. Nutrire due volte la medesima sostanza genetica? Ci mancava solo questo. E pensare che il ginecologo all'inizio l'aveva sospettato, perché la sua pancia era enorme. Ma se Claudia avesse avuto una gemella, forse almeno lei sarebbe rimasta a casa. ORGANISMO MODELLO E ovviamente non poteva mancare il moscerino della frutta, l'animale araldico di tutti i genetisti. Non si sarebbe mai estinto. Facile da allevare, facile da tenere. Della frutta andata a male in casa c'era sempre. Un animale modello: drosophila melanogaster. Una nuova generazione ogni due settimane, prole numerosissima, solo quattro paia di cromosomi. E i suoi caratteri ereditari erano facili da riconoscere. Con una lente di ingrandimento, quando gli animali erano narcotizzati. Ai tempi dell'università un giorno avevano trovato su ogni banco una beuta chiusa da un batuffolo d'ovatta. All'interno una miriade di moscerini con varie mutazioni, che alcuni ricercatori avevano atteso per anni, o che avevano accelerato con l'uso di raggi X: occhi alieni. Rossi o bianchi. Col disegno di una scacchiera. Ali atrofizzate. Peli microscopici. Dovevano narcotizzare i moscerini e disporli su un foglio bianco a seconda delle caratteristiche. Ma se si usava troppo etere morivano subito. Se se ne usava troppo poco si svegliavano prima del dovuto e volavano via. Le perdite furono molte e le rovinarono il risultato. Tante cavie da laboratorio morte, disertrici. Di certo Mendel aveva avuto vita più facile con i suoi piselli. Può darsi che la natura parli attraverso gli esperimenti. Ma ogni esperimento vive di vita propria. Nel capitolo sulle malattie genetiche c'era una sola foto. Un bambino mongoloide che sorrideva con una farfalla sulla mano. Sembrava proprio una cavolaia. Guarda caso. Ma cosa gli era saltato in mente? Il parassita e il mostro. Un tempo si chiamava ancora idiozia mongoloide. Ma oggi non si poteva piú dire. Quante cose non si potevano piú dire: negri, musi gialli, zingari, nani, storpi, ritardati. Fosse stato d'aiuto a qualcuno. Il linguaggio è fatto per far capire ciò che s'intende. In fondo anche gli invertebrati si chiamano invertebrati. C'era sempre qualcosa che non si poteva dire. Che l'Urss era uno stato multietnico. No, erano tutti sovietici. Pareva che ultimamente non ci fossero nemmeno piú le razze umane. Chi lo nega è cieco. Che un negro abbia un aspetto diverso da un eschimese è evidente. E se esistono le razze bovine, allora devono esistere anche quelle umane. Perfino le leggi di Mendel ormai erano solo regole. C'erano solo sindromi che prendevano il nome da chi le aveva scoperte. Come le isole. Bandiere issate su corpi malati. Raggiungere l'immortalità attraverso una diagnosi. Down, Marfan, Turner, Huntington. Senza piú riferimento a quanto tutto ciò fosse grave: demenza, nanismo, piedi piatti, sterilità. Il ballo di San Vito ereditario. Morte precoce. La vita conclusa a quarant'anni. Come se per gli altri fosse diverso. Era cosí per tutti. Almeno per le donne. Un terzo della vita senza senso. Sopravvivenza postriproduttiva. Vale solo per gli esseri umani. I geni svernano nei nostri corpi aspettando tempi migliori. Di evadere, prima o poi. Ci si trascina dietro i propri difetti. La genetica è drammatica. | << | < | > | >> |Pagina 148 MUTANTI Un urletto estasiato. "Oh, i porcellini d'India". Veniva dal cuore. Ogni volta che si parlava di quei ridicoli roditori qualcuno perdeva la testa. Stavolta era Laura. Il pelo cosparso di vertigini assurde. Ciuffetti sparati in aria. Allevamenti senza senso. Mutanti. In nessun ecosistema del mondo c'era un posto riservato a loro. Claudia ne aveva ricevuto uno per i suoi dodici anni. Regalato da un'amica. Bell'amica. Quello si chiamava ricatto. Freddy. Pareva fosse un maschio. Poi però Freddy era diventato sempre piú grasso e alla fine aveva partorito due piccoli. Determinare il sesso di un mammifero non è sempre semplice come per l'uomo. Ma cosa ci si poteva aspettare da un animale in cui non si distingueva il davanti dal dietro? Fortuna che i cuccioli erano femmine. Quelle bestie raggiungevano la maturità sessuale nel giro di tre settimane e non sapevano cosa fosse il tabú dell'incesto. Freddy era beige a macchie marroni scure. La versione standard. I piccoli mostravano qualche altro carattere derivante da un eccesso di selezione: il pelo a ciocche bionde chiare. Il didietro castano pieno di ciuffi sporgenti che formavano uno strascico, in cui rimanevano impigliati pezzi di escrementi. Che tanfo. Appestava la stanza della bambina. Per fortuna Freddy mori presto di un tumore al cervello. Seppellirono le sue spoglie dietro al nuovo isolato accanto ai garage. I cuccioli li diedero via. Bambini e animali domestici. Finiva sempre male. Regalarne uno a un bambino era una forma particolarmente perfida di maltrattamento degli animali. Altro che sviluppo della capacità di socializzazione. Lí era una questione di vita o di morte. L'animale era completamente in balia dell'onnipotenza del bambino. E i bambini non sono innocenti. Con tutta la buona volontà. Non lo sono mai stati. Sono autenticamente sinceri, autenticamente brutali. Come la natura. Prima o poi l'animale moriva. In genere piú prima che poi. Parrocchetti ondulati volati via. Criceti schiacciati da robuste mani bambine. Resti di pelliccia irrigiditi dal rigor mortis. Allora erano urla e strepiti. Il giocattolo si era rotto. Ma il lutto era un'altra cosa. Pesci ornamentali stecchiti sulla moquette. Mosche con le zampe strappate. Rane squartate. Di questo i giornali non parlavano. Però parlavano dei rottweiler che sbranano i neonati. Dopotutto era una cosa assolutamente naturale. L'istinto predatorio. E invece cos'è rimasto della natura, degli istinti? Uno strattone al guinzaglio. Un abbaiare rauco nella notte. Da bambina passava spesso le vacanze dai nonni. Avevano un campo e un piccolo pezzo di bosco. Beneficiari della riforma agraria. In cortile razzolavano polli bianchi di razza tedesca. Nel capanno stavano allineati sui posatoi secondo un preciso ordine gerarchico. Nella stalla una mucca e un paio di maiali. La scrofa stesa sulla paglia, come senza vita. Sotto ai raggi infrarossi i porcellini si accalcavano intorno alle poppe. C'era sempre il rischio che la grassa madre ne schiacciasse uno. Animali e bambini in ogni dove. Figli dei vicini e nipoti. Bambini e palate di fieno. Bambini a palate. Odore di stalla. Il calduccio del nido. | << | < | > | >> |Pagina 184 VEGETARIANISMO "Oh". Mano alla bocca. Tutt'a un tratto la Schwanneke si era turbata. "Mi sono completamente dimenticata che non mangio piú la carne". Fece rotolare una polpetta sul bordo del piatto. Non si riusciva a distogliere lo sguardo. Una volta anche Claudia aveva avuto una di quelle fasi. Wolfgang aveva appena perso il lavoro. Stavano liquidando l'industria dell'allevamento. E sua figlia non mangiava più la carne. Di cattivo gusto. Ma Inge Lohmark non riservava bocconcini prelibati a nessuno. Né a scuola né a casa. Claudia non aveva resistito a lungo. La polpetta rotolò indietro. "Voglio dire, è inquinamento ambientale anche questo. L'effetto serra. Sono veri e propri killer del clima. Tutto quel metanolo". Irrimediabilmente stupida. Chissà dove l'aveva sentito? Forse una notte in cui non riusciva a dormire si era fatta frastornare dalle chiacchiere particolarmente profonde di una voce alla tv, fino a perdere conoscenza. Prima il buco dell'ozono. Era da un pezzo che non se ne sentiva più parlare. Oggi i mutamenti climatici. Dopo un paio di miliardi di anni è anche normale che ogni tanto il clima della terra cambi. Senza il riscaldamento globale l'essere umano neanche esisterebbe. Già solo quel tono insopportabile quando parlava di ecologia. Cosí colpevole. Teso solo a generare sensi di colpa. L'apocalisse alle porte. Come in chiesa. Ma senza il paradiso. La morale con la biologia c'entra poco quanto la politica. Come se l'uomo fosse l'unico essere vivente a distruggere il proprio ambiente. Tutti gli organismi lo fanno. Ogni specie consuma spazio e risorse e produce scorie. Ogni essere vivente toglie spazio vitale ad altri. Dove c'è un corpo non può essercene un altro. Gli uccelli costruiscono i nidi, le api i favi, gli uomini i prefabbricati. Un equilibrio naturale non c'è. Il ciclo della materia che tiene in vita ogni cosa si fonda sul disequilibrio. Il sole che sorge ogni giorno. Un gigantesco gradiente di energia che ci tiene in vita. L'equilibrio è la fine, la morte di tutto. La Schwanneke si decise comunque a tagliare la sua polpetta. "Poveri animali". Sospirò. Come se stesse parlando della carne che aveva nel piatto. Ma si poteva essere cosí imbecilli? Oltretutto neppure la sopravvivenza in natura è una passeggiata, la morte là fuori è brutale. Una morte violenta è la cosa piú naturale del mondo. Cosa bisognava farci di grazia con tutti quegli animali, prodotti dell'allevamento selettivo e di incroci controllati? I bovini erano un'invenzione dell'uomo. Macchine da latte, carne al pascolo con sette stomaci. Noi li avevamo allevati. E adesso ci toccava mangiarli. | << | < | > | >> |Pagina 196 CRANIO TERAPIA "Hai una brutta cera, Lohmark. Mi preoccupo per te. Hai un'aria stanca. Sbattuta. Rilassati. Fai qualche corso. Proprio adesso, alle quindici e trenta, nella vecchia aula di russo c'è il corso di realizzazione di gioielli, credo. Aspetta, controllo un attimo". Pescò da una delle pile un foglio stampato di carta gialla. Doveva andarsene subito. Non aveva alcun senso stare seduta li un secondo di piú e farsi umiliare da quel direttore di circo. Il prossimo autobus non sarebbe passato prima delle sei. Da domani avrebbe ripreso la macchina. Cosa ci faceva ancora lí? Kattner la guardò con aria di sfida. Esausto, il suo corpo. La testa pesantissima. Il cervello si nutre di enormi quantità di energia. Le ascidie, invertebrati dal corpo a forma di bulbo, se ne separano non appena diventano adulte e stanziali. Neppure le meduse hanno il cervello. Se la cavano tranquillamente con il sistema nervoso a rete. Quella testa. Troppo grossa anche solo per venire al mondo. L'uomo non è una bestia facile da partorire. Quel suo cervello esageratamente grande. Un deposito di sapere, sovradimensionato come le corna del cervo gigante di epoca glaciale, le zanne del mammut e i lunghissimi canini delle tigri dai denti a sciabola. Una sventura. Un vicolo cieco. Prima o poi. A che cosa serviva? Quell'accumulo di sapere. Ciò che non sappiamo, ciò che non sappiamo ancora e tutto ciò che sapremo in futuro. Erbaccia indisciplinata. L'aggiornamento non serviva a niente. Non si riusciva a stargli dietro. Tutto diventava sempre piú complesso e contorto. Tante cose non erano ancora state indagate. La biologia aveva ancora innumerevoli domande aperte. Le relazioni intricate e incomprese tra le specie. Certe ipotesi valide oggi sarebbero state smentite dagli esperimenti di domani. SEQUENZIAMENTO DEL GENOMA C'era chi aveva perfino creduto che il segreto della vita fosse un romanzo! Solo perché il suo alfabeto è composto di quattro lettere. In fondo cosa sono i romanzi? Illustrazioni di modi di vedere il mondo. Il progetto di costruzione era stato decifrato, ma non se n'era ancora capito niente. Una scrittura in codice. Tante unità che, di quando in quando, formano una parola, perle sulla catena cromosomica. Perle ai porci. Se l'organismo è solo uno schiavo dei propri geni, allora il suo signore è imperscrutabile. Quante cose sparpagliate sul DNA. Per non parlare dell'RNA. Trascritti con funzioni sconosciute, pseudogeni temporaneamente disattivati. Appendici e intervalli. Informazioni superflue, inutilizzate. L'intelligenza non è distribuita equamente neppure tra i gemelli monozigoti. Geneticamente parlando non si può neanche dire che nel corso della propria vita l'uomo sia sempre uguale a se stesso. I libri di scuola andavano riscritti, ampliati continuamente, perché ogni giorno si aggiungeva nuovo sapere. Nuovi studi. Nessuna conoscenza. L'intelletto non ci rende certo piú sapienti. Costretti come siamo nelle maglie dei nessi causali, l'io come illusione neuronale, un dispendioso spettacolo multimediale. Bisognerebbe essere animali. Veri animali. Privi della coscienza che ostacola la volontà. Gli animali sanno sempre quel che fanno. O meglio, non hanno bisogno di saperlo. Quand'è in pericolo, la lucertola perde la coda. Gettare la zavorra inutile. Invece noi pensiamo sempre alla prossima cosa da fare, al modo migliore di comportarci. Gli animali conoscono i propri bisogni, hanno un loro istinto. Affamati o sazi, stanchi o svegli, impauriti o pronti ad accoppiarsi. Lo fanno e basta. Seguono il branco, risalgono la corrente, sbadigliando si sdraiano al sole, oppure all'ombra, a seconda di come gli va. Si nutrono per mettere su strati di grasso. Vanno in letargo. Kattner accese la lampada sulla scrivania. Si era già fatto buio. La luce cadde sulla sua bocca. Gli occhi nell'ombra. Dov'era finito il suo istinto? Com'era arrivata li? Dov'era la coda da lasciarsi alle spalle? | << | < | |